LORI, Andrea
Nacque a Firenze, da Bartolomeo, in data imprecisabile da collocarsi intorno al 1520, in considerazione del fatto che Ludovico Domenichi lo definisce "giovane" in una poesia del 1553.
Della sua vita sono noti quasi solo i fatti relativi alla condanna capitale emessa contro di lui dagli Otto di guardia e balia il 16 giugno 1579 per un crimine in cui era stato suo complice il meglio noto letterato veneziano Celio Malespini.
Nei primi mesi del 1578 era stato decapitato a Roma, non è noto per quale reato, un tale Neri Guardi, mercante fiorentino. Il Malespini, accordatosi con il L., falsificò una cedola di 4800 scudi d'oro in nome del banchiere Ruberto di Filippo de' Ricci, scritta e mandata al Guardi mentre era in prigione a Roma, imitando nella stesura della cedola la scrittura del Guardi e nella firma quella del Ricci. Il L., in veste di intermediario, andò a mostrare la cedola a Francesco di Ruberto Leoni, cognato del Ricci, dicendo di averla avuta dal frate che aveva assistito il Guardi in articulo mortis e pregandolo di adoperarsi presso il Ricci affinché fosse pagata, dato che il denaro ricavatone doveva essere speso, secondo le intenzioni del giustiziato, in opere pie e in restituzioni da farsi in beneficio della sua anima. Nel mese di dicembre, essendo morto nel frattempo Ruberto de' Ricci, i due imbroglioni ordirono una seconda truffa a danno del suo patrimonio. Trovato un terzo complice in un certo Niccolò di Giovanfrancesco Del Tovaglia, inventarono una scommessa fatta dal padre di Niccolò con Ruberto de' Ricci sulla vita di papa Gregorio XIII. Malespini contraffece la sottoscrizione di Ruberto sulla cedola confezionata ad hoc e fatta cantare in nome di Ruberto al 18 giugno 1572. Il valore della scommessa ammontava a 700 scudi d'oro, e di fiorini 7 e soldi dieci per scudo. Il L. sostenne di nuovo la parte del mediatore, fingendo di avere rilevato la cedola e vendendola, prima che scadessero le condizioni, a Francesco Leoni, con defalco però di 105 scudi, ricevendone cioè solo 595, che i tre falsari si divisero in parti uguali. La sentenza, così come pure quella emessa il giorno dopo, 17 giugno, contro il Malespini, non dice nulla su come i tre falsari furono scoperti, ma durante il processo il L. confessò anche un altro delitto: nell'aprile 1578 nottetempo aveva scassinato la bottega di Bartolommeo di Nicolò Balsimelli da Settignano, scalpellino di S. Maria Maggiore, e ne aveva asportato pietre di mischio e alabastri di vari colori.
Altra notizia sul L. viene dalla menzione che ne fa Antonfrancesco Grazzini nella lettera a Bartolomeo Bettini, mercante fiorentino allora residente a Roma, del 20 ag. 1547 sull'alluvione di Firenze e nel Mugello: il L. si trovava allora nella villa di Cencio Degli Organi, poco fuori città, insieme con il Grazzini e Lorenzo Scala. Il L. e lo Scala si erano riconciliati, ma nel giugno precedente al primo era stato comminato un bando di sei mesi da Firenze per avere tirato una coltellata a Lorenzo (Plaisance, p. 153 n.).
La sentenza contro il L. fu eseguita a Firenze mediante impiccagione il 4 luglio 1579. Il Malespini si sottrasse con la fuga alla condanna inflittagli in contumacia al taglio della mano destra e alla forca.
Dopo che fu pronunciata la sentenza, si diffuse la voce che il L. sarebbe stato graziato della vita e la pena commutata nella galera; perciò il Grazzini compose in quei giorni le ottave intitolate Scusatione per messer Andrea Lori. Priva di fondamento la notizia che il giorno prima dell'esecuzione il L. avrebbe composto la terzina "S'io sogno, io sogno tre legni in trofeo, / s'io veggo, io veggo cataletto e boia, / s'io odo, odo dire ora pro eo", a riprova di un atteggiamento sprezzante persino nel momento estremo: si tratta dell'adattamento di una filastrocca attestata almeno dalla metà del decennio precedente. Moreni (p. 425) riferisce che in alcune parti della Toscana s'usava dire "Ladro quanto il Lori".
La produzione scrittoria del L. è di qualche rilievo, superiore a un livello meramente dilettantistico, così come le amicizie con letterati fiorentini confermano un qualche ruolo nelle dinamiche culturali della città, che tuttavia è impossibile delineare in maniera precisa. Fu intimo di Ludovico Domenichi, che lo ricorda in un capitolo scritto nel novembre 1553 durante il soggiorno a Pescia come persona integra nonostante le avversità della sorte: "Quest'è un giovan gentil, che in sé rinchiude / valore, e cortesia, quanto altri forse, / che per fama acquistarsi agghiacci, e sude. / Questi anco dal sentier dritto non torse / orma, per quanti gli habbia fatto oltraggio / fortuna ria, che indarno ognor lo morse" (Il secondo libro dell'opere burlesche, c. 184v). Nella stessa silloge (cc. 125v-129v) il L. è presente con i capitoli In lode delle mele, a Luca Valoriani, e In lode delle castagne, a Roberto Buonguglielmi. Domenichi lo menziona in maniera lusinghiera anche nella Historia di detti et fatti degni di memoria di diversi principi e huomini privati antichi e moderni (Venezia, G. Giolito, 1556 [col. 1557], p. 576), laddove, nella chiusa del X libro, interrompe gli aneddoti sul primo duca di Firenze Alessandro de' Medici annunciando la prossima uscita di un'opera del L. su di lui: "fra pochi mesi uscirà in luce la vita e i fatti di lui diligentemente scritti dal mio carissimo et virtuosissimo amico messer Andrea Lori: il quale ha ragione di ciò con eloquenza, et col vero". Ma nella ristampa del libro del Domenichi (Historia varia, ibid., 1564) il L. non figura più: Moreni ipotizzò che l'opera in questione sia il Delle attioni et sentenze del s. Alessandro de' Medici primo duca di Fiorenza (ibid., 1564), uscito con il nome dell'innocuo libraio fiorentino Alessandro Ceccherelli perché il L. si era nel frattempo rovinata la reputazione, ma l'ipotesi è oggi respinta.
L'opera più fortunata del L. sono le Egloghe a imitation di Vergilio (Venezia, G. Giolito e fratelli, 1554, con una lettera ad Alessandro Cini del 25 ott. 1553), cioè il volgarizzamento in versi sciolti delle Bucolicae, riproposte dal Domenichi in un volume giuntino di traduzioni virgiliane del 1556, insieme con l'Eneide di Francesco Sansedoni e le Georgiche di Bernardino Daniello, e poi costantemente ristampate fino al XVIII secolo nelle edizioni di Virgilio in lingua. Allestì la rappresentazione della Flora di L. Alamanni per la compagnia di S. Bernardino da Cestello, utilizzando un manoscritto datogli da Giovanni Berti, e per l'occasione compose gli intermezzi; ne curò l'edizione (Firenze, L. Torrentino, 1556). Due anni prima aveva procurato l'edizione postuma di Due comedie di Lorenzo Comparini fiorentino. Cioè il Pellegrino, et il Ladro (Venezia, G. Giolito, 1554; con dedica a Pandolfo Della Stufa, Firenze, 10 sett. 1553). Liaisons veneziane - di cui sarà stato auspice Domenichi, ben introdotto negli ambienti tipografici lagunari - sono evidenziate da due sonetti inclusi ne La Fenice di Tito Giovani Scandianese (ibid., 1555, pp. 77 s.), silloge elegantemente stampata di scrittori antichi e moderni a celebrazione del marchio giolitino. A Venezia riconducono pure alcuni dei destinatari del principale corpus poetico del L., contenuto in De le rime di diversi eccellentissimi autori, nuovamente raccolte libro primo (Lucca, V. Busdraghi, 1556). Vi si leggono sonetti al "mio amicissimo" Giovanni Berti (nominato anche nel capitolo In lode delle castagne, in Il secondo libro dell'opere burlesche, c. 129r), a Domenichi, Giovambattista Gelli, Benedetto Varchi (due con le risposte), all'abate Ludovico Rucellai, Tommaso Porcacchi, L. Dolce, due sonetti pastorali, 30 stanze a Iacopo di Alamanno Salviati. Con il Varchi il L. ebbe forse un rapporto privilegiato, se Grazzini nelle ottave scritte per la grazia raccomanda al patrocinio celeste di Benedetto (morto nel 1565) il "tuo Lori". Un sonetto del L. a C. Matraini con la risposta è in calce alle Rime e prose della Matraini (Lucca, V. Busdraghi, 1555). Uno scorcio interessante sugli orientamenti del L. in materia di religione apre la sua partecipazione con un sonetto a Il Parangone della Vergine, et del martire, e una Oratione di Erasmo Roterodamo a Giesù Christo, tradotti per M. Lodovico Domenichi. Con una dichiaratione sopra il Pater nostro del s. Giovanni Pico della Mirandola, tradotta per Frosino Lapini (Firenze, L. Torrentino, 1554). Le operine - di ispirazione ascetica quelle erasmiane, di stampo devozionale ben radicato nella tradizione cittadina quella di Pico - uscirono con la licenza del vicario dell'arcivescovo di Firenze e una lettera del carmelitano Marco Antonio Aiardi da Brignano, mentre la traduzione di un altro scritto erasmiano stampato al contempo dal Torrentino, il Sermone della grandissima misericordia di Dio, dove era discusso il ruolo della grazia e dei meriti per la salvezza, uscì senza licenza e premessa. Entrambi i volumetti erano corredati da componimenti poetici, che indicano in maniera inequivoca quale ambiente fosse ispiratore dell'operazione editoriale: il Parangone comprende, oltre a quello del L., tre sonetti del Domenichi, uno del Varchi, sette di Giovanni Antonio Alati, tre di Simone Della Barba, uno di Francesco Caldani; mentre solo Domenichi, Alati e Della Barba si sentirono di fornire poesie per il Sermone. Una satira del L. contro Genova Voi m'avvisate, dolce Spadin mio (destinatario è Filippo Spadini) è nel ms. Fondo nazionale, II.IV.288, cc. 24-26r, della Biblioteca nazionale di Firenze; un capitolo Domenichi gentil, poscia ch'Amore e un epitafio a un gobbo è in Magl., VII.877, cc. 39v-44.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., IX.70: A.M. Biscioni, Giunte alla Toscana letterata del Cinelli, pp. 854 s.; ibid., IX.81, p. 64; IX.82, p. 183; Il secondo libro dell'opere burlesche, di M. Francesco Berni, del Molza, di m. Bino, di m. Lodovico Martelli, di Mattio Francesi, dell'Aretino, et di diversi autori, Firenze 1555; De' sonetti di m. Benedetto Varchi colle risposte, e proposte di diversi. Parte seconda, Firenze 1557, pp. 39, 131; A. Grazzini, Della inondazione di Firenze nel MDXLVII. Lettera inedita, a cura di G.E. Saltini, Firenze 1865, p. 9; Id., Le rime burlesche, a cura di G. Verzone, Firenze 1882, pp. 445 s.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 36; D. Moreni, Annali della tipografia fiorentina di Lorenzo Torrentino impressore ducale, Firenze 1819, pp. 246 s., 271-273, 425; F. Inghirami, Storia della Toscana(, XIII, s.l. 1844, pp. 272 s.; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari da Trino di Monferrato, stampatore in Venezia, Roma 1890-95, I, pp. 422-425, 435; II, pp. 196-198; G.E. Saltini, Di Celio Malespini ultimo novelliere italiano in prosa del secolo XVI, in Arch. stor. italiano, s. 5, XIII (1894), pp. 47-49; G. Mambelli, Gli annali delle edizioni virgiliane, Firenze 1954, ad ind.; S. Gangemi, Ceccherelli, Alessandro, in Diz. biogr. degli Italiani, XXIII, Roma 1979, pp. 220-222; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino 1987, pp. 166 s.; V. Bramanti, Il "cartolaio" Ceccherelli e la fortuna del duca Alessandro de' Medici, in Lettere italiane, XLIV (1992), pp. 283-285; M. Plaisance, L'Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de' Medici, Manziana 2004, ad indicem.