MAZZINI, Andrea Luigi
– Nacque a Pescia, presso Pistoia, l’11 giugno 1814 da Giuliano e da Ersilia Fantozzi.
La relazione del padre, fattore, con una ricca vedova zia materna di G. Giusti, consentì al M. una fanciullezza più agiata di quella che gli avrebbe riservato la sua condizione sociale: sembra infatti che abbia compiuto i suoi studi nel liceo Forteguerri di Pistoia (mancano però in tal senso riscontri certi).
Nella prima metà degli anni Trenta il M. frequentò la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa dove conobbe G. Montanelli e S. Centofanti ed ebbe per compagni L. Galeotti e Giusti. Risale a questo periodo il primo interesse per i problemi sociali, sull’onda dell’entusiasmo per C.-H. de Saint-Simon, le cui teorie erano allora assai diffuse fra i giovani.
Nel 1837 si trasferì a Firenze e sposò la figlia di un uomo d’affari russo, N. Leidesdorf, un po’ per amore un po’ per interesse, come poi ebbe modo di ammettere. Nello stesso periodo cercò invano una sistemazione, sia frequentando alcuni ambienti vicini alla corte granducale sia concorrendo per la cattedra di economia politica nelle Università di Pisa e di Siena. Il cattivo esito di questi tentativi causò anche la fine dell’amicizia con Centofanti, al quale il M. imputava di averlo screditato pubblicamente. Non lasciò però le attività culturali: attento e sensibile nei confronti del romanticismo tedesco, ammirava la Germania per l’indole severa del pensiero che sapeva esprimere congiungendola alla potenza del sentimento.
Nel 1839 tradusse e annotò le Lettere filosofiche di F. Schiller (pubblicate però soltanto nel 1845 nella Gazzetta italiana); nelle note il M. stabiliva un collegamento fra evoluzione della civiltà moderna e rinnovamento letterario. Nel 1840 diresse la Rivista musicale di Firenze, dove ebbe per collaboratori G.B. Cioni-Fortuna ed E. Montazio. Nei suoi articoli difese la missione sociale dell’arte, destinata non a divertire ma all’ammaestramento civile della nazione.
Nel 1841 pubblicò a Firenze un opuscolo dal titolo Idee per servire d’introduzione ad una storia delle scienze, nel quale definiva la filosofia come la forma generale e assoluta delle conoscenze umane. Vi prendeva le distanze da Saint-Simon e dalla sua scuola e mostrava significative aperture al pensiero hegeliano (sia pure inteso nella sua versione conservatrice), di cui il M. fu tra i primi in Italia a recepire l’importanza. Tale sensibilità si doveva probabilmente alla frequentazione dell’abate D. Mazzoni, insegnante del collegio Forteguerri, che aveva soggiornato a Berlino ed era un cultore dell’idealismo.
Nel 1842-43 le condizioni finanziarie del M. peggiorarono drasticamente, come risulta dalle lettere scritte allora al filantropo pistoiese N. Puccini, al quale si rivolse per un aiuto. Dedito solo a qualche lezione privata e a piccoli impegni letterari da cui otteneva magrissimi guadagni, decise di espatriare. In un primo tempo aveva pensato a Vienna, dove già si era trasferita la moglie presso alcuni parenti (le era nel frattempo morto il padre, lasciandola priva di sostanze), ma alla fine scelse la Francia convinto che lì avrebbe potuto esprimere liberamente le sue idee.
Giunto a Parigi nell’ottobre 1844, nell’estate dell’anno seguente collaborò alla Gazzetta italiana diretta da M. Falconi e finanziata da Cristina Trivulzio principessa di Belgioioso: vi sostenne il principio dell’indipendenza italiana nell’ambito di un sostanziale moderatismo politico, proprio della testata. L’attività giornalistica non si rivelò decisiva da un punto di vista finanziario, ma gli diede comunque i mezzi sufficienti per vivere. Il soggiorno in Francia, il contatto con esuli di tutta Europa e la presenza dei circoli democratici e repubblicani contribuirono a far evolvere le sue idee in senso decisamente progressista. Durante il 1846 si dedicò alla stesura di una vasta opera scritta in francese, frutto di nuove e intense meditazioni, De l’Italie dans ses rapports avec la liberté et la civilisation moderne, alla quale evidentemente teneva moltissimo, poiché in ottobre stipulò un regolare contratto con l’editore parigino Amyot, cui versò 1000 franchi per le spese, rinunciando inoltre a qualsiasi diritto.
Il libro, uscito in due corposi volumi nel maggio 1847, conteneva un’adesione esplicita e netta allo hegelismo di sinistra e al principio della positività della storia, e si accompagnava a una critica sistematica delle varie ipotesi di soluzione del problema italiano. Ai neoguelfi e ai neoghibellini il M. rimproverava l’inutile e dannoso attaccamento al passato, mentre a Giuseppe Mazzini attribuiva l’incapacità di comprendere che le cospirazioni erano destinate all’insuccesso a causa dell’impreparazione degli animi. Le riforme e le stesse istituzioni liberali sarebbero state insufficienti senza un profondo rinnovamento intellettuale e civile, mentre il principio di nazionalità, utile per combattere il dispotismo, si rivelava incapace di costruire una nuova società. La salvezza poteva giungere solo da una grande, inevitabile crisi sociale europea, originata dalle contraddizioni del progresso economico, dalla diffusione delle macchine e dall’espansione abnorme del credito pubblico e privato: una crisi che sarebbe stata al tempo stesso dissolvitrice e rigeneratrice, basata sullo sviluppo della democrazia e della scienza, sulla distruzione della Chiesa e del cattolicesimo, sulla lotta alla proprietà e al capitale in vista di un comunismo dai lineamenti evangelici.
L’opera suscitò scarsa attenzione in Italia, mentre non passò inosservata agli occhi degli esuli e della pubblicistica francese e tedesca (anche se sorsero diversi equivoci sulla paternità a causa dell’omonimia con il fondatore della Giovine Italia, fatto destinato a ripetersi più volte in seguito): in Germania l’opera fu oggetto di una seconda edizione e di una traduzione integrale.
Il 5 marzo 1848 il M. intervenne all’assemblea di esuli che a Parigi dette vita all’Associazione nazionale italiana, presieduta da G. Mazzini, della quale sottoscrisse il programma. Rientrò in Toscana al principio dell’estate e partecipò subito alle attività dei circoli democratici, nei quali vantava vecchie e numerose conoscenze. Nella prima metà di ottobre pubblicò a Firenze l’opuscolo Intorno alle cose d’Italia. Lettera a Vincenzo Gioberti, in cui sosteneva lucidamente e decisamente il disinteresse e l’incapacità della Francia repubblicana ad agire per l’emancipazione europea e a favorire in concreto l’Italia nella lotta contro l’Austria. Attaccava a fondo i limiti dello Statuto toscano, polemizzava con il federalismo giobertiano e si dichiarava a favore della Costituente appena bandita da Montanelli. I patrioti, concludeva, dovevano combattere con tutte le loro forze i movimenti conservatori e retrogradi, finendola una volta per tutte con la contemplazione del passato e impegnandosi in una rivoluzione radicale, che avrebbe determinato la fine degli antichi principati e la nascita di un governo unitario e schiettamente popolare.
In data 11 nov. 1848 il M. stampò un manifesto agli elettori di Firenze, in vista delle imminenti consultazioni politiche per il nuovo Consiglio generale, alle quali tuttavia non partecipò, quasi certamente a seguito di un accordo di desistenza per favorire l’amico Cioni-Fortuna. Nel suo appello prometteva d’impegnarsi per la riduzione delle imposte indirette che gravavano sui ceti meno abbienti e per eliminare la piaga del pauperismo, ritenuta vergognosa in un Paese prospero come la Toscana. La sua posizione andava dunque caratterizzandosi per l’accentuato radicalismo che risultava tanto più evidente a fronte dell’involuzione moderata impressa al movimento toscano da F.D. Guerrazzi dopo la sua ascesa al ministero.
Probabilmente la nomina del M. a inviato straordinario in Sicilia, decisa dal triumvirato toscano il 16 febbr. 1849 nel nuovo contesto creatosi con la fuga del granduca, fu proprio dovuta alla volontà di allontanare un potenziale rivale a sinistra. A Palermo, dove giunse una settimana dopo, trovò un clima di grande freddezza e diffidenza, dovute all’ostilità che l’esecutivo di R. Settimo e M. Stabile nutriva nei confronti di ogni ipotesi di Costituente, incline com’era a mantenere un rapporto privilegiato con il Regno di Sardegna e la Gran Bretagna. All’inizio il M. s’illuse di poter conquistare la fiducia del governo e di instaurare con esso un proficuo e fattivo rapporto di collaborazione, benché la sua missione non venisse riconosciuta né ufficialmente né ufficiosamente. Dopo un mese di soggiorno capì tuttavia che l’avversione all’ideale democratico-unitario era generale e propria anche di coloro che si definivano repubblicani: nei suoi rapporti scriveva infatti che il fine supremo dominante nell’isola era quello dell’indipendenza e dell’autonomia siciliana. Chiese allora di essere richiamato, ma il 23 marzo il ministro degli Esteri A. Mordini lo invitò a restare al suo posto.
Dopo la caduta di Guerrazzi a seguito della controrivoluzione fiorentina del 12 apr. 1849, il M. fece ritorno in patria ma dovette subito allontanarsene nuovamente per evitare l’arresto ordinato dalla Commissione governativa che esercitava il potere in nome del restaurato granduca.
Riprese la via della Francia ma a Marsiglia, colpito dal tifo, il M. morì nella prima metà di agosto del 1849.
Fonti e Bibl.: Per i carteggi del M. cfr. il fondamentale studio di A. Saitta, Sinistra hegeliana e problema italiano negli scritti di A.L. M., I-II, Roma 1968, dove, in Appendice, sono ripubblicate integralmente anche tutte le sue opere. Cfr. inoltre: N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall’anno 1814 all’anno 1861, Torino 1869, VI, pp. 439-449; M. Amari, Carteggio…, a cura di A. D’Ancona, Torino 1896, I, pp. 542-545; G. Giusti, Epistolario, a cura di F. Martini, Firenze 1904, I, pp. 239 s.; A. Saitta, Sull’opera di A.L. Mazzini. «De l’Italie dans ses rapports avec la liberté et la civilisation moderne», in Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa, s. 2, X (1941), pp. 90-119; D. Cantimori, Utopisti e riformatori italiani, Firenze 1943, pp. 177-202; M. Petrocchi, Riflessi europei sul ’48 italiano, Firenze 1947, pp. 124-126; L. Bulferetti, Socialismo risorgimentale, Torino 1949, pp. 134-138; C. Ronchi, I democratici fiorentini nella rivoluzione del ’48-’49, Firenze 1963, ad ind.; N. Badaloni, Democratici e socialisti livornesi nell’Ottocento, Roma 1966, pp. 32, 122, 159; A. Saitta, Il popolo e la rivoluzione del 1848 dall’osservatorio di Firenze, in Critica storica, VIII (1969), pp. 776-790.