ACQUAVIVA, Andrea Matteo
Figlio di Antonio e di Ceccia Cantelmo, nato nella seconda metà del sec. XIV, sposò nel giugno 1393 Caterina Tornacelli, nipote di Bonifazio IX, confermando così le direttive politiche tradizionali della sua famiglia e quelle, insieme, di Ladislao d'Angiò-Durazzo, ai quali gli Acquaviva erano fedelissimi. In tale occasione riceveva dal padre i feudi di Canzano, S. Omero e Corropoli in Abruzzo con regio assenso concesso il 16 o 17 giugno 1393 (16 giugno per A. Cutolo, II, p. 70; 17 giugno per A. Valente, p. 171 n. 2). Poco dopo, alla morte del padre (verso il 1395), ne ereditò i feudi col titolo di conte di S. Flaviano, restituendo, però, come sembra, ai Camponeschi la contea di Montorio. In questo tempo l'A. deve aver anche ottenuto il titolo di duca di Atri, città già in possesso del padre, ma senza titolo. Avendo infatti conquistato nel novembre 1396 Ascoli con un colpo di mano, vi batté moneta, ponendo come suo titolo appunto quello di dux Adrianus (duca d'Atri); ma qualche mese dopo l'A. fu espulso. Riuscì invece a mantenere la sua signoria a Teramo, che aveva anche avuto con l'eredità paterna e dove conservò il suo potere, anche per l'appoggio della forte fazione dei Melatino. Anche in questa città, egli batté moneta col titolo di duca di Atri. Nel 1402 fece parte del corteggio che accompagnò la sorella di Ladislao, Giovanna, che si recava in Dalmazia, a Zara, a incontrare lo sposo Guglielmo, duca d'Austria. Uomo di piena fiducia del re, fece parte della spedizione contro Taranto, tenuta saldamente da Maria d'Enghien, vedova di Raimondello Orsini; ebbe anzi l'alto comando delle truppe quando Ladislao dovette allontanarsi dall'assedio per andare incontro a Giovanna, rimasta vedova. Durante il suo periodo di comando una sortita di truppe tarantine mise a malpartito gli assedianti, che, per ordine del re, lasciarono la città rientrando a Napoli (1405).
Due anni dopo, il 17 febbr. 1407, cadeva in Teramo vittima di una congiura orditagli contro dai fratelli Enrico e Roberto Melatino, per motivi, pare, di vendetta privata, lasciando tre figli: Antonio, Pietro Bonifazio e Giosia.
Gli storici locali danno due diversi racconti per spiegare il mutamento dei Melatino nei riguardi dell'Acquaviva. Secondo il de Mutii, causa dell'assassinio sarebbe stata la corte fatta dall'A. prima ad una figlia e poi alla moglie stessa di Enrico Melatino, che al delitto sarebbe stato indotto anche da un tacito consenso, accordatogli dal re Ladislao. L'altra tradizione, che risalirebbe ad un testimone oculare, riportata dal Brunetti e dal Palma, fa risalire l'assassinio alla eccessiva confidenza presasi dall'A. con Allegranza Aceti, moglie di Cola Melatino, fratello di Enrico. In ogni caso, oltre il fatto personale, dové operare anche la volontà di impadronirsi del potere, se iMelatino si insignorirono di Teramo, tenendola circa un anno, finché su di loro non cadde la vendetta degli Acquaviva e di Ladislao.
Fonti e Bibl.: Diurnali detti del Duca di Monteleone, a cura di N. F. Faraglia, Napoli 1895, p. 54s.; P. Litta, Fam. cel. ital., Acquaviva, tav. II; N. Palma, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli..., Teramo 1832-36, pp. 89 ss. (con riferimento al Brunetti); V. Bindi, Castel S. Flaviano, II, Napoli 1880, pp. 123-131; M. de Mutii, Della storia di Teramo, Teramo 1893, pp. 116-120; F. Savini, Il Comune teramano, Roma 1895,p. 234; N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, p. 21; A. Valente, Margherita di Durazzo, vicaria di Carlo III e tutrice di re Ladislao, in Arch. stor. per le prov. napol., XLIII (1918), p. 171; A. Cutolo, Re Ladislao di Angiò-Durazzo, Milano 1936, I, p. 283 (che sbaglia ponendo all'assedio di Taranto Antonio Acquaviva, già morto, invece del figlio Andrea Matteo); II, p. 73. Per le monete fatte coniare dall'A. si veda: Corpus nummorum italicorum, XIII, Roma 1932, p. 183 e tav. XII nn. 17-19; XVIII, ibid. 1939, p. 382 e tav. XXIII n. 8.