MOZZI, Andrea
– Nacque a Firenze, nel secondo o terzo decennio del XIII secolo, da Spigliato di Cambio e da Diamante.
Se della madre è noto il solo nome di battesimo – tramandato in un manoscritto settecentesco dal canonico Salvino Salvini – del padre e della famiglia le notizie sono più numerose. Spigliato di Cambio fu, insieme ai fratelli, l’iniziatore delle fortune di una consorteria destinata nel giro di pochi anni a imporsi ai vertici sociali, economici e politici della Firenze del XIII secolo. Comparsi nella documentazione per la prima volta nel 1234 – anno nel quale Spigliato sedeva nel Consiglio comunale – e legati all’influente corporazione di Calimala fin dagli anni Trenta del Duecento, i Mozzi ebbero un importante ruolo politico già nel corso del decennio di governo del Primo popolo (1250-60), quando alcuni di loro raggiunsero la maggiore magistratura cittadina, quella dell’Anzianato. Allontanati dalla città nei successivi sei anni di regime ghibellino – dal quale subirono ingenti danni – i Mozzi si imposero rapidamente all’interno del gruppo di consorterie più potenti e influenti della città, grazie anche agli ottimi rapporti intrecciati col papato e la casata angioina. La compagnia mercantile guidata dal fratello di Andrea, Tommaso, si affermò in quei decenni come una delle maggiori società d’affari europee e le ricchezze disponibili, corroborate dalla potenza e dalla grandigia di cui fecero mostra i componenti della consorteria, fecero sì che nel 1293 la famiglia fosse dichiarata magnatizia e pertanto sottomessa a un particolare regime giuridico.
Mozzi compare per la prima volta in un documento dell’aprile del 1248: a lui, infatti, canonico fiorentino «nato Spillati civis florentini divoti nostri», era indirizzata una lettera di papa Innocenzo IV relativa a una lite sorta tra il vescovo di S. Andrea di Scozia e lo stesso Mozzi che, trascinatasi per diverso tempo, vide alla fine riconosciuti i diritti del fiorentino sulla chiesa di Potin in Inghilterra. All’epoca, dunque, Mozzi faceva già parte del capitolo della cattedrale della sua città natale e aveva ottenuto alcuni benefici in Inghilterra, cui se ne sarebbero aggiunti altri negli anni seguenti. Nel frattempo aveva portato a termine anche gli studi giuridici, probabilmente nella città di Bologna: nel 1256 magister Andrea poteva infatti fregiarsi del titolo di iuris civilis professor. In quell’anno era già cappellano del pontefice Alessandro IV e lo fu anche dei suoi successori.
Mozzi, tuttavia, non vantava solo ottimi rapporti con la Curia pontificia: nel 1268, infatti, fu al magister Andrea «dilecti clerici consiliarii ac familiaris nostri» che si rivolse Carlo I d’Angiò affinché contraesse un prestito a suo nome. Negli anni successivi, quando col papato di Gregorio X i rapporti tra la sede apostolica e il sovrano francese divennero meno idilliaci in conseguenza della grande influenza esercitata sulla penisola e sulla città di Firenze da parte dell’Angioino, i Mozzi si mantennero fedeli alla Curia pontificia. Fu proprio presso il loro nuovo palazzo in Oltrarno che nel luglio 1273 fu ospitato Gregorio X, allora impegnato in una difficile opera di pacificazione tra guelfi e ghibellini.
Questo primo sforzo di riconciliazione fallì; più fortunato fu invece il secondo tentativo portato avanti tra 1279 e 1280 da Niccolò III, quando per più di sei mesi fu ospite nel palazzo fiorentino dei Mozzi il cardinale Latino Malebranca, incaricato dal pontefice di intavolare le trattative tra le parti. Del seguito di prelati che lo accompagnarono in questa missione faceva parte lo stesso Mozzi, che svolse un ruolo di primo piano in qualità di consulente. Già nei mesi precedenti aveva fatto mostra delle sue capacità esercitando in Toscana la funzione di vicario del cardinale, allora impegnato in Romagna. Con tale incarico aveva rappresentato l’autorità ecclesiastica e politica – dal momento che la Chiesa l’aveva allora sottratta a Carlo d’Angiò per esercitarla direttamente – e come ricompensa dei buoni servigi prestati aveva ottenuto la dignità di canonico di Cambrai e le prebende collegate a quel titolo. Mozzi godeva ormai di grande prestigio negli ambienti ecclesiastici e diplomatici e fu nel suo palazzo che per tutto il mese di febbraio del 1280 fu impegnato nel ricevere il giuramento di coloro che erano stati scelti quali garanti dell’osservanza della pace appena siglata tra le contrapposte parti fiorentine. Dopo la partenza del cardinale Malebranca, Mozzi fu nuovamente nominato suo vicario a Firenze e nel corso del 1281 fu molto attivo nel reperire aiuti per la Curia papale nei vari Comuni toscani. Questo suo impegno rafforzò la fiducia riposta in lui dal papa che lo nominò rettore della parte meridionale dello Stato della Chiesa.
Nell’agosto del 1286 venne a morte il vescovo di Firenze Iacopo Rainucci, giunto in città solo poche settimane prima al termine di una lunga vacanza della sede. Alla fine di dicembre di quello stesso anno Onorio IV confermò, dopo averla sottoposta all’esame di tre cardinali, l’elezione a suo successore di Mozzi, scelto tra i canonici fiorentini, ma non senza difficoltà per l’opposizione di alcuni. Gli anni del suo episcopato fiorentino furono piuttosto tormentati: da una parte si adoperò alacremente per rafforzare l’autorità vescovile, dall’altra si distinse per alcune scelte che suscitarono forti rimostranze e scandali.
Numerosi atti dimostrano l’intenso impegno profuso dal vescovo nel recupero dei beni della mensa, fortemente impoverita nei precedenti anni di vacanza: si oppose al Comune fiorentino per la vendita di un terreno che rivendicava quale proprietà della Chiesa urbana; fece stilare liste coi nomi di coloro che avevano in affitto terre vescovili; richiese giuramenti di fidelitas da parte dei concessionari di beni e organizzò un vero sistema di ricognizione dei diritti dell’episcopato (il Memoriale reddituum et iuramentorum fidelium episcopatus florentini redatto per suo ordine rappresentò per diversi secoli il punto di riferimento per le rivendicazioni giuridiche della Curia). Fu sensibile anche alla restaurazione e alla fondazione di chiese e luoghi pii: confermò la richiesta avanzata da Folco dei Portinari per l’edificazione dell'ospedale di S. Maria Nuova; fondò la chiesa di S. Maria sul Prato; favorì l’avvio della costruzione della nuova chiesa di S. Croce.
Mozzi, però, compromise in più di una occasione la sua autorità. Contrastò l’opera di paciere tra i terziari francescani fiorentini intrapresa da Niccolò IV schierandosi, nella lotta che opponeva i due partiti a proposito dell'osservanza più o meno rigida della regola, dalla parte dei ribelli ai moniti papali, tra i quali figurava anche un suo parente. Il duro intervento del pontefice lo fece desistere, ma non ne modificò i costumi. Entrò ben presto in conflitto con il clero cittadino che si rifiutava di pagare le ingenti spese sostenute dal vescovado per la cerimonia di elezione al trono episcopale e, per lo stesso motivo, entrò in urto anche con la società bancaria del fratello, il quale per recuperare una somma datagli in prestito si rivolse al pontefice, riuscendo a ottenere la scomunica di Andrea. In quegli stessi anni alcune lettere indirizzate da canonici fiorentini alla Curia pontificia lo accusavano di abuso di potere e di violazione dei diritti altrui: i motivi di tale conflitto non sono certi, ma senza dubbio Mozzi aveva rivendicato per sé il patronato sulla chiesa di S. Andrea, tradizionalmente parte del patrimonio del capitolo, probabilmente per affidarne le prebende al nipote Aldobrandino dei Cavalcanti. La questione fu risolta tramite un compromesso. Poco dopo, però, una nuova ondata di ostilità e scandalo suscitò la creazione della nuova carica di tesoriere che Mozzi volle affidare al medesimo nipote, così come la scelta di destinargli le entrate dell'ospedale di S. Giovanni evangelista, tradizionalmente riservate ai poveri. Il vescovo scomunicò il capitolo, ma l’hospitalarius resistette e fece appello al papa ricusandone l’autorità. Ulteriori difficoltà sorsero nel 1295 con la vendita del convento di S. Egidio alle suore domenicane di Ripoli. Mozzi, in accordo con il fratello nel frattempo riappacificatosi con lui, organizzò la vendita dell'edificio religioso, ma la popolazione e i frati del convento si opposero risolutamente, riuscendo alla fine a imporsi.
Questi episodi, accompagnati dall’utilizzo dei beni vescovili in favore della propria famiglia e dei suoi sostenitori, resero insostenibile la posizione di Mozzi in città. Fu così che il nuovo pontefice Bonifacio VIII – che già da cardinale aveva fatto mostra di scarsa simpatia per Mozzi – lo trasferì da Firenze a Vicenza, dove morì qualche mese dopo, probabilmente il 28 agosto 1296.
Fu sepolto nella chiesetta fiorentina di S. Gregorio, costruita dai Mozzi a ricordo dell’avvento in città di Gregorio X, lasciando in eredità beni e possedimenti all’ospedale di Ricorboli e ai poveri che quell’ente assisteva.
Dante allude a Mozzi in Inferno XV, vv. 113-115 («dal servo de' servi / fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione, / dove lasciò li mal protesi nervi»), facendo forse riferimento a un’accusa di sodomia circolante in città sulla quale – sebbene le fonti dell’epoca tacciano – si sbizzarrirono i primi commentatori di Dante fino a trasformare Mozzi in una figura sprovveduta al limite del grottesco. I dati biografici raccolti contraddicono ampiamente le conclusioni dei commentatori della Commedia: Mozzi fu persona capace e abile; esponente di una delle principali casate magnatizie, manifestò modi e attitudini proprie del suo stato, cercando di trarre il maggior vantaggio per sé e la propria famiglia dalla posizione di rilievo assunta. Non a caso il pontefice stabilì che il suo successore non potesse essere un fiorentino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, S. Maria Nuova, 1288 giugno 23; Diplomatico, S. Maria sul Prato, 1288/89 febbraio 15; Capitoli, registri, 43, cc. 79v-80v, 1288/89 marzo 5; Manoscritti, 48/bis, cc. 57, 122, 135, 147, 288, 290; Notarile Antecosimiano, 3827, c. 8v, 1290 febbraio 5; ibid., 11250, c. 156r, 1294 maggio 14; Firenze, Arch. capitolare, P. 239, sub annis 1243 e 1256 (si tratta del manoscritto del canonico Salvino Salvini, Vite dei canonici nostri); Les régistres d’Innocent IV, a cura di E. Berger, I, Paris 1884, pp. 587, 3874, 1248 aprile 11; III, ibid. 1897, p. 391, 7407, 1254 marzo 13; Les régistres d’Alexandre IV, a cura di C. Bourel de La Roncière et al., Paris 1902-53, I, pp. 320, 1065, 1256 gennaio 17; Les régistres d’Urbain IV, a cura di J. Guiraud, II, Paris 1958, pp. 257, 520, 1264 gennaio 13; R. Filangieri, I registri della Cancelleria Angioina ricostruiti da R. F. con la collaborazione degli archivisti napoletani, I, Napoli 1950, p. 173, 1268 febbraio 12; T. Riccardi, Storia dei vescovi vicentini, Vicenza 1786, p. 116; P.E. Palandri, Il vescovo A. de’ Mozzi nella storia e nella leggenda, in Il giornale dantesco, XXXII (1929), pp. 93-118; E. Sanesi, Un ricorso del capitolo fiorentino alla signoria alla fine del secolo XIII, in Rivista storica degli archivi toscani, III (1931), pp. 141-157; E. Sanesi, Del trasferimento di messer A. dei Mozzi da Firenze a Vicenza, in Studi danteschi, XXII (1938), pp. 115-122; R. Davidsohn, Storia di Firenze,I-VIII, Firenze 1956-68, ad ind.; E. Chiarini, in Enciclopedia dantesca, III, Roma 1971, pp. 1051 s.; I. Lori Sanfilippo, La pace del cardinale Latino a Firenze nel 1280. La sentenza e gli atti complementari, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioevo e Archivio muratoriano, LXXXIX (1980-81), pp. 193-259; G.W. Dameron, Episcopal power and Florentine society, 1000-1300, Cambridge-London 1991, pp. 155, 163, 181; Id., Florence and its church in the age of Dante, Philadelphia 2005, pp. 62 s., 99; S. Diacciati, Popolani e magnati. Società e politica nella Firenze del Duecento, Spoleto 2011, pp. 86-88, 92.