SACCHI, Andrea
SACCHI, Andrea. – Figlio di Nicola Pellegrini da Fermo, nacque probabilmente a Nettuno intorno al 1599, come si evince – in assenza dell’atto di battesimo – dagli Stati delle anime romani (Hoogewerff, 1947, pp. 124-128) e dai suoi biografi (G.P. Bellori, Le vite de’ pittori..., 1672, 2009, pp. 535-568; G.B. Passeri, Vite dei pittori..., 1673 circa, 1772, pp. 445 s.).
Non si hanno informazioni certe né sulla sua famiglia d’origine né su eventuali nozze, ma Filippo Titi (Studio di pittura..., 1674-1763, 1987, p. 169) ricorda un Giuseppe Sacchi «figliuolo del famoso pittore Andrea». Il ritrovamento del testamento ha chiarito che Benedetto Sacchi, artista di scarse qualità, fu soltanto una sorta di padre putativo, nonché primo maestro, di cui il giovane pittore decise di prendere il cognome (Sutherland Harris, 1977, p. 115).
È tuttavia difficile ricostruire gli esordi di Sacchi: non resta traccia delle sue prime opere e le sole informazioni sulla sua prima attività si desumono dalle biografie redatte da Giovan Pietro Bellori e Giovan Battista Passeri. Dopo un breve passaggio ancora da ricostruire nella bottega di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, intorno al 1610 Sacchi fu presso Francesco Albani, e vi rimase fino al ritorno di questi a Bologna nel 1617-18 (Posse, 1925, p. 17), assimilando quello stile di stampo classicista legato alla tradizione carraccesca, caratteristico di tutta la sua produzione. Il primo importante mecenate di Sacchi fu il cardinale Francesco Maria Del Monte, che gli commissionò le decorazioni delle facciate di alcuni istituti da lui sovvenzionati e della loggia nel suo casino di piazza del Popolo, collocabili tra il 1617 e il 1625 (Sutherland Harris, 1977, pp. 49 s., 53).
Sacchi dipinse il sovrapporta di una casa pia attigua alla chiesa di S. Chiara alla Ciambella, raffigurante La Vergine con Bambino e s. Giuseppe; successivamente affrescò un’Estasi di s. Teresa d’Avila sul portone del convento delle teresiane a S. Giuseppe a Capo le Case, e Urbano I tra i ss. Francesco e Chiara sulla facciata del convento di monache cappuccine a S. Urbano. Nella cosiddetta Loggia di Ricreazione di Del Monte affrescò volta e pareti con scene allegoriche riconducibili al tema delle Stagioni che prendono virtù dal sole, nelle quali, secondo l’attuale stato di conservazione, sembra prevalere un’adesione agli insegnamenti di Albani.
La prima traccia documentaria riconducibile a Sacchi è un pagamento del 1621 per un quadro destinato a villa Mattei al Celio, forse il Sansone e Dalila ancora in loco (Benocci, 1989, p. 191). Tra il 1623 e il 1626 ricevette le prime importanti commissioni pubbliche – forse per l’interessamento di Del Monte – licenziando la Madonna di Loreto con i ss. Bartolomeo, Giuseppe, Giacomo di Compostela e Francesco per S. Francesco a Nettuno, la pala d’altare con il S. Isidoro per l’omonima chiesa a Roma e il Miracolo di s. Gregorio Magno per la basilica di S. Pietro. In questi lavori si registra l’adesione alla pittura bolognese di Annibale e Ludovico Carracci, appresa nella bottega di Albani, cui si fonde una forte componente neoveneta, soprattutto nel dipinto per S. Pietro. Successivamente partecipò alla decorazione della villa di Marcello Sacchetti a Castelfusano (1628), un cantiere affidato al giovane Pietro da Cortona e di cui Sacchi sembra essere stato il principale collaboratore (Incisa della Rocchetta, 1924, pp. 60-62).
Sebbene i pagamenti non specifichino quali siano le parti dipinte da Sacchi, queste si possono dedurre da alcuni disegni e dalle evidenze stilistiche. A lui si riconducono l’Allegoria delle quattro stagioni, il Sacrificio di Pan e le scene con Cincinnato e Romolo (Sutherland Harris, 1977, pp. 54 s.). In questi affreschi lo stile di Sacchi sembra molto vicino a quello cortonesco, ma è probabile che ciò sia dovuto all’intento di conferire omogeneità alla decorazione, una pratica che si ritrova anche in altri cantieri diretti da Cortona, i quali vedono la presenza di collaboratori dall’identità stilistica anche sensibilmente dissimile tra loro.
Seguì nel 1629 l’incarico per la farmacia della casa gesuitica di S. Ignazio, dove Sacchi affrescò nella volta la Vergine e il Bambino con i ss. Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Cosma e Damiano, lavorando insieme a Emilio Savonanzi, al quale spettano sulle pareti sottostanti dieci lunette con i padri fondatori della medicina (Sutherland Harris, 1968b). Allo stesso anno, stando alla documentazione rinvenuta, risale l’inizio dei rapporti con la famiglia Barberini (Sutherland Harris, 1977, p. 29), un sodalizio che sarebbe durato per tutta la carriera di Sacchi e che lo vide attivo in particolare per il cardinale Antonio junior, il suo principale mecenate. Il primo incarico al pittore arrivò da Taddeo, uno dei tre nipoti di Urbano VIII, che gli commissionò la decorazione della volta per uno dei saloni nel palazzo alle Quattro Fontane con l’allegoria della Divina Sapienza (Incisa della Rocchetta, 1924, p. 63).
Il complesso programma iconografico è basato sul trionfo della Divina Sapienza, rappresentato da una serie di figure allegoriche che celebrano Urbano VIII e la sua famiglia. Non è ancora chiaro chi ne sia l’ideatore, forse lo stesso Sacchi che utilizzò un manoscritto di proprietà dei Barberini dal titolo Libro della Sapienza (p. 64), o monsignor Clemente Merlini con l’aiuto del letterato Pietro Sforza Pallavicino (Sutherland Harris, 1977, p. 12). La decorazione è stata messa in relazione con il Trionfo della Divina Provvidenza eseguito da Pietro da Cortona, come contrapposizione tra «classicismo» e «barocco». I modelli di Sacchi per questa prima grande impresa si rintracciano in Raffaello, soprattutto Il Parnaso delle Stanze Vaticane, e nell’affresco con il Concilio degli dei di Giovanni Lanfranco nella Galleria Borghese.
L’ingresso nella corte Barberini favorì importanti commissioni, tra cui spiccano la Visione di s. Romualdo (1630-32) per l’omonima chiesa camaldolese, e quelle per S. Pietro, ove Sacchi realizzò tra il 1631 e il 1647 – e al fianco di Lanfranco – i cartoni per i mosaici dei pennacchi nella cappella della Colonna e in quella di S. Michele Arcangelo (S. Tommaso d’Aquino, S. Giovanni Damasceno, S. Leone Magno, S. Dionigi l’Areopagita) e, tra il 1633 e il 1634, i dipinti per i quattro altari radiali delle Grotte Vaticane (dedicati ai ss. Longino, Andrea, Elena e Veronica).
Il dipinto con s. Romualdo fu probabilmente richiesto dal cardinale Lelio Biscia, viceprotettore dell’Ordine camaldolese e personalità di spicco nell’entourage barberiniano, che Sacchi conobbe durante l’esecuzione del Miracolo di s. Gregorio Magno (Sutherland Harris, 1968a). I rapporti tra i due sono attestati dall’erudito Giacomo Filippo Tomassini che, nel suo De donariis ac tabellis votivis, racconta di una visita che Sacchi e Biscia fecero intorno al 1629 presso il tempio di Diana a Nemi, dove il pittore fu invitato per stabilire l’ordine architettonico di alcuni resti emersi dagli scavi in corso (Wolfe, 1999, p. 29). Tale episodio permette di comprendere lo spessore della cultura antiquaria e delle competenze architettoniche di Sacchi, nonché la considerazione di cui godeva tra gli eruditi della corte dei Barberini.
Al mecenatismo di Antonio Barberini si deve ricondurre la maggior parte delle opere che Sacchi eseguì a partire dalla metà degli anni Trenta, destinate sia alla collezione d’arte nel palazzo di famiglia (ad esempio, l’Agar e Ismaele, oggi nel National Museum of Wales, Cardiff), sia sugli altari di diverse chiese di Roma. Tra le commissioni pubbliche si possono annoverare il Miracolo di s. Antonio di Padova (1633-35) e la Visione di s. Bonaventura (1636-37) per S. Maria della Concezione, la Vergine con Bambino e s. Basilio (1636-37) per S. Maria del Priorato e i lavori nella sagrestia di S. Maria sopra Minerva, in cui Sacchi lasciò la pala con la Crocifissione e ss. domenicani e l’affresco con angeli e putti nella piccola volta soprastante (1637-39). A questi si aggiunse, nel corso del 1637, un ciclo di otto lunette con Storie di s. Maria Maddalena de’ Pazzi per l’omonimo convento fiorentino (nel quale erano due nipoti di Urbano VIII), di cui ne sopravvivono una di Sacchi e una di Andrea Camassei, più una terza di difficile attribuzione a causa delle precarie condizioni conservative (Pacini, 1988, pp. 209-212).
In questo gruppo di opere lo stile caratteristico della produzione di Sacchi, improntato alla rielaborazione dei modelli bolognesi appresi da Albani, si arricchisce di ombre più profonde e di un più intenso chiaroscuro, frutto evidentemente dello studio condotto su Correggio e sulla pittura ‘lombarda’ in occasione del viaggio compiuto nell’Italia settentrionale.
Tale viaggio, attestato da Bellori e Passeri, si può collocare per ragioni di stile a cavallo tra le due commissioni per S. Maria della Concezione, dunque tra il 1635 e il 1636 (Sutherland Harris, 1977, p. 17). Secondo i due biografi Sacchi si recò a Bologna (dove si fermò da Albani e ne fece il ritratto, oggi a Madrid, Museo del Prado), Parma, Piacenza, Modena, Mantova, Milano e Venezia. Il viaggio, inoltre, è documentato dal testamento dell’artista, nel quale questi lasciava al cardinale Antonio i disegni da Correggio e Veronese eseguiti quando si era recato «in Lombardia» (p. 121).
Nel 1639 Sacchi ricevette da Urbano VIII l’incarico di decorare il battistero Lateranense, prestigiosa commissione terminata soltanto nel 1649, che vide l’intervento di allievi (Carlo Magnone e Carlo Maratti) e collaboratori (Camassei e Giacinto Gimignani) per gli affreschi delle pareti con Storie di Costantino. Sacchi eseguì le otto tele con Storie del Battista destinate al tamburo della cupola (oggi presso i Musei Vaticani), nelle quali si nota una rinnovata attenzione per le opere di Raffaello e della sua bottega. Ad attestare una nuova riflessione sui testi raffaelleschi è anche Bellori (Le vite de’ pittori..., cit., 2009, p. 558), che racconta come al ritorno dal viaggio del 1635 Sacchi si era sorpreso di ritrovare nella Stanza di Eliodoro «il più bel misto di Tiziano e del Correggio ed il più degno colore di pennelli lombardi».
La commissione del battistero fu l’ultima ricevuta dalla famiglia Barberini che, dopo la morte di Urbano VIII nel 1644, fuggì da Roma. Sacchi si trovò a gestire per la prima volta un cantiere complesso – e questo spiega la forte presenza della bottega – che si protrasse per dieci anni, confermando la sua lentezza nel dipingere (p. 556). I lavori terminarono soprattutto per volere di Innocenzo X, che ne ordinò la conclusione entro il giubileo del 1650 (Sutherland Harris, 1977, pp. 19-22, 84-89). Nelle otto tele Sacchi concentrò l’azione sui protagonisti, stagliandoli contro uno sfondo scabro ed essenziale, mentre le figure dalle dimensioni monumentali facilitano la comprensione, anche a una notevole distanza da terra, dell’episodio ritratto e delle emozioni dei personaggi (Emiliani, 1962, pp. 334-337).
Il cantiere del battistero fu supervisionato dal cardinale Angelo Giori, maestro di camera di Urbano VIII, che nel 1640 commissionò a Sacchi il progetto per la chiesa di S. Maria in Via a Camerino e la pala d’altare per una delle cappelle, con S. Francesco di Sales e s. Francesco di Paola (Ierrobino, 2014).
L’attività di Sacchi come architetto è documentata dal 1639 (Incisa della Rocchetta, 1924, pp. 66 s.): fu impiegato da Antonio Barberini per la supervisione dei lavori in S. Maria sopra Minerva (1638-44) e S. Agata dei Goti (1633-41), nonché per alcune scenografie delle commedie inscenate nel teatro di palazzo Barberini e per apparati effimeri (pp. 67-69). Negli anni Cinquanta, al ritorno di Antonio dalla Francia, Sacchi si occupò dei lavori di sistemazione a villa Sciarra, nel palazzo a Nemi e in quello ai Giubbonari (Wolfe, 1999; Benocci, 2007, pp. 75-91).
Dopo aver dipinto entro il 1649 l’Angelo Custode per il duomo di Rieti e la Morte di s. Anna in S. Carlo ai Catinari (Sutherland Harris, 1977, pp. 91, 97 s.), la produzione di Sacchi rallentò sensibilmente; il crescente impiego della bottega si riscontra soprattutto nelle opere destinate alle zone umbro-marchigiane, dalle quali negli ultimi anni di attività gli pervennero diverse commissioni.
Negli anni successivi all’assenza dei Barberini, Sacchi non ricevette commissioni pubbliche a Roma e non risulta tra gli artisti impiegati da Innocenzo X. Neanche il pontificato di Alessandro VII portò un nuovo impulso alla carriera dell’artista, sebbene, stando al racconto di Passeri (Vite dei pittori..., p. 301), il cardinale Antonio cercasse di intercedere per lui presso il papa.
Nel 1651 Sacchi eseguì la Presentazione al Tempio per S. Filippo Neri a Perugia (oggi nella Pinacoteca nazionale dell’Umbria, Perugia) e la perduta Immacolata Concezione per l’oratorio del Buon Gesù a Foligno. Agli stessi anni dovrebbero risalire il S. Giovanni Battista nel deserto per S. Niccolò a Fabriano – di cui inviò una replica autografa ai teatini ferraresi di S. Maria della Pietà – e il perduto, ma documentato da una foto, S. Giovanni Battista appare a s. Filippo Neri per la casa oratoriana di S. Filippo Neri alla Valletta. Nella realizzazione di queste opere Sacchi dovette essere coadiuvato dalla bottega, come indicano le riprese di soluzioni già adottate nella decorazione del battistero Lateranense, soprattutto per i putti e la replica della stessa figura del Battista nei dipinti per Fabriano, Ferrara e la Valletta, la quale lascia supporre che Sacchi concepì un modello iniziale poi reimpiegato dai suoi collaboratori. Nel 1656 portò a termine la Disputa tra s. Tommaso d’Aquino e s. Bonaventura da Bagnoregio per la chiesa di S. Giovanni a Ostra (oggi Ostra, Pinacoteca comunale), nella quale la narrazione è basata sulla conversazione muta tra i due santi seduti davanti a un crocifisso. Negli stessi anni, tramite Antonio Barberini, Sacchi ricevette l’importante commissione per la decorazione della volta di S. Luigi dei Francesi, mai portata a compimento.
Il cardinale Antonio rientrò dalla Francia nel 1653 e, grazie alle sue abili doti diplomatiche, riuscì a ottenere per il suo pittore il prestigioso incarico. Sacchi realizzò numerosi disegni preparatori, dai quali emerge, stando ai fogli conservati (Sutherland Harris, 1977, pp. 100 s.), una netta ripresa del modello della Galleria Farnese, già studiato negli anni giovanili: attorno al trionfo della figura di s. Luigi prevedeva una serie di fregi scanditi da ricche cornici in finto stucco dorato, animate da ignudi ed erme. Bellori (Le vite de’ pittori..., cit., pp. 558 s.) ricorda che Sacchi consegnò tutti i disegni a Carlo Maratti – suo principale allievo, che rimase nella bottega fino alla morte del maestro – affinché proseguisse i lavori, ma il progetto naufragò e la morte di Sacchi (insieme alla nuova partenza di Antonio per la Francia) interruppe drasticamente i lavori.
Dopo lunghe sofferenze provocate dall’aggravarsi della gotta, Sacchi morì nella sua casa in via Rasella il 21 giugno 1661 (Hoogewerff, 1947, p. 128), e, secondo le sue precise disposizioni testamentarie, fu sepolto in S. Giovanni in Laterano, «in loco proportionato vicino al sepolcro del Cavaliere d’Arpino» (Sutherland Harris, 1977, p. 115).
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