VACCARO, Andrea
Nacque da Pietro e da Giovanna Di Clauso, e fu battezzato nella parrocchia napoletana di S. Giuseppe Maggiore l’8 maggio 1604 (Tuck-Scala, 2012, p. 163).
Nel luglio 1620 è documentato nella bottega di Giovan Tommaso Passaro (ibid.), il quale è noto specialmente per la sua attività di copista, e per i rapporti professionali che lo legarono a Lanfranco Massa, procuratore del principe genovese Marcantonio Doria e suo mediatore nella commissione a Caravaggio, durante la primavera del 1610, della S. Orsola in collezione Intesa Sanpaolo a Napoli (De Vito, 1996, pp. 64, 69). Anche Vaccaro dovette praticare a lungo l’esercizio della copia, e il primo documento che lo riguarda come maestro autonomo, risalente al 16 febbraio 1629, fa giustappunto riferimento a diversi «quadri» da lui «copiati» per il duca di Bovino Giovanni de Guevara (Tuck-Scala, 2012, pp. 163 s.; Mauro, 2018, pp. 137 s.). Com’è noto, Bernardo De Dominici (1742-1745 circa, 2003; ibid., 2008, pp. 262 s.) attribuisce ad Andrea la copia del Cristo alla colonna del Merisi al Museo di Capodimonte ubicata a quel tempo nella chiesa napoletana della SS. Trinità degli Spagnoli. Il dipinto ricordato dal biografo è tradizionalmente identificato nella copia oggi esposta nella cappella De Franchis in S. Domenico Maggiore a Napoli (Pacelli, 2008b, pp. 137, 168 nota 1), ma gli studi più recenti hanno posto in discussione tale convinzione, anche in ragione della difficoltà di riconoscere in questa tela elementi riconducibili ai modi di Vaccaro (G. Porzio, in Caravaggio nel patrimonio del Fondo Edifici di Culto. Il doppio e la copia (catal.), a cura di G.S. Ghia - C. Strinati, Roma 2017, p. 60).
Le prime prove ascrivibili al pittore su base stilistica comprovano quanto assiduamente il giovane si dedicasse all’«imitazione» dell’«erronea maniera» del Caravaggio (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, pp. 262 s.). L’impaginazione serrata, la restituzione immediata del dato di natura e l’impianto tenebristico della Giuditta e Oloferne di collezione privata napoletana (Rocco, 1991, p. 306, n. 2.66) e delle differenti interpretazioni del Davide e Golia (ubicazione ignota; Napoli, collezione privata; Firenze, Fondazione Longhi; Università del Missouri, Museum of Art and Archaeology: cfr. Bologna, 1991; Lattuada, 2017a, pp. 45-49) ricalcano soprattutto la lezione dei primi seguaci napoletani del Merisi, da Carlo Sellitto a Battistello Caracciolo. De Dominici (1742-1745 circa, 2008, p. 265) riferiva agli esordi caravaggeschi di Andrea anche la Madonna del Rosario ora nella chiesa di S. Giuseppe Maggiore dei Falegnami al rione Luzzatti di Poggioreale, attribuzione condivisa da buona parte della critica (Causa, 2007, p. 189; Pacelli, 2008b, p. 147).
Il 2 ottobre 1629 fu saldata a Vaccaro una perduta ancona con la «Madonna de Costantinopoli» destinata al monastero della SS. Trinità delle Monache a Napoli, mentre il 25 settembre 1636 ricevé 30 ducati per la Maddalena penitente realizzata su commissione dei certosini di S. Martino (Tuck-Scala, 2012, p. 164). La tela è la prima opera documentata nella produzione superstite del pittore, e rivela come a questa data Andrea avesse già assimilato i modelli del classicismo emiliano e della cultura neoveneta e vandyckiana (pp. 58-61, n. 1).
Il 17 aprile 1639, nella parrocchia di S. Giuseppe Maggiore, prese in moglie la ventitreenne Anna Criscuolo (pp. 165, 188-191), da cui il 13 marzo 1640 ebbe Tommaso Domenico Nicola, destinato a intraprendere con successo la carriera di pittore (Izzo, 2009, p. 283, n. 1). Nel processetto prematrimoniale, i testimoni Giovanni Perrella e Giovanni Angelo Califano riferirono che, laddove fossero state eseguite le regolari pubblicazioni, una «donna libera» avrebbe provato a impedire le nozze. Questa è verosimilmente da identificare in Lucrezia D’Ambrosio, con la quale Vaccaro aveva generato Angela Geronima, nata il 12 febbraio 1628 e tenuta a battesimo quattro giorni dopo, in S. Maria della Carità, dal pittore Giuseppe Di Guido e da Lucrezia De Rosa, sorella maggiore di Giovan Francesco detto Pacecco (Tuck-Scala, 2012, pp. 29, 163). Insieme a Di Guido, Andrea fece da testimone sia al matrimonio fra Tomaso Mordente e Lucrezia Porgi, celebrato il 14 agosto 1639, che a quello tra Carlo Francesco Niglio e Teresa Flores, avvenuto il 16 settembre 1640, del quale furono testimoni pure i pittori Viviano Codazzi e Pompeo Caracciolo (pp. 29 nota 8, 165).
Tra il quarto e il quinto decennio del Seicento Vaccaro stabilì relazioni significative con le ricerche di Massimo Stanzione, di Jusepe de Ribera e di Bernardo Cavallino. Le opere di questo periodo si distinguono per una maggiore finezza cromatica e chiaroscurale e per una più complessa orchestrazione della composizione, in cui Andrea cominciò a fare mostra del suo virtuosismo nella resa delle anatomie. Ne sono prova il S. Sebastiano del Museo di Capodimonte (Causa, 2008, pp. 202 s., n. 203); la Resurrezione di Lazzaro in collezione Leonetti a Napoli (De Vito, 1996, p. 100; Lattuada, 2017a, pp. 59-62); il Martirio di s. Sebastiano, siglato, già presso la galleria El Viaducto di Madrid (Bologna, 1991), di cui è nota una versione con varianti transitata da Canesso a Parigi (Lattuada, 2009, p. 58); il Martirio di s. Agata recentemente acquistato dal Musée Fabre di Montpellier (pp. 56-58); il Cristo e l’adultera da poco approdato al Sinebrychoffin Taidemuseo di Helsinki (Lattuada, 2017a, pp. 63-65); e, infine, il Martirio di s. Lorenzo già in collezione IRI a Roma, «probably Vaccaro’s most ambitious work of this early period» (pp. 55-59).
Al principio del quinto decennio fu coinvolto nell’importante ciclo cristologico per la decorazione della navata di S. Maria della Sapienza a Napoli, cui collaborarono Hendrick de Somer (Battesimo di Cristo), Giovanni Ricca (Trasfigurazione), Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro (Ultima Cena), Carlo Rosa (Cristo che guarisce il giovane epilettico) e Belisario Corenzio (Crocifissione) (G. Porzio, La scuola di Ribera. Giovanni Dò, Bartolomeo Passante, Enrico Fiammingo, Napoli 2014, pp. 95 s., 98). Vaccaro vi prese parte con il Cristo tentato da Satana nel deserto, tramandato da una copia antica nei depositi della Soprintendenza napoletana, che gli fu pagato il 28 febbraio 1641 (Tuck-Scala, 2012, pp. 29, 62-65 n. 2). Nel 1642 datò e firmò per esteso la notevole Vergine che cinge s. Teresa d’Avila con il collare d’oro dell’Accademia di S. Fernando a Madrid (pp. 30, 66-69 n. 3).
Tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo dovrebbero datarsi alcuni lavori di particolare impegno, tra i quali l’Adorazione del vitello d’oro e il Rinaldo e Armida nel giardino incantato del Museo di Capodimonte e il Trionfo di Davide e l’Orfeo e le baccanti al Palazzo Reale di Napoli (Lattuada, 2009, pp. 86-93). A questa fase andrebbe riferita finanche la Deposizione, siglata, del Pio Monte della Misericordia (Pacelli, 1984, pp. 488 s., n. 2.265), un soggetto ch’egli «variò stupendamente nel corso della sua vicenda» (S. Causa, in Il Museo Diocesano di Napoli. Percorsi di Fede e Arte, a cura di P. Leone de Castris, Napoli 2008, pp. 120 s., n. 34), come testimoniano le differenti versioni conservate al Museo Correale di Sorrento, alla Pinacoteca civica di Reggio Calabria, al Museo diocesano di Napoli e all’Art Institute di Chicago (ibid.).
Il 3 ottobre del 1651 gli fu saldata la Morte di s. Giuseppe, siglata, per la chiesa napoletana delle Anime del Purgatorio ad Arco (Tuck-Scala, 2012, pp. 33, 70-75 n. 4), che segna il momento di massima vicinanza ai modi di Cavallino, e il 24 giugno dell’anno successivo percepì un pagamento in rapporto a una delle imprese decorative più rilevanti della sua carriera: le due tele con Storie di s. Ugo per le pareti laterali della cappella dedicata ai Ss. Ugo e Antelmo nella chiesa della certosa di S. Martino (pp. 33, 76-81 nn. 5-6).
Vaccaro fu tra i pochi maestri della sua generazione a sopravvivere alla terribile peste del 1656: egli divenne, in questo modo, il pittore di riferimento a Napoli prima dell’ascesa di Luca Giordano. Al processetto delle nozze tra suo figlio Nicola e Anna Maria Manecchia, figlia del pittore Giacomo, celebrate il 10 novembre 1657, dichiarò di praticare il mestiere di «scrivano di Vicaria civile», a dimostrazione, forse, del maggiore prestigio che l’incarico doveva rivestire rispetto alla professione artistica (ibid., pp. 36, 191-193). Il 15 luglio 1658 sia Andrea che Nicola fecero da testimoni al matrimonio del collega Domenico Andrea Malinconico con Antonia De Popoli, sorella del pittore Giacinto (pp. 36 s., 172 s.), e il 2 luglio 1661 ebbero il medesimo ruolo in occasione delle nozze fra Anna Do, figlia del pittore Giovanni, e lo scultore Michele Angelo Perrone (pp. 47, 178). Il 5 novembre 1659 Andrea ricevé il pagamento finale per le tele, siglate, raffiguranti il Matrimonio mistico di s. Caterina d’Alessandria e S. Caterina da Siena che riceve le stimmate, tutt’oggi nella basilica di S. Maria della Sanità a Napoli e fra i raggiungimenti più considerevoli del decennio (pp. 37 s., 88-93 nn. 9-10).
Nel corso degli anni Sessanta la parabola di Vaccaro raggiunse il suo momento apicale (pp. 39-53). Tra il 1660 e il 1661, oltre a portare a termine le pale, siglate, per gli altari maggiori di S. Maria del Pianto a Poggioreale (ora al Museo diocesano di Napoli: pp. 39-44, 100-105 n. 12) e di S. Maria della Provvidenza a Napoli (pp. 39, 94-99 n. 11), eseguì, in collaborazione con Andrea De Lione, la sua unica impresa a fresco: le otto scene con la Vita di s. Gaetano e quattro Virtù nella navata della basilica napoletana di S. Paolo Maggiore (pp. 45 s., 120-135 n. 14). In relazione a tale commissione concepì e siglò dieci modelli, di qualità ragguardevole, divisi tra il Museo del Prado e il Palazzo Reale di Madrid (pp. 106-119, n. 13). In questo periodo è collocata per ragioni stilistiche pure l’esecuzione del monumentale Battesimo di Cristo in S. Giovanni a Cropani (CZ; cfr. Lattuada, 2009, p. 96).
Dal 1664 al 1666 fu prefetto della corporazione dei pittori napoletani. L’istituzione, intitolata ai Ss. Anna e Luca, era ospitata nella cappella della Sciabica nel chiostro del Gesù Nuovo, per la quale Andrea eseguì il S. Luca che ritrae la Vergine e il Bambino, firmato per esteso e datato 1666 (Tuck-Scala, 2012, pp. 47 s., 136-139 n. 15).
Il 2 giugno 1667 Diego de Ulloa, presidente della Regia Camera della Sommaria, saldò a Vaccaro sei dipinti raffiguranti Storie di Tobia, che donò a don Pedro Antonio de Aragón, viceré di Napoli dal 1666 al 1671. Quattro di essi sono attualmente conservati al Museu Nacional d’Art de Catalunya di Barcellona, mentre i restanti due, ugualmente siglati, si trovano in una collezione privata spagnola (pp. 50 s., 140-147 n. 16). Tra il 1667 e il 1668 Andrea dipinse la tela, siglata, con S. Tommaso d’Aquino che ha la visione di s. Anna e della Vergine dinanzi a Dio Padre per la cappella Rocco in S. Maria della Pietà dei Turchini a Napoli (pp. 49 s., 148-151, n. 17), mentre nel 1668 licenziò la Comunione di s. Maria Egiziaca, siglata e datata, per l’altare maggiore di S. Maria Egiziaca a Forcella (pp. 51, 152-155 n. 18). All’ultimo scorcio della sua vita spetta con ogni probabilità la gigantesca Crocifissione proveniente dalla confraternita del SS. Rosario nel chiostro di S. Tommaso d’Aquino a Napoli, ritrovata nei depositi del Bode-Museum di Berlino alla fine del secolo scorso e ora alla Gemäldegalerie (Schleier, 2004). Nell’opera, che rappresenta il ‘canto del cigno’ della lunga e proficua carriera del pittore, è stato riconosciuto l’esordio di Nicola, responsabile verosimilmente di molte delle figure abbozzate nel secondo piano della composizione (Lattuada, 2009, p. 102; Izzo, 2009, p. 153, n. A1).
Nel testamento, steso il 26 settembre 1669 e aperto il 18 gennaio del 1670, Vaccaro nominò Nicola suo erede universale, ed espresse il desiderio di essere seppellito alla Pietà dei Turchini (Tuck-Scala, 2012, pp. 52 s., 182-184). «Il quadro di S. Marta», ancor oggi sull’altare maggiore dell’omonima chiesa napoletana, fu «lasciato imperfetto» da Andrea a causa della morte e «rifatto da capo» da Nicola (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, p. 287), che il 23 luglio del 1670 percepì per questo lavoro 55 ducati, a integrazione dei 25 che «il quondam Andrea Vaccaro suo padre» aveva ricevuto «li mesi passati» (Tuck-Scala, 2012, pp. 52, 156-158 n. 19).
B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745 circa), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, II, Napoli 2003, pp. 971 s.; ibid., III.2, Napoli 2008, pp. 257-295; M. Commodo Izzo, A. V. pittore (1604-1670), Napoli 1951; U. Prota-Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, pp. 161-164; A.E. Pérez Sánchez, Pintura italiana del siglo XVII en España, Madrid 1965, pp. 461-476; V. Pacelli, in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), I, Napoli 1984, pp. 179 s., 488-493 nn. 2.265-2.269; N. Spinosa, La pittura napoletana del ’600, Milano 1984, figg. 831-855; F. Bologna, Battistello e gli altri. Il primo tempo della pittura caravaggesca a Napoli, in Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli (catal.), a cura di F. Bologna, Napoli 1991, pp. 15-180 (in partic. p. 154); L. Rocco, ibid., pp. 306-308, nn. 2.66-2.70; G. De Vito, Appunti per A. V. con una nota su alcune copie del Caravaggio che esistevano a Napoli, in Ricerche sul ’600 napoletano. Scritti in memoria di Raffaello Causa. Saggi e documenti per la storia dell’arte 1994-1995, Napoli 1996, pp. 63-144; P. Santucci, Un dipinto firmato di A. V. e alcune riflessioni sulla sua formazione, in Prospettiva, 1999, nn. 93-94, pp. 184-188; E. Schleier, Una ‘Crocifissione’ della fase tarda di A. V., in Laurea honoris causa in Conservazione dei beni culturali a Erich Schleier. Seconda Università degli Studi di Napoli, Avellino 2004; S. Causa, La strategia dell’attenzione. Pittori a Napoli nel primo Seicento, Napoli 2007, in partic. pp. 183-253; Id., in Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti del XVII secolo. La scuola napoletana, direzione scientifica di N. Spinosa, Napoli 2008, pp. 202-216, nn. 203-217; V. Pacelli, Giovan Francesco de Rosa detto Pacecco de Rosa. 1607-1656, Napoli 2008a, in partic. pp. 52-63; Id., A. V. patriarca della pittura del Seicento a Napoli. Inediti e considerazioni, in Studi di Storia dell’Arte, 2008b, n. 19, pp. 137-168; M. Izzo, Nicola Vaccaro (1640-1709). Un artista a Napoli tra Barocco e Arcadia, Todi 2009, passim; R. Lattuada, I percorsi di A. V. (1604-1670), ibid., pp. 49-108; I. Mauro - A.K. Tuck-Scala, Les Històries de Tobies d’A. V.: de Nàpols al Museu Nacional d’Art de Catalunya, in Butlletí del Museu Nacional d’Art de Catalunya, 2009, n. 10, pp. 88-109; F. Petrelli, in Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catal.), a cura di N. Spinosa, I, Napoli 2009, pp. 223-225, nn. 1.113-1.115; V. Pacelli, ibid., pp. 226-233, nn. 1.116-1.120; A.K. Tuck-Scala - I. Mauro, Tracing the success of A. V.’s paintings in Spain, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2009, Napoli 2009, pp. 157-179; N. Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli. Da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli 2010, pp. 46, 421-429 nn. 456-470; S. Causa, Barocco e matriosche... (su di una mostra napoletana e anche a proposito di un libro recente sui Vaccaro padre e figlio), in Tempi e forme dell’arte. Miscellanea di studi offerti a Pina Belli d’Elia, a cura di L. Derosa - C. Gelao, Foggia 2011, pp. 353-359; A.K. Tuck-Scala, A. V. Naples, 1604-1670. His documented life and art, Naples 2012; V. Pacelli, Questioni metodologiche, nuove proposte e qualche puntura sul primo Seicento a Napoli, in Studi di Storia dell’Arte, 2013, n. 24, pp. 189-236 (in partic. pp. 205-211); A.K. Tuck-Scala, Un dipinto di A. V. (e Massimo Stanzione?) ad Aversa, in Istituto Banco di Napoli - Fondazione. Quaderni dell’Archivio Storico. Napoli 2011-2013, Napoli 2014, pp. 307-315; S. Causa, Lungo il fiume caravaggesco: un apice giovanile di Massimo Stanzione e un ‘Cristo Portacroce’ della tarda maturità di A. V. (catal., Firenze), Napoli 2015, in partic. pp. 9-25, 41-43, 55-58; M. García Luque, Una ‘Inmaculada’ inédita de A. V. en Granada, in Paragone, LXVI (2015), 781, pp. 28-34; R. Lattuada, A. V.’s David and an outline of V.’s early career, in Mvse, LI (2017a), pp. 45-69; Id., Addendum to «A. V.’s David and an outline of V.’s early career», ibid., 2017b, pp. 70-73; I. Mauro, A. V. da copista a ‘copiato’ nelle collezioni pittoriche spagnole, in La copia pittorica a Napoli tra ’500 e ’600, a cura di D. García Cueto - A. Zezza, Roma 2018, pp. 137-148.