Andrej Rublëv
(URSS 1965-66, 1969, bianco e nero/colore, 186m); regia: Andrej Tarkovskij; produzione: Mosfil′m; sceneggiatura: Andrej Michalkov Končalovskij, Andrej Tarkovskij; fotografia: Vadim Jusov; montaggio: L. Fejginova; scenografia: Evgenij Černjaev; costumi: L. Novi, M. Abar-Baranovskaja; musica: Vjačeslav Ovčinnikov.
La vita del grande pittore di icone Andrej Rublëv (1370-1430 circa), in otto capitoli, un prologo e un epilogo. Prologo: un uomo vola legato a un rudimentale pallone aerostatico e precipita rovinosamente. Primo capitolo (Il buffone ‒ anno 1400): i tre monaci pittori Andrej Rublëv, Danil il Nero e Kirill, sorpresi da un temporale, riparano in un'isba e assistono a uno spettacolo in cui un buffone schernisce i potenti, prima di essere arrestato. Secondo capitolo (Teofane il Greco ‒ anno 1405): Kirill incontra in una chiesa il pittore di icone Teofane il Greco. Mentre i ribelli al principe vengono torturati e uccisi, Teofane e Kirill discettano di pittura. Teofane propone a Kirill di seguirlo a Mosca. Kirill accetta a patto di ricevere un invito pubblico. L'invito che dopo qualche tempo giunge al monastero è però rivolto a Rublëv. Kirill abbandona il monastero maledicendo tutti. Terzo capitolo (La Passione secondo Andrej ‒ anno 1406): Rublëv e Teofane discutono dei massimi sistemi. Teofane sostiene che la vita e l'arte siano al servizio di Dio, Rublëv le vede al servizio degli uomini. Quarto capitolo (La festa ‒ anno 1408): Rublëv e Danil il Nero, durante un viaggio in barca, scoprono sulle rive di un fiume una festa pagana. Rublëv viene legato ad un palo e liberato da una ragazza nuda. I pagani vengono arrestati, l'unica a sfuggire è la ragazza che aveva liberato Rublëv. Quinto capitolo (Il Giudizio Universale ‒ estate 1408): Rublëv e Danil stanno affrescando una cattedrale con un Giudizio Universale, ma i lavori ristagnano: Rublëv è in crisi, non vuole violentare l'immaginazione degli uomini. Un gruppo di lavoratori della cattedrale è assalito dagli sgherri del principe. Andrej, sconvolto, sporca le pareti destinate all'affresco e si rifiuta di andare avanti. Nella chiesa giunge una ragazza sordomuta. Sesto capitolo (La scorreria ‒ anno 1408): il gemello del principe si allea ai tartari per spodestare il fratello. Le orde entrano a Vladimir e fanno strage. Rublëv, per salvare la ragazza sordomuta da uno stupro, è costretto ad uccidere. In una visione, comunica a Teofane, ormai morto, la decisione di rinunciare alla pittura e non rivolgere più parola all'umanità. Settimo capitolo (Il silenzio ‒ anno 1412): Rublëv si è ritirato nel monastero con la sordomuta, mentre la carestia affligge il paese. Tra i mendicanti c'è Kirill, che ottiene dal priore di tornare in convento. I tartari arrivano al monastero e seducono la sordomuta. Ottavo capitolo (La campana ‒ anno 1423): gli inviati del principe cercano fonditori di campane, mentre la peste incalza. Il giovane Boriška afferma di conoscere i segreti della fusione, mentendo, e viene messo a dirigere la squadra di lavoratori, sotto minaccia di morte in caso di fallimento. Ma quando i rintocchi della nuova campana si spargono nei campi, Rublëv propone a Boriška di andare a Mosca insieme, per dipingere e fondere campane. Nell'epilogo a colori, scorrono particolari in sequenza di opere di Rublëv in lente dissolvenze incrociate. Piove, le icone si bagnano. Lungo un fiume, pascola quieto un gruppo di cavalli.
Scritto nel 1962, girato in mezzo a immani (e nient'affatto casuali) difficoltà produttive e ostacoli burocratici tra il 1965 e il 1966, l'opera seconda di Andrej Tarkovskij è il grande affresco immaginario e poetico di un'epoca storica scarsamente documentata. Viaggio nell'epopea barbarica di un popolo infelice, dilaniato dalla violenza, dalla povertà e dalle lotte intestine, dove ha luogo un percorso spirituale e artistico nel tormento della creazione, il film si carica di riferimenti allegorici alla realtà contemporanea e alla biografia del regista, che realizza uno dei più poderosi e criptici atti di dissenso artistico e morale della storia dell'Unione Sovietica. Lontano da intenti di realismo storico, Andrej Rublëv intesse una visione dell'arte come dono inspiegabile e scommessa con il destino che contrasta con l'indole razionale dell'uomo e con la sua incapacità di accettarsi. Andrej Rublëv è l'artista della modernità, colui che traghetta la pittura dal formalismo bizantino ad un'umanizzazione vicina a quella degli artisti rinascimentali. L'idealismo iniziale del pittore è simile a quello dell'inventore della macchina per volare, ma la sua fiducia negli uomini si schianta di fronte alla brutalità della Storia, che costringe l'ascetico artista a macchiarsi del sangue altrui. Alla ricerca come Rublëv di una visione spirituale del reale che non violenti l'immaginazione umana, per cogliere le fonti della necessità dell'espressione, Tarkovskij indaga attraverso il viaggio del monaco pittore le zone liminari della rappresentazione, cogliendone perfino le radici profane tra le tensioni dionisiache del rituale pagano nel bosco e lo sberleffo osceno del buffone. Più che l'agire di Rublëv, è il suo sguardo di testimone la traccia che unisce i diversi capitoli: il prologo e l'ottavo capitolo, l'utopia concreta della tecnica destinata a schiantarsi e l'affidarsi dell'artista-artigiano all'imponderabile, fanno da asintoti alla passione creativa dell'intelligenza elucubrante e intellettualistica del pittore, alla sua tensione morale aspra e violenta in conflitto con la ferocia del proprio tempo.
L'andamento ritmico differente degli episodi, permeati da un grande spessore drammatico e da un respiro epico e corale, e la fotografia che sfrutta in modo straordinario le sfumature del grigio per dare corpo alle simbologie del regista (prima fra tutte, l'acqua che permea ogni cosa), impongono al film il tono di stupefatta meditazione dello sguardo del protagonista. L'epilogo a colori, sorta di elegia documentaria dell'arte di Rublëv, dove il Dio della Trinità, avvolto in un emblematico silenzio, sembra osservare l'occhio della macchina da presa che lo indaga, testimonia che se la Storia umana è grigia e destinata a sparire con tutto il suo carico di dolore e di crudeltà, l'arte nei suoi colori e nella sua quiete è destinata a restare, in simbiosi con il grande afflato della natura.
Terminato nel 1966 e mostrato solo in proiezione privata per le autorità della Mosfil′m, il film venne invitato nel 1969 fuori dalla selezione ufficiale sovietica al Festival di Cannes, dove vinse il Premio della Critica Internazionale. Accolto in patria con sospetto e distacco, dopo una lunga serie di traversie uscì nelle sale nel 1972: ben presto, però, Andrej Rublëv è stato considerato dalla critica uno dei massimi capolavori della cinematografia sovietica di tutti i tempi.
Interpreti e personaggi: Anatolij Solonicyn (Andrej Rublëv), Ivan Lapikov (Kirill), Nikolaj Grin′ko (Danil il Nero), Nikolaj Sergeev (Teofane il Greco), Irma Rauš Tarkovskaja (sordomuta), Nikolaj Burljaev (Boriška), Roland Bykov (buffone), Michail Kononov (Fomka), Jurij Nazarov (principe), S. Krylov (vecchio fonditore), Sos Sarkisian (Cristo).
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Sceneggiatura: in "Iskusstvo kino", n. 5, 1964.