Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Mattatore della scena artistica americana dalla fine degli anni Cinquanta, Andy Warhol ha rivoluzionato il modo di guardare gli oggetti, le immagini, le persone che ci circondano. La stampa serigrafica dei ritratti, la ripetizione ossessiva dei soggetti scelti, l’attenzione ai meccanismi dell’informazione dei mass media sono i punti focali della sua arte e del suo cinema. Ma è stata la tensione posta nella costruzione del proprio personaggio pubblico a fare di lui il protagonista del pop e dell’underground newyorkese per oltre venti anni.
Humus pop
“A quanto potevo capire, la ragione per cui ci stavano succedendo tutte quelle cose era che eravamo veramente interessati a tutto quel che c’era in giro. L’idea pop, dopo tutto, era che chiunque può fare qualunque cosa, per cui ovviamente tutti cercavamo di fare più cose possibili”.
Con queste parole che raccontano l’inizio della collaborazione, nel 1965, con il gruppo rock Velvet Underground, Andy Warhol racconta il clima di fermento culturale nel quale si è delineato tanto il proprio personaggio quanto quella filosofia “pop” che si è trasformata in breve tempo in una filosofia di vita.
Andrew Warhol giunge a New York nel 1949 dalla Pennsylvania quasi per caso, appena diplomato al Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh. Aveva iniziato a lavorare come grafico pubblicitario per “Glamour” e in pochi anni la sua fama si era estesa a tal punto che il suo lavoro era richiesto dai più grandi periodici e riviste come “Vogue”, “Harper’s Bazar”, “The New Yorker” e da aziende come I. Miller e Tiffany.
Dal 1950 comincia a disegnare pubblicità per le scarpe di I. Miller e questo lo porta a uno straordinario successo come artista commerciale (più volte premiato dall’Art Directors Club e dall’American Institute of Graphic Arts). Di lui si apprezza il modo di lavorare, il fatto di cogliere sempre nel segno e quello stile “spezzato” (blotted line), realizzato facendo uno schizzo veloce poi riportato su tessuto e passato di nuovo sulla carta a inchiostro ancora fresco. È lo stile che caratterizza, inizialmente, anche i suoi dipinti. Gli anni Cinquanta costituiscono per Warhol un periodo di affermazione nell’ambito della pubblicità e della grafica che lo portano a creare (1957) la Andy Warhol Enterprises Inc. Sono anche gli anni in cui si avvicina all’arte utilizzando personaggi dei fumetti per i propri quadri. Il fatto di scegliere proprio quelle immagini è significativo del diffondersi della pop culture nell’immaginario collettivo di un numero sempre maggiore di persone.
Il successo lo introduce in un ambiente mondano molto esclusivo e attivo socialmente e qui Warhol definisce il proprio spirito pop, partecipando a qualunque tipo di party, frequentando i generi più svariati di persone e cominciando a interessarsi a ogni forma di espressione artistica e non (pittura, cinema, danza, musica, televisione, teatro).
Sono del 1962 le prime mostre personali (Ferus Gallery di Irwin Blum a Los Angeles, Stable Gallery di Eleanor Ward a New York) e nello stesso anno partecipa alla collettiva alla Sidney Janis Gallery di New York, The new realists, mostra che viene considerata una sorta di riconoscimento ufficiale della pop art americana. Il 1962 è un anno cruciale perché è l’anno in cui l’artista definisce la propria cifra stilistica sia dal punto di vista dei contenuti, sia dal punto di vista dei mezzi espressivi. Pur continuando a dipingere nel suo stile blotted line, passa a un tipo di pittura più piatta e definita che ricorda i manifesti pubblicitari e, seguendo il consiglio di alcuni amici, i materiali e le forme della cultura popolare (rotocalchi, prodotti commerciali, immagini dei quotidiani) diventano simboli da raffigurare come se fossero réclames. Nascono così le serie delle Campbell’s Soup Cans, i quadri con le bottiglie di Coca Cola, le riproduzioni delle scatole del detersivo Brillo, ma anche la serie Disasters inaugurata dall’opera 129 die in jet! (plane crash) in cui l’immagine è ripresa direttamente dalla prima pagina di un giornale.
Serialità
Ma il 1962 è un anno decisivo perché Warhol inizia a utilizzare la serigrafia, una tecnica di stampa che gli permette non solo di riprodurre lo stesso soggetto in un numero indefinito di copie non proprio identiche, ma anche di delegare ad altri il proprio lavoro. Continua a usare la fotografia (in particolare quelle delle macchinette automatiche) e ben presto la base di ogni ritratto sarà costituita dalle foto scattate con una Polaroid.
“Nell’agosto del ’62 cominciai a fare serigrafie. Il metodo degli stampi di gomma che avevo usato fino a quel momento per ripetere le immagini improvvisamente mi era sembrato troppo casereccio; volevo qualcosa di più forte che rendesse di più l’idea di una catena di montaggio. […] In questo modo, non dovevo lavorare affatto sui miei oggetti. Uno dei miei assistenti o chiunque altro era in grado di riprodurli bene quanto me”. La serigrafia aveva anche il vantaggio di potersi facilmente inserire nel meccanismo, tipico dei mass media, di creazione di miti (ad esempio i divi del cinema di Hollywood) attraverso la ripetizione senza soluzione di continuità di immagini e informazioni. Nacquero così le prime serie di ritratti di personaggi/icona come Marylin Monroe, Elvis Presley, Jacqueline Kennedy, Elizabeth Taylor e le serie tratte da immagini di cronaca dei quotidiani (Electric Chairs, Race Riots, Car Crash) che provengono da una riflessione sull’interesse suscitato dalle notizie di incidenti o disastri accaduti a persone per noi completamente sconosciute. Il fatto di utilizzare la serigrafia, inoltre, porterà a una serie di importanti collaborazioni che caratterizzeranno tutto il lavoro di Warhol, il quale, da questo momento, delegherà sempre di più, in pieno spirito pop, la realizzazione delle proprie opere. Tra gli altri citiamo Gerard Malanga, uno dei primi assistenti di Warhol che assumerà poi un ruolo molto importante in tutta la conduzione dell’attività della Factory, Jonas Mekas, direttore della Film-Makers’ Cooperative, Paul Morrissey che diventerà, a partire dal 1969, il regista di tutti i film prodotti da Warhol, Edie Sedgwick, i Velvet Underground.
The Factory
Nel 1963 lo studio si trasferisce in un enorme loft, che prende il nome di The Factory, e diventa meta di artisti, musicisti, attori e altri personaggi di vario genere, nel quale continua senza sosta la creazione di dipinti e serigrafie. Alla Factory, inoltre, Warhol comincia la realizzazione dei propri film. Opera prima è Sleep, in cui sono riprese, e poi mostrate al rallentatore, varie parti del corpo di un uomo che dorme. Il primo film che ottiene un vero e proprio riconoscimento di pubblico e critica è The Chelsea Girls del 1966. I film assumono un’importanza sempre maggiore per la rottura estetica che propongono e per la filosofia che sta dietro alla loro creazione: le superstar vengono riprese da una telecamera fissa mentre fanno una cosa qualunque per tutta la durata della bobina di pellicola (solitamente tre minuti). Il montaggio viene completamente eliminato così come la sceneggiatura e ogni altro elemento di post-produzione.
“Non mi è mai andata a genio l’idea di scegliere certe scene e frammenti di tempo e metterli insieme, perché finisce per essere diverso da ciò che è accaduto in realtà. […] volevo soltanto trovare grandi persone e farle essere se stesse e che parlassero di ciò di cui di solito parlano, e io le avrei filmate per un certo periodo e quello sarebbe stato il film”.
La produzione di serigrafie e di film si realizza in parallelo con un’intensa vita sociale e artistica, che lo porta in tutto il mondo per seguire le proprie mostre. “Più procedevamo verso ovest, più tutto sembrava pop lungo le strade. E all’improvviso, tutti ci siamo sentiti integrati perché, sebbene il pop fosse ovunque […] ai nostri occhi era la nuova Arte. Una volta che “diventavi” pop, non riuscivi più a vedere un cartello allo stesso modo. E una volta che pensavi pop, non riuscivi più a vedere allo stesso modo l’America”. Intanto Warhol continua a lavorare sul proprio personaggio: le maggiori riviste mondane lo fotografano in ogni occasione e ne fanno una sorta di idolo non solo per i frequentatori della Factory ma per un pubblico sempre più vasto.
Nel 1964 espone alla Galerie Sonnabend di Parigi e da Leo Castelli a New York. Per il Padiglione Americano alla Fiera mondiale di New York realizza i Thirteen Most Wanted Men. L’opera non viene approvata dalla direzione della Fiera per un problema “politico” e Warhol decide di coprire i ritratti dei ricercati in argento. L’anno successivo espone all’Institute of Contemporary Art di Philadelphia. La mostra si trasforma in un evento soprattutto mondano: una folla impazzita invade le sale del museo (da cui erano stati, nel frattempo, rimossi i quadri) collocando definitivamente Warhol tra le nuove icone dell’esaltazione popolare. Nel 1968 rischiò la morte a causa di un colpo di pistola sparato da una squilibrata: Valerie Solanas, membro unico della S.C.U.M. (Society for Cutting Up Men). In seguito all’attentato, le attività della Factory, la produzione artistica e cinematografica di Warhol continuano, ma il distacco dell’artista per ciò che accade diviene sempre più netto e dichiarato.
Resta comunque viva la curiosità di Warhol verso tutti i mezzi di comunicazione e, nel 1969, esce il primo numero di “Interview”, una rivista che si occupa indifferentemente di cinema, moda, arte, cultura e vita mondana. Ma niente esercita su Warhol più fascino della televisione. Nel 1982, in base a una sua ormai celebre idea per cui grazie alla televisione “ognuno sarà famoso per almeno 15 minuti”, realizza la Andy Warhol Television, una serie in cui apparivano numerosi ospiti per brevi sequenze e che viene mandata in onda via cavo (la seconda serie Andy Warhol fifteen minutes, andò poi in onda su MTV nel 1986).
Ciò che colpisce maggiormente di Warhol, in ogni fase della sua vita, è un’enorme tenacia e lucidità verso un obiettivo chiaro: il successo economico e sociale. “Non perse mai di vista il suo scopo: essere artista e – sebbene non l’avesse mai detto – divo”. Perseveranza e freddezza non fanno però di lui un cinico o un opportunista. Si pone nei confronti delle persone con una grazia inusuale, dovuta forse alla grande timidezza, e con un’aria ingenua completamente priva di ogni forma di ostentazione che contrasta, apparentemente, con l’immagine eccentrica e provocatoriamente sovversiva che lo farà diventare uno degli artisti più ricercati e cool della New York degli anni Sessanta e Settanta. Il successo di Warhol artista e di Warhol “personaggio glamour”, sembra formato da questa esplosiva combinazione di talento ed elegante distacco nei confronti del fluire della vita. Sempre attento ai meccanismi che muovono l’interesse dei media e della mondanità, farà di questa consapevolezza uno strumento di promozione della propria immagine e, allo stesso tempo, di difesa dalla fugacità del successo.
Al culmine della propria celebrità, Andy Warhol muore a New York nel 1987, a causa di una banale operazione chirurgica.