ANEMIA (dal gr. ἀ[ν] privativo e αἶμα "sangue")
Sotto questo nome vengono raggruppate numerose sindromi ed entità morbose, differenti per eziologia e patogenesi, le quali tutte dimostrano, in proporzione diversa, diminuzione del numero dei globuli rossi del sangue (eritrociti) e della sostanza colorante in essi contenuta (emoglobina). Mentre in condizioni normali nell'uomo il numero degli eritrociti oscilla fra 4.500.000 e 5.000.000 per ogni millimetro cubico di sangue, nelle anemie si possono osservare cifre notevolmente più basse, che in alcuni casi, come nelle anemie gravi a tipo pernicioso, sono di molto inferiori a 1.000.000. Sempre diminuisce anche la quantità dell'emoglobina, o proporzionalmente alla diminuzione del numero dei globuli rossi, oppure in proporzione maggiore e minore di essa. Mentre però nella maggior parte delle forme anemiche il rapporto fra eritrociti ed emoglobina si mantiene pressoché costante, in altre esso si modifica: nel primo caso, convenutosi che a 5.000.000 di eritrociti corrisponda una quantità di emoglobina 1, in 2.500.000 di globuli rossi si deve riscontrare con gli emometri 0,50 di emoglobina; negli altri invece, può risultare o una cifra di emoglobina che teoricamente corrisponderebbe a un numero minore (ipocromia) o maggiore (ipercromia) degli eritrociti riscontrati col contaglobuli. Un tipico esempio della forma ipocromica è rappresentato dalla clorosi, mentre l'anemia perniciosa progressiva è la sindrome ematica caratteristica dell'ipercromia.
Le alterazioni del sangue nelle anemie non consistono solo nella diminuzione dei globuli rossi e dell'emoglobina, ma anche in modificazioni morfologiche degli eritrociti (anisocitosi e poichilocitosi, sostanza granulo-filamentosa, policromatofilia, granulazioni basofile, corpi di Jolly, anelli di Cabot), e nella comparsa nel sangue circolante di globuli rossi nucleati (eritroblasti) che in condizioni normali si trovano nel midollo delle ossa (normoblasti) e nelle prime fasi della vita embrionale (megaloblasti; v. sangue).
Mentre le alterazioni quantitative si riscontrano anche nelle forme lievi di anemia (come pure l'anisocitosi, la poichilocitosi, la policromatofilia e la sostanza granulo-filamentosa), la comparsa di eritroblasti, sia normoblasti e più ancora megaloblasti, è indice sempre di una sindrome anemica piuttosto grave.
In alcune anemie anche i globuli bianchi del sangue (leucociti) aumentano o diminuiscono; in alcuni casi il loro comportamento può essere un fattore diagnostico, ad esempio la leucopenia dell'anemia perniciosa progressiva. Così si dica delle piastrine, che mentre in alcune anemie, ad esempio nelle anemie postemorragiche, aumentano, possono diminuire e scomparire quasi totalmente nell'anemia perniciosa progressiva e nelle forme di anemia aplastica. Quindi nelle anemie non solo i globuli rossi, ma tutti gli elementi morfologici del sangue partecipano alla costituzione delle caratteristiche sindromi ematiche periferiche.
Le anemie si possono dividere in essenziali e sintomatiche: essenziali quelle dovute a un processo morboso del sangue e dei suoi organi formatori (midollo osseo, milza), sintomatiche quelle provocate in via secondaria (intossicazioni, malattie infettive, del ricambio, tumori, ecc.) o per un'azione distruttiva (emolitica) sui globuli rossi del sangue circolante, o in seguito a un'azione inibitrice (tossica) sull'organo formatore degli eritrociti (midollo osseo).
Quanto al loro meccanismo, le anemie si possono dividere in emolitiche (aumentata distruzione di globuli rossi) e in mielotossiche o mielotisiche (alterata funzione del midollo osseo). Non di rado il processo anemico avviene col doppio meccanismo dell'aumentata distruzione dei globuli rossi e dell'alterata funzione del midollo osseo.
Molte sono le anemie a tipo emolitico: quella da infezione malarica, per distruzione di eritrociti da parte del parassita che in essi si sviluppa; quella dovuta a sostanze tossiche (fenilidrazina, toluilendiammina, ecc.); quelle ritenute come primitivamente splenomegaliche (dovute cioè a un'alterazione della milza). Queste ultime spesso si manifestano con itterizia e prendono perciò il nome di itteri emolitici, oggi però considerati non solo di origine splenica ma secondarî a un'alterazione più diffusa del sistema reticolo-endoteliale. Esistono anche forme di anemie emolitiche senza ittero, che debbono ritenersi probabilmente a base costituzionale.
Le anemie a tipo mielotossico e mielotisico sono rappresentate da alterazioni vere e proprie dell'organo eritropoietico, il midollo delle ossa; e fra queste sono da ricordare tutte le forme di mielosi, leucemiche ed eritroleucemiche, la linfoadenosi o leucemia linfatica, dove l'anemia non è solo l'esponente secondario dello stato leucemico ma di una reale alterazione anatomica del tessuto eritroblastico per il prevalere sul midollo osseo del parenchima linfoadenoideo. Anemie mielotisiche classiche sono quelle che oggi sono indicate col nome di mielosi aplastica e che in passato si denominavano anemie aplastiche. Si tratta in questi casi di processi morbosi talvolta cronici, talvolta acuti ed acutissimi, con consecutiva distruzione del tessuto mieloideo sia eritroblastico sia leucoblastico. Alcune di queste sindromi decorrono con febbre e sono accompagnate da diatesi emorragica per la contemporanea trombopenia che le accompagna. Una forma speciale e relativamente frequente è rappresentata dall'anemia perniciosa progressiva, dove il numero dei globuli rossi può scendere in alcuni casi a meno di mezzo milione per mmc., e i leucociti diminuire notevolmente (2-3 mila) con linfocitosi relativa e diminuzione delle piastrine. Uno degli esempî più caratteristici di anemia ad azione mista emolitica e mielotossica è rappresentata dall'avvelenamento da piombo, dove anche il midollo delle ossa viene alterato per l'azione del veleno, analogamente agli eritrociti del sangue circolante. Numerose altre malattie possono accompagnarsi ad anemia, come le malattie infettive acute e croniche, e forme accentuate si possono vedere specialmente nella tubercolosi e nella sifilide. I tumori maligni provocano anemia in alcuni casi gravissimi, così da ricordare l'anemia perniciosa progressiva. Malattie del ricambio, nefriti, malattie endocrine, possono essere altrettante cause di sindromi anemiche. Anemie parassitarie sono quelle dovute a malaria, al kala-azar, e quelle secondarie all'azione tossica di alcuni parassiti ospiti del tubo digerente; da ricordarsi fra queste in modo speciale la forma da anchilostoma (v.), quella da botriocefalo (v.), in alcuni casi così grave da corrispondere in tutti i particolari clinici ed ematologici all'anemia perniciosa. Anche la gravidanza, per un meccanismo assai oscuro, provoca sindromi anemiche perniciosiformi, che quasi sempre, anche se gravissime, guariscono con l'interruzione della gravidanza stessa. Vi sono anche anemie traumatiche, dovute ad emorragie ripetute da qualsiasi causa.
Le sindromi anemiche presentano manifestazioni cliniche generiche per tutte le forme ed altre nettamente specifiche per alcune di esse. La tinta anemica ha uno speciale significato, il pallore è proporzionale alla gravità dell'anemia e in alcuni casi di anemia perniciosa progressiva il pallore è così profondo da non riconoscersi più alcuna tinta a carico delle labbra e delle mucose visibili; in altri invece vi è una sfumatura giallo-paglierina come spesso si vede nelle anemie dovute a tumori maligni; in altre ancora esiste una tinta subitterica o un deciso ittero come negl'itteri emolitici. Alcune gravi anemie, specie le mielosi aplastiche trombopeniche, sono accompagnate da manifestazioni cutanee emorragiche (porpore) ragie, soprattutto delle gengive, del retrobocca e della faringe.
Obiettivamente, nelle forme gravi si rileva non di rado milza ingrandita (anemia perniciosa, itteri emolitici, morbo di Banti, kala-azar, malaria), e in alcune anche ingrandimento del fegato. Esiste talvolta dolorabilità ossea, specie allo sterno; nelle forme legate agli stati leucemici vi è tutta la sindrome della leucemia. Speciale menzione merita il morbo di Banti, che va considerato come una splenomegalia primitiva, e che in via secondaria provoca anemia senza ittero e tardivamente una cirrosi epatica con ascite.
Per l'anemia splenica v. milza.
Bibl.: Estese notizie bibliografiche si possono trovare nei seguenti trattati: P. Morawitz, Sangue e malattie del sangue, in L. Mohr e R. Staehelin, Trattato di medicina interna, IV, Milano 1914; A. Ferrata, Le empatie, Milano 1923; C. Aubertin, Anémies graves, in R. Widal, Nouveau traité de médecine, IX, Parigi 1927; R. C. Cabot, Diseases of the blood, in W. Osler, Modern medicine, V, Philadelphia 1927.
Anemia perniciosa dell'uomo.
È nota anche sotto il nome di malattia di Biermer perché la prima volta fu descritta dal medico tedesco Anton Biermer (1827-1892) che fra il 1868 e il 1871 ne riscontrò 15 casi nel cantone di Zurigo.
Il progresso degli studî ematologici ha dimostrato che questa malattia è assai più frequente di quanto non si creda. Seguendo il Ferrata, sotto il nome di anemie a tipo pernicioso si comprendono alcune gravi forme morbose delle quali non si conosce la causa, o tutto al più solo quella apparente, e che sono caratterizzate da una profonda diminuzione del numero dei globuli rossi (oligoemia), dalla presenza di speciali forme di globuli rossi (megalociti e megaloblasti) nel sangue circolante, dall'aumento relativo della sostanza colorante del sangue (indice emoglobinico superiore all'unità), dalla diminuzione del numero dei globuli bianchi e delle piastrine (leucopenia e piastrinopenia), dall'aumento del contenuto in ferro del fegato e della milza (siderosi splenica ed epatica), da particolari modificazioni del meccanismo di formazione dei globuli rossi (eritropoiesi a tipo embrionale preepatico, a carattere sistematico). Nella definizione delle anemie perniciose, Ferrata esclude il già classico aggettivo "progressive", perché, contrariamente a quanto si credeva in passato, la malattia può presentare soste, migliorare e anche guarire. Da questo gruppo bisogna nettamente distinguere quello delle anemie dette secondarie, perché insorgono in seguito a cause anemizzanti note, quali la sifilide, la malaria, le tossine gravidiche, i tumori maligni, le emorragie, i vermi parassiti. In questo ultimo gruppo l'anchilostoma e il botriocefalo possono riprodurre quadri clinici ed ematologici assai simili a quelli della anemia perniciosa. In ogni modo tutte le cause sopra ricordate possono agire come fattori predisponenti o concomitanti nello sviluppo del quadro morboso. La questione della causa vera della anemia perniciosa rimane ancora insoluta e per questo l'anemia si disse anche essenziale, o di origine nascosta (criptogenetica).
Il decorso clinico della malattia è assai vario, talora subdolo; uno dei sintomi precoci è talora un'affezione dolorosa della lingua (glossite, papillite linguale). Col progredire della malattia insorge senso di stanchezza per le più lievi fatiche muscolari, affanno, insonnia, pallore della cute (colore paglierino) e delle mucose; la cute è succulenta, in casi gravi edematosa. Il cuore è dilatato, si ascolta un soffio sistolico di origine anemica, il numero delle pulsazioni è aumentato e cresce anche per le fatiche più lievi: quasi di regola si hanno disturbi dell'appetito, talora si ha vomito incoercibile; l'esame del succo gastrico dimostra quasi sempre la mancanza di acido cloridrico libero (achilia). La milza e le ghiandole non sono aumentate di volume: di poco il fegato, che talvolta è dolente alla pressione. La stessa dolorabilità si riscontra talora sullo sterno e sulla tibia. Non sono rari i disturbi psichici (delirio, allucinazioni, idee maniache), le anestesie, le parestesie, le lesioni a carico dei cordoni del midollo spinale, specialmente i posteriori, con sintomi simili a quelli della tabe dorsale. Frequenti sono le emorragie della retina. La febbre manca o compare ad accessi irregolari.
Il decorso della malattia è generalmente lento, piuttosto cronico; sono state descritte però anche forme acute, ma rare, della durata di poche settimane: spesso si hanno periodi di soste e di remissioni, che possono durare anche un anno e più, dopo le quali la malattia riprende il suo corso che termina di regola con la morte, benché in rari casi non si possa escludere la possibilità della guarigione.
All'esame anatomo-patologico si osserva anemia grave e universale degli organi interni insieme con lesioni emorragiche; degenerazione grassa del miocardio, lesioni atrofiche della mucosa dello stomaco, emosiderosi del fegato o della milza, e, specialmente nelle ossa lunghe, presenza di midollo rosso fetale.
Nella cura di questa malattia si sono ottenuti risultati transitorî con la terapia arsenicale, con la radioterapia, con la trasfusione del sangue; la splenectomia non sempre ha dato effetti benefici, anzi talvolta si è dimostrata dannosa. Un progresso notevole è stato ottenuto da Whipple, che nel 1925 ha dimostrato che facendo ingerire ai malati fegato fresco, la rigenerazione del sangue avviene più rapidamente che con qualunque altro mezzo, ammettendo che nel fegato già si trovino in grande quantità le sostanze che servono per la costruzione della molecola dell'emoglobina. Ma già Castellino aveva indicato questa cura.
Bibl.: G. H. Whipple, Blood regeneration in severe anemia, in Amer. Journal physiol., 1925, n. 72; I. Macester, Nutrition an diet in health and disease, Philadelphia 1927.
Anemia tropicale.
La sua esistenza era un tempo dogma fondamentale della patologia esotica; si credette persino fosse, in grado leggiero, uno stato fisiologico dell'organismo umano, da augurarsi agli europei, per l'acclimazione nei paesi caldi. Essa avrebbe ridotto l'organismo dell'europeo simile a quello dei creoli e degli indigeni tanto che alcuni medici consigliarono il salasso a questo scopo. I sistematici esami del sangue, fatti da Maurel (1884) in poi, distrussero questa fisima; nelle persone sane e in buono stato di nutrizione, di qualsiasi razza e condizione, non si osserva diminuzione né dei globuli sanguigni né dell'emoglobina, e mancano i segni clinici dell'anemia, come riconobbero Eijkman e Glogner a Giava e Sumatra (1891). Il colorito roseo o magari rubizzo di tanti europei massime del nord (e più nei biondi) dipende anche dall'esposizione all'aria fredda che favorisce la dilatazione dei vasi capillari della faccia (Glogner). Costoro, dopo una lunga dimora nei tropici, acquistano uno speciale pallore; ma Strong, che fece ricerche in proposito, lo attribuisce al pigmento che si deposita nell'epidermide, la quale diventa così parzialmente e provvidamente opaca ai raggi rossi calorifici ed ai raggi ultravioletti o attinici. Un analogo, se non identico pallore, si osserva nei fuochisti delle navi, che lavorano in ambiente molto caldo; e si parlò, manco a dirlo, di anemia dei fuochisti; ma questi, che sono e rimangono fra i più arditi ed energici marinai, presentano soltanto una lievissima diminuzione dell'emoglobina (dovuta alla deficienza di luce) la quale scompare anche per interruzione di pochi giorni del lavoro, mentre il pallore dovuto al caldo permane (Rho, Belli).
L'anemia è peraltro più frequente nei paesi tropicali che presso di noi; ma non è primitiva, essenziale, bensì sintomatica e secondaria a malattie ivi sovente endemiche e notoriamente anemizzanti, come la dissenteria, la malaria, e soprattutto l'anchilostomiasi; né ciò può recar meraviglia quando si pensi che tra gl'indigeni ed i lavoratori addetti a certe piantagioni tropicali si sono trovati dal 50 al 90% di portatori di anchilostomi.
L'influenza climatica è di per sé sola incapace a produrre l'anemia; ma, d'altra parte, rinforzando con la sua azione deprimente quella delle cause patogene, concorre a prolungare le convalescenze ed a rallentare il ripristinamento della sanguificazione normale.
L'anemia nella veterinaria.
L'anemia, in taluni casi, è sostenuta da cause non sempre facilmente apprezzabili. Talvolta è favorita dai lavori spossanti, continuati, faticosi, tal'altra da cattive condizioni d'igiene, o da cattiva o irrazionale alimentazione, infine da gravidanza.
L'anemia poi spesso non è primitiva, ma secondaria; legata cioè ad altre cause, quali perdite di sangue più o meno gravi, o frequenti, salassi troppo ripetuti, malattie infettive a decorso acuto o cronico, intossicazioni e avvelenamenti di svariata natura, malattie da parassiti del sangue, varie forme di elmintiasi intestinale, alterazioni primitim dei globuli rossi per veleni ematici.
Per le cause sopra esposte, tutte le specie animali presentano, in determinate circostanze, forme primitive o secondarie più o meno gravi di anemia. Tipica è l'anemia nelle pecore per cachessia da distomatosi; nei bovini alimentati coi residui della distillazione delle vinacce o con tagli di barbabietola o con liquido sciropposo ottenuto dalla distillazione dello zucchero; negli animali colpiti da tubercolosi grave e progredita, nei bovini con enterite cronica paratubercolare, nelle diverse specie animali con piroplasmosi o tripanosomiasi, nei cavalli con tifoanemia infettiva, nei cani con elmintiasi (anemia perniciosa dei cani da muta), dermatosi parassitarie, ecc.
Clinicamente nei nostri animali l'anemia si traduce con sintomi che variano naturalmente secondo la causa della malattia e secondo la gravità della malattia primitiva.
Gli animali in genere si presentano molto deboli, con andatura barcollante e con facile, abbondante diaforesi. Sovente si notano edemi alle parti declivi del corpo, respirazione accelerata e dispnoica; temperatura normale, pur essendo meno calde del normale le parti periferiche del corpo. Le mucose apparenti sono pallide, anemiche, il polso, inizialmente teso e piccolo, si fa, tardi, più debole e vuoto; i battiti cardiaci si fanno frequentissimi al più lieve stimolo.
Le anemie acute per gravi emorragie possono condurre l'animale a morte in brevissimo tempo. Nell'anemia cronica, invece, il decorso è lento fino a durare mesi ed anni.
Nelle forme di anemia acuta e cronica, comunque gravi, è sempre bene impiegare la trasfusione del sangue da un animale sano della stessa specie e possibilmente dello stesso sesso e della stessa età. Finzi consiglia la trasfusione come praticissimo intervento curativo, specie nei grandi erbivori. È da preferirsi sicuramente, con notevoli vantaggi, all'iniezione endovenosa di soluzione fisiologica.
In tutti i casi di anemia deve essere prescritto il riposo, o almeno un lavoro moderato; si deve regolare l'alimentazione: dovranno cioè essere somministrati alimenti concentrati, buoni, a piccole e frequenti dosi. S'impiegheranno i tonici, i ferruginosi, e gli arsenicali.
Bibl.: Baruchello, Malattie del ricambio materiale e del sangue, in Enciclopedia veterinaria italiana, 1903; Hutyra e Marek, Blutarmut, spezielle Pathologie und Therapie der Haustiere, III, Jena 1922; Fröhner e Zwick, Lehrbuch d. speziellen Path. u. Ther. der Haustiere, I, Stoccarda 1922.
Col nome di tifoanemia infettiva del cavallo (o cachessia acquosa, o idroemia, o anemia epizootica, o anemia essenziale, o anemia perniciosa progressiva) si chiama, in veterinaria, una particolare malattia del cavallo, a decorso acuto o cronico, che fu isolata nel 1843 da Lignée Charlier e Denoc dal gruppo delle altre anemie. Nel 1904-1906 gli studî di Carré e Vallée d'Alfort ne hanno precisato il quadro clinico ed anatomo-patologico e hanno stabilito che essa è dovuta a un germe della categoria dei virus filtrabili.
La malattia è esclusiva del cavallo; ha una distribuzione geografica molto ampia; è stata descritta in Ungheria, nella Svizzera, nella Svezia, nell'America del Nord; nel 1913 Cominotti ne descrisse alcuni casi in Italia, nei dintorni di Crema e di Milano. Nella forma acuta e subacuta il decolso è febbrile, le condizioni generali gravi, lo stato della nutrizione e delle forze rapidamente decade; si ha pallore della cute e delle inucose, talora emorragie in forma di petecchie; albuminuria, emoglobinuria; nella forma cronica si hanno solo lievi accessi febbrili, il decorso dei sintomi è meno rapido. Nel sangue si riscontrano ipoglobulia, poichilocitosi, anisocitosi, emazie punteggiate e, specialmente negli accessi febbrili, lieve mononucleosi con diminuzione del numero degli eosinofili.
L'esame anatomo-patologico dimostra aumento di volume delle ghiandole linfatiche e della milza, caratteri fetali del midollo osseo, ecchimosi ssttosierose, glomerulonefrite, lesioni del cuore e di altri organi.
La prognosi è sempre infausta, perché la terapia non dà risultati: l'animale in cinque, quindici giorni, al massimo in quattro mesi, muore. Nella diagnosi differenziale bisogna tener conto specialmente della febbre tifoide, del carbonchio e della paralisi enzootica. La gravità e la contagiosità di questa malattia impongono rigorose norme profilattiche.
Bibl.: G. Finzi, Tifoanemia del cavallo, in A. Lustig, Malattie infettive dell'uomo e degli animali, II, Roma 1915.