ANESTESIA (dal gr. ἀ[ν] privativo e αἴσϑησις "sensazione, sentimento")
Secondo l'etimologia, questa parola significa la mancanza o la soppressione della facoltà di sentire. Può essere perciò adoperata in senso molto ampio, riferendosi alla vita psichica, o alle funzioni organiche della vita di relazione.
Nel primo caso esprime importanti e particolari alterazioni nella sfera affettiva; così, per quanto riguarda i sentimenti, le due espressioni anestesia e insensibilità morale si corrispondono. In questo senso tale difetto ha varia e talora grandissima importanza nella valutazione etica dell'individuo normale o nell'esame psichiatrico del degenerato, del criminale, dell'alienato.
Nel secondo caso comprende una serie assai importante di disturbi del sistema nervoso in uno dei due campi fondamentali delle sue funzioni: la sensibilità e il movimento, ed è particolare oggetto di studio in neuropatologia. E come noi distinguiamo le sensibilità in speciale (funzione esclusiva di apparecchi nervosi differenziati come l'occhio, l'orecchio ecc.) e in sensibilità generale (propria di tutte le parti dell'organismo dalle quali partono nervi sensitivi), e siccome le fibre sensitive, per vie centrali distinte, portano ai centri corticali le sensazioni tattili, termiche, ecc., e da processi morbosi diversissimi possono essere lese nei tronchi nervosi periferici, nelle radici midollari, nell'asse cerebro-spinale, così distinguiamo varie forme di anestesie, o di ipoestesie, sensoriali o sensitive, organiche o funzionali, totali o dissociate, a tipo periferico, radicolare, midollare, cerebrale, psichico (v. nervoso, sistema).
Quando invece vogliamo sopprimere il dolore che deriverebbe da operazioni chirurgiche nell'uomo o negli animali, ci serviamo dell'anestesia chirurgica che ha perciò significato e importanza pratica del tutto differente da quella delle forme precedenti.
Anestesia in chirurgia.
In chirurgia si chiama anestesia quello stato artificiale in cui portiamo il malato che si deve sottoporre ad un'operazione in modo che non avverta il dolore nelle manovre praticate.
Più corretto sarebbe parlare di analgesia, poiché spesso le altre specie di sensibilità possono rimanere integre, ma il termine di anestesia è quello che viene usato abitualmente.
Si devono quindi escludere gli stati d'incoscienza e d'insensibilità dovuti ad esaltazione psichica o ad ubbriachezza o a stati patologici come il coma o anche le anestesie isteriche od ottenute con mezzi ipnotici, che non sono anestesie chirurgiche, benché si possa profittare di tali condizioni per praticare interventi, in genere di breve durata.
Se l'aver ottenuto di sottrarre i pazienti al dolore delle incisioni e delle manovre chirurgiche ha grande importanza dal lato umanitario, poiché ha tolto gran parte del terrore che prima ispiravano le operazioni (spesso era necessario legare il malato sul letto o tenerlo fermo a viva forza), maggior valore ha avuto per il progresso della chirurgia, poiché ha permesso d'intraprendere operazioni anche lunghe e assai dolorose con la tranquillità necessaria al chirurgo, che può serenamente compiere manovre spesso difficili e delicate, in cui le contrazioni muscolari sarebbero d'impedimento, o un movimento intempestivo potrebbe riuscire pericoloso. È noto anche che il dolore per sé stesso può provocare, per azione riflessa sui centri, stati gravi di collasso e anche morti improvvise.
Naturalmente è necessario d'altro lato che i mezzi adoperati per ottenere l'analgesia non siano essi stessi pericolosi o dannosi, sia immediatamente, sia in seguito, come accade per alcuni di essi in determinate condizioni; e precisamente il punto difficile consiste nella scelta dell'anestetico, che ammette diverse soluzioni nell'uso pratico e non sempre può essere risolto sicuramente, dovendolo commisurare allo stato del paziente e alle necessità tecniche. Il fatto stesso della persistente ricerca di sempre nuovi anestetici prova questa difficoltà che costituisce uno dei problemi fondamentali della chirurgia; poiché purtroppo non possediamo ancora un anestetico e un metodo di anestesia che valgano per ogni caso e siano accettati da tutti.
L'anestesia si può ottenere su tutto l'organismo, per lo più per inalazione di vapori che tolgono, oltre che la sensibilità, anche la coscienza, o per iniezione di forti stupefacenti (anestesia generale o narcosi); si può ottenere invece parziale, togliendo in genere solo la sensazione dolorifica in un punto limitato, in una regione o in una parte del corpo (anestesia locale e regionale, spinale, epidurale, paravertebrale, ecc.).
Storia. - Il desiderio e la necessità di togliere o diminuire il dolore si possono dire nati con l'uomo (divinum opus est sedare dolorem - Ippocrate), e s'intende specialmente nelle ferite e nelle operazioni. Gli antichi vantarono la mandragora, che veniva per lo più usata col vino (Dioscoride, Apuleio) aggiungendovi così l'azione dell'alcool. Celebre è pure la pietra di Menfi su cui sembra si versassero degli acidi (svolgimento di anidride carbonica?); ma che, secondo altri (Plinio) veniva usata per dete minare analgesia locale; in Oriente è assai antico l'uso della cannabis indica. La spongia somnifera in uso nel Medioevo e di cui parla Teodorico figlio di Ugone da Lucca, era preparata facendola bollire con varî succhi, specialmente mandragora, giusquiamo, oppio, cicuta, pare anche solano, lattuga, ecc.; veniva poi seccata e per usarla s'immergeva nell'acqua calda e si poneva sulla faccia del paziente che ne inalava i vapori. Assai usate erano anche le frizioni eseguite con le stesse sostanze. Più spesso si adoperavano in pozioni. Il Boccaccio nella novella 10ª della IV giornata del Decamerone ci narra di quel giovane, amante della moglie di maestro Mazzeo della Montagna, che, preso da grandissima sete, si bevve tutta "una guastada di "acqua che messer Mazzeo aveva preparata per un malato cui "doveva cavare un osso fracido da una gamba" e l'aveva stillata in modo che "l'avesse bevendola tanto a far dormire, quanto esso avvisava di doverlo poter penare a curare".
Si attribuisce a Paracelso il suggerimento di usare a preferenza dell'oppio una sostanza che Binz suppone fosse etere solforico; la scoperta di questo viene generalmente attribuita a Valerius Cordus (1515-1544); ma rimase senza applicazione sino al 1795, epoca in cui Pearson pare lo usasse allo stato di vapore per alleviare i dolori nei tubercolosi polmonari, e così Beddoes; Humphry Davy nel 1798 nel corso di esperienze con l'ossido nitroso ne ottenne vantaggio in un forte mal di denti e lo consigliò perciò ai chirurghi; ma questi non lo seguirono. Cosî Faraday e Thompson già nel 1818 riconobbero le proprietà anestetiche dell'etere; ma solo nel 1842 Long lo usò, pare per primo, per asportare un tumore cistico della nuca e successivamente in altre piccole operazioni. Jackson (1846) lo preparò allo stato di purezza e lo consigliò per uso chirurgico. Morton lo usò per l'estrazione di denti, ma rimase spaventato dal prolungarsi dello stato d'incoscienza del paziente; pare del resto avesse fatto anche prima qualche applicazione, sempre per l'estrazione di denti, donde le dispute storiche fra Morton e Jackson per la priorità. Warren l'usò per primo a Boston in un tumore del collo e Pancoast a Philadelphia.
In Europa Simpson per primo nel 1847 usò l'etere ad Edimburgo in una versione fetale, e alla fine dello stesso anno adoperò il cloroformio. Anche questo era già noto da tempo; essendo stato ottenuto allo stato impuro da Thompson nel 1820, poi studiato e preparato più esattamente da Guthrie, Liebig e Soubeiron. Waldie, chimico a Edimburgo, lo suggerì a Simpson.
In Italia pare che le prime eterizzazioni siano state fatte a Torino pure nel 1847 da Riberi e da Pertusio, e poi da Porta a Pavia.
L'ossido nitroso o protossido di azoto, su cui fece le prime osservazioni Humphry Davy, era noto come produttore di euforia se inalato (gas esilarante), ma era temuto come tossico. Wells, dentista in Hartford (Conn.), lo usò prima su sé stesso per l'estrazione di un dente, e poi su numerosi pazienti, ma non incontrò favore, finché Colton (1863-67) riportò una numerosa casistica e lo fece entrare nella pratica. Andrews nel 1868 propose di mescolarvi l'ossigeno per evitare i fenomeni asfittici e in questo modo è stato poi sempre usato. A scopo anestetico oltre il protossido di azoto sono stati poi adoperati anche altri gas, che saranno accennati in seguito.
Per l'anestesia locale la nozione più antica è stata quella di poter ottenere la diminuzione della sensibilità in una parte del corpo con la pressione sul nervo, che vi si distribuisce. Si tentò di applicarla in chirurgia con la legatura stretta, per esempio di un dito; ma da sola vale poco, poiché occorrerebbe stringere tanto da ledere il nervo, altrimenti si ha arresto di circolo e parestesie, ma non analgesia; e in quel caso l'anestesia si può pagare a troppo caro prezzo (paresi o paralisi talora persistenti, disturbi nutritivi).
Il freddo è stato pure largamente usato. Marco Aurelio Severino pare lo adoperasse abitualmente, come afferma il Bartolini: Nix affricata inducit stuporem. Id me docuit M. A. Severinus in gymnasio neapolitano olim praeceptor meus.
Larrey notò l'insensibilità nell'amputazione di arti per congelazioni nella campagna di Russia.
Arnott (1848) usò ghiaccio e sale, Richet (1854) etere applicato sulla pelle, che poi si usò nel modo migliore con un polverizzatore (Richardson, 1860), determinando il raffreddamento della parte e l'insensibilità delle terminazioni nervose. Si preferisce oggi, a questo scopo, il cosiddetto cloruro di etile, come vedremo.
Si tentò anche di usare l'acido carbonico, o varî anestetici generali cercando di farli assorbire attraverso la pelle o le mucose, anche correnti elettriche, cataforesi, ecc. Questi mezzi valgono però solo per un'anestesia superficiale (quasi esclusivamente della pelle).
Dopo che Word di Edimburgo (1853) ebbe ideato le iniezioni ipodermiche, venne adoperata specialmente la morfina per ottenere un'anestesia locale; ma l'azione era invece soporifera generale.
La prima sostanza che realmente aprì la via all'analgesia locale fu la cocaina. Già nel 1862 Mareno e Mais avevano notato che le foglie di coca masticate con potassa davano insensibilità alle labbra e alla lingua; ma solo nel 1884 Koller, ricavata che ebbe la cocaina, la introdusse nell'uso chirurgico. Einhorn ne precisò la composizione: si poté poi ottenere sinteticamente, aprendo così la via alla ricerca e all'applicazione di numerose altre sostanze, con spiccata azione anestetica locale.
Anestesia generale. - Si ottiene d'ordinario per inalazione di sostanze cosiddette anestetiche, liquide o gassose; anche le prime in genere agiscono pei loro vapori. Le più note e usate di queste sono l'etere e il cloroformio; delle seconde il protossido di azoto, ma recentemente si sono usati anche il cloruro d'etile (kelene), il bromoetile, l'etilene, l'acetilene, ecc. Vengono adoperati anche miscele degli anestetici liquidi fra loro (etere e cloroformio) o con altre sostanze: alcool (1), etere (1) e cloroformio (3) (miscela di Billroth) o etere di petrolio (15), cloroformio (45), etere (150) (miscela di Schleich); per gli anestetici gassosi quasi sempre miscele specialmente con ossigeno (protossido di azoto, etilene, acetilene), talora con etere, anidride carbonica ecc.
Tutti gli anestetici somministrati per inalazione agiscono sui centri nervosi; e più precisamente, dopo un primo periodo di eccitazione, si ha diminuzione e poi abolizione della sensibilità, ottundimento della coscienza e risoluzione muscolare più o meno completa; cioè l'azione si esercita sui centri sensitivi e motori cerebrali e sull'attività intellettuale; in uno stadio ulteriore anche sul midollo spinale e infine sul bulbo, determinando allora disturbi circolatorî e respiratorî che possono anche portare alla morte (per paralisi cardiaca o per asfissia).
Occorre pertanto dopo le prime inalazioni sorvegliare attentamente il soggetto, specie dopo il periodo di eccitazione, poiché si tratta di mantenerlo in quello stadio in cui la sensibilità è soppressa, ma non oltrepassarlo.
Tutte le ricerche dimostrano specialmente per il cloroformio un'azione deprimente sulla pressione sanguigna, che può dar disturbi per lo scarso afflusso di sangue ai centri bulbari. Le conclusioni ben note delle due commissioni di Hyderabad e di molti altri ricercatori pongono bene in evidenza questo meccanismo di azione del cloroformio prima sulla pressione sanguigna per il centro vasomotore, poi sul centro respiratorio e infine sul cuore stesso.
L'anestesia generale comporta delle controindicazioni, alcune delle quali sono assolute, mentre altre solo relative. Fra le prime sono specialmente gli stati di shock e di collasso, le lesioni polmonari acute e riacutizzate, il diabete grave. Fra le seconde le lesioni cardiache, le renali, le polmonari croniche, le operazioni su regioni e organi in cui è facile avere fatti asfittici (cavo orale, collo, specialmente operazioni sulla laringe, sulla tiroide, ecc.).
Le opinioni su questo riguardo sono però assai varie, poiché mentre alcuni considerano ad esempio i vizî cardiaci come controindicazione formale, altri credono che, specialmente se compensati, possono invece permettere la narcosi generale, mentre potrebbe essere più pericolosa l'anestesia spinale o anche locale per l'abbassamento di pressione che accompagna la prima e il trauma psichico o le azioni riflesse che possono aversi nella seconda, specie se incompleta.
La miocardite invece e l'arteriosclerosi diffusa sono assai più da temere. Negli alcoolisti occorre usare assai cautamente l'anestesia generale. Le lesioni broncopolmonari controindicano specialmente l'uso dell'etere, mentre è preferibile e meno dannoso il cloroformio, come pure nelle affezioni del sistema nervoso, specialmente negl'interventi sul cervello e per le operazioni sul naso e sulla bocca per l'intensa salivazione che produce l'etere. Viceversa nelle lesioni renali è da evitarsi soprattutto il cloroformio, che anche in individui sani può dare albuminuria e anche cilindruria, in genere transitorie. L'etere è meno dannoso; e meno ancora il protossido di azoto e l'etilene specialmente con ossigeno, vantato da alcuni specialmente nelle affezioni del sistema urinario (Papin). Così pel fegato, specie se a funzione alterata, il cloroformio e, benché in grado minore, anche l'etere, possono essere assai dannosi, e quindi controindicati.
Circa le modalità dell'anestesia, senza entrare in troppi particolari tecnici, che variano secondo l'anestetico usato, accenneremo solo a quelle più importanti. Assai utile può essere preparare il malato all'anestesia con somministrazione preventiva di calmanti, o per bocca (veronal, cloralio, bromuri, morfina, eroina, pantopon, ecc.) o per clisteri (veronal, sulfonal, bromuri) o meglio per iniezioni ipodermiche (morfina, morfina e atropina, morfina e scopolamina, pantopon, eroina, sedasolo, ecc.).
Nelle narcosi generali occorre che l'anestetizzatore, oltre all'apparecchio, di cui il più semplice per il cloroformio è la maschera di Esmarch da inalazione e la bottiglia in genere a contagocce contenente l'anestetico, della cui purezza si avrà cura di assicurarsi, sia provvisto di apribocca, di pinza tira lingua, di una pinza e tamponi per nettare la bocca e la retrobocca, di siringa da iniezioni e fialette di soluzioni eccitanti (etere, canfora, caffeina, adrenalina, ecc.).
È anche assai utile la cannula bucco-faringea di Mayo.
Il malato deve essere digiuno, e non aver neppure bevuto almeno da quattro o cinque ore. Occorre assicurarsi che non ha dentiera o denti mobili, tenere il collo e il petto liberi da ogni impedimento per la respirazione. La posizione ordinaria è il decubito dorsale; si può anche per necessità operatoria somministrare l'anestetico in altre posizioni, ma occorre allora raddoppiare d'attenzione.
La somministrazione dell'anestetico può farsi col metodo a goccia, specialmente utile per il cloroformio; o in quantità maggiore a periodi con intermittenze, o a dosi massime sul principio per continuare poi con piccole quantità; ciò specialmente per l'etere e per il cloruro d'etile. Si possono anche usare utilmente apparecchi speciali, in cui viene mescolato ossigeno al cloroformio o all'etere; i più noti sono quello di Ombredanne e quello di Junker. Coll'etere si ha spesso in principio un senso di soffocazione, talora accessi violenti di tosse (irritazione della mucosa bronchiale), e quasi sempre secrezione abbondante di saliva e di muco, donde la necessità di detergere spesso la retrobocca.
Occorre sempre durante la narcosi sorvegliare attentamente la respirazione e il polso, meglio con apparecchi che registrino la pressione (Riva-Rocci, Pachon), tener conto dello stato dei riflessi, specialmente di quello palpebrale e corneale e della reazione pupillare, del colorito del volto e delle mucose, abbassare e spingere avanti la mascella inferiore e far trazione sulla lingua per evitare la caduta indietro dell'epiglottide e la conseguente difficoltà inspiratoria, tener sgombre da muco e in genere da liquidi le fauci; si può per questo usare utilmente un aspiratore azionato da un motore elettrico.
In genere si ha all'inizio un periodo di eccitazione; a diminuirlo appunto serve l'uso preventivo di sostanze calmanti o ipnotiche già accennate, che per alcuni hanno anche valore per diminuire la quantità necessaria di anestetico. In questo primo periodo occorre badare, soprattutto all'inizio, ad azioni riflesse, che possono anche determinare arresti bruschi di respiro e specialmente di cuore che hanno talora causato anche la morte. Grande importanza avrebbe la mucosa nasale come punto di partenza di questi riflessi, donde la regola di chiudere il naso alle prime inalazioni, o cocainizzare le mucose nasali prima dell'anestesia (Gerster).
Dal periodo di eccitazione, che può durare più o meno a lungo (specialmente si prolunga negl'individui nervosi e negli alcoolisti) si passa a quello d'incoscienza, cui segue rapidamente la perdita della sensibilità e la risoluzione muscolare. Occorre mantenere il paziente in questa fase, senza farlo risvegliare per non turbare l'esecuzione dell'operazione e non render poi necessarie quantità maggiori di anestetico, e soprattutto senza spingere la narcosi al limite che può diventare pericoloso per intossicazione dei centri bulbari, donde arresto del cuore e del respiro.
Durante la narcosi può essere anche nocivo e pericoloso il vomito, che in genere si produce quando la narcosi non è completa; è necessario volgere il capo del paziente e nettare bene la cavità orale e la retrobocca per la libertà di respiro e per evitare che il liquido penetri nelle vie aeree determinando poi facilmente complicazioni polmonari (ab ingestis).
Un metodo d'inalazione degli anestetici generali, usato specialmente per l'etere, è di portarlo direttamente nell'albero respiratorio attraverso una cannula da tracheotomia, o meglio per intubazione intratracheale (Meltzer-Auer). Se si unisce ossigeno si può ottenere facilmente la narcosi; che viene quasi automaticamente regolata per la maggiore o minore frequenza degli atti respiratorî. Venne usata soprattutto per le operazioni intratoraciche, potendosi mantenere con l'insufflazione attraverso il tubo tracheale il polmone disteso, senza ricorrere a camere a ipopressione; ma è anche usato per narcosi in genere per qualunque operazione. Un aspiratore, che viene introdotto nel cavo orale e nelle fauci, toglie automaticamente il muco e la saliva che tendono a raccogliersi nella retrobocca.
I casi di morte che sono stati osservati specialmente frequenti per il cloroformio, meno per l'etere e ancor più raramente per il protossido di azoto e per gli altri narcotici sopra accennati, si hanno o per asfissia o per paralisi cardiaca.
A combatterli, oltre le iniezioni eccitanti, le pressioni ritmiche sul torace, e sulla regione cardiaca, le trazioni ritmiche sulla lingua, sono da usare per i casi di paralisi respiratorie la respirazione artificiale, assicurandosi che l'aria passi liberamente (propulsione della mandibola, trazione sulla lingua, pulizia, eventualmente aspirazione del muco nella retrobocca, se necessario tracheotomia) e l'elettrizzazione del frenico; per quelli di paralisi cardiaca, oltre la respirazione artificiale, le fustigazioni sulla regione cardiaca, e le iniezioni eccitanti, anche intracardiache. Specialmente utile si è dimostrata l'adrenalina, per mezzo della quale sono stati recentemente riferiti varî casi di reviviscenza. Non bisogna tardare troppo a ricorrere a questo mezzo; al massimo 5′-6′, eccezionalmente di più; dieci minuti dopo la cessazione dei battiti cardiaci non si può più sperare di richiamare in vita l'individuo, poiché i centri nervosi non sopportano un'anemia prolungata. Si sono usate iniezioni intracardiache di olio canforato, caffeina, strofantina, ma è preferibile l'adrenalina, da ¼ di mmgr. ad un mmgr.; anche due iniezioni; queste si fanno in genere nel quarto spazio intercostale, o anche al terzo, sul margine sinistro dello sterno.
Si è ricorso anche al massaggio diretto del cuore attraverso il pericardio, o con un'incisione sul 3° o 4° spazio intercostale sinistro, scollamento del pericardio, compressioni ritmiche su di esso (Bost raccomanda un'incisione sotto il processo ensiforme dello sterno un po' a sinistra della linea mediana); oppure, specialmente nel caso di operazioni addominali, in cui è più agevole con la mano giungere al pericardio attraverso il diaframma, giungendo per questa via alla base del cuore. Ma occorre sempre far presto, quattro, cinque minuti al massimo dall'arresto del cuore.
Nei disturbi gravi respiratorî, che talora seguono alla narcosi, si è mostrata assai utile la lobelina per iniezioni endovenose.
La frequenza delle morti è data dalle statistiche in queste proporzioni per i varî anestetici: per il cloroformio un caso su 2500 anestesie; per l'etere, uno su 16.000; per il protossido di azoto uno su 200.000. Ancora più raramente si hanno per il cloruro d'etile, per l'etilene, ecc. Ma oltre alle morti immediate, per le quali è assai difficile stabilire l'esattezza dei dati statistici, per il fatto che i casi infausti raramente sono pubblicati, e quindi si deve presumere una frequenza maggiore di quella desunta dai casi noti, dobbiamo ricordare anche i disturbi e le alterazioni post-anestetiche, che talora possono anche determinare l'esito infausto (morti tardive). Anche per queste il pericolo maggiore è nel cloroformio, specialmente per lesioni del fegato (talora simili all'atrofia giallo-acuta), dei reni e del cuore; ma anche l'etere, benché più raramente, è capace di determinare lesioni anche gravi del fegato o dei reni, e specialmente può riuscire dannoso pei fatti irritativi bronchiali o broncopolmonari.
Oltre le lesioni del fegato, cuore e reni (in genere degenerazione grassa), lesioni che talora all'autopsia non sono state riscontrate, occorre ricordare gli stati timici (Paltauf); nello stato timico-linfatico Eppinger e Hess trovano un'insufficienza della produzione di surrenina, altri iperproduzione della secrezione timica, antagonista della surrenale. Da ricerche sperimentali di Bajocchi vi sarebbe alterazione degli elementi cromaffini con ostacolo alla secrezione della soprarenina, e un'effusione di lipoidi portata dalla secrezione timica, donde abbassamento della pressione sanguigna.
Una speciale importanza si è data recentemente all'acidosi (v.) post-operatoria, causa frequente di complicazioni gravi e anche di esito fatale. Ora per l'apparizione di fenomeni d'intossicazione acida dopo un intervento, uno dei fattori più importanti è l'anestesia, specialmente la narcosi generale. Soprattutto il cloroformio produce un abbassamento notevole della riserva alcalina del sangue, sempre per la sua azione tossica in genere sugli elementi cellulari e specialmente sul fegato. Anche l'etere esercita questa azione dannosa per quanto in minor grado. Scarsa azione hanno il protossido di azoto e l'etilene; quasi nulla gli anestetici locali.
Il vomito spesso insistente, e che può dare, specie nelle operazioni addominali, gravi disturbi dopo le narcosi generali soprattutto col cloroformio, è da riferire spesso allo stato di acidosi.
Si comprende da quanto si è sinora riassunto come lunghe controversie si siano svolte fra sostenitori del cloroformio e dell'etere; questo parve avere la preferenza, e anche oggi è da molti largamente usato. Ma con l'estendersi del campo dell'anestesia locale e regionale, con l'introduzione dell'anestesia degli splancnici e coi vantaggi riconosciuti dall'uso di gas molto meno pericolosi, si è entrati in un nuovo indirizzo, che è della massima importanza, benché da molti, e specie in Italia, non ancora completamente accettato.
Il protossido di azoto od ossido nitroso o, come lo chiamano in America dove è largamente usato, semplicemente gas, non è in Italia per ora adoperato per la difficoltà di provvedersene e per la complicazione degli apparecchi di somministrazione. Questi però sono stati sempre più semplificati (quello di Desmarest non è difficile a maneggiare) e col progresso delle industrie anche il rifornimento diverrà più agevole. Certamente è preferibile al cloroformio e anche all'etere, perché assai meno pericoloso, specialmente se somministrato insieme con l'ossigeno; non abbassa la pressione, anzi è piuttosto ipertensivo; il risveglio è assai rapido. Non dà, è vero, risoluzione completa, quindi è meno adatto per le operazioni addominali; ma è sufficiente unirvi un po' di etere per ottenerla. Occorre specialmente tener d'occhio la cianosi, per esempio delle orecchie, e regolare così l'afflusso maggiore o minore di ossigeno.
Il bromuro di etile e il cloruro d'etile sono in genere usati per interventi di breve durata: l'anestesia si ottiene molto rapidamente, sia adoperando dosi massive, sia, meglio, dirigendo un getto continuo del liquido su una compressa posta sulle narici del paziente. Ma si possono usare anche per narcosi prolungate, da alcuni in associazione col cloroformio o con l'etere.
L'etilene invece è oggi assai largamente usato, specialmente in America e va sempre più estendendosi, presentando vantaggi anche sul protossido di azoto. Il potere anestetico dell'etilene fu studiato da Lussem (1895), ma solo nei primi del 1923 il gas fu introdotto nell'uso come anestetico dal Luckhardt, e si diffuse negli Stati Uniti e nel Canadà e poi in Francia; in Italia lo ha introdotto recentemente l'Alessandri, e con ottimi risultati. È, come abbiam detto, preferibile al protossido di azoto perché come questo del tutto innocuo per gli organi, dà anestesia rapida, con minori contratture e spasmi, e con maggior rilasciamento muscolare, e senza l'inconveniente del protossido, che cioè dopo un po' di tempo nella maschera è contenuto quasi soltanto acido carbonico, il quale secondo alcuni è il fattore principale dell'anestesia, e determina anzi la cianosi che occorre sorvegliare attentamente.
Nella narcosi con l'etilene, pur trovandosi nel sacco unito alla maschera ove va l'aria espirata, una certa quantità di acido carbonico, questo è sempre scarso e la narcosi è data essenzialmente dall'etilene. Il risveglio avviene rapidamente; la miscela si fa in genere con 90% di etilene e 10% di ossigeno; l'apparecchio di somministrazione e la maschera sono assai simili a quelli usati pel protossido, con due tubi, uno per l'ossigeno l'altro per l'etilene.
Lundy, specie nei bambini, preferisce l'uso della narcosi con etilene 85% e ossigeno 15, coll'apparecchio di Gwathmey. Con protossido di azoto e ossigeno si ha poco rilasciamento muscolare. La quantità necessaria di gas è di circa 20 litri per una durata di anestesia di mezz'ora, 40 per un'ora.
L'inizio dell'anestesia è rapido, pressoché come col protossido di azoto, ma il colore del paziente rimane buono, e così resta per tutta l'anestesia, a differenza di quello che si ha con protossido di azoto e ossigeno: così manca il sudore, che è frequente nella narcosi con l'etere e anche in parte col protossido.
Le nausee e i vomiti sono rari e lievi durante la narcosi e specialmente dopo, come del resto col protossido: il vantaggio è notevole sull'etere e sul cloroformio.
Con l'etilene non si può raggiungere il completo rilasciamento muscolare come col cloroformio e anche con l'etere; ma l'azione è maggiore che col protossido. Solo in pochi casi, specialmente nella parte alta dell'addome, occorre aggiungere parecchio etere e spesso usare questo prevalentemente.
Sulla pressione sanguigna ha un'azione di innalzamento in principio, che poi diminuisce per ritornare al nomiale; non vi è abbassamento. Con questo forse è in rapporto la maggiore sanguinazione in principio, che talora può essere uno svantaggio, come per le operazioni sul cervello, nelle quali si può usare meglio l'anestesia locale. Ha invece notevole vantaggio negl'individui in stato di shock, anche per l'azione favorevole sulla riserva alcalina. Per questo punto è come il protossido, e superiore di molto al cloroformio e all'etere. Per la funzione renale è molto meno dannoso dell'etere. Così pure per le complicazioni bronco-polmonari post-operatorie che con l'etilene come col protossido sono rarissime, mentre sono frequenti con l'etere.
Un inconveniente di questi gas è l'infiammabilità e il potere esplosivo: è necessario perciò, facendone uso, badare a non adoperare nell'ambiente operatorio luce a gas o a petrolio né cauterî di alcuna specie.
L'acetilene e specialmente il narcilen (acetilene purificata) è pure stato vantato e usato perché senza pericoli. L'inizio della narcosi è un po' spiacevole, ma lo stadio della tolleranza si raggiunge in pochi minuti e il risveglio anche con esso è rapido. Non si hanno azioni postume o complicazioni. Anche qui non vi è completo rilasciamento, e quindi è anch'esso poco indicato per la chirurgia addominale; ma è ottimo nelle altre operazioni e specialmente nei deboli e negli stati di shock.
L'anestesia generale si può ottenere anche per via rettale; si è usato talora anche il cloroformio, ma è di gran lunga preferibile l'etere. Vantata da alcuni, è ritenuta pericolosa e dannosa dai più.
Fu usata dapprima da Pirogoff, adoperando etere puro o vapori; così si è dimostrata assai pericolosa. Sutton propose di mescolare l'etere all'olio, e in questo modo è in genere ben tollerata. Gwathmey ne perfezionò l'uso. Robineau la vanta e l'usa abitualmente specie per le operazioni sulla faccia, collo e cranio e la preferisce a quella per intubazione intratracheale. Non vi è l'ingombro della maschera e l'operatore è libero nelle sue manovre. La miscela è somministrata per clistere e può incaricarsene un infermiere. Occorre prima purgare il paziente e vuotar bene il colon con clisteri; iniezione di morfina preventiva; si mescolano 60-65 cmnc. di olio con 120-130 cmc. di etere, e s'iniettano con una sonda nel retto. Bisogna aspettare un po', ma è assai utile nelle operazioni lunghe, in cui può secondo il bisogno aggiungersi anche altra miscela. Talora non si ha risoluzione completa e si può aggiungere una piccola quantità di etere o di cloroformio per inalazione. Non è indicata nelle operazioni sull'intestino, specialmente sul colon e sul fegato; così pure non è da usare nei bambini e nei vecchi e nelle operazioni brevi. In Italia l'ha usata abbastanza largamente il Palazzo.
Jacord ritiene pericolosa la miscela adoperata dagli Americani (198 gr. di etere e 42 di olio d'olivo) e usa l'istillazione lenta (15′) di 30-50 cmc. di etere in 115 cmc. di olio d'olivo e 5 di ofio canforato 1%. Ma talora sono state osservate coliti anche con ulcerazioni; in un caso si è avuta torsione dell'ileo riferita all'eccessiva peristalsi, nonché fatti di stasi e di necrosi nel colon (Zanka).
Ricerche sperimentali (Smirnoff, Valdoni) mostrano che è pericolosa solo ad alte dosi; mantenendosi alla media di ½ gr. per ogni 2 kg. o per ogni 2 kg. e ½ di peso non vi sono disturbi; specialmente le alterazioni sul fegato non si osservano. Ad ogni modo le indicazioni ne sono limitate.
Recentemente, specialmente da chirurghi tedeschi, è stata usata largamente la narcosi rettale con una nuova sostanza, l'alcool tribromoetilico, noto anche in commercio col nome di avertin ovvero E. 107.
Occorre non superare le dosi di 0,15 per kg. di peso, ed è anche meglio cominciare ad introdurre una soluzione di 0,1 per kg., e solo quando non si ottiene la narcosi sufficiente aggiungere ancora 0,025, ripetendola se necessario. È bene preparare il malato dalla sera antecedente con 50 o 75 cg. di veronal, e un'ora prima dell'operazione iniettare 2 cg. di pantopon.
Se non si ha una risoluzione completa si posson dare per inalazione piccole quantità di cloruro d'etile o di etere, non di cloroformio.
L'unico inconveniente pare sia la possibile rettite, secondo alcuni abbastanza frequente. Si può ovviare usando invece della soluzione acquosa della sostanza, la soluzione in mucillagine di salep 1%. Ma alcuni chirurghi hanno riportato inconvenienti gravi, e in certi casi, anche fatali (Sauerbruch).
Si sono introdotti il cloroformio e l'etere anche direttamente in circolo per iniezioni endovenose, ottenendo anestesia generale. Il metodo usato da Burckhardt ed anche da Bier, in Italia studiato da Giani, consiste nell'iniettare nelle vene una soluzione fisiologica satura di cloroformio a temperatura uguale a quella del corpo. L'iniezione va fatta lentamente sospendendo l'introduzione secondo il grado di anestesia e regolandosi sul riflesso corneale. Il metodo ha però dato luogo a inconvenienti ed è stato abbandonato.
Si è usato invece l'etere ed il Burckhardt stesso ne ha riferito recentemente numerosi casi. L'etere viene mescolato alla soluzione fisiologica o normosal. I vantaggi consistono nell'inizio tranquillo della narcosi con mancanza quasi costante del periodo di eccitazione, la facilità del dosaggio, minime azioni postume; utilità dell'infusione salina specialmente negli stati di shock in traumatizzati gravi o in malati in cui è indicata la trasfusione.
Si è usata anche utilmente la combinazione isopral-etere; non si devono superare i 200 cmc. di una soluzione 1,50% di isopral. Le controindicazioni sono date dalla degenerazione del miocardio, da arteriosclerosi grave, dall'ittero, pletora e insufficienza renale.
Secondo la tecnica consigliata da Döderlein si devono tener pronti 2000 cmc. di soluzione di etere al 5%, 500 di soluzione di isopral 1½% e 1000 di soluzione salina normale. S'inizia la narcosi con 30-50 cmc. della soluzione di isopral al minuto; con 80-120 cmc. si raggiunge la tolleranza; poi etere; alla fine lavaggio con soluzione fisiologica.
Anche l'edonal è stato usato per iniezioni endovenose; ma specialmente si è adoperato abbastanza largamente il somnifen, che appartiene alla serie degl'ipnotici ureici (derivati dalla malonilurea): fu usato prima come analgesico nel parto (Cleitz e M.lle Perlis) per iniezioni intravenose; poi anche in chirurgia da G. e D. Bardet prima per iniezioni intramuscolari e poi per via endovenosa dalla stessa Perlis e specialmente da Frédet. Si usano da 6 a 12 cmc., in genere bastano 8; provoca il sonno e sopprime la coscienza, ma non abolisce i riflessi e la difesa muscolare; perciò si fa precedere da un'iniezione di morfina o scopolamina-morfina, o si aggiunge l'inalazione di piccole quantità di etere o di cloroformio.
Sono state anche per un certo tempo in favore anestesie ottenute con narcotici introdotti per semplice iniezione sottocutanea, in genere miscugli d'ipnotici con cardiocinetici. I più noti e usati sono i preparati di scopolamina e morfina o joscina e morfina; il cosiddetto liquido di Abbotto H. M. C., cioè joscina, morfina e cactoid adoperato in tre iniezioni successive, dà in genere insensibilità completa; ma si ha una rarità di respiro impressionante e talora persistenza a lungo dell'incoscienza; sono stati riferiti anche casi di morte. E perciò oggi pressoché abbandonato, o lo si usa, come abbiamo già accennato, come una sola iniezione preventiva allo scopo di diminuire di molto la quantità di cloroformio o di etere necessarî per ottenere anestesia e risoluzione muscolare completa.
Simili sono le analgesie che alcuni autori vantano (Gwathmey, Tyler, ecc.) ottenute per mezzo d'iniezioni sottocutanee di morfina sciolta in soluzione di solfato di magnesia chimicamente puro (soluzione 25% 30-50 cmc. in 300-500 di acqua sterile), ripetuta tre volte a distanza di mezze ore. Non si sa se il magnesio mantiene la morfina in più lungo contatto coi tessuti nervosi (Gwathmey), o se è aumentato l'assorbimento della morfina, o impedita la sua ossidazione (Rector); certo è sufficiente una minor quantità di etere per avere l'anestesia.
I vantaggi sono la mancanza o abbreviazione del periodo di eccitazione, minor uso di narcotico, nessun pericolo di shock, diminuzione dei dolori post-operatorî; però le iniezioni sono molto dolorose. Per operazioni in genere brevi servono anche per iniezione generale soluzioni ottenute pure con ipnotici varî, come il pannevrol del Molteni e il mass dello Zambelletti, o da soli o con poche gocce di anestetico da inalazione.
Anestesia regionale e locale. - La tendenza moderna è quella di limitare possibilmente l'analgesia alla regione da operare, senza agire sui centri bulbari e senza togliere la coscienza, riducendo così di molto i pericoli dell'intossicazione immediata e dei postumi già accennati per i narcotici generali.
I metodi per ottenere anestesie di questo genere, oltre quello di pennellare o cospargere la soluzione anestetica sulle superficie su cui si deve agire (quasi esclusivamente mucose o superficie cruente), si possono ridurre a quello d'infiltrazione (anestesia locale propriamente detta) e a quello per conduzione, facendo agire la soluzione anestetica sui nervi che si distribuiscono a una data parte o regione del corpo.
Appartiene a questo tipo anche l'anestesia spinale o rachianestesia; essa si ottiene introducendo delle soluzioni anestetiche nello spazio aracnoideo che, venendo in contatto con le radici spinali, che nello spazio intradurale sono prive di guaine, determinano l'anestesia e poi la paralisi di moto di tutta la porzione del corpo sotto il livello d'iniezione e spesso anche più in alto, esercitandosi l'azione anestetica per diffusione della sostanza nel liquido cerebro-spinale anche per un certo tratto superiore. I centri cerebrali restano integri, quindi la coscienza è conservata. L'anestesia dura da mezz'ora a due ore e permette così l'esecuzione di operazioni anche complesse.
Corning nel 1885 fu il primo a iniettare soluzioni di cocaina fra le apofisi spinose delle vertebre (fino nel canale rachideo?) e usare dell'anestesia così ottenuta a scopo chirurgico. Bier (1889), seguendo il metodo di Quincke della puntura lombare, la usò e diffuse, ignorando l'esperienza precedente. In Italia i primi ad adoperarla sono stati Schiassi e Durante.
Dapprima s'iniettò soluzione di cocaina, ma per l'alto potere tossico di questa fu presto abbandonata, e si adoperarono successivamente la stovaina semplice o acidificata (Alessandri), la tropococaina, con o senza surrenina o adrenalina, la novocaina o miscele di queste sostanze, e più recentemente la tutocaina, che ha dato finora i migliori risultati. Si usano lunghi aghi da puntura lombare, preferibilmente con stiletto, e la puntura si fa in genere al 4° spazio lombare, talora più in alto, sulla linea mediana, o di fianco alla apofisi spinosa, assicurandosi della penetrazione nello spazio sottodurale con la fuoriuscita del liquido cefalo-rachidiano.
Alla rachianestesia si attribuirono varî inconvenienti, tanto che da molti chirurghi è stata abbandonata o non mai usata. Si dice che l'azione anestetica spesso manca o è insufficiente: questo può dipendere da errori di tecnica nell'iniezione, talora da alcalinità del liquido (perciò si usarono soluzioni acidificate, utili specialmente per la stovaina); ma talora non è spiegabile, e si parla d'idiosincrasie individuali. Questi casi però con le sostanze recentemente più in uso sono rari.
Inconvenienti immediati possono essere: senso di malessere, con abbassamento della pressione, che si ha in genere subito (1-3 minuti) dopo l'iniezione, e in genere è massima dopo 15-20′ (König) sino al collasso; gradi leggieri sono assai frequenti e possono evitarsi o diminuirsi con l'iniezione immediatamente prima o subito dopo la rachipuntura di caffeina o altri cardiocinetici; alcuni la iniettano insieme con la soluzione anestetica nello spazio rachideo: l'iniezione sottocutanea può ripetersi. Casi gravi di collasso sono rari, ma ne sono riferiti anche di mortali. Casi mortali sono riferiti con varie percentuali da singoli autori; ma non sorpassando la dose prescritta, specie con le sostanze recentemente usate, sono assai rari. Si consiglia ad ogni modo di non praticarla quando la pressione sanguigna è bassa, e nei giovani sotto i 18 anni. Controindicazioni sono anche le malattie del sistema nervoso e gli stati infettivi generali. È bene non usarla negl'isterici e neuropatici. Il vomito che si ha frequentemente durante l'anestesia e che può essere noioso, specie nelle operazioni addominali, appartiene alla stessa causa.
I vomiti successivi sono invece assai rari. Ma si osservano relativamente spesso cefalalgie talora ostinate (o da ipertensione o da ipotensione), rachialgie, elevazioni di temperatura il giorno della puntura, talora paralisi dei muscoli oculari (per lo più il retto esterno di un lato: strabismo); tutti i disturbi sono però transitorî.
Un inconveniente più notevole, verificato specialmente quando si usavano dosi elevate, specialmente di stovaina e novocaina, era la ritenzione di urina; più raramente disturbi nella defecazione, o anestesie a sella, o formazione di piaghe da decubito.
La ritenzione di urina, usando dosi non alte, non è frequente, specialmente attendendo ventiquattro ore prima di siringare gli operati. È spesso efficace un'iniezione endovenosa di urotropina (è bene adoperarne abitualmente 2 gr.; 5 cmc. di soluzione al 40%), trovata casualmente da Vogt e confermata da altri, che agisce forse per inibizione del simpatico o per eccitazione del parasimpatico: secondo alcuni è utile anche l'acetato di calcio, il cloruro di calcio. È stata usata anche l'istillazione in vescica di 20 cmc. di soluzione boro-glicerica 2% (Bösch) o l'iniezione di soluzione di solfato di magnesio 25% (Voitoschevsky) o l'iniezione intramuscolare di pituitrina. Lampert ha usato l'iniezione intramuscolare di 1 cmc. di soluzione di idroclorato di pilocarpina 1% e recentemente Goldmann ha confermato il successo, spiegandolo con un'azione deprimente del sistema simpatico ed eccitante del parasimpatico.
L'iniezione si fa in genere nel tratto lombare e si può così ottenere l'anestesia in tutta la metà inferiore del corpo, utilizzandola per operazioni specialmente sul perineo, sul retto, sugli organi genitali maschili e femminili, sugli organi urinarî inferiori, sugli arti inferiori. Ma si possono ben praticare con l'anestesia spinale anche operazioni addominali, ernie, appendiciti, operazioni ginecologiche, sull'intestino tenue e crasso e anche sullo stomaco, sul fegato, sulla milza e sui reni, sia praticando la puntura più in alto (prime lombari o ultime dorsali), sia ottenendo (sempre con la puntura bassa) di far risalire il livello dell'anestesia, con varî artifici, o mettendo l'ammalato in posizione di Trendelenburg, che non è dunque controindicata come alcuni vorrebbero, o facendo uscire molto liquido cefalo-rachidiano (Le Filliatre) e iniettando rapidamente l'anestetico, o infine rimescolando più volte il liquido nella siringa, riaspirandolo dopo averlo iniettato, in modo da mescolarlo molto col liquido cefalo-rachidiano.
Jonnesco ha vantato ed usato l'anestesia spinale a qualunque livello, anche nella colonna cervicale, ottenendo la rachianestesia generale, senza pericolo di paralisi bulbari, aggiungendo prima stricnina (2 mmg.), poi anche caffeina (25 cg.) e poi solo la caffeina a dose doppia (50 cg.), e non praticando la puntura più in alto della 7ª cervicale. Benché egli affermi di non aver mai avuto inconvenienti, la più parte dei chirurghi, anche partigiani della rachianestesia, non la usano a un livello superiore alle ultime dorsali.
È certamente un ottimo mezzo, che ha le sue indicazioni precise e il cui uso può estendersi a preferenza dell'anestesia generale, ma che ha pure le sue controindicazioni e le sue limitazioni, come abbiamo sopra accennato.
L'anestesia epidurale, o sacrale, che venne usata per primo da Läwen, seguendo la via indicata da Cathelin nel 1901, e che si ottiene introducendo attraverso il forame sacrale liquido anestetico nello speco vertebrale, che va fra le ossa e la dura, bagnando le ultime radici spinali (cauda), ha il vantaggio di non agire sul midollo e non diffondersi troppo in alto, non determinando così le azioni depressive gli inconvenienti che, come abbiam detto, talora accompagnano e seguono l'anestesia spinale. Dà però una zona di anestesia limitata, in genere, al perineo e organi limitrofi. Alcuni, specialmente in Germania, l'hanno usata anche per operazioni a livello più alto, sui reni, sulle vie biliari, ecc.; ma occorre allora usare dosi molto forti, 60-70 cmc. di novocaina all'1½% e anche più. Con la tutocaina è oggi specialmente usata nelle operazioni sul retto e sui genitali esterni.
L'anestesia parasacrale di Braun è pure utile in simili casi; Finsterer per i cancri alti del retto vi unisce un'iniezione bilaterale di 10-15 cmc. ½% sulla faccia anteriore della 4ª lombare; non ha i pericoli della spinale e in parte della sacrale.
Anestesia locale. - L'anestesia locale propriamente detta, per infiltrazione, o per conduzione, è certo quella che offre minori pericoli, che influisce meno sulla pressione sanguigna, e che viene oggi perciò largamente usata, mentre si cerca di estenderne le applicazioni.
L'anestesia ottenuta con l'applicazione locale di refrigeranti, ghiaccio, etere, cloruro d'etile (Kelene), è adoperata solo per semplici incisioni o operazioni brevi e superficiali, ottenendosi così soltanto l'analgesia della pelle.
Sulle mucose si può istillare o pennellare una soluzione anestetica (novocaina, alipina, tutocaina); o iniettarla nell'uretra o in vescica, lasciandola agire per un certo tempo.
Per lo più si adopera, come abbiam detto, per iniezioni ipodermiche che vengono usate per infiltrare i tessuti della regione da operare, cominciando dalla pelle e dal sottocutaneo, e passando poi alle fasce e ai muscoli, e anche più profondamente al parostio e al periostio. Oltre l'iniezione della linea di incisione nei suoi varî piani, si può anche bloccare il nervo o i nervi che vanno alla regione su cui si opera, unendo cioè l'anestesia per infiltrazione a quella per conduzione. Non è possibile indicare qui la tecnica per ciascuna regione; si veda il trattato di Braun e l'ottima pubblicazione recente di Lettieri.
Le sostanze anestetiche che si adoperano sono varie: la cocaina che fu la prima usata, oggi non si adopera più; le più comuni sono la novocaina, la stovaina e la tutocaina. Le soluzioni variano da ¼ all'1%, secondo le sostanze; si adoperario talora anche soluzioni diluitissime (infiltrazione alla Schleich), anzi, secondo alcuni, le soluzioni deboli (specialmente novocaina al ½, tutocaina a ¼ e anche a 1/5) sono meglio tollerate anche in quantità assolutamente più grandi, specialmente se vi si aggiunge epinefrina o adrenalina; con queste sostanze occorre però usare grande attenzione, specialmente in alcuni interventi (gozzo esoftalmico).
Una forma speciale di anestesia per conduzione che può applicarsi negli arti è l'anestesia parziale o col metodo circolare (König) o coll'anestesia del plesso (Kulenkampff). Col metodo di König si pratica l'infiltrazione circolare, iniettando l'anestetico nel sottocutaneo tutto intorno all'arto un buon palmo sopra la regione da operare. Poi da 2 a 4 punti si pratica un'infiltrazione profonda con aghi incrociantisi fino all'ossa, cercando di evitare i vasi; dove corrono i grossi tronchi nervosi si iniettano vicino a questi 10-20 cmc. della soluzione (novocaina ½-1% e suprarenina, o tutocaina ¼%); per la gamba bastano 150-200 cmc. di soluzione; per la coscia 200-250. Attendere 10-15′.
Il metodo proposto da Kulenkampff nel 1911 consiste nell'anestesia del plesso brachiale per le operazioni sull'arto superiore. Pericoli possono essere: la puntura dell'arteria ascellare, del tutto innocua; se esce sangue dall'ago, si ritira un poco e l'orificio del vaso si chiude; la lesione della pleura, che può dare dolori e talora dispnea; un po' di morfina li fa cessare. Controindicazioni sono le malattie del plesso stesso, certi stati nervosi, processi suppurativi della regione sottoclavicolare e l'età (da escludersi nei bambini).
Per le operazioni cavitarie (cranio, torace, addome) è ben noto che è sufficiente anestetizzare le pareti; i visceri contenuti sono insensibili e sopportano in genere le manovre chirurgiche senza aggiunta di altri anestetici; nell'addome, peritoneo viscerale e organi endoaddominali, pur essendo insensibili alle punture e alle incisioni col coltello o col termo-cauterio, si rivelano dolenti spesso intensamente alle trazioni.
L'anestesia paravertebrale, secondo il metodo di Kappis-Braun, implica numerose punture bilaterali o unilaterali, che bloccano i nervi che si distribuiscono alle pareti addominali, dando anestesia più o meno estesa, a seconda degl'interventi; la tecnica non è facile, e la quantità di anestetico spesso assai forte, donde l'uso assai scarso che oggidì se ne fa in chirurgia, tanto più che per l'anestesia delle pareti addominali si possono adoperare metodi assai più semplici.
Per l'anestesia dei visceri addominali si può invece aggiungere l'infiltrazione dei meso, o iniettare il liquido direttamente sugli splancnici e sul plesso celiaco.
Per ottenere questa si può usare o il metodo posteriore (Kappis) guidandosi sul margine inferiore dell'ultima costola o sull'apofisi trasversa della prima lombare e infiggendo l'ago (lungo 10-12 cm.) sino a toccare la parte laterale del corpo delle prime lombari, e poi inclinandolo in avanti e spingendolo ancora per un centimetro, e iniettando 30-50 cmc. della soluzione (½ e 1% di novocaina, ¼, ½% di tutocaina). Oppure si può seguire la via anteriore (a parete integra) o meglio, dopo aperto il ventre (Braun), evitando il fegato, abbassando lo stomaco e guidandosi col dito sin sulla faccia anteriore della colonna vertebrale (prima lombare), spostando l'aorta, di cui si avverte la pulsazione.
Questa anestesia degli splancnici, che ebbe un periodo di grande diffusione, è oggi meno adoperata. La grande quantità di anestetico necessaria, che ha dato talora inconvenienti anche gravi, specialmente forti abbassamenti della pressione sanguigna, la difficoltà delle manovre, l'insuccesso non raro nell'ottenere l'anestesia, l'hanno resa meno frequente.
Fra le anestesie regionali dobbiamo ricordare anche l'anestesia regionale endovasale (Bier, Goyanes), benché oggi sia assai poco usata; da noi l'hanno studiata Zapelloni e Nassetti. Si può adoperare solo negli arti. Occorre però fare un'emostasi preventiva colla fascia di Esmarch: poi limitare con due legature elastiche il campo dove si deve operare (per la mano e per il piede basta una legatura). L'anestesia per via venosa (Bier 1908) si pratica cercando una vena superficiale: se per l'ischemia è difficile ritrovarla, si può scoprire con una incisione praticata sotto anestesia locale. Si inietta poi l'anestetico (novocaina al ½% o altro simile) in genere perifericamente: se vi sono valvole nelle vene che ostacolano l'introduzione, basta forzare l'iniezione. Si ottiene anestesia (diretta) nel segmento di arto compreso fra le due legature, e anche (indiretta) al di sotto di quella periferica per azione sui tronchi nervosi: la prima si produce rapidamente (dopo 2-5′), la seconda più lentamente (20′); quando questa si è prodotta, si può togliere la legatura periferica. Tolta la fascia ischemica, l'anestesia cessa assai rapidamente, e questo costituisce un inconveniente, poiché, finita l'operazione, l'emostasi e la sutura devono farsi colla fascia ischemica, o altrimenti occorre praticarle con estrema rapidità.
Goyanes (1909) ha proposto un metodo simile, iniettando l'anestetico in un'arteria e ottenendo così la sua diffusione nel tratto irrorato. È meno pratica della venosa poiché occorre mettere allo scoperto un'arteria e pungerla, mentre l'iniezione in una vena superficiale è assai più semplice e innocua. Del resto ha gli stessi inconvenienti sopra ricordati, ed è quindi assai poco usata.
B. Calcagno seguendo le esperienze di Goyanes, Oppel, Ransohoff, Nassetti, Hotz, ecc., dice che è necessario fare l'ischemia col laccio di Esmarch, altrimenti l'iniezione di anestetico nell'arteria può dare sintomi generali tossici, acceleramento del polso, del respiro, convulsioni. Se invece si impedisce il reflusso del sangue, con un laccio elastico, si può pungere l'arteria (per es. nel triangolo di Scarpa) e in 10-30′ si ha completa analgesia. L'iniezione si può anche fare retrograda nella pedidia o nella radiale; la quantità di liquido varia da 20 a 80 cmc. secondo l'estensione del campo operatorio. Si può mettere anche un laccio elastico sotto il punto da operare. Il liquido migliore da usare è la novocaina 1% in soluzione fisiologica. Controindicazione può essere il sospetto o l'esistenza di una infezione nel sito della puntura. In questo caso si può scoprire l'arteria in anestesia locale in un altro tratto, e la tecnica è del resto la stessa.
Se si vuole sintetizzare, in un campo ancora così controverso come quello dell'anestesia chirurgica, nel quale volendo mantenersi nei limiti di una breve trattazione è anche difficile farne comprendere lo stato attuale a chi non si occupa in modo specifico di chirurgia, è opportuno accentuare la tendenza prevalente oggigiorno di abbandonare o limitare al possibile le narcosi generali col cloroformio e anche coll'etere, preferendo invece i gas, specialmente il protossido di azoto e l'etilene, che non hanno azione tossica immediata, non influenzano la pressione sanguigna e non producono alterazioni postume, o estendendo il più possibile il campo delle anestesie regionali e locali.
Un campo di esperimenti assai interessanti è quello che viene indicato come anestesia sinergica, sia nel senso del Coronedi, che ha dimostrato come associando due o più sostanze analgesiche, il loro effetto può non solo sommarsi, ma scambievolmente possono influenzarsi nell'azione anestetica, in modo da raggiungere un effetto assai superiore; sia nel senso di usare successivamente due o più sostanze anestetiche, limitandone la quantità a quella sicuramente innocua.
Sono ben note le idee che Crile espresse sia dal 1910 con la teoria dell'anoci-association, che ora più brevemente chiama anociation, e che consiste essenzialmente nel principio di risparmiare al massimo la resistenza dell'organismo e specialmente del cervello e del midollo spinale allo scopo di ridurre lo shock dovuto tanto all'azione traumatica dell'atto operatorio quanto al danno psichico, legato questo specialmente all'impressione dell'operato e alle sensazioni dolorose. Appunto per determinare il minimo riflesso dannoso propose allora l'uso della narcosi col gas (protossido di azoto e ossigeno) combinato con l'anestesia locale, evitando al malato l'impressione dell'ambiente operatorio con un'iniezione preparatoria di morfina e scopolamina, poi trasportandolo nella sala operatoria dopo averlo anestetizzato nella sua stanza; ed infine anestetizzandolo ed operandolo nella sua stanza e nel suo letto, praticando l'anestesia locale, e limitando l'uso della narcosi generale coi gas (protossido di azoto o etilene) a un'azione superficiale. Queste, insieme con altre misure rivolte a proteggere la funzione del fegato (diatermia) e del cuore (digitale) e in genere la resistenza organica (lampada di quarzo, trasfusione, ecc.), costituiscono appunto quello che egli chiama anociation.
Assai utile si è ugualmente mostrata in chirurgia addominale l'anestesia locale o regionale della parete, a cui per operare sui visceri si può aggiungere, meglio che l'anestesia degli splancnici, l'infiltrazione dei meso (Finsterer) o una limitata quantità di protossido di azoto o di etilene per inalazione, e anche, se si vuol ottenere una risoluzione più completa, una piccola dose di etere.
In questa direttiva si procede con metodi che possono sembrare sempre più complessi, riportando la tecnica di quella che Lundy chiama balanced anesthesia. Tale sarebbe quella ottenuta con dosi innocue di varî anestetici, mentre adoperandone uno solo, a dosi forti, si può avere danno. Così egli consiglia dopo la somministrazione di ipnotici un'ora o un'ora e mezza prima dell'operazione, di praticare l'anestesia locale, o regionale, e poi una leggiera anestesia generale col protossido di azoto o con l'etilene dando anche, infine, per ottenere rilasciamento, un po' di etere (Alessandri).
Insiste anche sul valore per la narcosi dell'anidride carbonica (Co2) 5%, che permette un uso più lungo della morfina prima dell'operazione, perché rende più profonda la respirazione, e quindi affretta l'assorbimento dell'etere e ugualmente alla fine ne accelera l'eliminazione. È utile per la stessa ragione nell'anestesia olio-eterea per via rettale, e nell'anestesia al protossido di azoto o all'etilene specialmente nei bambini. In caso per esempio di malati deboli, con condizioni polmonari non perfette, si può facilmente ottenere un'anestesia profonda con rilasciamento, aumentando la dose degli ipnotici pre-operatorî, istillando olio ed etere nel retto, iniettando anestetici locali nel sito dell'operazione e producendo lieve anestesia col protossido di azoto o etilene con abbondanza di ossigeno e una piccola quantità (1 a 5%) di anidride carbonica. A un infermo più forte con polmoni sani si può dare invece etere con protossido di azoto o etilene per inalazione.
Bibl.: Per la bibliografia non recente si vedano i capitoli sull'anestesia nei principali trattati di chirurgia italiani e stranieri; più estesi quelli di Hare sull'anestesia generale, di Lennander su quella locale e di Zachrisson sulla spinale nel trattato di Keen.
Inoltre: Bier, Über den heutigen Stand der Lumbl- und Lokalanästhesie, D. Chir. Congr. 1909; Bier, Über Venenanästhesie, in Berl. klin. Woch., 1909, n.° 11; Goyanes, Un nuevo método de anestesia regional, in Rev. clin. de Madrid, 1909; Ransohoff, Terminal arteria anesthesia, in Ann. of Surgery, aprile 1910; Nassetti, Dell'anestesia regionale endovasale, in Policlinico 1911, n° 11 e 12; Härtel, Die Lokalanästhesie, in Neue Deut. Chir., Stoccarda 1920; Kappis, Zur Technik der Splanchnikus Anästhesie, in Zentralbl. f. Chir., 1920, p. 98; Finsterer, Die Methoden der Lokalanästhesie in der Bauchchirurgie und ihre Erfolge, Vienna 1923; Dumont, Technique de l'anesthesie au prot. d'azote, in Presse Medicale, 1923; Kappis, Die örtliche Betäubung in der Hand des Praktischen, in Arch. Med. Klin., 1924; Finsterer, Tutokain bei grossen Bauchoperationen, in Zentralbl. Wien. med. Woch., 1924, p. 895; Läwen, Fortschrifte in der Sacralanästhesie, in f. Chir., 1924, p. 1000; Labat, The induction of splancnic anaesthesia, in Annals of Surgery, agosto 1924; Braun, Die örtliche Betäubung, Lipsia 1925; R. Lettieri, Anestesia dei nervi periferici, Milano 1925; Robineau, L'anesthesie à l'ether par voie rectale, in Progrès med., novembre 1925; Kreuter e Stichele, Tausend intravenösen Isopral-Äthernarkosen ohne Todesfall, in Beitr. zur Klin. Chir., CXXXVII (1926) p. 454; D. Guthrie, The advantages of ethylene in the anaesthesia, in Surg. Gyn. & Obst., novembre 1926; I. Lundy, Balanced anesthesia, in Collect. Papers of Mayo Clinic, 1926, p. 1188; P. Valdoni, 500 rachianestesie con la tutocaina, in Policl. Sez. prat. 1926; A. Barnes, The risks of local and general anesthesies and the treatment of outward effects, in Collect. pap. of Mayo Clin., 1926, p. 1199; G. Crile, The present status of anociation, in Ann. of Surg., agosto 1927; G. Müller, The changing status of anesthetics, ibid.; Eicholtz, Die Rektalnarkose mit E. 107, in Arch. f. Klin. Chir., CXLVIII ottobre 1927, p. 94; Melzner, Zur Rektalnarkose, ibid., p. 698; Lorain, Technique de l'anesthesie au prot. d'azote et à l'éthylene, in Chir. du Rein di E. Papin, Parigi 1928; Alessandri, La narcosi generale coll'etilene, 35° Congresso della Soc. it. di chir. Roma, ottobre 1928.
Anestesia in veterinaria.
L'anestesia in medicina veterinaria riesce di somma utilità soprattutto nel cavallo per quegli atti operativi che si svolgono sull'addome e ogni qualvolta si tratta di togliere il dolore e la reazione in soggetti eccitabili nei quali può anche essere sufficiente il solo assopimento.
Anestesia per inalazione mediante l'etere e il cloroformio. - L'inalazione di queste sostanze è procurata a mezzo di speciali maschere applicate alle nari. Il cloroformio ha un periodo d'eccitazione meno intenso e più breve di quello dell'etere; dà un sonno profondo con facile risveglio, però può riuscire pericoloso negli animali ad affezioni cardiache polmonari; in questi soggetti l'etere ha la preferenza.
La quantità necessaria di etere nel cavallo varia da 250 a 500 gr.; di cloroformio 100 grammi.
Anestesia per iniezioni di cloralio. - L'introduzione per via endovenosa di una soluzione isotonica (gr. 41, 109‰) di idrato di cloralio, nella dose di 8-10 gr. per ogni 100 kg. di peso vivo, costituisce il metodo più rapido e sicuro. In cinque minuti l'anestesia è completa, sopprime il periodo d'eccitazione che causa alle volte serî inconvenienti, specie negli animali eccitabili, scongiura le paralisi del periodo iniziale. Il cloralio agisce per la sua scomposizione in cloroformio e in formiati alcalini, e il periodo d'anestesia che provoca dura circa un'ora.
La via peritoneale è pur essa discretamente tollerata; viene specialmente usata nel cane.
Per clistere (da 30 a 60 gr. di cloralio nel cavallo, in soluzione acquosa) preceduta da un'iniezione di cloridrato di morfina, determina una seminarcosi.
Anestesia con la morfina. - Per via parenterale alle dosi di 30-60 centigr. nel cavallo determina un assopimento; in taluni soggetti spesso, a dosi alte, dà eccitazione. La morfina abbrevia di molto il periodo di eccitazione nell'anestesia cloroformica e ne diminuisce la quantità.
Anestesia col sulfonal. - L'anestetico somministrato per via digestiva (25-50 gr. nel cavallo), due, tre ore prima dell'operazione determina un assopimento.
Nei bovini, suini, ovini l'anestesia generale è bene ottenuta col cloralio, specie per clistere; sovente per non alterare l'odore delle carni, che in caso d'insuccesso chirurgico possono essere utilizzate, è in uso la somministrazione di bevande alcooliche provocanti ubbriacatura e risoluzione muscolare.
Nel cane la si ottiene con tutti gli anestetici succitati; l'iniezione di morfina (1 cg. per kg. di peso vivo) in associazione alla scopolamina (1-4 mg.) determina uno stato analgesico che varia a seconda dei soggetti.
La narcosi degli animali in cattività è ottenuta col cloralio per via digerente o con l'inalazione, come negli uccelli, di cloroformio in ambiente confinato (Tagliavini).
Bibl.: Cadiot e Almy, Traité de thérapeutique chirurgicale des animaux domestiques, Parigi 1923.