ANESTESIA (III, p. 251; App. II, 1, p. 180)
Notevoli ulteriori progressi ha compiuto in questi ultimi anni l'a., che è andata sempre più delineandosi come specialità ben definita, come disciplina a sé stante (anestesiologia), e col suo sviluppo ha condizionato e reso possibili le più recenti acquisizioni della moderna chirurgia.
Con il termine generico di "anestesia" oggi infatti si definisce non solo, come per il passato, la somministrazione degli anestetici - di farmaci cioè capaci di abolire o di attenuare il dolore provocato dall'intervento chirurgico - ma si comprende anche quell'insieme di misure terapeutiche atte a far meglio tollerare al paziente l'intervento chirurgico, quali, ad esempio, le trasfusioni di sangue o di plasma, le perfusioni di varie soluzioni nutritive e saline, il controllo, e il mantenimento a livelli fisiologici, delle funzioni respiratorie e circolatorie, il controllo della temperatura corporea, ecc.
Nel campo della a. periferica (a. locale, loco-regionale, spinale subaracnoidea, epidurale e peridurale) si sono perfezionate ed affinate le tecniche create e codificate nel periodo precedente al 1940 e sono stati esperimentati con successo nuovi agenti anestetici "locali", quali la lignocaina (lidocaina, "xilocaina") (Löfgren), la cloroprocaina (Foldes e Mc Nall), la "ciclaina" (Jacques e Hudon), l'intracaina, la monocaina, ecc., leggermente diversi, per maggiore intensità d'azione o per più lunga durata o per minore tossicità, dalla vecchia procaina "novocaina") di Einhorn (1904), la quale peraltro gode ancora di larghissimo favore.
Progressi ben più importanti sono stati invece compiuti, nell'ultimo decennio, nel campo dell'a. generale, che oggi, al contrario di quanto avveniva in un passato anche recente, è di gran lunga la forma più usata, non solo per tutte le operazioni di una certa entità, ma anche per gli interventi chirurgici minori e perfino per molte indagini diagnostiche quali le bronco-esofagoscopie, le cistoscopie, le gastroscopie, alcune indagini radiologiche particolari, ecc.
L'enorme diffusione raggiunta dall'a. generale è soprattutto legata al fatto che, mentre in passato lo stato di narcosi veniva ottenuto a mezzo di un solo agente anestetico che doveva essere somministrato a forti concentrazioni o a dosi elevate e che pertanto determinava un profondo sovvertimento metabolico, acidosi postanestetica, nausea e vomito postoperatorî, oggi, al contrario, l'a. viene ottenuta di solito con agenti anestetici diversi, che vengono somministrati contemporaneamente o successivamente, ma, comunque, in dosi e concentrazioni assai ridotte, ed è mantenuta a livello assai leggero così che la tossicità complessiva della narcosi stessa è assai minore, e minori sono le alterazioni del metabolismo e le conseguenze sgradevoli postanestetiche. E quel "rilasciamento", quella paralisi flaccida dei muscoli striati addominali e toracici in ispecie, che consentono al chirurgo di divaricare ampiamente le ferite operatorie e di operare con facilità anche nelle profondità delle cavità addominale e toracica, vengono oggi ottenuti, non già, come per il passato, approfondendo lo stato di narcosi fino a livelli tossici, ma somministrando, al paziente in stato di narcosi, delle particolari sostanze, dette "miorilassanti", o "curarizzanti", le quali assicurano un graduabile rilasciamento muscolare senza azioni secondarie dannose.
In definitiva quindi la narcosi viene oggi ottenuta, in linea generale, iniettando per via endovenosa dei farmaci (di solito barbiturici) che aboliscono la coscienza dell'operando nello spazio di pochi secondi e senza determinare sensazioni sgradevoli, e viene quindi continuata e mantenuta, ad un livello leggero, "per via inalatoria", facendo cioè "respirare" al paziente, attraverso una "maschera" facciale o un tubo di gomma introdotto in trachea (intubazione endotracheale) una miscela contenente ossigeno e varî agenti anestetici gassosi (ciclopropano, o protossido o etilene) o sotto forma di vapori (etere etilico, tricloroetilene, etere divinilico, alotano, ecc.). Alla miscela di varî agenti anestetici con la quale si ottiene tale forma di narcosi "mista" o "bilanciata" si dà comunemente il pittoresco nome di "cocktail anestetico".
Fra i diversi agenti anestetici per inalazione, godono ancora di largo favore gli anestetici tradizionali, di tradizione più antica quali l'etere etilico, l'etere divinilico, il protossido d'azoto, il ciclopropano, e di più recente utilizzazione, come il tricloroetilene. E mentre la maggior parte dei nuovi agenti anestetici sperimentati, come l'etere metilpropilico, è fallita alla prova clinica, un nuovo anestetico per inalazione, l'alotano ("Fluothane"), o bromoclorotrifluoroetano, studiato nel 1956 da J. Raventós e M. Johnstone, ha invece trovato subito larga diffusione, per la sua potenza (superiore a quella dell'etere), per la non-infiammabilità, per i suoi caratteri organolettici non sgradevoli, per la rapidità del risveglio, per l'assenza quasi completa di nausea e vomito.
L'uso, sempre più diffuso, dei miorilassanti, che aboliscono insieme al tono muscolare dei muscoli addominali anche la motilità dei muscoli respiratorî, impone la necessità di provvedere artificialmente alla ventilazione dei polmoni del paziente, il che di solito l'anestesista effettua con facilità collegando il paziente stesso ad un apparecchio per a. e immettendo una miscela contenente ossigeno nell'albero respiratorio dell'ammalato a mezzo della ritmica compressione di un pallone di gomma inserito nel "circuito" dell'apparecchio per narcosi. Tuttavia una più accurata regolazione della ventilazione del paziente si ottiene con il cosiddetto respiratore, o "polmone artificiale" (v. fig.), una sorta di macchina aspirante e premente la quale, a mezzo di un sistema di valvole unidirezionali autoregolate, provvede ad immettere e, alternatamente, aspirare dal sistema respiratorio dell'ammalato, attraverso un tubo endotracheale o una cannula tracheotomica, una miscela gassosa (aria, ossigeno, gas anestetici, ecc.); tale apparecchio consente di regolare, con l'esattezza più assoluta, la frequenza dei movimenti respiratorî e la loro ampiezza, la pressione positiva e negativa delle due fasi respiratorie, la durata di queste, la umidità relativa della miscela, ecc. Tali "respiratori", di cui ormai tutte le cliniche moderne sono dotate, sono altresì utilissimi in tutti i casi di insufficienza respiratoria, sia in quella acuta, secondaria a processi infiammatorî o ad exeresi chirurgiche polmonari, sia in quella cronica, o degenerativa (enfisema di alto grado) o da ipoventilazione (per miastenia gravis, per poliomielite, ecc.).
La iniezione endovenosa di un anestetico generale è oggi usata in quasi tutti i casi e per ogni tipo di intervento, per iniziare la narcosi, che sarà poi eventualmente continuata con altri mezzi (anestetici per inalazione), poiché, in tal modo, il paziente perde la coscienza in maniera assai rapida e non sgradevole, ed evita così di percepire la temuta e spiacevole applicazione della "maschera" facciale.
Fra gli anestetici endovenosi sono ancora i "barbiturici ad azione rapida" a tenere, incontrastati, il campo, e, fra questi, quello di più largo uso è ancor oggi il tiopentale sodico di Lundy ("Pentothal", "Thiopent one", "Farmotal"), vecchio ormai di venticinque anni. Infatti, nessuno dei derivati barbiturici esperimentati in questi ultimi anni presenta sensibili vantaggi nei suoi riguardi, neppure, forse, il recentissimo Metoexital sodico ("Brevital"), un ossibarbiturico che peraltro sembra essere più degli altri degno di interesse (Wylie e Churchill Davidson).
La via endovenosa è frequentemente utilizzata per la somministrazione di farmaci diversi ma dotati di proprietà "narcotiche", al fine di "complementare", di approfondire cioè e di prolungare una narcosi ottenuta con gli anestetici convenzionali, sempre in base al già accennato principio della "anestesia mista:".
Fra gli anestetici endovenosi sintetizzati in questi ultimi tempi, particolare interesse, soprattutto sul piano teorico, riveste l'idrossidione (o 21-idrossipregnandione) ("Viadril"), non tanto per le sue proprietà farmacologiche, che sono analoghe, anzi inferiori a quelle dei barbiturici usati nella narcosi endovenosa (la sua azione è assai lenta, la durata è variabile, ha notevoli proprietà irritanti sull'endotelio venoso, ecc.: F. J. Murphy e coll.), ma per la sua peculiare struttura chimica, steroidea, analoga cioè a quella di molti ormoni: tale rapporto tra struttura chimica e attività farmacologica suggerisce interessanti prospettive in campo anestesiologico.
La somministrazione degli anestetici per via rettale, invece, che tanto favore aveva goduto fino al 1930, è oggi limitata a precise indicazioni, dato che l'incostante potere di assorbimento della mucosa rettale offre scarse possibilità di un accurato dosaggio per questa via. La narcosi rettale è pertanto oggi usata per iniziare l'anestesia, per abolire la coscienza in quei casi (bambini, pazienti emotivi) nei quali l'iniezione endovenosa di un barbiturico o l'applicazione della maschera facciale dell'apparecchio per anestesia provocherebbero reazioni psicomotorie eccessive e dannose. Comunque, anche per questi casi, è stato abbandonato l'uso della troppo tossica Avertina e si impiegano in sua vece gli stessi barbiturici utilizzati per la narcosi endovenosa, naturalmente in dosi superiori.
Si è detto sopra come il concetto informatore delle moderne tecniche di a. generale sia quello del mantenimento di un grado leggero di narcosi, provvedendo al necessario "rilasciamento" muscolare a mezzo di farmaci specifici, chiamati miorilassanti o, più impropriamente, "curarizzanti", che vengono iniettati in dosi opportune e refratte, per via endovenosa.
Numerosi sono oggi i miorilassanti a disposizione dell'anestesista: alla d-tubocurarina, l'alcaloide attivo del curaro grezzo usato dagli Indios americani in caccia ed in guerra, identificato da King nel 1935, si sono affiancati ad opera di D. Bovet e della sua scuola, di R. B. Barlow e H. R. Ing, di W. D. M. Paton e E. J. Zaimis, ecc., numerosi altri farmaci, per lo più sintetici, tutti dotati di proprietà muscolorilascianti analoghe negli effetti clinici, ma ben diverse nella loro modalità. Infatti, il rilasciamento, la paralisi dei muscoli striati, è sempre dovuto ad un "blocco" funzionale, temporaneo e reversibile della sinapsi neuromuscolare: tale "blocco" è legato, talvolta, ad una "saturazione", ad opera del miorilassante, dei ricettori della placca motrice (ricettori che non possono quindi essere più stimolati, come di norma durante la contrazione muscolare, dalla acetilcolina), ed è questo appunto il caso dei "miorilassanti competitivi" o "per competizione": d-tubocurarina, gallamina ("Flaxedil", "Sincurarina"), landexium (Laudolissin"); altre volte invece il "blocco" sinaptico è dovuto ad una prolungata "depolarizzazione" della placca motrice, ad una eccessiva stimolazione cioè da parte del miorilassante, che porta anch'essa, in definitiva, ad una paralisi muscolare flaccida.
A tale categoria di farmaci appartengono i "miorilassanti depolarizzanti" o "per depolarizzazione", fra i quali si annoverano il decametonio ("Eulissin", "Syncurine"), il benzochinonio ("Myloton"), l'esametilencarbaminoilcolina ("Imbretil"), e la succinildicolina di Bovet (suxametonio, "Midarine", "Scoline", ecc.). La succinildicolina presenta un interessante paradosso farmacologico, potendosi considerare tale sostanza come costituita dall'unione di due molecole di acetilcolina, di un composto cioè che possiede un'attività biologica esattamente opposta. Il suxametonio inoltre, a differenza degli altri miorilassanti, è dotato di una brevissima durata di azione, perché la sua molecola viene scissa nell'organismo, per idrolisi, nel breve spazio di 2-3 minuti primi.
Si è già accennato come compito dell'anestesista sia non solo quello della somministrazione degli anestetici, ma anche il controllo, e il mantenimento a livelli fisiologici, delle funzioni "vegetative" del paziente (respirazione, circolazione, regolazione termica, ecc.), durante e subito dopo l'intervento chirurgico. E come nei casi di insufficiente ventilazione polmonare si può assicurare una normale ossigenazione del sangue con l'impiego dei già descritti "respiratori", così quando la pressione arteriosa dei pazienti cade a valori pericolosamente bassi, a seguito di un'emorragia, o per estesa vasodilatazione, o per shock post-traumatico, o per deficit della "pompa" cardiaca, la si può quasi sempre riportare al livello normale, sia compensando le eventuali perdite ematiche a mezzo di trasfusioni di sangue o di plasma, sia, se ciò non è sufficiente e in ogni caso di emergenza, con la somministrazione endovenosa di alcuni farmaci, le cosiddette "amine simpaticomimetiche". Tali sostanze, che possiedono una struttura simile all'adrenalina, ormone del surrene midollare, esercitano un'attività farmacologica analoga a quella che si ottiene con la stimolazione della "sezione" simpatica del sistema nervoso vegetativo (di qui il loro nome), e cioè agiscono, in linea generale, sia sul sistema arteriolare periferico, determinando la costrizione delle arteriole dei territorî cutaneo e splancnico, sia sul cuore, aumentando la frequenza e la forza delle contrazioni del miocardio e, in definitiva, accrescendo i valori della pressione arteriosa.
Molte di queste amine simpatiche erano conosciute da molto tempo, quali la adrenalina F.U., la efedrina, la amfetamina (Benzedrina, Metedrina), la fenilefrina (neosinefrina), ecc. Recentemente sono stati sintetizzati altri farmaci simpaticomimetici ad azione più elettiva, cioè o esclusivamente centrale, sul cuore, o periferica, sui vasi, e pertanto più facilmente graduabili nella loro azione. Fra i primi, è oggi ben conosciuto l'isopropilarterenolo ("Isuprel"), che stimola intensamente, più dell'adrenalina, la forza delle contrazioni cardiache, e ne accresce altresì la frequenza, ma senza esaltare pericolosamente, come fa invece l'adrenalina, la eccitabilità del miocardio; fra le amine ad attività periferica largamente usate sono invece la metenteramina ("Wyamine") e la metossiamina ("Vasoxyl") e, soprattutto, la nor-adrenalina (diossifeniletanolamina), la sostanza cioè che agisce fisiologicamente come mediatore chimico a livello delle sinapsi citoneurali del simpatico, e che è il più potente farmaco vasocostrittore conosciuto.
Vi sono peraltro dei casi nei quali è invece opportuno deliberatamente abbassare la pressione arteriosa anche assai al di sotto dei livelli normali: infatti, in alcuni interventi chirurgici, come la asportazione di tumori cerebrali assai vascolarizzati (angiomi, meningiomi) o di aneurismi di grosse arterie, possono facilmente verificarsi delle imponenti emorragie che mettono in pericolo la vita stessa degli operati: in questi casi l'abbassamento artificiale della pressione arteriosa riduce notevolmente il sanguinamento intraoperatorio.
Questa ipotensione controllata viene ottenuta a mezzo della iniezione endovenosa di farmaci, quali l'esametonio (Enderby), il pentolinio ("Ansolysen), o il trimetafano ("Arfonad" di Randall), ecc., che provocano un "blocco" delle sinapsi gangliari del simpatico, e, di conseguenza, per l'assenza degli impulsi simpatici vaso-costrittori, una cospicua dilatazione del territorio arteriolare periferico, e in definitiva una caduta della pressione arteriosa. Tale ipotensione è d'intensità e durata graduabile ed è di solito mantenuta a un livello non inferiore ai 70-80 mm di Hg.
Infine, negli ultimi anni, si è assistito alla utilizzazione, in campo anestesiologico, come valido fattore terapeutico, di un agente fisico ritenuto in passato lesivo e dannoso: il freddo. - Si sapeva infatti, da molti lustri, che l'abbassamento termico provoca, in tutte le cellule e quindi anche nell'intero organismo, una riduzione di ogni attività, una diminuzione del metabolismo e quindi anche del consumo di ossigeno. Si è pensato, pertanto, di utilizzare il raffreddamento, la perfrigerazione corporea - e la conseguente riduzione metabolica - nei casi nei quali il metabolismo sia eccessivamente elevato (morbo di Basedow, crisi tireotossiche postoperatorie) o troppo alto sia il consumo di ossigeno dei tessuti (ipertermie), ed anche per poter compiere determinati tipi di interventi, il cui presupposto indispensabile è la sospensione temporanea del flusso di sangue a determinati organi. Ad esempio, per eseguire la correzione chirurgica di alcuni difetti congeniti intracardiaci, è necessario aprire la cavità del cuore e, ovviamente, interrompere il flusso ematico attraverso di essa, cioè sospendere l'intera circolazione del sangue; e, analogamente, per l'asportazione di voluminosi aneurismi dell'aorta toracica e delle arterie cerebrali è spesso indispensabile interrompere il passaggio del sangue attraverso le arterie lese e quindi la irrorazione ematica di una parte del midollo spinale e, rispettivamente, dell'encefalo: in tutti questi casi la sia pur temporanea sospensione del flusso ematico e l'assenza del normale apporto di ossigeno ai tessuti provocherebbe in brevissimo tempo dei danni cellulari irreversibili. Ma se si abbassa preventivamente la temperatura corporea e si riduce così sensibilmente il consumo di ossigeno dei tessuti, allora le cellule tollereranno meglio e più a lungo l'assenza dell'irrorazione sanguigna e dell'apporto di ossigeno: su questo principio è fondato l'impiego clinico dell'ipotermia (chiamata anche, impropriamente, "ibernazione artificiale ').
L'abbassamento termico può essere ottenuto, in maniera abbastanza facile e rapida, mediante immersione del paziente in vasca contenente acqua a 6-10 °C, o avvolgendone il corpo in particolari "lenzuoli perfrigeranti" nello spessore dei quali si fa circolare una miscela fredda. Naturalmente il paziente deve essere in a. generale, per evitare la "reazione organica" al freddo, quel meccanismo omeostasico che, nell'individuo normale, si oppone e impedisce la caduta termica.
Generalmente è sufficiente ai fini clinici, una ipotermia moderata, attorno ai 28-30 °C, per consentire sospensioni della circolazione - di un organo o dell'intero organismo - della durata di 5′-10′ (W.G. Bigelow, H. Swan). Tuttavia gli interventi intracardiaci più complessi possono richiedere un arresto circolatorio di più lunga durata, e si può allora, con il sussidio di un "cuore-polmone artificiale", spingere il raffreddamento a livelli assai inferiori (15-16 °C): tale "ipotermia profonda" (C.E. Drew) consente l'interruzione totale della circolazione anche per 30′-45′, tempo sufficiente per qualunque intervento delle cavità cardiache.
Bibl.: R. B. Barlow e H. R. Ing, in Nature, CLXI (1948), p. 718; N. Löfgren, Xylocaine, a new synthetic drug, Stoccolma 1948; L. O. Randall e coll., in Jour. Pharmacol. Exper. Therap., LXLVII (1949), p. 48; D. Bovet e coll., in R.C. Ist. Sup. di Sanità, XII (1949), p. 106; W. G. Bigelow e coll., in Ann. Surg., CXXXII (1950), p. 531; F.F. Foldes e P. G. McNall, in Anesthesiology, XIII (1952), p. 287; W.D.M. Paton e E.J. Zaimis, in Pharmacol. Rev., IV (1952), p. 219; H. Swan e coll., in J.A.M.A., CLIII (1953), p. 1081; A. Jacques e F. Hudon, in Curr. Res. Anesth., XXXIII (1954), p. 270; F. J. Murphy e coll., in J.A.M.A., CLVIII (1955), p. 412; M. Johnstone, in Brit. Journ. Anaesth., XXVIII (1956), p. 392; J. Raventós, in Brit. Journ. Pharmacol., XI (1956), p. 394; G. E. H. Enderby, in Brit. Med. Bull., XIV (1958), p. 49.