Anfetamine
Il termine anfetamina traduce l'inglese amphetamine, composto di a- privativo, m(ethyl), "metile", ph(en)et(hyl), "fenetil-" e amine, "ammina". La principale proprietà delle anfetamine consiste nell'aumentare lo stato di vigilanza e la resistenza alla fatica; esse inducono tolleranza e dipendenza fisica, ma soprattutto psichica. Soltanto negli anni Settanta se ne rese evidente la pericolosità, e la distribuzione fu sottoposta alle stesse restrizioni delle altre droghe. Successivamente le anfetamine hanno trovato scarse applicazioni nella terapia clinica, essenzialmente nelle cure dimagranti, per il loro effetto anoressante.
Le anfetamine sono sostanze con effetti stimolanti, che appartengono al gruppo degli psicoanalettici, e precisamente dei nooanalettici (stimolanti della vigilanza). Si tratta di ammine simpaticomimetiche, cioè di sostanze che producono effetti analoghi alla stimolazione del sistema nervoso simpatico, quali aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, vasocostrizione e dilatazione delle pupille. Si è giunti alla scoperta delle ammine di sintesi o anfetamine studiando le proprietà dell'efedrina, un alcaloide di origine vegetale. Tra di esse la più antica è la benzedrina, preparata nel 1910 da G. Barger e H.H. Dale, ma studiata negli Stati Uniti solo a partire dal 1931 e commercializzata come solfato di anfetamina o tartrato di anfetamina. Altre ammine di sintesi sono la dexedrina e la metilanfetamina, studiate in Germania nel 1930, e la preludina, utilizzata nelle cure dimagranti.
L'aumento della pressione arteriosa determinato dalle anfetamine è stato descritto per la prima volta nel 1930; nel 1933 vennero evidenziate le azioni analettiche e di broncodilatazione. Gli effetti stimolanti sul sistema nervoso centrale, per i quali l'uso delle anfetamine è così diffuso, furono utilizzati a partire dal 1935 per la cura di alcune turbe del sonno (narcolessia) e, più tardi, per la cura di obesità, affaticamento, parkinsonismo e avvelenamento da sostanze che deprimono il sistema nervoso centrale.
Un uso massiccio delle anfetamine si registrò durante la Seconda guerra mondiale, quando i combattenti, in particolare gli aviatori, se ne servivano per sviluppare una maggiore resistenza alla fatica (i piloti della RAF consumavano quantità enormi di benzedrina). In periodo di pace gli effetti stimolanti delle anfetamine trovarono nuove applicazioni: per es. venivano utilizzate, e lo sono ancora oggi, allorché sia possibile procurarsele, a dispetto delle attuali restrizioni imposte dalla legge in materia di stupefacenti, dagli sportivi per migliorare le loro prestazioni e dagli studenti nel periodo degli esami. A partire dagli anni Settanta queste sostanze sono sottoposte alle restrizioni che regolano gli stupefacenti.
Subito dopo l'iniziale diffusione delle anfetamine, ne furono messi in evidenza i pericoli; ciò nonostante, dopo la guerra i casi di tossicomania provocati dal preludin o dalla benzedrina divennero sempre più frequenti. Le anfetamine possono essere assunte per via sia orale sia parenterale. Il loro assorbimento è molto rapido: gli effetti sono constatabili 30 minuti dopo la somministrazione orale, ma già 5 minuti dopo l'iniezione intramuscolare. Il meccanismo d'azione delle anfetamine consiste nel blocco del riassorbimento della dopamina a livello della membrana presinaptica; ciò provoca la diffusione del mediatore nello spazio sinaptico. L'azione sul sistema nervoso centrale avviene a vari livelli: vengono stimolati i centri della respirazione localizzati nel midollo allungato e aumenta lo stato di attivazione della formazione reticolare, da cui derivano l'insonnia e l'ipereccitabilità che colpiscono il tossicomane. L'effetto anoressante caratteristico delle anfetamine è provocato invece dalla depressione dei centri ipotalamici della fame. Le anfetamine, infine, riducono la durata del sonno REM (la fase del sonno in cui si sogna), effetto che è, almeno in parte, alla base degli stati psicotici determinati dalla loro assunzione cronica. Le anfetamine vengono metabolizzate a livello epatico ed eliminate per via renale.
Anche gli effetti psichici delle anfetamine sono rilevanti. Oltre alla diminuzione della fatica e all'aumento della vigilanza e della concentrazione, di cui si è già detto, si registrano miglioramenti dell'umore, aumento dell'attività motoria e della loquacità. Le anfetamine determinano una lucidità al di fuori della norma, un senso di onnipotenza e di piena efficienza fisica, un'eccitazione euforica e un'accelerazione del pensiero. L'assunzione di anfetamine per via parenterale può indurre, se la dose è sufficiente, una sensazione iniziale simile all'orgasmo, il cosiddetto flash. Gli effetti sono strettamente legati alla dose, aumentando la quale il tossicomane passa da una moderata eccitazione a uno stato di tipo maniacale, in cui l'ideazione diviene una 'fuga delle idee', la loquacità può divenire offensiva, il comportamento violento e aggressivo. Una parte del comportamento criminale dei tossicomani da anfetamine deriva dalla capacità che esse hanno di aumentare la stima di se stessi e di diminuire l'importanza delle conseguenze delle proprie azioni. Si comprende facilmente come la pericolosità di queste sostanze possa aumentare se esse sono assunte da individui in gruppo.
Il tossicomane da anfetamine diviene frequentemente incapace di comunicare e operare in modo intelligente: affamato, non desidera mangiare; esausto, è incapace di dormire. Nei soggetti che assumono anfetamine si possono osservare fenomeni deliranti di tipo persecutorio e delitti commessi per sfuggire a nemici immaginari, oltre a una diminuzione della capacità sessuale. Verso le anfetamine si sviluppano sia tolleranza sia dipendenza fisica e psichica.
Cessato l'effetto della droga, il tossicomane cade in uno stato di astinenza caratterizzato da depressione profonda che può portare anche al suicidio. L'unica via per provare di nuovo le sensazioni iniziali e tornare in una condizione di euforia (up) è assumere ripetutamente la droga e aumentare le dosi.
La continua ripetizione di stati di eccitamento e di depressione (crash) danneggia in maniera irreparabile la psiche dell'individuo, che dopo lunghi periodi di intossicazione può precipitare in uno stato di coma.Nei soggetti che fanno uso costante di anfetamine si registrano gravi forme di psicosi: i primi casi furono osservati in pazienti trattati con anfetamine per curarli dalla narcolessia. Le psicosi da anfetamine mostrano sintomi analoghi a quelli della schizofrenia paranoide: l'individuo presenta idee fisse e mania di persecuzione, oltre a confusione, disorientamento e allucinazioni visive, uditive, tattili e olfattive. L'intensità di queste reazioni è collegata sia alla dose che il soggetto si inietta, sia alla sua personalità. In particolare, la psicosi da anfetamine può essere identificata in base alle seguenti otto caratteristiche: perdita di concentrazione, comportamento allucinatorio, disorganizzazione del pensiero, aumento dell'attività motoria, ansietà, paura, comportamento sospettoso e incapacità di introspezione.
In terapia le anfetamine sono utilizzate nel trattamento dell'obesità, per la già descritta prerogativa di diminuire l'appetito; la perdita di peso legata all'assunzione di queste sostanze, infatti, sembra essere dovuta più a una riduzione dell'assunzione di cibo che a un aumento del metabolismo. Nei soggetti sottoposti a trattamento si registra anche un ottundimento dell'odorato e del gusto, che, insieme al già citato aumento dell'attività motoria, può contribuire alla riduzione del peso.
Attualmente sono poche le indicazioni psichiatriche degli stimolanti anfetaminici. Una di queste è il trattamento a breve termine della depressione reattiva in soggetti che non abbiano una storia precedente di difficoltà psicologica (instabilità emotiva o disturbi psicotici). Le anfetamine vengono infine utilizzate nella cura dei bambini ipercinetici e iperattivi, cioè con attività motoria e distraibilità sopra la media, in cui la corteccia non esercita il necessario controllo inibitorio sull'attività degli altri centri cerebrali.
c. castellano, Lineamenti di psicofarmacologia, Roma, Bulzoni, 1977.
Goodman and Gilman's The pharmacological basis of therapeutics, ed. A. Goodman Gilman et al., New York, Macmillan, 19857 (trad. it. Bologna, Zanichelli, 19928).
a. oliverio, c. castellano, I farmaci del cervello, Torino, ERI, 1980.