ANFIARAO (᾿Αμϕιαράος)
Divinità ctonia della preistoria greca, onorato quale eroe e vate nei cicli delle leggende argivo-tebane; figlio di Oicle ed Ipermnestra, marito di Erifile, partecipa, per istigazione di quest'ultima, alla spedizione dei Sette contro Tebe (cfr. il ciclo della collana di Armonia) ove muore tragicamente: è infatti inghiottito dalla terra insieme al suo auriga Batone ed al cocchio con i quattro cavalli. Dei suoi due figli, Alcmeone ed Anfiloco, il primo ne vendica la morte uccidendo la madre, il secondo partecipa degli onori divini tributati al padre dai discendenti.
Le fonti ricordano anche altre imprese di A.: la lotta con Licurgo (Paus., iii, 18, 12), quella con Adrasto nei giuochi funebri in onore di Pelia (Stes., fr. 3), nonché la partecipazione alla caccia del cinghiale calidonio (Paus., viii, 45, 7).
Nell'arte, la figura di A. compare già in periodo arcaico, partecipe dei cicli eroici che adornano ceramiche e bronzi, in dipendenza delle decorazioni figurate che appaiono in monumenti maggiori, ormai scomparsi ma di cui le fonti ci dànno la descrizione: l'Arca di Cipselo (Paus., v, 17, 4) ed il trono di Amicle (Paus., iii, 18, 12), entrambi databili tra il VII ed il VI sec. a. C. Contemporanea all'Arca di Cipselo può essere una laminetta bronzea da rivestimento di un carro (proveniente dal Tumulo di Monte Calvario nel Chianti) in cui compaiono tre scene relative alla vicenda di A.: la partenza dell'eroe, il giuramento ed il duello con Adrasto. Anche in un cratere corinzio da Cerveteri (Berlino, Antiquarium) è evidente il rapporto con la documentazione illustrativa del VI sec.: A. vi appare in veste di guerriero, con armatura corinzia, mentre sta per salire sul cocchio e si volge verso i congiunti per un ultimo cenno di commiato. La scena dell'addio e, soprattutto, il congedo dalla sposa sono un tema prediletto dalla ceramica corinzia (una hydrìa da Vulci, una lèkythos da Cerveteri) ma appaiono anche su vasi di altre officine (un vaso a Napoli ed un gruppo di anfore al British Museum). Tale persistenza è forse da collegarsi con l'influsso che sulla pittura può aver esercitato la poesia, essendo entrambe le arti fiorenti alla corte corinzia dei Cipselidi nel corso del VI secolo.
L'arte di Skopas ritrae A. tra gli eroi della caccia al cinghiale calidonio sul frontone del tempio di Atena Alea a Tegea (Paus., viii, 45, 7), ma non sappiamo nulla di più.
L'episodio preferito dalle varie correnti artistiche dal V sec. in poi è invece quello della caduta di A. nella voragine che la Terra apre dinanzi ai suoi cavalli: così A. ci appare in un cratere attico da Spina, del pieno V sec. a. C.: in mezzo alla mischia che circonda la scena, la quadriga di A. precipita inghiottita dalla Terra e l'eroe ha sul volto una tragica maschera di terrore; e questo l'attimo colto anche nelle urne cinerarie etrusche, nonché dalla coroplastica nel frontone N del tempio etrusco di Talamone; sono monumenti aderenti al gusto ellenistico del III sec. a. C., che coglie tutto il patetico pittoricismo della scena e ne trae argomento di colore e dinamica. Accademicamente è ripetuto l'episodio sui sarcofagi greco-romani del II sec. d. C.
Se l'arte descrittiva ci tramanda costantemente il tipo guerriero di A., con modifiche puramente esteriori legate al costume dell'epoca (tipo barbato nel VI sec. a. C., sbarbato nel IV), o della regione (armatura corinzia sui vasi connzi, attica su quelli attici), il culto ci offre di A. un tipo completamente diverso: il santuario di Oropos, lo Amphiareion, il maggiore se non il più antico (si ricordano diversi luoghi di culto nel Peloponneso, a Sparta, a Phleius, a Cleone e nella Beozia, tra Platea e Tebe), dove A. era onorato come un dio dalle virtù terapeutiche e profetiche, dove aveva un oracolo e dove riceveva omaggio di giochi ginnici e ludi poetici, ci ha restituito una statua acefala dell'eroe; in essa la sua figura, in "seminudità eroica", appare assai simile nell'impostazione e negli attributi a quella di Asklepios, con la parte bassa del forte torso nudo drappeggiata nelle pieghe del mantello gettato sulla spalla sinistra; egli è stante, appoggiato ad un bastone sul quale si avvolge un serpente. Questa immagine, che riflette gli schemi ed il gusto artistico della seconda metà del V sec. a. C., è testimoniata come appartenente ad A. da una raffigurazione consimile sulle monete di Oropos e da un rilievo in cui ad A. è affiancata Igea; anche alcune iscrizioni votive collegano nel culto le due divinità.
Bibl: P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1927, fig. 207 (lamina del Chianti); E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, III, Monaco 1923, fig. 179 (cratere di Cerveteri); Roscher, s. v. Amphiaraos; J. Overbeck, Bildwerke, pp. 94, 97, 99, 104, tavv. 1, 3, 4, 7 (vasi da Vulci, Cerveteri, di Napoli e del British Museum); S. Aurigemma, Il Museo di Spina, Ferrara 1935, tav. CXIV; H. Brunn, I rilievi delle urne etrusche, II, 68, 70-73, T. 24, 8, 25; L. Pernier, Il tempio etrusco-italico, in Dedalo, VI, 1925, pp. 138-139 (rilievo di Talamone); C. Robert, Sarkophagrel., II, p. 193, T. 40; S. Reinach, Rép. Rel., II 2, 611, 2 (Oropos); Journal Hell. Stud., VIII, 1887, p. 49; Praktiká, 1887, p. 62; Ephem. Arch., 1885, p. 102, n. 4, p. 106, n. 6.