anfibolia
In senso generale, errore o incertezza che risulta dall’uso di termini equivoci. In questa accezione il termine viene usato da Aristotele (Elenchi sofistici, cap. 4) per segnalare specificamente l’ambiguità verbale che sta alla base di ogni argomentazione sofistica. Ancora in senso generale viene inteso da Sesto Empirico (Schizzi pirroniani, II 256) come parola che significa nello stesso tempo due o più cose. Nella filosofia moderna, il termine viene adoperato soprattutto da Kant nella appendice alla seconda parte della Critica della ragion pura (➔), l’Analitica, che reca come titolo Dell’anfibolia dei concetti della riflessione, a causa dello scambio dell’uso empirico dell’intelletto con l’uso trascendentale. La riflessione è l’attività grazie alla quale decidiamo se un concetto abbia la sua sede nell’intelletto puro o nell’intuizione sensibile (topica trascendentale). Concetti specifici di tale attività sono quattro coppie: identità/diversità, accordo/opposizione, interno/esterno, materia/forma. Si tratta di una attività preliminare alla formulazione di qualsiasi giudizio avente valore oggettivo. Prima di ciò infatti, secondo Kant, dobbiamo raffrontare tra di loro i concetti allo scopo di decidere, per es., della loro identità in vista di giudizi universali, oppure della loro diversità in vista di giudizi particolari. Due gocce d’acqua, scrive Kant, sono identiche se prese come un concetto dell’intelletto, ma sono diverse se prese come oggetto dell’intuizione, cioè come fenomeno. Analogamente, se la realtà non è rappresentata che dall’intelletto puro, non è possibile pensare fra le realtà una qualsiasi opposizione. Presa come fenomeno, invece, la realtà è continuamente sede di opposizioni: due forze in direzioni opposte, piaceri che bilanciano dolori, e così via. Secondo Kant furono proprio l’assenza di una topica trascendentale e la convinzione che la sensibilità non fosse altro che una sorta di rappresentazione confusa, e non una speciale sorgente di rappresentazioni, a generare quell’a. o mancata distinzione, all’interno dei concetti della riflessione, fra gli oggetti puri dell’intelletto e i fenomeni, che spinse Leibniz a edificare un «sistema intellettuale del mondo», raffrontando tutti gli oggetti esclusivamente nell’intelletto.