ANFIONE ('Αμϕίων, Amphion)
Dei molti personaggi mitici di questo nome il più noto è il figlio di Zeus e di Antiope, fratello gemello di Zeto, col quale costituisce una coppia parallela a quella dei Dioscuri. Difficile è ricostruire, nel suo periodo di formazione, non solo la leggenda che lo riguarda, ma anche il possibile significato da attribuire alle figure dei due fratelli, poiché ambedue sono giunti a noi profondamente segnati dall'influsso dell'Antiope di Euripide. Qui era narrato come, sfuggita la madre Antiope dalla dura prigionia in cui l'avevano tenuta i cognati Lico e Dirce, e rifugiatasi presso i due figli allevati da un pastore sul Citerone, essa non fosse stata da loro riconosciuta e, per le istigazioni di Dirce sopraggiunta in aspetto di Menade, stesse per esser legata sulle corna di un toro selvaggio: quando, avvenuto il riconoscimento per mezzo del pastore, a tale supplizio fu sottoposta invece Dirce (così come si vede nel celebre gruppo statuario conosciuto sotto il nome di Toro Farnese, eseguito da Apollonio e Taurisco, scultori di Tralle). I caratteri dei due fratelli erano quanto mai diversi; mentre Zeto era tutto dedito alla pastorizia, alla caccia e al culto della forza fisica, Anfione aveva temperamento musicale, rappresentando la raffinatezza della cultura e della civiltà. Ad ambedue si attribuiva l'erezione delle mura tebane, con questa differenza, che Zeto ne aveva accumulato le pietre usando la sua grande forza, mentre Anfione le aveva mosse e disposte soltanto col suono della lira, cui aveva obbedito anche la natura bruta. La lira gli era stata donata da Ermete, in. premio di un altare che A. gli aveva innalzato. Come moglie gli si attribuì generalmente Niobe. Dopo la tragica morte dei loro figli (v. niobe), A. si uccise, o fu ucciso da Apollo. Secondo un'altra versione, tutta la famiglia morì di peste; la peste si considerava prodotta dai dardi di Apollo, come si vede dal principio dell'Iliade; secondo una terza versione, A. fu ucciso da Apollo, mentre tentava di distruggerne il tempio. A Tebe ebbe onori di culto, e ivi si mostrava la sua tomba (insieme con quella di Zeto), una parte delle mura da lui innalzate, e persino la pira su cui era stato arso.
Fonti: Per i frammenti dell'Antiope di Euripide v. Arnim, Suppl. Eur., 9 segg.; Hygin., Fab., 8; Apollod., III, 41 segg.; Schol. in Apoll. Rhod., I, 735; IV, 1090; Palaeph., De incr., 41 Festa.
Bibl.: Stoll, in Roscher, Lexik. d. griech. u. röm. Myth., s. v.; Wernicke, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v.; O. Gruppe, Griech. Myth., Monaco 1906, pp. 87 seg., 560, n. 4; C. Robert, Oidipus, Berlino 1915, p. 397 segg.