ANFITEATRO (gr. ἀμϕιϑέατρον; lat. amphitheātrum; l'una e l'altra voce sorte in epoca romana)
La parola ἀμϕιϑέατρον è in una prima fase aggettivo di due desinenze, che viene poi usato al neutro come sostantivo. Perciò l'etimologia data da Isidoro di Siviglia, nella sua opera Etymologiae (VI sec.) deve ritenersi errata. Egli scrive che l'anfiteatro si chiama così "perché è composto di due teatri; l'anfiteatro è rotondo, il teatro invece, avendo la figura di un semicircolo, consta di mezzo anfiteatro". Questa falsa etimologia fossata da Isidoro risale però a scrittori latini più antichi, come risulta, p. es., da un verso di Ovidio (Met., II, 25) e da un passo di Cassiodoro (Var., 5, 42, 5). Con l'aggettivo ἀμϕιϑέατρον, doveva unirsi o sottintendersi un sostantivo, per es. ὀικοδόμημα, "edificio"; e si esprimeva il concetto di una costruzione destinata a spettacoli, e nella quale lo spazio riservato agli spettatori correva tutt'intorno (ἀμϕί). Stabilita così la vera origine del nome anfiteatro si comprende come in principio esso potesse essere applicato anche al circo; Dionigi di Alicarnasso, parlando del Circo massimo a Roma, lo chiama στοᾶν ἀμϕιϑέατρον, cioè portico in forma di anfiteatro, e in un altro passo ἀμϕιϑέατρον ἱππόδρομον cioè ippodromo in forma di anfiteatro.
La parola appare la prima volta in Vitruvio (I, 7) senza che vi sia indicata la destinazione dell'edificio, ed appare nel Monumentum Ancyranum, cioè nell'iscrizione di Augusto nel tempio di Angora (IV, 41) come il luogo dove si compievano le venationes.
Origine e forme di costruzione. - L'evoluzione del tipo costruttivo degli anfiteatri si può seguire solo nei suoi punti fondamentali, restando per certi particolari nel campo delle congetture.
Il bisogno di avere edifici speciali per i ludi gladiatorii, le venationes e le macchine, si sentì piuttosto tardi nel mondo romano e a Roma anche più tardi che altrove. L'ipotesi che esistessero in Etruria anfiteatri in pietra costruiti dagli Etruschi e che avrebbero poi servito di modello ai Romani, pare destituita di fondamento; poiché l'affresco della tomba tarquiniese, ove son rappresentati degli spettatori seduti, non può in alcun modo suggerire l'impressione di un settore di gradinata in curva, ma, piuttosto, di un semplice palco. L'evoluzione dell'anfiteatro da costruzione posticcia, mobile, in legno, a struttura stabile, in pietra, si compì in Campania, dove, come si è detto, i ludi gladiatorii si perfezionarono e si raffinarono prima che ciò avvenisse in altre regioni: secondo una notizia di Strabone, in età più antica, essi si fecero anche in Campania presso le tombe, o nel foro, o anche durante i banchetti (ciò che potrebbe essere una conferma dell'origine funeraria dei ludi gladiatorî, essendo anche il banchetto parte essenziale degli antichi funerali). L'anfiteatro di Pompei fu costruito in pietra subito dopo la fondazione della colonia sillana (80 a. C.), ad imitazione di un edificio simile, più antico, esistente a Capua (dove più tardi si costruì un altro anfiteatro di tipo imperiale romano). La prima fase dunque del tipo architettonico dell'anfiteatro è rappresentata dall'edificio in legno più o meno posticcio: la seconda dall'anfiteatro di Pompei che è stabile, in pietra, adatto alle rappresentazioni che vi avevano luogo, ma non ancora monumentale, nel senso romano della parola. È naturale che mentre in alcune regioni si cominciavano a costruire anfiteatri stabili in pietra, in altri si continuasse a fabbricarne in legno o per difetto di materiali o per mancanza di denaro o per minore importanza e solennità dei ludi gladiatorî.
Quindi non dal circo (come pretese il Nissen) e tanto meno dal teatro, bensì dai sedili mobili, posti intorno al foro, in occasione di solenni funerali e di lotte di gladiatori, deve derivarsi la forma ellittica dell'anfiteatro; ciò non esclude peraltro che, nella disposizione dei corridoi di accesso, nell'ordinamento delle file di sedili e nell'aspetto esteriore del monumento, anche la forma architettonica del teatro e del circo possano aver esercitato la loro influenza. Vitruvio sostiene addirittura che in Italia, in contrapposto alla Grecia, si facessero i fori in forma allungata, perché fossero più adatti ai giuochi gladiatorî: l'affermazione è falsa, ma costituisce una testimonianza in più dell'antico uso romano di far le lotte nel foro. In esso si collocavano banchi di legno, i quali naturalmente ai quattro angoli della piazza erano arrotondati, permettendo così a tutti gli spettatori di godere dello spettacolo: data la forma rettangolare del foro di tipo italico, ne nasceva conseguentemente una installazione di forma ellittica, tutt'intorno all'arena centrale.
Il primo a costruire un anfiteatro in legno a Roma sarebbe stato Gaio Scribonio Curione, contemporaneo di Cicerone, che nel 53 a. C. fece combattere alcune coppie di gladiatorì in onore del morto suo padre. Secondo il racconto di Plinio questo anfiteatro sarebbe stato una meraviglia dell'antica ingegneria: si trattava di due teatri di legno, indipendenti, che si toccavano al centro della parete semicircolare esterna e in ciascuno dei quali potevano darsi rappresentazioni diverse. Poi restando gli spettatori seduti al loro posto, i due teatri giravano per mezzo di speciali meccanismi, in modo che congiungendosi si trasformavano in anfiteatro, adatto per i ludi gladiatorî. Questo racconto di Plinio (XXXVI, 116 segg.), che nei tempi moderni ha affaticato nobili ingegni, come quello del Canina, è molto sospetto e sembra piuttosto nato dal desiderio di confermare la falsa etimologia del nome anfiteatro nel senso di un teatro raddoppiato.
Giulio Cesare nel 46 a. C., vale a dire mentre a Capua e a Pompei esistevano già anfiteatri stabili, in pietra, fece costruire nel foro, secondo l'uso tradizionale romano, un edificio in legno, per lotte di gladiatori e venationes, edificio che Cassio Dione (XXXVII, 58) chiama "un certo teatro venatorio", il quale, aggiunge lo scrittore, si chiama anche anfiteatro per il fatto che tutt'intorno ci sono sedili senza scena (Dione dà così la vera etimologia del nome anfiteatro). C. Statilio Tauro è il primo che nel 29 a. C. fa costruire nel Campo Marzio un anfiteatro in gran parte di pietra e perciò stabile. La famiglia degli Statilî ebbe una predilezione speciale per i ludi gladiatorî e probabilmente fu anche in possesso di una scuola per istruire i combattenti. Anche questo edificio è chiamato da Cassio Dione "un certo teatro venatorio di pietra". Statilio Tauro compì l'opera a sue spese e la consacrò con un combattimento gladiatorio; l'edificio bruciò poi durante l'incendio neroniano. Nerone, nonostante la sua megalomania nel campo dell'edilizia, ricorse ancora al legno per la costruzione del suo anfiteatro nel Campo Marzio: nel 58-57 d. C. l'arena fu inondata e vi si rappresentò una naumachia. A questo stesso periodo appartiene l'anfiteatro Casorense a Roma, costruito in gran parte in mattoni. Sorge finalmente l'Anfiteatro Flavio o Colosseo, cominciato da Vespasiano, inaugurato da Tito nell'anno 80 d. C.: esso è il perfetto anfiteatro imperiale romano, è l'anfiteatro per eccellenza e perciò rappresenta la terza ed ultima fase della storia evolutiva del tipo architettomco. Nell'Anfiteatro Flavio si corrisponde ormai non solo a tutte le esigenze dello spettacolo e a tutti i bisogni di una folla di spettatori, che dovevano ordinatamente entrare, trattenersi ed uscire, ma si ottiene anche la monumentalità (che manca ancora per es. nell'anfiteatro di Pompei), indice della grandezza di un Impero, giunto al massimo del suo splendore.
L'anfiteatro poteva sorgere in pianura e in tal caso la parte esterna era tutta costruita in pietra o muratura; spesso la parte centrale, l'arena, era ad un livello notevolmente più basso del piano circostante l'edificio. Recentemente si è osservato con quanta cura si cercò il luogo più adatto per la costruzione dell'anfiteatro Flavio e come si scelse il bacino dell'antico stagno di Nerone per opportune ragioni di stabilità delle fondazioni e di economia di tempo e di denaro nella costruzione. Recenti scavi nell'anfiteatro di Sabratha in Tripolitania hanno rivelato anche lì una sapiente scelta del terreno: l'anfiteatro è situato a grande distanza dalla città, nel luogo che pareva più adatto alla costruzione. Esso si appoggia sopra un immenso banco di arenaria: l'arena è ricavata nel mezzo, a profondità molto maggiore del piano esterno. Il materiale, scavato nel centro come in una cava, poté essere utilizzato nelle strutture circostanti: si ottennero così la solidità delle fondamenta e un grande risparmio di tempo e di spesa nell'impiego di materiali. L'anfiteatro di Sutri è tutto scavato in un terreno elevato in modo che non ebbe affatto bisogno di muri di sostegno (esempio raro). Qualche volta gli anfiteatri (come spesso avviene per gli antichi teatri) erano appoggiati ad una collina, in modo che il muro perimetrale si riduceva notevolmente nelle sue proporzioni: così gli anfiteatri di Treviri, di Pola, di Fréjus, di Tuscolo, di Nisa in Caria, di Pesto e di Pozzuoli.
L'anfiteatro di Pompei è invece sostenuto da un lato dalle mura della città, anche qui per un criterio di economia. In altri luoghi come a Cizico si scelsero vallette lunghe e strette, le quali, oltre ad assicurare i fianchi ad una facile installazione di sedili per gli spettatori, avevano spesso il vantaggio di fiumicelli scorrenti nel fondo in modo che l'acqua, convogliata in appositi serbatoi ed acquedotti, poteva agevolmente servire per inondare l'arena ad uso delle naumachie. La posizione di questi anfiteatri, appoggiati alle colline o adagiati lungo le valli, modifica naturalmente la struttura e la distribuzione degl'ingressi, dei corridoi, delle scale. Di regola pero l'anfiteatro è costruito in pianura.
Quanto alla scelta del materiale, come in tutti gli antichi edifici essa è subordinata a quanto offriva la regione circostante: se si pensa che s'innalzavano anfiteatri in tutto il mondo romano, si comprenderà facilmente come essi si presentino costruiti nei materiali più diversi: l'Anfiteatro Flavio, data la distanza non molto grande delle cave di travertino, ebbe il privilegio di avere tutto l'esterno nella bella pietra tiburtina, che malgrado le barbarie degli uomini ha resistito alle ingiurie del tempo.
L'anfiteatro ha comunemente pianta ellittica (si credeva che l'anfiteatro di Sparta fosse per eccezione a pianta rotonda: sì è veduto poi che non si trattava di un anfiteatro) e la forma del muro perimetrale corrisponde alla forma dell'arena interna.
Le dimensioni dell'anfiteatro variano in proporzione dell'importanza del luogo dove sorge. Il Friedländer ha riunito con paziente lavoro tutte le misure di tutti gli anfiteatri che oggi si conoscono, in un quadro sinottico molto istruttivo e di facile consultazione. Ne risulta che il Colosseo è l'anfiteatro più grande, con un asse maggiore di 187 metri e un asse minore di 155. L'anfiteatro più modesto è invece quello di Album Intimilium (Ventimiglia) che misura solamente 35 metri per 31. Fra gli anfiteatri conosciuti, più di trenta oltrepassano la lunghezza di 100 metri. La grandezza dell'anfiteatro non è sempre proporzionata al numero degli abitanti di una città, ma piuttosto tale da poter accogliere anche gli spettatori che vi accorrevano dalla regione circostante.
L'arena, nel centro, era destinata ai combattenti. Essa era tagliata nella roccia o appoggiata su travature di legno o su vòlte sottostanti; essa era cosparsa di sabbia: si vuole che Nerone, per il suo desiderio di lusso sfrenato, sostituisse alla sabbia la polvere di cinabro. Si accedeva all'arena per mezzo di due ingressi principali, situati all'estremità dell'asse maggiore; ingressi secondarî si trovavano talvolta anche all'estremità dell'asse minore. Lo spazio riservato agli spettatori era diviso come quello del teatro in tante sezioni orizzontali, chiamate maeniana. Fra il primo meniano e l'arena correva tutto intorno come un immenso anello, il podium o terrazza destinata a sostenere i posti riservati alle autorità; il muro anteriore al podio s'innalzava perpendicolarmente sull'arena per un'altezza variabile: al Colosseo è di 4 metri, a El-Giem (Tunisia) di 3,50, a Nîmes di 2,70, a Pompei e a Pozzuoli di 2. Ad Arles si nota una singolare eccezione: tutto il tavolato, su cui si cospargeva l'arena, era mobile, in modo che per le lotte gladiatorie poteva essere meno profondo, più profondo invece per le venationes: variava così l'altezza dal muro anteriore del podio. Spesso si trovano sull'alto di questo muro le tracce di una ringhiera di metallo, destinata a proteggere gli spettatori dai salti delle bestie; in alcuni anfiteatri si ricorreva anche ad un'altra precauzione, si scavava cioè fra il podio e l'arena un canale, detto euripo, che impediva il passaggio agli animali, come si fa oggi nell'installazione di alcuni settori dei giardini zoologici. Il terrazzo del podio portava poche file di gradini, diversi da tutti gli altri, e cioè più larghi e bassi, destinati a sostenere le sedie in metallo o in legno, su cui sedevano i personaggi ragguardevoli. Qualche volta c'erano anche, sul podio, veri e proprî palchi. Spesso su questi gradini speciali si ritrovano iscrizioni latine con la designazione della persona o del ceto di persone cui il luogo era destinato. Nel muro anteriore del podio si aprivano le porte riservate al passaggio dei gladiatori e delle belve. I diversi meniani erano separati fra di loro per mezzo di passaggi aperti, detti praecinctiones e costituivano la separazione in senso orizzontale. In senso verticale, invece, la separazione fra il meniano sottostante e il soprastante avveniva per mezzo di muri, detti baltei, che avevano un aspetto simile a quello del muro anteriore del podio. Sui baltei erano disposte numerose porte di accesso, le quali insieme ai vomitoria aperti nel mezzo dei meniani, servivano per accedere nell'interno dell'anfiteatro. Per facilitare la circolazione fra i gradini di uno stesso meniano c'erano, come nel teatro, scalette esterne, convergenti verso l'arena: lo spazio compreso fra due di queste scalette si diceva cuneus. Sull'alto dell'anfiteatro girava tutt'intorno una galleria sorretta da colonne o pilastri, destinata nelle prime file alle donne (che secondo un ordine emanato da Augusto erano ammesse solo nella parte più alta dell'anfiteatro) e più in alto all'infima plebe. Tutto un sistema di vestiboli, corridoi, scale interne e passaggi (viae, itinera, aditus) sistema semplice nei più antichi anfiteatri in pietra e poi man mano sempre più complesso, ingegnoso e perfezionato, serviva a distribuire la folla nel podio, nei meniani, nelle gallerie. La fig. a p. 283, riproducente la pianta dell'Anfiteatro Flavio nei suoi quattro differenti ripiani, può dare, meglio di una descrizione, un'idea di questo sapiente sistema di androni, scale e corridoi attraverso i quali il popolo romano prendeva posto nell'anfiteatro. Al disopra della galleria si tendeva il velario, il velum, destinato a riparare quella parte dell'anfiteatro che rimaneva esposta ai raggi del sole nelle ore di rappresentazione. Il velario era sorretto da alberi di nave (mali), disposti tutt'intorno al coronamento dell'anfiteatro: nell'Anfiteatro Flavio era manovrato da marinai. Non deve pensarsi a un unico velario, bensì a tanti spicchi di tela scorrenti per mezzo di anelli e di corde dalla circonferenza esterna dell'anfiteatro verso una grande ellissi di corde, sovrastante all'arena: tutto il sistema era poi assicurato per mezzo di legamenti che scendevano al muro del podio, dove erano fissati a grappe di ferro. Lucius Spinter fu il primo magistrato che pensò a coprire l'anfiteatro di un velum. Nerone volle che gli spettatori di giochi gladiatorî fossero protetti da una tela di colore azzurro, disseminata di stelle.
In molti anfiteatri s'aprivano nel sottosuolo gallerie e stanze per i combattenti, per le bestie, per i macchinarî. Talvolta le gabbie delle belve salivano per mezzo di ascensori dal sotterraneo al piano dell'arena. Si trovava generalmente nel sottosuolo anche lo spoliarium, cioè la camera dove si portavano i gladiatori uccisi o feriti a morte. Si conoscono gli ambienti sotterranei del Colosseo e dell'anfiteatro di Capua, di Pozzuoli, di Cartagine, di el-Giem, di Nîmes e di Sabratha. Al di sotto dell'arena si rinvengono spesso gli acquedotti, che servivano per inondare l'arena in occasione delle naumachie.
La decorazione artistica degli anfiteatri assumeva grande importanza soprattutto in quelli che si ergevano isolati nel piano. I più monumentali, come l'Anfiteatro Flavio e quello di el-Giem, avevano all'esterno quattro piani. Il Colosseo presenta l'ordine tuscanico nel primo piano, lo ionico nel secondo, il composito nel terzo e nel quarto; i primi tre ad arcate, il quarto a muro pieno. A Capua le colonne di tutti i piani sono di ordine tuscanico, a el-Giem corinzie o composite. Gli anfiteatri di Pola, Pozzuoli e Verona hanno tre piani, quelli di Arles e Nîmes solamente due. Quando l'arena è scavata a un livello molto più basso di quello del piano circostante, l'aspetto esteriore del monumento è naturalmente più modesto, come a Pompei e a Sabratha. La decorazione architettonica era in molti casi completata da quella scultoria: nell'Anfiteatro Flavio si suppone che, almeno nel progetto primitivo, sorgessero statue nel mezzo di ognuno degli archi; a Capua i 24 fornici, che dànno accesso all'interno, erano decorati di marmi scolpiti, ancora oggi in parte conservati. Ricca decorazione scultoria avevano i vomitorî dell'Anfiteatro Flavio. Spesso sul muro anteriore del podio si dipingevano lotte analoghe a quelle che dovevano svolgersi nell'arena: a Pompei vi si vedevano scene gladiatorie, oggi purtroppo scomparse, ma conservate in copie esistenti nel Museo di Napoli.
Nulla di positivo si può dire circa l'architettura degli anfiteatri in legno eretti nei fori italici o ìn altri luoghi: scomparsi completamente, descritti sempre in modo sommario dagli antichi scrittori, sfuggono alla nostra analisi.
L'anfiteatro tipo per la seconda fase è, come dicemmo, quello di Pompei. Se ne conserva l'iscrizione dedicatoria, dalla quale si apprende che l'edificio non si chiamava ancora ufficialmente anfiteatro, ma spectacula. Solo l'infima cavea e il muro esterno sono in muratura e pietra: lo spazio intermedio è colmato da nn immenso terrapieno. L'anfiteatro di Pompei è di grandezza media, press'a poco come quelli di Arles e di Nîmes: vi è posto per 20.000 spettatori. All'esterno la costruzione è modesta, anche perché probabilmente non fu mai completata secondo il progetto originale. Non vi sono sotterranei. Il muro del podio, sul quale sono incise importanti iscrizioni, è alto 2 m.: al di sopra di esso correva una ringhiera in metallo. I due ingressi nell'arena all'estremità dell'asse maggiore sono larghi 5 m.; quello di sud-est piega ad angolo retto, perché in quel punto l'anfiteatro è appoggiato alle mura della città. Un terzo corridoio, stretto ed oscuro, passando attraverso il lato occidentale conduce dall'arena all'esterno: esso si chiamava in antico porta Libitiensis "porta della morte", attraverso la quale i caduti venivano portati via. All'imbocco verso l'arena di ciascuno dei tre passaggi trovasi una piccola camera buia, di uso incerto. Sul podio 5 gradini; nel mezzo dei lati maggiori dell'ellissi questi gradini sono interrotti da due grandi terrazze, con 4 gradini bassi e larghi per le sedie delle autorità; dal lato orientale (il luogo corrispondente dall'altro lato è distrutto) il secondo dei quattro gradini è interrotto nel mezzo per uno spazio di 3 m.: il luogo era riservato ai magistrati che presiedevano ai giuochi e a quelli che offrivano lo spettacolo. Un ambulacro sottostante al primo meniano comunica con l'esterno sia attraverso i due ingressi principali dell'arena, sia per mezzo di due corridoi che perforavano il lato occidentale: l'ambulacro dava accesso al podio e al primo meniano di 12 scalini. Dalla praecinctio tra il primo e secondo meniano si poteva accedere, per mezzo delle scalette esterne che dividono l'anfiteatro in cunei (scalaria), al secondo meniano di 18 gradini: ma ad esso si accedeva anche più direttamente per mezzo di sei alte scalinate appoggiate al muro esterno dell'anfiteatro. Queste rampe turbavano però l'aspetto del monumento e sono completamente abolite nell'anfiteatro romano appartenente alla terza fase. Al disopra del secondo meniano una galleria a piccoli palchi rettangolari; dietro questi correva tutt'in giro un terrazzo, nel quale (essendo l'anfiteatro rimasto incompiuto) erano forse sedili di legno.
L'Anfiteatro Flavio che rappresenta la perfezione del tipo raggiunta nella 2ª metà del sec. I a. C., per mezzo di due gradinì che girano alla base esterna si isola nella pianura circostante. Delle 80 arcate esterne del piano terreno, ben 76, contraddistinte con numeri romani, erano destinate al pubblico, le altre quattro all'imperatore ed alle autorità. Sull'alto dell'edificio si scorgono tutto intorno le mensole che servivano per sostenere i travi, sorreggenti il velario. Il piano terreno contiene 5 gallerie parallele all'ellissi dell'arena; la prima comunicante con l'esterno, la seconda con le scalinate che dànno accesso ai piani superiori; la terza in diretta comunicazione col primo meniano, la quarta col podio; la quinta, con pavimento in musaico e rivestita di marmi nelle pareti, secondo alcuni serviva da luogo di ritrovo per le autorità, secondo altri di luogo di adunata per i gladiatori che si apprestavano alla lotta. Quest'ultima galleria, per mezzo di porte, comunicava con l'arena. Le due prime gallerie del pianterreno si ripetono al primo e al secondo piano e offrivano riparo agli spettatori in caso di pioggia, come il porticus post scaenam nel teatro. Il podio, il cui muro anteriore era rivestito di marmo, sorreggeva quattro file di gradini bassi e larghi, con iscrizioni designanti il nome e il rango dei personaggi che vi sedevano su i subsellia: sul davanti del podio una balaustrata. Alla stessa altezza nel centro delle curve maggiori delle ellissi (e cioè nei due punti più vicini allo spettacolo) sorgevano da un lato il palco dell'imperatore (cuniculum o pulvinar), dall'altro quello destinato ai consoli, al pretore, che presiedeva i giochi, ai magistrati che ne sopportavano le spese (editoris tribunal). Nel primo meniano, con 20 file di gradini, sedevano i cavalieri, ai quali dal tempo di Caligola in poi era concesso il privilegio del cuscino. All'altezza del primo meniano al di sopra degl'ingressi principali dell'arena (alle estremità dell'asse maggiore) due tribune, una delle quali riservata alle vestali. Il secondo meniano con circa 60 file di gradini era per i semplici cittadini; dietro di esso un balteus di 5 metri di altezza, decorato da nicchie, finestre e statue comunicava per mezzo di porte con la galleria retrostante. Sedici scalette disposte a raggi dividevano i meniani in 16 cunei. Il balteo or ora descritto sorreggeva il giro di colonne della galleria, destinata alle donne, e all'infima plebe (summa cavea). Le gallerie sotterranee del Colosseo appartengono ad una ricostruzione di bassi tempi romani.
Confrontando l'anfiteatro di Pompei con l'anfiteatro Flavio risulta evidente la perfezione raggiunta da quest'ultimo, come anche il perfetto equilibrio fra la monumentalid dell'edificio e l'uso cui era destinato.
All'uno o all'altro dei due anfiteatri tipo, si accostano più o meno tutti gli altri anfiteatri romani. (V. tavv. LI a LIV).
Anfiteatri principali. - Notevoli per l'imponenza della costruzione e per lo stato di conservazione sono gli anfiteatri di Aosta; di Nîmes, di Arles, di Fréjus in Francia; di Verona e di Pola nell'Italia settentrionale, di Amiterno in Abruzzo, di Pozzuoli e di Capua in Campania, di Catania (conservatosi sotto una colata di lava) e di Siracusa. Nell'anfiteatro di Venafro c'era posto per 8.000 spettatori, ad Alba Fucentia per 20.000, a Pola per 22.000, a Capua per 60.000, nell'Anfiteatro Flavio per 87.000 e, con l'aggiunta di posti supplementari, per 102.000. Un catalogo completo degli antichi anfiteatri può essere solamente opera di collaborazione che va continuamente modificata secondo le più recenti constatazioni della scienza archeologica in Italia e nelle varie provincie dell'Impero romano.
È interessante ricordare le cifre date da coloro che nel secolo scorso tentarono di compilare cataloghi degli antichi anfiteatri:
Attualmente il catalogo più completo e attendibile è certamente quello del Friedländer. (Il nostro catalogo è compilato con la collaborazione delle Soprintendenze ai monumenti in Italia e Colonie italiane).
L'esistenza di un anfiteatro in una data regione può risultare o da testimonianze (sia antiche, che medievali o moderne; le medievali naturalmente sempre più incerte e da usarsi con cautela) e dall'esistenza di una parte più o meno considerevole dell'antico edificio. Da Gerusalemme a Siviglia, dalla Scozia al confine del Sahara, col crescere della passione del pubblico per i ludi gladiatorî e per le venationes, non ci fu più città romana di qualche importanza che non avesse il suo anfiteatro: ogni nuovo paese lontano, occupato da Romani, cominciò a mandare le più rare e feroci belve a Roma, contribuendo così al moltiplicarsi degli anfiteatri. Il maggior numero di anfiteatri si riscontra naturalmente in Italia, centro di civiltà imperiale romana; dopo l'Italia vengono le Gallie e l'Africa del Nord.
Nelle regioni latinizzate dell'Europa settentrionale gli anfiteatri in pietra sono rarissimi. Nella raffinata Grecia i giochi dei gladiatori trovarono resistenza da parte del pubblico colto: punto d'irradiazione per la diffusione della lotta fu Corinto, colonia romana di Cesare, unica città greca ove esistono rovine di un anfiteatro romano. Gli uomini colti e molti letterati come Plutarco, Dione di Prusa, Luciano e molti altri restarono sempre avversi agli spettacoli dell'anfiteatro.
Liete accoglienze e grande diffusione essi ebbero invece in Asia minore e in Oriente ove corrispondevano meglio agli usi, alla religione, alle tradizioni delle popolazioni indigene: si eccettui la Palestrna.
Gli anfiteatri nelle città italiane. - Diamo un elenco di anfiteatri romani in Italia e nelle colonie italiane rimandando al catalogo del Friedländer per quelli delle provincie (segnamo con un cerchietto gli anfiteatri di cui si conservano le rovine, con un asterisco quelli la cui esistenza risulta da sicure testimonianze):
Campania. - Capua° Atella (presso Aversa)*, Cuma°, Pozzuoli° (due anfiteatri), Pompei°, Nola°, Afella (Avella)°, Cales (Calvi)°.
Latium. - Sinuessa (presso Rocca di Mondragone)*, Suessa Auruncorum. (Sessa)*, Minturnae (Minturno)°, Tarracina°, Casinum (San Germano ai piedi di Monte Cassino)°, Aquinum°, Frusino (Frosinone)*, Tibur (Tivoli)*, Praeneste (Palestrina)*, Roma: di Statilio Tauro*, di Nerone*, Flavio°, Castrense (presso la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, costruito da Settimio Severo), dì Caracalla°, Fidenae, Lanuvium*, Tusculum°, Albanum°, Velitrae (Velletri)*, Setia (Sezze)°, Circeii (San Felice Circeo)°.
Samnium. - Allifae*, Venafrum*, Saepinum (Altilia)*, Telesia (Telese)°, Aeclanum (presso Mirabella)°.
Liucania. - Paestumo, Gramentum (Saponara°
Calabria. - Lupiae (Lecce)*
Apulia. - Luceria (Lucera)*, Canusium (Canosa)°, Venusia (Venosa)°, Tarentum (Taranto)°.
Frentani. - Larinum°.
Marsi. - Marruvium (S. Benedetto di Pescina)°.
Aequi. - Alba Fucens (Alba Fucente)°.
Vestini. - Peltuinum°.
Sabini. - Amiternum°, Reate (Rieti)*, Trebula Mutuesca (Monteleone)°
Picenum. - Ancona° (?), Ricina (Macerata)°, Urbs Salvia (Urbisaglia)°, Falerio (Fallerone)°, Asculum Picenum°, Interamnia Praetuttiorum (Teramo)°, Interpromium (San Valentino di Casauria)*.
Umbria. - Ocriculum (Otricoli) o, Interamnia (Terni)°, Spoletium*, Carsulae (Cappella S. Damiano)*, Mevania (Bevagna)°, Fulginium (Foligno)*, Hispellum (Spello)°, Asinium (Assisi)*, Ariminum (Rimini)°.
Etruria. - Lucus Feroniae (Civitucola)*, Sutrium*, Falerii (Santa Maria di Falleri)°, Vulci°, Arretium (Arezzo)°, Volaterrae (Volterra)°, Florentia°, Volsinii (Bolsena)°, Pisa*, Luca (Lucca)°, Luna (Luni)*.
Gallia Cispadana. - Bononia*, Parmai*, Placentia*, Velleia (presso Montepolo)°.
Liguria. - Libarna (Serravalle)°, Alba Intemelium (Ventimiglia)°.
Venetia e Histria. - Patavium (Padova)°, Aquileia°, Tergeste (Trieste fuori di Porta Riborgo)*, Pola°.
Gallia Transpadana. - Verona°, Cremona*, Ticinum (Pavia)*, Brixia (Brescia)*, Augusta Bagiennorum (Saluzzo)°, Augusta Taurinorum*.
Sicilia. - Syracusae°, Catania°, Thermae Himerenses°.
Sardinia. - Caralis (Cagliari)°.
Dalmatia. - Salonae°, Aequum°, Epidaurum (Ragusa vecchia)°.
Africa. - Nell'odierna Tripolitania: Oea (Tripoli)*, Sabratha (Sabrata Vulpia)°, Leptis Magna (presso Homs)°; Cirenaica: Ptolemais (Tolmetta)°, Berenice (Bengasi)*.
Usi degli anfiteatri. - L'origine e l'evoluzione del tipo architettonico dell'anfiteatro sono intimamente connesse con la diffusione nel mondo romano delle cacce di animali, delle lotte di gladiatori e infine delle naumachie. I ludi gladiatorii in origine erano un munus, vale a dire, come spiega Tertulliano, una celebrazione dovuta alla memoria dei morti: è naturale perciò che in un primo tempo essi avessero luogo o presso i roghi o vicino ai sepolcri o nel foro, dove si celebravano i funerali di illustri cittadini. Fu un grande avvenimento per Roma quando nell'anno 263 a. C., in occasione di un funerale, lottarono tre coppie di gladiatori e pochi anni dopo, nel 216, 22 coppie, sempre durante una cerimonia funebre. I Romani accolsero la forma più evoluta delle lotte gladiatorie dalla Campania, ed è perciò che anche l'origine dell'edificio ad esse destinato va ricercata in quella regione. Al tempo della repubblica, fra i giuochi di stato, offerti dai magistrati a loro spese (munus), figura anche la venatio; nell'età post-augustea si uniscono in un unico munus le lotte di gladiatori e le cacce agli animali. I più splendidi fra i magistrati cominciarono a preoccuparsi anche della comodità e della monumentalità del luogo, destinato a queste celebrazioni. Le venationes però, in età più antica, si fecero nel circo. Il primo spettacolo di caccia fu dato a Roma da Marco Fulvio Nobiliore nel 186 a. C., vale a dire circa 80 anni dopo che erano stati introdotti i ludi gladiatorî. Aumentato il lusso e il fasto dei pubblici giuochi, si pensò anche ai combattimenti navali: essi si fecero generalmente nell'anfiteatro, inondando l'arena. A Roma si potevano rappresentare naumachie nell'Anfiteatro Flavio e in due immensi appositi bacini, detti anche essi naumachiae, scavati l'uno da Augusto nel Trastevere, dirimpetto all'Aventino, l'altro da Domiziano a NO. del Mausoleo di Adriano. La prima rappresentazione di tal genere, di cui si abbia ricordo, è quella ordinata da Cesare nel 46 a. C. circa 266 anni dopo la introduz10ne dei ludi gladiatorî: per questa naumachia il dittatore fece scavare nel Campo Marzio un apposito bacino che sparì poco dopo.
Essendo a volte i condannati a morte esposti alla furia delle belve o al ferro dei gladiatori, oppure costretti essi stessi a cimentarsi negli ardui ludi, le esecuzioni avvennero talora nell'anfiteatro; quando si volle che il popolo assistesse anche al processo s'innalzarono i tribunali nell'arena. Molti cristiani furono certo esposti alle belve nell'anfiteatro, ma questo non fu l'unico luogo bagnato dal sangue dei martiri: durante le persecuzioni i cristiani furono martirizzati anche nei giardini, nei circhi, nei teatri e in altri edifici o luoghi pubblici.
Abbandono e distruzione degli anfiteatri. - I ludi gladiatorî furono subito contrastati dal cristianesimo, e i seguaci della nuova religione si tennero lontani dall'anfiteatro, a meno che non dovessero intervenire per assistere al martirio di qualche compagno di fede. Le lotte continuarono sotto i primi imperatori cristiani che le consentirono non senza imbarazzo, contraddizioni e contrasti. Nel 326 fu emanato l'editto di Berytus (Beyrut), col quale Costantino trasformava le condanne ad bestias in condanne ad metalla, alle miniere: ma può darsi che questa legge avesse vigore solamente per l'Asia. Lo stesso Costantino imponeva più tardi ai pretori delle provincie d'Italia l'obbligo di dare annualmente combattimenti di gladiatori, come gli antichi magistrati. Valentiniano nel 365 proibì le condanne dei cristiani ai combattimenti gladiatorî. Sotto Teodosio nel 399 si chiusero finalmente dovunque le scuole di gladiatori: nel 404 Onorio vietò formalmente i combattimenti nell'anfiteatro. Le venationes durarono più a lungo: sappiamo p. es. che nel 508 s'intraprese ancora il restauro dell'Anfiteatro Flavio. Ma le diverse calamità dei bassi tempi romani, le difficili condizioni dell'Impero d'oriente, le invasioni dei barbari in Italia resero sempre più ardue le rappresentazioni della caccia di animali nell'anfiteatro, finché Giustiniano soppresse le rendite pubbliche ad esse destinate, e un concilio del 681 le abolì definitivamente.
Così gli anfiteatri, sorti in tutto l'Impero romano insieme col diffondersi dei lúdi gladiatorii e delle venationes, venuta meno la loro funzione, caddero in abbandono; molti di essi furono presto usati come cave di pietra: quello di Verona p. es. già sotto Gallieno, quello di Catania sotto Teodorico. A questo genere di distruzione, che spesso durò attraverso il Medioevo fino all'età moderna, si deve la sparizione di un gran numero di anfiteatri romani.
Il nome più frequente dato nell'età di mezzo all'edificio fu arena: il nome Colosseo sorto a Roma (o dal vicino colosso di Nerone o più probabilmente per le gigantesche dimensioni) si propagò anche in altri luoghi: Colossus fu chiamato l'anfiteatro di Capua e Colosseo quello di Verona. Altro nome medievale è Berolais (Berelais, Berolassi) esistente ancora in Campania, sotto la forma Verlasci; questa voce, che a torto fu creduta araba, fu invece importata in Italia dai Longobardi e poi trasformata anche in Palagio (con falsa etimologia da palatium). Molti anfiteatri furono trasformati in fortezze o in conventi. La leggenda fiorì sempre intorno ai ruderi di queste grandi costruzioni romane, dove spesso si annidarono con tragico contrasto miserabili abituri e luridi postriboli, dove esercitavano il loro mestiere maghi e stregoni (cfr. il racconto di Benvenuto Cellini sugli esperimenti di spiritismo, al Colosseo), dove la pietà dei fedeli ricordò il sangue dei martiri con edicole e cappelle e dove qualche volta nei secoli si rifecero battaglie di tori, tornei o giudizî di Dio, ultimo e lontano ritorno di ludi gladiatorî e delle venationes che tanto avevano appassionato il mondo romano (v. tavv. LI a LIV).
Bibl.: H. Leclercq alla voce Amphithéâtre, in Dict. d'Arch. chrétienne di F. Cabrol dà un'amplissima bibliografia per tutte le opere anteriori al 1907. Cfr. in special modo C. Thierry alla voce Amphitheatrum, in Dict. des Ant. di Daremberg e Saglio, I, pp. 241-247; P. J. Meier alla voce Amphitheatrum, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, ii, coll. 1959-62; J. Durm, Die Baukunst der Römer, Stoccarda 1905, p. 667 segg. Fra le opere posteriori al 1907 cfr. A. Mau, Pompeij in Leben und Kunst, Lipsia 1908, p. 216 segg.; R. Cagnat e V. Chapot, Manuel d'Archéologie Romaine, Parigi 1916, p. 192 segg.; G. T. Rivoira, Architettura Romana, Milano 1921, p. 113 segg.; L. Friedländer, in Dastellungen aus der Sittengeschichte Roms, Lipsia 1922, 10ª ed., II, p. 50 segg.; III, p. 205 segg.; G. Cozzo, Ingegneria Romana, Roma 1928, p. 203 segg.