ZUCCONI, Angela.
– Nacque a Terni il 2 novembre 1914, figlia di Mario e di Virginia Cecca.
Quando, nel 1918, il padre fu nominato procuratore del re in Libia, la famiglia si trasferì a Bengasi. La madre, profondamente cattolica, iscrisse Angela e il fratello in una scuola retta da suore ma frequentata da bambini di diversa provenienza culturale e religiosa. Alla fine degli anni Venti gli Zucconi si trasferirono a Trieste. Qui Angela frequentò il liceo classico imparando il tedesco, lingua che la accompagnò tutta la vita. Trieste, in quegli anni, fucina di traduttori e intellettuali, come Alberto Spaini, e Bobi Bazlen, Ervino Pocar e Gianni Stuparich, fu centrale per la formazione della giovane Zucconi che trovò nello studio il luogo della sua realizzazione: «i capelli cresciuti e i temi di italiano letti a voce alta dal professore in classe mi dettero una certa lena e mi trovai così bene da ricordare per tutto il resto della mia vita ciò che avevo imparato in quella scuola» (A. Zucconi, Cinquant’anni nell’utopia..., 2000, p. 20).
Nel 1930 gli Zucconi si trasferirono a Roma, e la giovane si iscrisse al liceo Mamiani. Iniziò a frequentare l’eremo di Campello sul Clitunno, vicino alla casa natale della madre, e rimase affascinata da questa comunità femminile profondamente anticonformista. Un cenacolo mistico di donne guidate da suor Maria, malvisto dagli abitanti del luogo che le battezzarono le allodole.
A Campello entrò in contatto per la prima volta con l’antifascismo: lì conobbe Barbara Allason, anche lei traduttrice dal tedesco, che le aprì, anni dopo, le porte di casa Croce.
A Roma Zucconi iniziò a scrivere poesie, e nel 1933 pubblicò per l’editore Airoldi, un libro dal titolo Viaggi senza approdo, con una epigrafe presa in prestito da Lao Tze: «Non c’è meta, soltanto la strada». Grazie a questo libro conobbe don Giuseppe De Luca che diventò suo amico e direttore spirituale. «Uno dei fili sempre presenti e invisibili» nella sua vita. Grazie a De Luca, al centro di fitte reti di relazioni intellettuali, Zucconi iniziò a collaborare con L’Avvenire d’Italia, spesso firmando le sue recensioni o i suoi resoconti di viaggio con i nomi di Ilaria o Angelina Zucconi.
Nello stesso anno si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza di Roma e iniziò a frequentare l’Istituto di studi germanici di villa Sciarra fondato nel 1938 da Giuseppe Gabetti. Con lui si laureò con una tesi su alcune lettere inedite della marchesa Marianna Bacinetti Florenzi Waddington, amante di Ludovico I di Baviera.
Nel 1938 partì per Monaco di Baviera con una borsa di studio per approfondire le sue ricerche. Dopo l’invasione della Polonia il 1 settembre 1939 rientrò in Italia, continuando tuttavia a lavorare al progetto sulla marchesa Florenzi grazie all’intervento di Barbara Allason che la presentò nel 1939 a Benedetto Croce e venendo, così, ammessa al suo archivio.
Grazie a una borsa di studio nel marzo 1940 poté partire di nuovo, questa volta per la Danimarca, dove studiò inediti di Ludovico di Baviera conservati presso il Museo Thorvaldsen. In seguito all’entra-ta in guerra della Danimarca Zucconi tornò in Italia e conobbe Adriano Olivetti che le commissionò la traduzione di tutte le opere di Søren Kierkegaard per le Nuove edizioni di Ivrea.
In Danimarca conobbe e frequentò il premio Nobel Niels Bohr. Per l’editore Leo Longanesi scrisse il primo libro Lodovico innamorato, la storia del carteggio fra la marchesa Florenzi e Ludovico di Baviera: questa edizione, tuttavia, restò sepolta nel bombardamento di Milano del 1944.
Zucconi insegnò in questi anni al liceo classico di Orvieto, poi presso l’Istituto romano delle suore di Nevers dove conobbe, fra le altre, Marcella Rinaldi, traduttrice, che le fu amica tutta la vita.
Iniziò a lavorare presso la sede romana dell’editore Einaudi dove si occupò di editing e traduzioni. Lì conobbe Natalia Ginzburg, giovane vedova di Leone, che rievocò l’amicizia con Zucconi in due racconti: Estate (1946) e Le scarpe rotte (1957). Provata dalla morte del marito, Natalia Ginzburg si trasferì a vivere con Zucconi nella grande casa di famiglia di via Cola di Rienzo 212, a Roma, dove in quegli anni trovarono rifugio numerosi giovani intellettuali come Bobi Bazlen che le commissionò la traduzione dei poeti espressionisti tedeschi. A via Cola di Rienzo Ginzburg e Zucconi progettarono la pubblicazione di una rivista dal titolo Arianna. L’editore avrebbe dovuto essere Longanesi, ma la rivista non fu mai data alle stampe: «Nel fervore di quei mesi in fondo credevamo che bastasse far uscire dall’ombra la donna perché l’utopia di oggi diventasse la politica di domani» (Zucconi, 2000, p. 85).
Nello stesso anno Angela Zucconi conobbe Giuliana Benzoni che la coinvolse nel Movimento di collaborazione civica (MCC): con lei organizzò delle colonie estive per bambini denutriti italiani presso famiglie danesi. Il suo impegno nel sociale la portò a una rottura molto dolorosa con De Luca che immaginava per la giovane una vita da studiosa.
Nel 1946 si iscrisse all’UDI (Unione Donne Italiane) e partecipò con la delegazione italiana, guidata da Ada Prospero Gobetti, vedova di Piero, al primo Congresso internazionale della donna a Parigi. Quindi, dal 16 settembre al 6 ottobre 1946, fu delegata al Convegno per studi di assistenza sociale di Tremezzo sul lago di Como.
Il Convegno di Tremezzo durò tre settimane e fu un momento fondamentale di impostazione di un sistema di welfare sul modello dell’inglese piano Beveridge: nella prima settimana si discussero le nuove forme da dare all’assistenza sociale e alla legislazione sul lavoro. Nella seconda, l’assistenza all’infanzia e ai minori. Ma fu la terza settimana quella più gravida di promesse e di speranze. Dal 30 settembre al 6 ottobre furono affrontati quelli che vennero definiti i problemi del dopoguerra: quello degli alloggi, dei risarcimenti ai civili, delle pensioni ai partigiani, delle case popolari, dei campi profughi, dell’emigrazione e immigrazione, dell’orientamento scolastico e professionale, della malattia mentale.
A Tremezzo si incontrarono e si scontrarono intorno a questi temi le diverse anime dell’assistenza sociale italiana che erano sostanzialmente tre, quella cattolica, quella di matrice fascista, infine quella laica, azionista, la cui portavoce fu Maria Comandini Calogero. Avrebbe poi scritto Angela Zucconi «Alla fine di quelle tre settimane, girando per il grande albergo ormai quasi vuoto, rividi su un cavalletto il giornale murale che illustrava tra l’altro l’eccessivo ottimismo degli educatori con una serie di vignette: nella prima il bambino vestito da SS camminava seminando a destra e sinistra teste tagliate. Alla fine si vedeva lo stesso bambino, in grembiulino bianco e con il fiocco, innaffiare una piantina alla quale parlava, come si dice che bisogna parlare alle piante: cresci piantina, cresci piantina. E il ministro Sereni diceva “L’utopia di oggi sarà la politica di domani”, il convegno era nettamente diviso fra chi voleva e chi non voleva le riforme e l’istituzione di servizi sociali. Prevalsero i secondi. La piantina non sarebbe cresciuta e l’utopia non diventò la politica di domani. prevalse la politica assistenziale demagogica del giorno dopo giorno, di cui tuttora paghiamo i debiti e degli atti di Tremezzo non restò che l’odore di quelle notti passate a cantare» (Zucconi, 2000, p. 86).
Fu in questo frangente che, terminata la collaborazione con Einaudi, Zucconi decise di lasciare da parte lo studio e le traduzioni, per cercare un lavoro stabile. Fu dunque coinvolta nella fondazione del Centro di educazione professionale per assistenti sociali (CEPAS) fondato da Guido Calogero e Maria Comandini Calogero. In seguito alla partenza dei coniugi Calogero per il Canada, Zucconi diresse il CEPAS: fu lei a iniziare la collaborazione del CEPAS con Adriano Olivetti in alcuni progetti di sviluppo destinati al Meridione.
Fu così che nel 1953 a Zucconi (e al CEPAS) fu affidata la supervisione degli interventi di assistenza sociale in occasione della costruzione del borgo comunitario La Martella, nei pressi di Matera, dove vennero riallocati gli abitanti dei Sassi. Lì Zucconi conobbe, fra gli altri, Rocco Scotellaro e Manlio Rossi-Doria.
Nel progetto La Martella Zucconi si scontrò con gli assistenti sociali di formazione cattolica impegnati in una tenace azione di propaganda per la Democrazia cristiana al punto che, temendo l’eccessiva influenza laica del CEPAS, gli altri villaggi previsti non furono costruiti.
La Martella dopo un anno si mostrò poco più di un cantiere semideserto e disordinato, battuto dai venti, bruciato d’estate. Per questa cocente delusione Zucconi decise di partire, lasciando a Paolo Volponi la direzione temporanea del CEPAS. Nel 1955 le fu affidata una borsa di studio UNESCO per visitare e studiare le missioni culturali messicane. Fu nel corso di questo importante viaggio che conobbe Florita Botts, che rimase accanto ad Angela Zucconi per tutta la vita.
Con lei si recò in Portorico nel gennaio 1956 entrando in contatto con il lavoro portato avanti dalla divisione per l’Educazione della comunità del ministero dell’Istruzione portoricano.
Rientrata in Italia nel 1956 iniziò a elaborare con Adriano Olivetti il progetto pilota per l’Abruzzo patrocinato dall’UNRRA-CASAS (United Nations Relief and Rehabilitation Administration - Comitato Amministrativo Soccorso Ai Senzatetto) e dal CEPAS, che fu presentato nel marzo 1957 all’UNESCO.
Dodici comuni coinvolti, dei quali cinque in provincia dell’Aquila con particolare attenzione nei confronti dell’educazione degli adulti. «Dai colloqui con le famiglie uscì un primo punto essenziale. Tutte davano un’importanza enorme alla scuola, le attribuivano un tale valore che allora ci sorprese e oggi messo a confronto con il mondo presente ci umilia. Quattro anni prima che venisse istituita per le legge la scuola dell’obbligo fino a 14 anni il progetto riuscì a far proseguire gli studi a un centinaio di ragazzi che avevano la licenza della scuola elementare» (Zucconi, 2000, p. 159).
Le difficoltà nell’attuazione del progetto Abruzzo, anch’esse conseguenza di criticità di ordine politico, e la morte di Adriano Olivetti il 27 febbraio del 1960, indussero in Zucconi un importante ripensamento di tutta la sua vita. «L’anno 1961 finì con una notte nel deserto libico. Vissi la prima occasione di riprendere la mia vita. Il lavoro che svolgevo al Cepas era sempre stato assillante. La morte di Olivetti era stato un lutto irrimediabile» (Zucconi, 2000, p. 173).
Così, seguendo il suo amore per i luoghi marginali, nel 1962, Zucconi comprò una casa ad Anguillara Sabazia sul lago di Bracciano. Un paese in apparenza intatto, ma in realtà esposto alla speculazione edilizia che allora stava devastando la campagna romana.
«Una mattina vedemmo dalla finestra un gran movimento di ruspe che scaricavano pietre e terriccio nel lago per inventare una strada larga dodici metri che liberava dall’immediato contatto con l’acqua 4 o 5 case. Ma continuava molto oltre e avrebbe dovuto aggirare su palafitte in cemento il promontorio su cui sorge il paese» (Zucconi, 2000, p. 203). In seguito a una battaglia durata mesi Zucconi riuscì a interrompere la costruzione della strada e iniziò a impegnarsi nel movimento ambientalista con Italia nostra.
Da Anguillara partì di nuovo: grandi viaggi, conferenze internazionali e l’impegno al CEPAS di cui comunque lasciò la direzione nel 1963, rimanendo tuttavia membro della Giunta di direzione. Nel marzo del 1968 promosse il convegno Attualità e inattualità nei progetti di sviluppo comunitario tenutosi a Sorrento. Dal 1969 entrò a far parte del consiglio di amministrazione della Fondazione Adriano Olivetti, di cui diventò vicepresidente dal 1978 al 1981.
Alla fine degli anni Sessanta fondò nella piazza di Anguillara la biblioteca, chiamando Giorgio Bassani, presidente di Italia nostra, a inaugurarla. Un vero e proprio progetto pilota che rappresentò non solo la prima biblioteca del lago, ma anche la sede del primo corso per le 150 ore, conquista sindacale del 1973 per un’Italia ancora piena di lavoratori semianalfabeti.
Nel 1971 uscì per l’editore Adelphi la sua traduzione del volume Memorie dalla torre blu di Leonora Christina Ulfeldt, mentre l’anno seguente pubblicò sulla rivista Assistenza d’oggi un’indagine di tipo comparativo sulla condizione dei servizi sociali in tre città italiane: Roma, Milano e Bologna. Negli anni successivi si impegnò nella ricostruzione della storia di Anguillara Sabazia pubblicando il libro Autobiografia di un paese che uscì per le Edizioni di Comunità nel 1984. Nello stesso anno curò il volume Fabbrica, comunità, democrazia. Testimonianze su Adriano Olivetti e il Movimento Comunità (con Francesca Giuntella): una importante riflessione sulla stagione della collaborazione con Olivetti.
Lavorò negli ultimi anni della sua vita alla sua autobiografia.
Morì ad Anguillara Sabazia il 17 novembre 2000.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Adriano Olivetti, fondo Angela Zucconi/CEPAS, inventario disponibile all’indirizzo http://www.fondazioneadrianolivetti.it/_images/pubblicazioni/collana/112816142602Fondo%20Angela%20Zucconi%20Cepas%20versione%20web.pdf (13 novembre 2020).
Fondamentale la sua autobiografia Cinquant’anni nell’utopia, il resto nell’aldilà, Napoli 2000. Si vedano inoltre: V. Roghi, Una vita nell’utopia. Prime note di ricerca su A. Z., in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2003, n. 2, pp. 235-265; D. Bolognesi, Le origini del Cepas dalla “scuola di Guido Calogero” al “gruppo di A. Z.”, in Politiche scientifiche e strategie d’impresa: le culture olivettiane ed i loro contesti, a cura di G. Gemelli, Roma 2005, pp. 309-335; V. Roghi, A. Z. fra impegno sociale e politico 1944-1948, in La memoria della politica. Esperienze e auto rappresentazione nel racconto di uomini e donne, a cura di F. Lussana - L. Motti, Roma 2007, pp. 289-303; A. Z. Il lavoro sociale di comunità come partecipazione dal basso, a cura di G. Certoma, Roma 2008; D. Bolognesi, Costruire le istituzioni. Il ruolo di A. Z. fra impegno sociale e imprenditorialità scientifica, Roma 2009.