GUADAGNOLI, Angelella (Colomba da Rieti)
Nacque il 2 febbr. 1467 a Rieti. Per lungo tempo la G. è stata ritenuta figlia di Angelo Antonio Guadagnoli e di Vanna; recenti indagini (Baglioni, Cianini Pierotti) hanno attribuito invece la paternità della G. ad Angelo Antonio Petrozzi, sposato da Vanna in seconde nozze, allora proprietario di una casa e un fondaco nel sestiere di Porta Cintia.
Secondo la tradizione agiografica il giorno del battesimo una colomba si posò sul petto e sulla bocca della G., che da quel momento venne chiamata, appunto, Colomba. Il fatto viene narrato nelle prime pagine della Vita del domenicano Sebastiano Bontempi, che resta la fonte primaria e generalmente affidabile per la ricostruzione delle sue vicende. Composta in latino tra l'ottobre del 1501 e il 1506, venne tradotta in italiano dall'autore tra il 1507 e il 1521.
Animata da un'innata tensione spirituale, la G. frequentò sin dall'infanzia la chiesa di S. Domenico e la casa delle terziarie domenicane di Rieti: qui, ascoltando la lettura della vita di Caterina da Siena (pubblicata nel 1477 e destinata a enorme fortuna), trovò una risposta alle sue aspirazioni interiori facendo della santa senese il proprio modello. Ormai adolescente, si dedicò con sempre maggior rigore alle pratiche ascetiche, destinate a condurla ancor giovane alla morte.
Del tutto inutili si dimostrarono i tentativi dei genitori di farla sposare con un nobile: il giorno stabilito per il suo fidanzamento la G. si presentò con i capelli tagliati, segno irrevocabile della sua rinuncia al mondo. Preso atto della situazione, il padre decise di non opporsi oltre e concedere alla giovane una stanza a suo uso esclusivo dove si potesse ritirare per le proprie devozioni. Intanto la G. insistette anche con i frati predicatori perché le fosse concesso l'abito del Terz'ordine della penitenza di S. Domenico, da lei ottenuto la domenica delle Palme del 1486, quando venne accolta nella famiglia domenicana per mezzo di fra Tommaso da Foligno, allora priore di S. Domenico.
A questo punto l'influenza di Caterina da Siena incominciò a manifestarsi nell'attenzione della G. per il pellegrinaggio: nell'estate del 1487, ormai circondata da una certa fama di santità, si recò a piedi al santuario domenicano di S. Maria della Quercia, presso Viterbo, seguita da dodici compagni, per lo più frati e suore del Terz'ordine. Proprio qui, di fronte all'immagine della Madonna, compì il suo primo esorcismo su una donna portatale dai padri domenicani del santuario.
Rientrata a Rieti, la G. maturò la decisione di un nuovo, più impegnativo pellegrinaggio che la leggenda presenta come ispirato da una visione in cui s. Caterina e s. Domenico chiedono alla giovane di partire per una meta ancora sconosciuta. Così, dopo aver consumato una vera e propria ultima cena con le dodici persone a lei più care e spiritualmente affini, alle quali la G. (in un ripercorrere puntuale le gesta di Gesù) volle anche lavare i piedi, scappò in segreto durante la notte. Giunse, nel settembre del 1488, nei pressi di Spoleto, quindi a Foligno, dove chiese ospitalità presso il monastero clariano di S. Caterina che pensava erroneamente essere una comunità domenicana, e poi presso le monache dell'Ordo praedicatorum di S. Maria del Popolo. Qui, dopo che la sua totale astensione dai cibi e il suo girovagare avevano attirato i sospetti delle magistrature cittadine, fu raggiunta dal padre e dal priore di S. Domenico di Rieti, scortata dai quali proseguì il suo cammino sino a S. Maria degli Angeli. Raccolta in preghiera, quando tutti pensavano che si volesse dirigere verso Siena, città della sua santa ispiratrice, la G. realizzò che il termine del suo viaggio doveva essere Perugia.
La città, sede di una piccola e poco significativa comunità di terziarie domenicane, era travagliata da violentissime lotte intestine che vedevano scontrarsi anche entro le mura i rappresentanti della potente famiglia Baglioni contro gli Oddi e i loro sostenitori.
Non è facile chiarire le motivazioni che spinsero la G. a questa scelta. Sicuramente dalle fonti emerge la sua attenzione alla città come luogo di intensi rapporti umani spesso segnati dalla sopraffazione e dalla sete di potere. Dopo la morte di Braccio Baglioni (1479) e il periodo di anarchia che ne seguì, l'estate del 1488 fu caratterizzata dalla definitiva affermazione del potere dei fratelli di quest'ultimo, Rodolfo e Guido, sino alla cacciata degli Oddi da Perugia il 30 ottobre. La G. scelse dunque di dirigersi verso una città in piena guerra civile, dove la stessa debolezza istituzionale delle terziarie domenicane può esserle sembrata occasione per qualcosa di nuovo: la creazione di un monastero aperto, dal quale le religiose potessero uscire quotidianamente per recarsi in chiesa e ammaestrare silenziosamente i propri concittadini.
Assecondando i suoi desideri, il padre e il priore di S. Domenico si recarono in città per ottenere un salvacondotto per la G.: i domenicani di Perugia infatti si rifiutarono di accoglierla, temendo che dietro il suo carisma si nascondesse una finzione di santità che sarebbe potuta tornare a discredito di tutto l'Ordine.
Straziata dalle quotidiane violenze che ne insanguinavano le strade e il contado, la cittadinanza dovette accogliere con favore l'arrivo della Guadagnoli. Il cronista perugino Maturanzio narra infatti della festosa accoglienza che una piccola folla riservò alla G. che, accompagnata dai genitori, entrava in Perugia per porta S. Pietro e veniva condotta presso la casa di due terziarie domenicane nei pressi della chiesa di S. Domenico. Proprio qui, nella cappella di S. Caterina frequentata quotidianamente la G. si svelò come la santa della città: con le sue prolungate estasi pubbliche, spesso seguite da guarigioni miracolose e severi ammonimenti ai potenti che si recavano a consultarla (in particolare proprio Rodolfo e Guido Baglioni), la donna divenne un nuovo ponte fra Dio e i suoi concittadini di adozione, che da questo momento, nonostante il parere contrario dei domenicani, si opposero risolutamente a qualsiasi tentativo dei Reatini per riaverla.
Intanto la piccola e informale comunità si stava trasformando in qualcosa di nuovo: l'arrivo della G. aveva fatto decidere alcune nobili terziarie, che erano vissute sino a quel momento nelle proprie case, a ritrovarsi presso la casa di porta S. Pietro.
Se tra il 1488 e il 1489 cinque sorelle presero l'abito, nel 1492 la comunità contava ormai tredici membri per arrivare a quaranta nel 1497. Il carisma della G. si era dunque incontrato con un'effettiva esigenza della città che - nonostante i dubbi persistenti dei domenicani, soprattutto in relazione all'accettazione di donne giovani - non si oppose all'ingresso di sue nobili figlie presso una struttura poverissima e priva della dignità tipica dei monasteri di clausura.
Quanto alla G., aveva scelto per sé un'angusta stanzetta priva di luce e confinante con le latrine, dove sotto una stuoia nascondeva gli strumenti delle sue discipline. Una dimensione privata che non impedì alla G. di elaborare un percorso istituzionale nuovo e chiaro per tutte quelle che vollero seguirla: così, quando il 1° genn. 1490, nella chiesa di S. Domenico, pronunciò la sua professione solenne nelle mani del priore Stefano da Gaeta, lo fece secondo la regola delle terziarie di S. Domenico, cui si aggiunsero le esplicite promesse di povertà, castità e obbedienza, secondo la nuova formula "de la istituzione della vita collegiale" come recita la Cronaca, conservata presso il monastero delle Colombe (come viene comunemente chiamato) di Perugia. Gli elementi essenziali di questo nuovo stato di vita si definirono progressivamente sino a raggiungere la forma scritta di Consuetudini in 21 capitoli, i cui tratti essenziali consistono nel coniugare la vita comunitaria scandita dalla recita obbligatoria dell'officio tipico dei monasteri con il rifiuto della clausura.
Nel 1490 l'impegno della città a sostegno della nascente comunità divenne più esplicito: si decisero infatti le prime sistematiche elargizioni in denaro per sostenere i lavori di restauro e ampliamento del complesso conventuale. Quando nel febbraio del 1493 la G., circondata da diverse nobildonne perugine, pose la prima pietra del dormitorio e del refettorio, i lavori per l'oratorio e altre parti erano già a buon punto. È questo l'anno di un'eccezionale donazione da parte della più importante magistratura cittadina direttamente governata dai Baglioni: attingendo ai propri fondi discrezionali i Dieci dell'arbitrio deliberarono infatti lo stanziamento di ben 1000 fiorini a favore delle religiose. In effetti fu tra il 1492 e il 1494 che si concentrarono le più alte donazioni, sia pubbliche sia private, in favore della Guadagnoli.
Il suo intervento intercessorio si rivelò in occasione della grave pestilenza che si abbatté sulla città nella primavera del 1494.
Si trattava in realtà di una prima ondata di sifilide portata dalle truppe di Carlo VIII discese nella penisola italiana: interpellata, la G. suggerì la realizzazione di un prezioso gonfalone rappresentante la città di Perugia protetta dai manti di s. Domenico e s. Caterina. Realizzato in tutta fretta da Giannicola di Paolo o da Ludovico d'Angelo Mattioli, pittori di scuola perugina, il gonfalone venne portato in solenne processione per tre giorni a partire dal 4 maggio, festa di S. Caterina. Il successo dell'iniziativa consacrò definitivamente la fama di santità della G., la quale nel corso del contagio si era prodigata nella cura degli ammalati sino a contrarre la malattia dalla quale, secondo le fonti, fu liberata miracolosamente.
Senza dubbio fu questo il momento di massima influenza della G., che in seguito sperimentò le conseguenze negative di una troppo stretta identificazione con il potere. Nel Natale del 1494 la G. si vide assegnare un nuovo confessore: si trattava del teologo, matematico e astrologo Sebastiano Bontempi, professore di teologia e morale, più volte priore di S. Domenico e confessore dello stesso Giampaolo Baglioni.
Quest'ultimo e il fratello intensificarono le visite alla G., la quale non lesinò loro consigli e visioni che anticipavano le vittorie sugli avversari. In particolare nel 1495 si verificarono scontri tra i Baglioni e gli Oddi che tentavano di volgere a loro favore l'instabilità creata dalle truppe di Carlo VIII: le battaglie si svolsero nel contado in primavera per culminare poi in un sanguinosissimo scontro entro le mura cittadine nel settembre. In entrambe le occasioni la G. sostenne i Baglioni, pregando a fianco delle donne di famiglia: in molti iniziarono allora a dubitare della sua imparzialità, accusandola di sostenere i tiranni a danno di altri cittadini.
Nel giugno dello stesso anno un nuovo avvenimento aveva fomentato queste impressioni: di passaggio da Perugia per sfuggire alle truppe francesi, papa Alessandro VI aveva avuto modo di conoscere la religiosa e se in un primo momento era rimasto infastidito dalle sue estasi inopportune nel corso di una pubblica udienza, un lungo interrogatorio gli aveva permesso di saggiarne la santità e ortodossia. Il tutto si era concluso con la concessione di una speciale indulgenza all'altare di S. Caterina per la fabbrica del monastero.
I favori del pontefice non giovarono alla G.; estasi, predizioni, digiuni e rigori ascetici, insomma quegli stessi elementi che avevano per anni costituito una prova della sua perfezione, divennero altrettanti possibili indizi della sua presunzione, forse anche della sua affettazione di santità, che nascondeva una possibile stregoneria.
Così le indagini ecclesiastiche che non l'avevano risparmiata negli anni precedenti si intensificarono divenendo al contempo più accurate: se già le autorità di Foligno avevano condotto al tempo del suo passaggio qualche indagine, la G. era da poco arrivata a Perugia quando i domenicani avviarono un'inchiesta coinvolgendo anche alcuni magistrati cittadini tra cui il giudice perugino Crispoldo de' Crispoldi, destinato a divenire suo discepolo. Intorno al 1494 fu la volta di un nuovo inquisitore domenicano francese e se anch'egli si arrese di fronte alla G., meno netti furono i risultati di diverse commissioni di inchiesta, domenicane e pontificie, nel periodo successivo. Mai dichiarata colpevole, la G. non risultò neanche del tutto innocente.
Intanto, nonostante i sospetti, la fama di taumaturga della G. continuò a crescere, mentre nella sua comunità, morta nel 1497 la priora, le si riconobbe anche formalmente il ruolo di guida sempre esercitato nominandola al posto di suor Angelina.
In questo stesso anno tuttavia, soprattutto nei territori sottoposti all'autorità pontificia, il cerchio si stringeva intorno ai molti seguaci di Savonarola e Bontempi era fra questi: le autorità ecclesiastiche lo accusarono di magia e di plagio nei confronti della G., alla quale avrebbe suggerito il contenuto di alcune visioni.
Dal 1497 a Bontempi fu tolta la guida spirituale della G., che venne affidata a un nuovo confessore, frate Andrea da Perugia: un buon uomo assolutamente inadatto alla guida di un personaggio della levatura della Guadagnoli.
Non stupisce d'altronde che le autorità domenicane non si fossero lasciate sfuggire l'occasione di ridimensionare l'immagine e l'influenza di una religiosa che con la sua azione proponeva qualcosa di ben diverso dalla controllata e controllabile santità di altre terziarie da tempo proposte come modello anche dalla produzione agiografica dell'Ordine (si pensi al caso esemplare di Maria da Venezia).
La G. era sempre più costretta nei limiti del suo convento, dal quale richiamava i Baglioni - e in particolare Giampaolo - ai castighi che li avrebbero colpiti per il loro malgoverno.
Sono anni di solitudine in cui l'aiuto, piuttosto che dai frati predicatori o dalla cittadinanza, sembra arrivare da Alessandro VI per mezzo dei legati pontifici: prima Giovanni Borgia, quindi Raimondo Perauld divennero devoti della G., impegnandosi a ottenere in suo favore diverse indulgenze destinate a integrare gli scarsi introiti della comunità, che ormai risentiva della diminuzione delle donazioni pubbliche. In particolare nel 1500, alla concessione del privilegio del giubileo da lucrarsi per la G. e l'intera comunità, si accompagnavano altri aiuti economici sotto forma di indulgenze e, soprattutto, l'assegnazione alla G. di un nuovo padre spirituale nella persona di fra Michele da Genova, per diretto interessamento del legato pontificio.
Fu questo dotto teologo ad accompagnare la beata negli ultimi mesi della sua vita, conclusasi nel 1501 nel giorno dell'Ascensione.
Il corpo venne esposto alla venerazione dei fedeli per due giorni nella chiesa di S. Domenico prima che si procedesse ai solenni funerali a spese del Comune, conclusisi con la sepoltura nella cappella di S. Caterina. Il culto della G. venne definitivamente riconosciuto solo nel 1725 da Benedetto XIII, sebbene sin dal 1566 Pio V avesse concesso al monastero delle Colombe (questo il nome della comunità dopo la morte della sua fondatrice) la possibilità di celebrarne liturgicamente la memoria nel giorno della morte.
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