PALLI, Angelica
PALLI, Angelica. – Primogenita di quattro fratelli, nacque a Livorno nel 1798 da Panajotti – che praticava con successo l’attività commerciale – e da Dorotea Di Giorgio, entrambi di origine greca.
Educata in casa, fin da piccola rivelò precoce versatilità poetica come compositrice e improvvisatrice, divenendo presto membro dell’Accademia Labronica con il nome di Zelmira. Dai primi anni Venti la dimora paterna, in seguito alla guerra per l’indipendenza della Grecia, si tramutò in un centro di filellenismo, dove Angelica non si limitava a intrattenere gli ospiti con la conversazione colta, ma, a sua volta, sosteneva appassionatamente la causa greca. Fu in questa veste che instaurò rapporti con Vieusseux e l’ambiente dell’Antologia: le cronache tramandano una sua esibizione come improvvisatrice, la sera del 3 maggio 1824, a palazzo Buondelmonti, dove non erano usualmente ammesse le donne.
Agli anni Venti datano anche le sue prime pubblicazioni significative: tre drammi, concepiti secondo il modello alfieriano, Tieste (Livorno 1820), Saffo (ibid. 1823), Buondelmonte Buondelmonti (ibid. 1828), nonché un volume di Poesie (ibid. 1824) e un romanzo, Alessio o gli ultimi giorni di Psara (s.l. ma «Italia» 1827), ambientato durante la guerra d’indipendenza ellenica. Le Poesie, recensite da Giuseppe Montani nell’Antologia, costituiscono uno fra i primi esempi di quelle raccolte di rime politiche al femminile destinate ad avere molta fortuna nel Risorgimento.
Verso la fine degli anni Venti Angelica si innamorò di Giovan Paolo Bartolomei, appartenente a una ricchissima famiglia di mercanti trasferitasi a Livorno dalla Corsica, politicamente orientato verso il mazzinianesimo. I genitori di lui erano fermamente contrari al fidanzamento, avendo il giovane 19 anni ed essendo lei più anziana di 13, di religione ortodossa e di famiglia socialmente inferiore: i due, tuttavia, con un gesto clamoroso, decisero di fuggire, recandosi dapprima a Roma e poi a Corfù, dove si sposarono con rito cattolico nell’agosto 1831 e dove in novembre nacque il figlio Luciano.
Rientrata col marito in Toscana nel 1832, Angelica visse a contatto con gli ambienti democratici di Livorno: il fratello Giovanni era affiliato alla setta di ispirazione buonarottiana dei Veri Italiani, l’altro fratello, Michele, e Bartolomei aderivano entrambi alla Giovane Italia, mentre Angelica stessa era amica assidua di Francesco Domenico Guerrazzi che nell’edizione Mannini del 1845, le dedicò la sua Battaglia di Benevento. A palazzo Bartolomei, agli Scali del Pesce, Palli gestiva un salotto dall’impronta culturale e politica, dove, oltre allo stesso Guerrazzi, circolava l’intellighenzia livornese e quella di passaggio (qualche nome: Carlo Bini, Giuseppe Giusti, l’egittologo Jean-François Champollion).
Tuttavia, già a partire dai primi anni Quaranta, le posizioni politiche dei coniugi Bartolomei si distaccarono dal mazzinianesimo e dall’avvicinamento al liberalismo moderato scaturì una decisa rottura, anche personale, con Guerrazzi. Non a caso nel Sogno fantastico di una notte di Carnevale (Livorno 1848), atto unico di argomento quarantottesco, Angelica fa esplicito riferimento alle divisioni dentro il movimento liberale e al contrasto fra democratici e moderati.
Alla guerra del 1848 la famiglia Bartolomei partecipò al gran completo, armando a proprie spese un battaglione di volontari, mentre Giovan Paolo con Michele palli e il giovanissimo Luciano partirono per la Lombardia. Angelica dopo poche settimane volle raggiungere i luoghi delle battaglie, per stare vicino ai propri cari ma anche per seguire da vicino i fatti: le sue riflessioni critiche sugli avvenimenti, presenti anche nelle lettere indirizzate a Bettino Ricasoli, si trasformarono in articoli per i giornali come L’Italia, stampato a Pisa, Il cittadino Italiano, livornese, e, soprattutto La Patria, pubblicato a Firenze.
In seguito alla sconfitta piemontese, i coniugi Bartolomei tornarono a Livorno, stabilendosi però in campagna, nella tenuta di Limone, alle prese con una difficile situazione finanziaria dovuta all’impegno economico profuso in guerra e, soprattutto, a una serie di investimenti sbagliati. Intanto gli avvenimenti tra l’agosto del 1848 e il maggio del 1849, che portarono al triumvirato della Toscana di Guerrazzi e alla successiva occupazione da parte degli austriaci, colpirono molto la sensibilità politica di Angelica, tanto da farle auspicare un ritorno del granduca, se pure in un alveo costituzionale, come si legge in un’appassionata lettera inedita da lei scritta e indirizzata al granduca stesso (D’Alessandro, 2002-03, pp. 207-210).
Testimonianza della sua visione sociale è il trattato Discorsi di una donna alle giovani maritate del suo paese (Torino 1851), una riflessione sul ruolo femminile in cui l’autrice, pur denunciando la disparità dell’educazione delle ragazze, propone comunque, per le donne, un modello del tutto subordinato alla famiglia, cui esse dovrebbero necessariamente sacrificare ogni ambizione, ai fini di tutelare l’ambito domestico.
Morto il marito nel 1853, Angelica si trasferì a Torino per seguire l’istruzione del figlio Luciano ch’era stato ammesso alla scuola militare. Anche il periodo torinese fu caratterizzato dall’apertura di un salotto, punto di incontro, come altri ritrovi mondani nella città sabauda, per i tanti esuli e intellettuali attratti nel Piemonte dello Statuto.
Nella capitale piemontese scrisse Le confessioni di un Corso (ibid. 1855), dedicato a Giuseppe Cipriani: un poemetto in versi dove, sul modello de I Profughi di Parga di Berchet, l’intreccio avventuroso e sentimentale si sviluppa su di uno sfondo storico-civile, qui rappresentato dal patriottismo indipendentista corso.
Tornata definitivamente a Livorno, diede vita nel 1858 a un settimanale di lettere, scienze ed arti, Il Romito, di cui assunse la direzione. Molto chiaro l’impegno politico del giornale, che, pubblicato dal 1° gennaio 1859 al 27 luglio 1861, si pronunciò nettamente a sostegno del progetto cavouriano e della monarchia sabauda, in una prospettiva di unificazione nazionale.
Nell’ultimo periodo della sua vita, coltivò interessi pedagogici, tentando, se pur senza riuscirci, di aprire a Livorno una scuola femminile secondaria per la formazione delle future insegnanti.
Testimonianza dei suoi principi educativi fu il discorso tenuto per l’inaugurazione di una scuola femminile gratuita rivolta alle classi umili (Poche parole lette all’inaugurazione delle Scuole femminili gratuite... il dì 8 gennaio 1871, Livorno 1871).
Tra le opere date alle stampe nei suoi ultimi anni la novella Ulrico e Elfrida (ibid. 1868); la raccolta dei Componimenti drammatici, comprendente Dante a Verona, Corinna, Corrado e Imelda ossia Gregorio VII e la contessa Matilde (ibid. 1872); il dramma Lella (ibid. 1873); la fiaba Il gobbo di Santa Fiora (ibid. 1874).
Morì nel marzo 1875 e fu sepolta nel cimitero greco-ortodosso di Livorno.
L’anno successivo apparve un volume comprendente racconti composti in epoche diversi e in parte riuniti dall’autrice prima di morire (Racconti, Firenze 1876): tra questi testi una versione largamente rivista dell’Alessio.
Angelica Palli costituisce il paradigma di quelle donne appartenenti ai ceti medio-alti (scrittrici, poetesse, signore di salotto) che, nei decenni tra la Restaurazione e l’Unità nazionale, interpretarono un ruolo pubblico di primo piano, contribuendo attivamente a tessere l’intenso ordito di relazioni culturali e sociali di cui fu innervato il pensiero risorgimentale. Tale aspetto emerge con evidenza dai suoi carteggi, il cui fondo più consistente è conservato insieme a diversi manoscritti inediti tra le Carte Angelica Palli della Biblioteca Labronica di Livorno.
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