BIANCHI, Angelo (Bianchi-Giovini, Aurelio)
Nacque in Como il 25 nov. 1799 dalla guardia carceraria Francesco e da Maria Zoini. Non si sa né quando né perché assumesse il nom de plume Aurelio Bianchi-Giovini, che appare fin dai suoi primi scritti. I genitori, trasferiti da Como a Cremona, lo fecero educare in seminario, nel che giova forse individuare il germe del suo anticlericalismo. Nonostante l'educazione scolastica, che doveva indirizzarlo lato sensu al classicismo, e nonostante il classicismo della tradizione culturale lombarda e il retaggio pariniano degli stessi romantici (Manzoni, Berchet, Borsieri, Di Breme, ecc.), il B. venne acquistando, forse perché avviato alla mercatura, una non spregevole conoscenza di lettere e lingue straniere, tedesco e francese soprattutto. Fu a Vienna, quindi lavorò in un negozio, coltivando, conforme all'esempio del Berchet e dei collaboratori del Conciliatore, poesia e letteratura commiste di satirico moralismo pariniano e d'infiltrazioni germaniche.
È imitazione della Eleonora del Bürger, volgarizzata e commentata nella Lettera semiseria, la Matilde del B., com'è imitazione del Parini uno dei suoi primi scritti prosastici, le Avventure di un orso,scritte da lui medesimo,almanacco bisestile per l'anno 1824(Milano s.d.). Conformi al clima culturale del tempo sono anche lo studio, rimasto inedito, su Dante, mercé un'interpretazione e annotazione di vari passi dell'Inferno (anchela preferenza alla prima cantica della Divina Commedia è significativa), e il volumetto Trenta giorni in Grecia di Gustavo Brand (Lugano 1829), sia per la tecnica epistolare sia per l'attualità del tema: piano storico-evocativo alla Chateaubriand e piano politico d'indiretta o diretta celebrazione della rivolta e della restaurata libertà ellenica. Ma questo iniziale impegno culturalistico del B. non si sviluppò in impegno etico-politico nelle opere posteriori, né si affiancò (in questi anni giovanili del B., che coincidono con i moti carbonari e la persecuzione del gruppo legato al Conciliatore)ad azioni cospiratorie o, almeno, simpatizzanti. Nell'opera del '53 L'Austria in Italia (Torino), fra le sue migliori, anche per una certa spia autobiografica, il rapido profilo della cultura lombarda tratteggiato dal B. non soltanto tende a far dubitare della realtà ed efficacia "politica" dell'"incivilimento" lombardo (né a caso vi si tace il nome del Romagnosi), ma implicitamente contrappone l'astensione e il disimpegno del B. all'impegno della maggioranza degli intellettuali suoi conterranei. La vena pariniana gli è rimasta solo per una dipintura satirica del patriziato lombardo, a cominciare dal Confalonieri, contrapponendo la forzata politicità degli emigrati, vittime della confisca austriaca, al loro sostanziale conformismo e legittimismo fin quasi, od oltre, le Cinque giornate: dunque negando l'effettiva esistenza in Lombardia d'un moto autonomo di preparazione indipendentistica.
Già in rapporto con gli ambienti editoriali e tipografici ticinesi, il B. si trasferì a Capolago nel 1830 presso la Tipografia Elvetica di Vincenzo Borsa e Gaetano Bagutti, che finanziarono il giornale L'Ancora (diretto dal B. dal giugno 1831 al maggio 1832) per la campagna contro il partito liberale allora al potere nel Canton Ticino. È da escludere che il B. espatriasse per motivi politici, e anche, assai probabilmente (nonostante certi atteggiamenti e contatti), che egli svolgesse una funzione nel Canton Ticino di spia o agente dell'Austria.
Spinto forse dai vecchi rancori della esperienza seminaristica, o da nuove relazioni con l'ambiente protestante elvetico (l'Orelli, per es.), o dall'interesse dei suoi padroni e del suo giornale, o forse più veramente dal proposito di acclimatare la cultura italiana al nuovo criticismo di marca germanica e di promuovere gli studi storico-religiosi, il B. iniziò quella farraginosa e sempre immetodica redazione di opere di storia ecclesiastica, di critica biblica e di satira dei costumi del clero e della politica del papato che, nonostante difetti innegabili, volgarità repugnanti e la frequente acrisia, costituisce la parte men caduca della sua attività, quella che, per le stesse condanne all'Indice eal carcere, più lo rese caro ai contemporanei.
Ne è il frutto migliore la Biografia di Fra' Paolo Sarpi (Zurigo 1836; più volte ristampata in Italia e in Svizzera), preceduta nel 1833 (Capolago) da una scelta di lettere inedite. Pur viziata dall'anticlericalismo e da una sostanziale incomprensione del senso politico-filosofico della Storia del Sarpi e della sua stessa politica, la Biografia è vigorosa nel disegno, e non ignara della migliore storiografia contemporanea europea, sia per la rivendicazione del pensiero italiano (ricorda il B. le edizioni bruniane del Wagner e campanelliane dell'Orelli, cui l'Italia appena incomincia a contrapporre, o ad affiancare, l'edizione vichiana del Ferrari) sia per la revisione del quadro storiografico tradizionale (donde il riconoscimento dei meriti del Ranke storico della congiura del marchese di Bedmar, contro il Botta e il Daru: vedi Biografia, Basilea 1847 pp. 40, 41, 47, 373, 377-378). È riprova, però, del suo sostanziale indifferentismo politico (e della sua incapacità a trarre dal cuituralismo una guida al pensiero e all'operare politico) che il B. non solo divulgasse (ma con aggiornamenti e ragionamenti critici e con la traduzione della memoria del Ranke) la Storia di Venezia (Capolago 1834) del Daru, quando appunto ne venivano meno le premesse metodiche e i fondamenti eruditi, sì anche stampasse nel '33 (Capolago) un "ragionamento" in Difesa di Carlo Botta. E la difesa, quant'era "politica" (e in tal senso legittima), altrettanto contrastava con i presupposti medesimi dell'attività culturale del B., appunto diretta a immettere negli studi italiani, mediante opportuni volgarizzamenti o compendi, lo storicismo romantico avversato dal Botta e nel cui nome il Botta era avversato dai patrioti. Tale difesa il B., infatti, se l'assumeva contro un articolo dell'esule F. Ugoni nell'organo mazziniano Il tribuno: dopo che già il Mazzini, nel celebre suo scritto del '27, aveva rintuzzato "le invenie del Botta" contro i romantici "traditori della patria". Difendere il Botta equivaleva, dunque, a difendere non soltanto l'antiquato classicismo contro lo storicismo, ma, e soprattutto, a difendere un patriottismo antiquato e retrogrado contro lo effettuale risorgimentismo. Ora, questo è lo scopo confessato dal B. nella sua prima presa di posizione antidemocratica e antimazziniana, che è pur la sua prima presa di posizione carlalbertista. Su questo punto il B. rimase coerente, ma questa coerenza fu anche il suo limite e la ragione altresì della ristretta contingente efficacia ch'ebbero i suoi libri ed articoli. Incredulo nella democrazia e nell'Italia, ond'egli criticava del pari l'iniziativa mazziniana e il motto carlalbertino "L'Italia farà da sé", riteneva che l'indipendenza ed eventualmente l'unificazione più o meno prossima e completa del paese sarebbero state possibili solo mediante un processo di espansione monarchica, favorendo e sollecitando le tradizionali aspirazioni sabaude a dominare la Lombardia, la Padania, l'Alta Italia. Il problema italiano per il B. si ridusse quindi sempre a un problema di forza materiale, diplomatico-militare, senz'assurgere mai a problema etico-culturale. Egli rifuggiva dalle "metafisicherie" del Mazzini, non del tutto a torto persuaso che riuscissero inaccessibili alla maggior parte degli Italiani, e fu incline a veder nel Mazzini l'agitatore assai più che l'educatore; onde gli era facile di accodarsi ai reazionari, agli stessi austriacanti, nell'attribuirgli non pur la responsabilità d'ogni moto insurrezionale fallito, sì anche la codardia dell'assenteismo in terra d'esilio, dove elaborava, e donde faceva applicare, la cosiddetta "teoria del pugnale".
Dopo il fallimento dell'Ancora, accettata in un primo tempo la direzione d'un giornale conservatore di Bellinzona, sempre finanziato dal Borsa, il B. fuggì clamorosamente a Lugano per dirigervi l'organo liberale Il repubblicano della Svizzera italiana, su cui attaccò non pure i clericali, ma i suoi stessi ex amici. Questi, a titolo probabile di ritorsione, l'accusarono di aver asportato dalla Tipografia Elvetica un certo numero di libri.
Donde la fama di ladro che, sia pure ingiustificatamente (si trattò, pare, d'un equivoco sorto nella fretta dell'imballare le cose sue e di fuggirsene più o meno segretamente), accompagnò per molti anni il nome del B., soprattutto quando nel 1849sedette brevemente come deputato di Trino (Vercelli) al Parlamento piemontese. Una proposta d'inchiesta parlamentare a questo proposito fu avversata dal Cavour. Vollero alcuni vedervi la riprova dell'innocenza del B.; ma non è neppure da escludere che il Cavour e i suoi amici, dei quali il B. era favoreggiatore (ond'ebbe poi dal Cavour ministro frequenti sovvenzioni sui fondi segreti), non abbiano voluto compromettere la miglior penna del loro partito, fosse pure una penna venduta - e venduta più tardi anche ai murattiani e bonapartisti.
Lo strascico giudiziario della polemica e la violenza dell'anticlericalismo del B. portarono nel 1839 alla sua espulsione dal Canton Ticino, benché vi si fosse nel frattempo accasato con Maria Bellati di Mendrisio, dalla quale ebbe sei figlie. Riparato a Grono nei Grigioni, quanto meno si profilava la possibilità d'una revoca del decreto di espulsione, tanto più il B. venne accarezzando vasti piani letterari a Zurigo o a Parigi, fra cui la compilazione della Storia dei Papi. Per allora il progetto fallì, come fallirono altri analoghi suoi progetti; pertanto chiese e ottenne dalle autorità austriache il permesso di rientrare a Milano, previo il pagamento d'una piccola multa (settembre 1841). Riprova che il suo semipatriottismo culturale non dispiaceva poi troppo al governo asburgico, il quale gradiva anche l'antimazzinianesimo e, entro certi limiti, l'anticlericalismo del B., non foss'altro per seminare la confusione nel campo degli oppositori.
Tra il '41 e il '47 il B. si schierò, quasi involontariamente, fra i letterati lombardi non conformisti; collaboratore (con C. Tenca, C. Correnti e altri) della Rivista Europea; stroncatore inclemente dell'austriacante e bacchettone Cantù, di cui mise in luce il retrogrado clericalismo, il carattere affatto compilatorio e la sostanziale acrisia; stroncatore altresì delle Origini italiche del Mazzoldi e di altre tesi di storiografia autoctonistica o neoguelfa: donde la polemica e col Manzoni e col Troya circa il dominio dei Longobardi in Italia (e la rivendicazione della barbarie germanica e mussulmana).
Antineoguelfo, il B. non perciò è da ascrivere all'antitetica storiografia neoghibellina, la quale, mentre partecipa con la scuola neoguelfa di comuni origini culturali, rappresenta un diverso indirizzo politico-pratico e propugna la rivendicazione, o riabilitazione, unitaria di Liutprando e di Ottone, che invece difetta nelle pagine del Bianchi. Cui però non va negato il merito di aver fatto conoscere qualche cosa della contemporanea critica biblica forestiera, soprattutto protestante, e di avere, più per spirito anticlericale che per intrinseco liberalismo, promosso un fiotto nuovo d'interesse per gli Ebrei, la loro storia e la loro condizione presente. Donde l'amicizia che gli dimostrarono alcuni eminenti israeliti, come S. D. Luzzatto e suo figlio Filosseno a Padova e, da Torino, Giacomo Dina. Questi, mentre si adoperava per la critica e la diffusione della Storia degli Ebrei, fu strumento del passaggio a Torino del B., che pensava di sistemarsi presso l'Enciclopedia che F. Predari dirigeva per l'editore Pomba, e dove ottenne invece la redazione del quotidiano L'Opinione, organo moderato del Durando e del Montezemolo.
Trasferitosi a Torino in regime di garantita libertà di stampa, il B. assunse nel giugno del '48 la direzione dell'Opinione, che tenne fino al giugno 1852. Lultima sua scrittura milanese, la storia della Repubblica di Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti (Milano 1848), benché dedicata "Ai prodi milanesi che nei cinque giorni di marzo combattendo e fugando l'Austriaco l'indipendenza dell'Italia inauguravano", è in realtà, con la presunta riprova dell'insufficienza fallimentare dell'indipendentismo repubblicano, un pamphlet antimazziniano e carlalbertista: che fu, appunto, la posizione del B. fin dopo Novara. Come attestano gli articoli, raccolti successivamente in opuscolo (Torino 1849),Mazzini e le sue utopie, caratterizzati soprattutto dal sostanziale indifferentismo per quanto avveniva fuori dell'orbita sabauda, e dall'incomprensione assoluta del significato italiano della Repubblica e della difesa di Roma.
Impavido nell'ostilità all'Austria, massime dopo le confische del 1853, e nel ribadire l'impossibilità d'una sua ripresa in Italia, difese la legge Siccardi e tutti, in genere, i provvedimenti liberali del governo piemontese, guadagnandosi bensì lo sfratto dal d'Azeglio (donde un nuovo, breve, "esilio" elvetico fra l'agosto e il novembre del 1850), ma l'appoggio sostanziale del Cavour, pur non mancandogli occasionalmente processi e condanne, e brevi periodi di detenzione alla Cittadella, per il suo anticlericalismo giudicato diffamatorio. Se la campagna per impedire gli scivolamenti austriaci del gabinetto d'Azeglio portò sostanzialmente alla rottura con i finanziatori dell'Opinione (i patrizi lombardi emigrati), e quindi alla sua uscita dal giornale nel giugno 1852, l'impegno a favore del Cavour gli permise di assumere nel novembre del '53 la direzione dell'Unione e di assecondare efficacemente l'opera del conte.
Non tardò, infatti, ad avvertire la necessità di coltivar l'amicizia con Napoleone III, il cui interesse esigeva la riforma dell'equilibrio europeo e la soluzione del problema italiano. Avvertì la convenienza dell'alleanza del Piemonte con l'Inghilterra e la Francia per la campagna di Crimea, denunziando fra i primi la realtà, e il pericolo, dell'europeizzazione della Russia. E anche si prestò nel 1858 a giustificare i provvedimenti limitativi della libertà di stampa, perché convinto che tutto dovesse allora subordinarsi all'alleanza francese. Non lo sgomentò, né forse gli dispiacque, Villafranca, allorquando riprese in Milano la campagna fierissima contro Mazzini e Cattaneo. Già murattista fra il '55 e il '57, favori la spedizione dei Mille nella misura in cui quest'ultima serviva ai disegni del Cavour e restava sotto il suo controllo: donde le critiche al suo stesso amico, e generoso protettore e soccorritore, Pallavicino, quando assunse in Napoli, per investitura di Garibaldi, la prodittatura.
Dopo l'insulto apoplettico del marzo 1860, e l'insuccesso della direzione (23 giugno-18 sett. 1861) a Milano del quotidiano Il Campidoglio - il cui programma si riassume nella rivendicazione di Roma capitale e nell'abolizione del temporalismo - iniziò il declino anche fisico. Forse perché sperava guarigione o conforto dal clima del Mezzogiorno, il B. accettò a Napoli la direzione della Patria, con un programma di temperato meridionalismo. E qui si spense il 16 maggio 1862.
Opere: Si veda un ordinato elenco cronologico delle opere a stampa alle pp. II ss. della monografia cit. oltre di M. Bottiglioni-Barrella. Qui si ricordano le più importanti: Scelte lettere ined. di Fra' Paolo Sarpi, Capolago1833; Biografia di Fra' Paolo Sarpi, Zurigo 1836, 2 voll. (ristampe varie, fra cui Basilea 1847, 1vol.); Difesa di C. Botta, Capolago 1833; La filosofia di Salomone (una parafrasi dell'Ecclesiaste, insestine), Lugano 1839; Osservazioni ed Ultime osservazioni sulle origini italiche di A. Mazzoldi, Milano 1841 e 1842; Idee sulle cause della decadenza dell'Impero romano, ibid. 1842; Pontificato di San Gregorio il Grande, ibid. 1844; Storia degli Ebrei, ibid. 1844-1845; Della condizione de' Romani vinti dai Longobardi, in Rivista europea, giugno 1845, pp. 664 ss. (e cfr. ibid., novembre-dicembre 1845, pp. 640 ss.); Esame critico degli atti e documenti relativi alla favola della Papessa Giovanna, Milano 1845; Sulla dominazione degli Arabi in Italia, ibid. 1846 (estratto autonomo dalla Rivista europea); Sulla Storia Universale di Cesare Cantù, 2 voll., ibid. 1846 e 1847; Storia dei Longobardi, ibid. 1847; La Repubblica di Milano dopo la morte di Filippo Maria Visconti, ibid. 1848; Mazzini e le sue utopie, Torino 1849; Storia biblica, ibid. 1852; Storia dei Papi da San Pietro fino a Pio IX, I-VI, Capolago 1850-1852; VII-X, Torino 1857; XI, ibid. 1862; XII, Milano 1864 (ristampa con aggiunte, Milano 1864 ss.); L'Austria in Italia e le sue confische, Torino 1853; Prediche Domenicali, 4 voll., ibid. 1856; La Corte del Papa, ibid. 1859; Il diario di Burcardo, Milano 1860; Critica degli Evangeli, 2 voll., Zurigo 1853 (nuova ediz. ampliata, Milano 1862), dov'è significativo e importante il principio (ed. Zurigo 1853, I, pp. 42-43) della necessaria applicazione alla critica biblica dei metodi usati dal Niebuhr per la critica di Livio. Il B. ha svolto anche un'importante attività di traduttore-annotatore di opere straniere (Daru, Ranke, Doellinger, Schiller, Cormenin, ecc.), nonché di editore degli scritti di Giannone, Botta, Colletta, Casti.
Fonti e Bibl.: Il materiale superstite dell'Archivio Bianchi-Giovini è conservato presso il Museo Centrale del Risorgimento in Roma; malamente usato dalla Bottiglioni-Barrella, contiene manoscritti di opere inedite, copie di opere edite, soprattutto del primo periodo elvetico, e lettere del e al Bianchi. Altro materiale sull'attività svizzera del B., conservato all'Arch. di Stato di Milano, servì a R. Caddeo per i suoi studi sulla Tipografia di Capolago. Importante materiale indiretto sul B. è nelle Memorie di G. Pallavicino, II, Torino 1886,passim; nelle carte Dina edite da L. Chiala,G. Dina e l'opera sua, I, Torino 1896, passim; nell'Epistolario di C. Cattaneo, a cura di R. Caddeo, Firenze 1949-1954. Cfr., altresì, le lettere al B. di C. Botta, Lettere, Torino 1841, pp. 140 ss. Un breve profilo è in E. Camerini, Profili letterari, Firenze 1878, pp. 79 ss. Sulle relazioni col Brofferio e il giornalismo (anche scandalistico) del B., cfr. F. Ruffini, Ultimi studi sul Conte di Cavour, Bari 1936, pp. 166 ss. Per ulteriore bibl. cfr. M. Bottiglioni-Barrella,Un dimenticato del nostro Risorgimento A.B.-G., Modena 1951, utile come raccolta di dati e per i copiosi rinvii (specie pp. 9-10), ma destituito quasi completamente di senso storico, deficientissimo nell'analisi storiografica dell'attività critico-letteraria del B., e inutilmente apologetico e agiografico.