BRAGADIN, Angelo
Patrizio veneto, nacque il 3 ott. 1552 (1553, secondo altre indicazioni), secondogenito di Marco di Nicolò e di Bianca di Angelo Correr. Dei suoi tre fratelli, Nicolò morì giovanissimo, Lorenzo fu dei dieci savi sopra le "Camare" e dei Pregadi, Giovanni Francesco provveditor di Comun e alla Sanità.
Figura piuttosto scolorita quella paterna: Marco (1507-1589) entrò in Pregadi previo esborso di 500 ducati e fece parte del Consiglio dei dieci. Una sua supplica del 1570 ai "tansadori", dai quali implorava il sollievo da "caricho alcuno di tansa", lo mostra oberato di debiti, quasi sull'orlo della rovina e, per di più, con una numerosa famiglia a carico; due affari andati a male l'avevano finanziariamente prostrato: perse 1.000 ducati nel naufragio del 1555 "sopra Fano" della nave "Ragazzona", di cui non aveva assicurato il carico; gli doveva esser morto anche il primogenito - lo dice "povero fiol" - imbarcatosi sulla nave "Dolfina" con 200 ducati.
Questa situazione certo pesò sull'attività politica del B., sulla sua lenta e graduale ascesa. Giudice d'esaminador nel 1579, membro dei Quaranta nel 1580, del Collegio dei dodici nel 1582, auditor novo nel 1583, camerlengo di Comun nel 1584, provveditore sopra i banchi prima del 1597, provveditore sopra gli atti nel 1598, provveditore sopra gli oli nel 1600, depositario in Zecca, del Consiglio dei dieci nel 1601, sopraprovveditore alle beccarie nel 1602, provveditore alle artiglierie nel 1603, consigliere pel sestiere di Dorsoduro (abitava a S. Barnaba "in cale dei cerchieri") nel 1605, savio all'eresia ed alle beccarie, capitano di Brescia nel 1607-08: ultima carica ricoperta è quella di capo del Consiglio dei dieci. Mentre la collegialità delle magistrature impedisce di rintracciare le linee dell'azione personale del B., questa emerge dai diciassette mesi trascorsi a Brescia come capitano, essendo podestà prima Leonardo Mocenigo quindi Andrea Gussoni. Il reggimento gli fu assegnato il 6 ag. 1606, avendo rinunciato Nicolò Dolfin, eletto il 23 aprile; ne prese possesso il 7 genn. 1607, lo lasciò il 24 giugno dell'anno dopo.
Il B. doveva sovrintendere ai duecentocinque fanti del presidio e ai duecentosessanta della "soldatesca ordinaria" del "castello", cooperare a che, nel perdurare della tensione dell'interdetto e quindi del timore di colpi di testa spagnoli dal Milanese, si svolgessero ordinatamente i concentramenti di truppe nel Bresciano e nel Bergamasco. Cessata la situazione d'emergenza, provvide a disarmare le non più necessarie "corrazze", alla "ricuperatione dell'armature" e fu suo vanto che anche nei momenti di maggior afflusso di soldati non si fossero verificati "furti homicidi svaleggi et assassinamenti... ordinari in simili occasioni". Di particolare delicatezza il controllo fermo, ma tale anche da non suscitare reazioni, esercitato col podestà sul clero e i laici per far rispettare le disposizioni della Serenissima in materia d'interdetto; assai riluttanti si mostravano i parroci della Val Camonica. Tutti inoltre gli ecclesiastici della diocesi bresciana erano "atterriti più che in altra parte" delle terre venete "per la vicinità et superiorità del arcivescovo di Milano". La vigilanza sapeva trasformarsi in spietata energia: nessuna esitazione ebbero, nel febbraio 1607, il B. e il podestà a condannare alla forca il milanese Marcantonio Besozzi, "persona popolare" di età avanzata, già "soldato in questo castello", rimasto poi nella città vivendo del suo lavoro di fabbricante di bottoni. In contatto col governatore di Milano Fuentes, di cui era informatore, aveva diffuso "molti cartelli e bollettini contra religiosi obedienti ai giustissimi ordini" dogali, volti a impedire l'osservanza dell'interdetto; e, nonostante le torture, non aveva fatto i nomi degli eventuali complici.
Più interessante, forse anche perché ampiamente documentabile, l'attività privata del B., indicativa inoltre del formarsi di una mentalità volta all'investimento terriero, del differenziarsi dalla generazione precedente ancora attaccata, sentimentalmente oltre che praticamente, aicommerci marittimi.
Il padre del B. aveva sperato nella "merchantia", pur dovendo ammettere che la "dura sorte ha voluto che quasi sempre ne habia perso"; e non è solo il desiderio di commuovere gli agenti del fisco, ma anche l'istintivo sprezzo per la campagna proprio di chi conta sui guadagni del mare a fargli sminuire l'importanza dei beni che i Bragadin possedevano, dal 1474, a Monastier nel Trevisano: "un pocho di terre... sottoposte alle acque ed per la maggior parte paludi che si affondano per causa del fiume Medolo... in peggior stato al presente che mai si fusse". Né pensò a lavori di bonifica e riattamento se, ancora nel 1582, lamentava che i suoi terreni, "circondati per la maggior parte dal fiume Meolo", ne fossero "estremamente danneggiati" al punto da essere "il più delle volte... fondati sull'acqua"; perciò "poco importeria" saperne l'estensione.
Ben diversa la posizione del B. - che già il 30 ag. 1582 comprava novantaquattro "campi" nella zona di Stra da Girolamo Barbarigo - specie da quando, nel 1589, assunse la direzione della famiglia e del suo patrimonio. Non badando a contestazioni di parenti, a lunghe liti con i vicini per "transito impedito", ad annose rivendicazioni, di tutto tenendo minuziosa contabilità ("ricevute di pagamento", "confessi di debito", "livelli con diversi"), il B. s'impegnò totalmente nell'estendere la proprietà terriera, specie "in villa di Monastier".
Dal 19 ag. 1589 al 3 marzo 1606 sappiamo di almeno sedici acquisti di varia entità: dai quarantuno "campi" del 2 ott. 1591 ai quarantasei del 14 giugno 1593, al piccolissimo appezzamento ceduto "con un cason" da una vedova il 24 dic. 1597. Evidente la volontà di razionalizzare le colture - i "campi" di Monastier sono parte coltivati ("arrati, piantati et videgati") e parte tenuti a pascolo, la casa padronale ha "orto, brolo, graneri... et altri lochi tutto de muro" - e di incrementare la produzione con opere di bonifica e di regolazione idrica. Nel 1586-91 è presidente e cassiere per l'escavo del fiume Meolo; abbiamo il libro delle spese sostenute, con diligente registrazione anche del periodo dei lavori, della loro utilità, oltre che del semplice costo.
Il B. aveva per di più forti interessi immobiliari in città: possedeva stabili che dava in locazione a privati, e suoi erano anche locali adibiti a "bothega". Un ruolo secondario giocano i traffici marittimi; da un "cavedal", specie di elenco dei beni familiari con accanto la rendita e il valore, del 12 dic. 1604, si apprende che su di un ammontare complessivo superiore ai 50.000 ducati (più di 30.000 ducati valevano i terreni agricoli), solo 600 ne erano investiti in "Soria". Al 1º ott. 1589 risale un accordo tra il B. e Tommaso Contarini, stipulato in occasione della partenza di questo "al viaggio di Soria"; il B. gli consegnò "un diamante ligado in oro" perché lo vendesse, mandandogli il ricavato, sì da poterne fare "l'investida in robba viva". Nel 1600 nella "nave Zena" risultano esserci dei "colli" di "seda" destinati al Bragadin. E una "segurtà" del 27 nov. 1591, a garanzia delle merci caricate sulla "nave Gratariol" in nome del B. e d'altri, mostra come egli affrontasse meno avventatamente del padre i crescenti rischi della navigazione.
Il B. morì l'11 apr. 1609.
Ne possediamo il testamento; non essendosi sposato era privo di discendenti, e senza figli erano pure i due fratelli, per cui stabiliva che "li boni nostri et massime li lochi di Monastier" dovessero andare "nelli discendenti maschi" della sorella Paolina, sposatasi con Girolamo Dandolo. Quanto a sé, disponeva d'esser sepolto nella chiesa dei frati minori, e lasciava ai francescani una "mansoria in perpetuo" di 60 ducati annui "acciò ogni giorno celebrino una messa per l'anima mia all'altar privilegiato, obligando li detti padri ha farne dir ogni giorno sopra detta mia sepoltura... un vespero di morti per l'anima mia". Anche l'al di là era pel B. un rischio dal quale ci si poteva saggiamente cautelare in anticipo.
Fonti eBibl.: La relazione del B. sul reggimento di Brescia, in Arch. di Stato di Venezia, Collegio. Relazioni, B. 37; le lettere scritte dal B. in tale occasione Ibid., Capi del Consiglio dei X. Lettere di rettori e di altre cariche, B. 27 n. 54 e Senato. Lettere di rettori e di altre cariche. Bressa e Bressan, ff. 5, 7, 8 passim;Ibid., Avogaria di Comun (Necrologi Nobili, 1), 159; Venezia, Civico Museo Correr, Mss. P.D.C. 906/1-7; 943/10 e 101; 969/2; 984/99, 100 e 106; 988, passim;1009/141; 1014/181; 1035/271, passim;1106/29; 1436, passim;1798, 1800, 1801; 2109/96 e 106; 2120, passim;2149/44; 2154/21; Ibid., Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, p. 96; Venezia, Bibl. Naz. Marciana, Cod. Ital., cl. VIII, 15 (= 8304): G. A. Capellari Vivaro, Il Campidoglio Veneto, I, c. 195r; Ibid., Cod. Ital., cl. VII, 925 (= 8594): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, I, c. 182r; Ibid., Cod. Ital., cl. VII, 151 (= 8036): Magistrature di Venezia e reggimenti dal 1597 al 1630, cc. 10r, 16r, 178r; F. Capretti, Mezzo secolo di vita vissuta a Brescia nel Seicento Brescia 1934, p. 349; A. Stella, La crisi economica veneziana della seconda metà del sec. XVI, in Archivio veneto, s. 5, LVIII-LIX (1956), pp. 43 n., 52 n.