BRUCCULERI, Angelo
Nato a Canicattì (Agrigento) il 29 nov. 1879 da Calogero e da Carmela Cagnino, seguì il corso degli studi medi nella città natale, ove frequentò gli ambienti religiosi, in particolare i padri cappuccini, tra i quali conobbe il beato G. La Lomia, che ebbe un,a notevole influenza nella sua formazione. Il 4 ott. 1897 entrò tra i gesuiti, accolto nel noviziato di Malta, allora sede provinciale della Compagnia ancora formalmente bandita dalla Sicilia. A Malta il B. compì i tre anni dei corso di filosofia, per essere poi trasferito a Napoli, ove completò gli studi conseguendo, presso la facoltà teologica di Posillipo, la laurea in teologia e, presso l'università statale, le lauree in lettere con una tesi sui Templari e in filosofia con una tesi sulla libertà in s. Agostino. Sempre a Napoli ricevette il 26 luglio 1911 l'ordinazione sacerdotale. Frattanto andava maturando l'interesse per la "questione sociale", che si era acuito con la partecipazione alla IV settimana sociale dei cattolici italiani (Napoli, 1910), in cui il B. aveva avuto modo di conoscere A. Boggiano Pico, A. Gemelli, M. Chiri, G. Toniolo. Studiò attentamente le opere di quest'ultimo, ma le sue idee in materia sociale matureranno piuttosto sotto l'influsso della scuola di Friburgo, di quella francese e dei centro di Malines, anche se continueranno a farsi sentire nei suoi scritti le idee dei classici del pensiero sociale ottocentesco della Compagnia, quali L. Taparelli d'Azeglio e M. Liberatore.
Scoppiata la prima guerra mondiale, il B. venne chiamato alle armi e assegnato, in quanto sacerdote, prima ai servizi sussidiari di sanità, quindi - su sua richiesta - al corpo dei cappellani militari, esercitando il ministero sui treni, ospedali.
Nel dopoguerra fu dapprima a Firenze, per compiervi il terzo anno di probazione, quindi venne destinato a insegnare matematica nel collegio "Pennisi" di Acireale, ove, il 2 febbr. 1920, emise la professione religiosa, che segnava il suo definitivo ingresso nella Compagnia di Gesù. Nello stesso anno fu chiamato a Roma a far parte del collegio degli scrittori della Civiltà cattolica.
Fin dall'inizio della sua collaborazione si occupò dei problemi sociali e il primo articolo La restaurazione morale e la "Rerum Novarum" (LXXI [1920], 1, pp. 120-135), che dava una interpretazione puntuale della realtà contemporanea del mondo del lavoro alla luce della dottrina leoniana, non incontrò molto favore all'interno della redazione del periodico; vi furono addirittura dubbi circa l'opportunità di pubblicarlo, ma ogni perplessità fu vinta grazie all'intervento del padre A. Vermeesch, allora professore di teologia morale alla Gregoriana, che "lo trovò conforme alle più recenti posizioni assunte dal pensiero sociale cristiano, quale si era andato formando nei circoli di studio della Germania, della Francia e di Vienna dopo la Rerum novarum" (Messineo, p.218). I numerosi articoli che pubblicò nei primi due anni sui temi del lavoro salariato e la partecipazione e sulla questione agraria furono raccolti in volume (Salariato e compartecipazione, Roma 1920, e Il problema della terra, ibid. 1921). Da questi scritti - e dal successivo opuscolo dedicato al diritto di sciopero (Lo sciopero nella storia, nella morale, nell'economia, ibid. 1923) - caratterizzati da uno stile non ricercato e con contenuti non teoretici ma divulgativi, emergeva una visione concettuale improntata al corporativismo organicistico cattolico con aperture nuove al mondo dei lavoro: le tesi favorevoli allo sciopero come strumento di difesa in campo economico contro l'avidità dei capitale e le altre in cui sosteneva l'opportunità di uno smembramento del latifondo e dell'assegnazione delle terre ai contadini, come obiettivo morale e politico insieme, furono quelle che sembrarono allora, almeno nella situazione italiana, le più avanzate.
Nel 1924, per perfezionare le sue conoscenze nelle scienze sociali e soprattutto per aggiornarle secondo gli sviluppi dei pensiero sociale cattolico, il B. si recò a Parigi, ove compi un perfezionamento presso il centro di studi sociali dell'Action populaire e conobbe il padre Yves de la Brière, che da allora - forse non a torto - lo considerò un sociologo di formazione francese. Alle conoscenze contratte in questo periodo, oltre che alla sua notorietà come scrittore della Civiltà cattolica, egli dovette l'invito rivoltogli dall'arcivescovo di Malines, cardinale D. Mercier, a far parte dell'Unione internazionale degli studi sociali di Malines, di cui il B. frequentò assiduamente le sessioni, collaborando tra il 1924 e il 1926 alla redazione del codice sociale, che egli tradusse poi in lingua italiana (Codice sociale: schema di una sintesi sociale cattolica, Rovigo 1927; 2a ediz., Roma 1934).
Alla fine degli anni Venti, sempre originati dalla raccolta di articoli scritti per la Civiltà cattolica, videro la luce altri due opuscoli del B., Sul problema di Malthus (Roma 1928), in cui prendeva posizione contro le tesi neomalthusiane circa il controllo della natalità, e Problemi odierni del mondo del lavoro (ibid. 1929). Opera originale è invece Il pensiero sociale di s. Agostino (ibid. 1932; 2ª ediz., ibid. 1945), che comunque, al di là del discreto apparato erudito, non raggiunge una dignità scientifica, ma rimane uno strumento di educazione morale, individuando nel pensiero dei santo di Ippona quattro filoni che sono posti alla base di ogni saldo edificio sociale: la proprietà, il lavoro, la famiglia e la religione.
Dopo la costituzione del Movimento laureati di Azione cattolica (5 sett. 1932) e la trasformazione della rivista Studium in organo di questo, il B. vi pubblicò alcuni articoli in cui intendeva precisare la posizione dei cattolici nei confronti dei corporativismo fascista (Indirizzi corporativi ed encicliche sociali, in Studium, XXIX [1933], pp. 668-672, e Il lavoro fatto sociale, ibid., XXXII [1936], pp. 268-278).
In quest'ultimo sottolineava la peculiarità della posizione cristiana circa l'armonia delle varie classi della società, che essendo "degli organi, ossia delle membra di uno stesso corpo, non possono m via normale, ma solo per eccezione, essere fra loro in contrasto"; una concezione fondata su una base etica, derivante dal diritto naturale, in implicito contrasto quindi con quanti basavano il corporativismo non sull'apporto di libere organizzazioni professionali al bene comune ma come corollario della subordinazione degli individui particolari e dei loro interessi alla personalità dello Stato. Nel 1934 una serie di articoli apparsi sulla rivista dei gesuiti e il contemporaneo volume Intorno al corporativismo (Roma 1934), che insistevano sulla necessità di fondare l'economia su basi etiche, suscitarono notevoli perplessità e critiche da parte di molti studiosi di economia, tra cui lacopo Mazzei. In particolare, da parte dei teorici dei corporativismo fascista, reagì con veemenza M. N. Fovel con La "Civiltà Cattolica" e la scienza economca corporativa. Scienza economica "anumana" e economisti ortodossi (Ferrara 1935).
Dal 1937 il B. iniziò a pubblicare, per le Edizioni della Civiltà cattolica (Roma), la collana "Dottrine sociali del cattolicismo", da lui interamente redatta: videro la luce nel 1937 i quaderni La giustizia sociale, La funzione sociale della proprietà, Il capitalismo, L'economia sovietica; nel 1938 Il giusto salario, Il lavoro e Lo Stato e l'individuo; nel 1939 L'involuzione della civiltà; nel 1940 La Chiesa e la civiltà e Moralità della guerra; nel 1941 La famiglia cristiana (che era originata da una relazione tenuta dal B. al. V convegno del Movimento laureati, Roma, 19-20 apr. 1941); nel 1942 L'ordine internazionale; nel 1944 Il comunismo; nel 1946 La democrazia; nel 1947 Lo sciopero; nel 1952 Obiezioni del comunismo contro la Chiesa e Il vero volto del comunismo; nel 1956 L'alleanza della croce e dell'aratro; nel 1958 Profilo intellettuale e morale di Giuseppe Toniolo.
Costruiti su una base dottrinale che si richiamava puntigliosamente ai documenti ufficiali del pontefice, di cui volevano essere al tempo stesso l'interpretazione e il canale di diffusione più autorevole (d'altronde quasi sempre derivavano dalla raccolta e ampliamento degli articoli già pubblicati nella Civiltà cattolica), scritti in uno stile molto chiaro, questi opuscoli conobbero un'ampia diffusione richiedendo varie ristampe e riedizioni (ognuna con una tiratura di 10.000-15.000 copie) e costituirono negli anni una sorta di enciclopedia su cui si formò una generazione di cattolici. Essi testimoniano anche (insieme con gli articoli scritti per la Civiltà cattolica e con alcuni più ampi volumi, come Meditazioni politiche, Roma 1943, e Meditazioni sociali, ibid. 1944), il lento procedere dei B. da un moderato consenso al regime fascista all'accettazione strumentale della democrazia: un itinerario che si sviluppa in coerenza con la più tradizionale concezione cattolica dell'indifferenza della Chiesa di fronte ai regimi politici. L'accettazione della democrazia avviene prendendo atto della realtà storica: "sull'oceano di sangue ch'essa [la guerra] ha sparso, emerge oggi, quale arca noetica di salvezza per l'umanità dolorante, la formula democratica"; una formula che, secondo il B., nasconde vari pericoli, in quanto "i principii democratici non possono essere accolti o tradotti nella concreta realtà politica se non con riserve, limitazioni, contrappesi", altrimenti l'eguaglianza può degenerare in egualitarismo, la libertà in licenza; e poiché la democrazia ha bisogno per reggersi della "virtù", cioè di una base morale, questa, per non essere o alla deriva delle cozzanti opinioni dei filosofi", può esser data soltanto dalla morale cristiana (Civiltà cattolica, XLVI [1945], 4, pp. 369-377: Democrazia e morale).
Nella situazione concreta venutasi a creare nell'Italia del dopoguerra con l'esistenza di un forte partito comunista, il B. prese subito posizione in favore di una rappresentanza politica unica dei cattolici. condannando in specie il tentativo di costituzione di un raggruppamento cattolico-comunista (si vedano i due articoli del B. apparsi sul Quotidiano del 22 e 28 luglio 1944, poi pubblicati, con il titolo Modernismo comunista, in Si può essere cattolici e comunisti?, Roma s.a. [ma 1944]), invitando i cattolici alla partecipazione compatta al voto (Il dovere delle urne nell'ora presente, in Civiltà cattolica, XCVI [1945], 4, pp. 302-309) e indicando chiaramente nella Democrazia cristiana il partito unico che li doveva rappresentare alla Costituente (Il Congresso nazionale della Democrazia cristiana, ibid., XCVII [1946], 2, pp. 328-337).
Egli auspicava per il popolo italiano una "costituzione cristiana", che, oltre a fornire tutte le garanzie alla Chiesa, desse in campo econornico e sociale un'impostazione morale ai vari problemi; perciò egli, ancora favorevole a un assetto politico corporativo, chiedeva l'istituzione di un Senato in cui fossero rappresentate tutte le forze sociali "anche quelle della religione" (Problemi della Costituente, La rappresentanza nazionale degli interessi, ibid., XCVII [1946], 3, pp. 309-317; 4, pp. 167-174).
In campo sindacale - che rimase fino alla fine al centro degli interessi del B. - egli, pur confessando che in linea di principio era per il pluralismo delle organizzazioni sindacali, sia pure all'interno di categorie professionali legalmente costituite e riconosciute, sostenne fin dal 1943 la necessità nel periodo della ricostruzione postbellica di "tollerare provvisoriamente un'unità dei lavoratori in un solo organismo, con le relative clausole del rispetto ai nostri principi morali e religiosi", avvertendo di dubitare "che un tale organismo si protrarrà a lungo", a causa della presenza di forti gruppi di ispirazione marxista (Monismo e pluralismo sindacale, ibid., XCIV [1943], 3, pp. 400-407). Nel dopoguerra le critiche alla CGIL si fecero via via più aspre: alla fine del 1946, alla vigilia del II congresso della Confederazione, il B., rilevando che essa "a volte si è voluta piegare a direttive sociali e politiche che stridono con i principi e i metodi del sindacalismo cristiano", avvertiva che il primo biennio di vita del sindacato unitario "presenta delle ombre, che non lasciano tranquilli sulla utilità di un'unica coabitazione fra marxisti e cattolici" (Verso il Congresso della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, ibid., XCVII [1946], 4, pp. 3-9). Contrario all'uso politico dello sciopero (la sua posizione limitatrice di quest'istituto fu chiarita nell'opuscolo Lo sciopero, Roma 1946), nel luglio del 1948, alla vigilia dell'uscita della componente cristiana dalla CGIL, scrisse un articolo in cui la giudicava ormai matura e inevitabile (La maschera dell'unità sindacale, in Civiltà cattolica, XLIX [1948], 1, pp. 3-13) e, dopo la scissione, respinse le accuse di averla fomentata mossegli dalla corrente socialcomunista (Chi ha voluto la scissione sindacale, ibid., 4, pp. 270-278).
Sostenitore fino all'ultimo di una soluzione della questione sociale fondata sui principi del corporativismo cristiano, il B. rimase via via sempre più estraneo al dibattito politico-sociale anche all'interno del movimento cattolico. Non a caso, isolato fin dagli anni della guerra, non partecipò attivamente alla preparazione del "codice di Carnaldoli" promosso dal Movimento dei laureati cattolici; e poi valutò negativamente (si veda nella Civiltà cattolica, XCVIII [1947], 1, pp. 143-147, la recensione a La proprietà, Roma 1946, di P. E. Taviani) le posizioni favorevoli alla nazionalizzazione delle grandi imprese produttrici di materiali di base e di beni strumentali sostenute dai gruppi cattolici più avanzati; il suo anticapitafismo continuava a limitarsi a un'istanza teorica (in realtà più antiliberale che antiliberista) di assoggettamento non solo dell'economia ma di tutta l'organizzazione sociale alle leggi morali del cattolicesimo, senza proporre - al di là della collaborazione di classe che doveva trovare nelle corporazioni il momento di partecipazione delle varie professioni e dei singoli individui alla costruzione organica del bene comune - alcun intervento legislativo per la limitazione della libertà del mercato, che, anzi, finiva per essere considerata la garanzia contro ogni soluzione totalitaria di Stato. Quest'ultimo pericolo egli lo vedeva particolarmente presente nel comunismo, contro cui si scagliò con accenti veementi durante gli anni della guerra fredda, definendolo incarnazione di Satana nel mondo (si veda, ad esempio, Il cancro della civiltà, in Civiltà cattolica, CIII [1952], 3, pp. 569-579).
Dopo la fine del pontificato pacelliano, il B., che si avvicinava ormai agli ottanta anni di età, diradò la sua collaborazione al periodico dei gesuiti: significativamente l'ultimo suo articolo propose ancora come modello La scienza economica nella concezione delp. Luigi Taparelli d'Azeglio (ibid., CXIV [1963], 1, pp. 222-230.
Il B. morì a Roma il 14 dic. 1969.
Fonti e Bibl.: Sul B. esiste un necrologio di A. Messineo, Un sociologo di vocazione. Ilp. A.B. S.I., in Civiltà cattolica, CXXI (1970), 1, pp. 214-223. Si veda inoltre la voce di G. Campanini in Diz. stor. del movimento cattolico in Italia, III, Le figure rappresentative, I, Casale Monferrato 1984, pp. 135 s. Si vedano anche: C. Vallauri, Le origini del corporativismo, Roma 1971, ad Indicem; P. Craveri, Sindacato e istituzioni nel dopoguerra, Bologna 1977, ad Indicem; R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna 1979, ad Indicem; R. Sani, Da De Gasperi aFanfani. "La Civiltà cattolica" e il mondo cattolico italiano nel secondo dopoguerra, pref. di P. Scoppola, Brescia 1986, ad Indicem.