CALOGERÀ, Angelo (al secolo Domenico Demetrio)
Nacque a Padova il 7 sett. 1696 da Liberale, gentiluomo di Corfù, e Giustina Labarvellon, di origine francese.
Il padre che al comando di una galera di Corfù aveva combattuto con la flotta della Serenissima contro i Turchi, si era stabilito dapprima a Padova, dove ebbe incarichi nella magistratura municipale, quindi a Venezia, ottenendo la cittadinanza veneziana.
Battezzato col nome di Domenico Demetrio, ma in casa chiamato Giovanni "in riguardo di suo zio paterno di questo nome, allora Governatore dell'armi in Dalmazia", il C. ricevette una buona educazione e frequentò le scuole dei gesuiti, dimostrando, secondo quanto racconta, una certa insofferenza per "quel metodo lungo e noioso", ma anche una precoce disposizione allo studio e alla lettura, favorita da un carattere scontroso e solitario.
Accanto agli studi scolastici grande importanza nella sua formazione ebbe anche l'ambiente culturale veneziano, col quale il padre aveva stabilito buone relazioni; egli infatti era amico di Apostolo Zeno e di Stefano Benedetto Pallavicini e appassionato frequentatore dei teatri, "particolarmente allora quando si faceva de' pezzi, che per la novità e per l'intrinseco loro prezzo meritavano d'esser veduti". Così anche il giovane C. integrava l'educazione scolastica e dottrinale dei gesuiti, con esperienze più varie e moderne, leggendo appassionatamente i libri "d'Istorie", seguendo le polemiche sulla riforma del melodramma e provando a imitarne i testi più amati, apprezzando gli sforzi di Luigi Riccoboni per "dirozzare il Teatro".
Il padre desiderava che, seguendo la tradizione familiare, il figlio scegliesse la carriera militare, mentre questi dimostrava una spontanea inclinazione per la vita monastica, ottenendo dopo qualche riluttanza il consenso a entrare nella Congregazione dei camaldolesi, come fece nel 1716, vestendo l'abito il 2 febbraio nel monastero di S. Michele di Murano e pronunciando i voti l'anno seguente, il 3 febbraio, scegliendo il nome religioso di Angelo. Continuò così i suoi studi nelle scuole della Congregazione seguendo i corsi di filosofia e di teologia e maturando contemporaneamente una più meditata avversione per le dottrine peripatetiche e l'arido nozionismo di quell'impostazione degli studi. Passò quindi, nel 1721, alla badia di Classe e Ravenna, dove trovò finalmente chi seppe indirizzare la sua giovanile ribellione verso studi più regolari e moderni.
Agli occasionali e pur stimolanti incontri con lo Zeno successe dunque il magistero della miglior scuola benedettina: le avvincenti lezioni teologiche di Ferdinando Romualdo Guiccioli, il sodalizio con Mariangelo Fiacchi, esperto bibliofilo e bibliotecario, che durò poi per tutta la vita, l'amicizia con Angelo Maria Querini. Avvenne così, nell'ambiente emiliano singolarmente aperto e vivace, il suo incontro con il pensiero cattolico moderno, non ignaro della grande lezione razionalista e attento agli sviluppi della scienza europea.
Terminati gli studi e ordinato sacerdote il 9 ag. 1722, tornò a Venezia, donde nel novembre 1725 fu allontanato per qualche mese e inviato nel monastero dei SS. Vito e Lucio a Vicenza. Finalmente l'anno successivo, dopo un breve soggiorno nel monastero di S. Giovanni Battista alla Giudecca, si stabilì a S. Michele in Isola, a Venezia, dove restò per il resto della sua vita.
In questi anni, mentre si allargava il numero dei suoi amici, dal vicentino Giovanni Checozzi a Francesco Angelico Federici e Bernardo Maria De Rubeis, e si infittiva il suo carteggio, si precisavano i suoi interessi di studioso. Il C., infatti, si avvicinò alla matematica e alle scienze naturali, imparò bene il francese iniziando un'assidua attività di traduttore che continuò poi per molti anni. Soprattutto dopo la sua definitiva sistemazione a S. Michele cominciò a collaborare a diverse iniziative editoriali, rivedendo, nel solco della grande tradizione maurina, edizioni delle opere di s. Bernardo e di altri padri e ancora aiutando Bonifazio Collina nella preparazione di un'edizione del Tasso. Ai giovanili amori per il teatro ci riconduce invece il progetto di una dissertazione volta "a confutare l'abuso quasi comune ne' monasteri anche i più regolati, qual si è quello delle Commedie ne' Chiostri". Ma saranno i premurosi consigli di Pier Caterino Zeno e Antonio Vallisnieri a indicare al C. la sua strada; spinto dal loro entusiasmo, reso forte dalla loro esperienza, egli, in un momento di grave crisi del giornalismo letterario veneziano, dedicherà le sue migliori energie per ridare voce a una tradizione già gloriosa.
Dopo aver collaborato alla redazione del Gran Giornale d'Europa nel 1725-1726, cominciò traducendo dal francese con lo pseudonimo di Giovanni Angeli prima la Storia letteraria d'Europa, della quale tra il 1726 e il 1727 uscirono due volumi per le stampe di Antonio Bortoli, e poi il Giornale de' letterati di Europa, di cui Cristoforo Zane pubblicò due volumi nel 1727. L'iniziativa giornalistica più importante e duratura del C. fu, tuttavia, la Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, che cominciò ad apparire nel 1728 e, stampata dallo Zane e poi da Simone Occhi, continuò fino alla sua morte e anche oltre, mutando il titolo dopo il cinquantesimo tomo, nel 1755, in Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, l'ultimo tomo della quale - il quarantaduesimo - uscì nel 1787, più di vent'anni dopo la morte del C., a cura di Fortunato Mandelli.
Diventa così esplicito il richiamo alla lezione dello Zeno e del Vallisnieri e la volontà di proseguire nella direzione indicata dal Giornale de' letterati d'Italia; lo stesso modello erano quei Supplementi al giornale de' letterati d'Italia che, a cura di Girolamo Lioni, uscirono tra il 1722 e il 1726, dopo la crisi del Giornale, auspice e supervisore Pier Caterino Zeno.
Del Giornale zeniano il C. fa suoi tutti i motivi ispiratori, pur modificandone opportunamente la formula giornalistica. La Raccolta cioè si propone come punto d'incontro di tutti coloro che con i loro studi, le loro ricerche procurano di rinnovare la cultura italiana, contrapponendosi alla tradizione seicentesca e controriformista, di cui i gesuiti sono ancora i più tenaci difensori, riaffermandone contemporaneamente l'originalità e l'importanza nel contesto europeo. Da un lato, dunque, si trattava di promuovere gli studi storici e scientifici basati su una rigorosa ricerca documentaria e sperimentale, dall'altro di favorire una più libera discussione superando gli ostacoli del dogmatismo scolastico, diventando così un ideale punto di riferimento per chi non trovasse soddisfazione alla sua curiosità e alla sua intelligenza in una scuola incapace di restare al passo con i tempi. E il C. impegnò le sue migliori energie per raccogliere attorno a sé gli ingegni più vivi, le intelligenze più aperte, intessendo una fitta rete di relazioni e di scambi, della quale il suo epistolario resta un'insostituibile testimonianza. Certo rispetto all'inizio del secolo la situazione italiana era profondamente diversa: gli scontri più accesi e le polemiche più dure si erano a mano a mano sopite, eppure restava il problema di imporre definitivamente il primato della nuova cultura razionalista ed europea, di rimuovere gli ostacoli dottrinari e ideologici che la tenevano ancora lontana dalle scuole, di arricchirne il patrimonio ideale dotandola di quegli strumenti metodologici e pratici di cui aveva bisogno.
La storia della Raccolta calogeriana è anche la storia della definitiva affermazione della scienza e dell'erudizione del primo Settecento, ricca ancora di slanci innovatori e di aperture ideali, ma anche pronta a ripiegarsi su se stessa in sterili esercizi eruditi o in astratte discussioni scientifiche, improvvisamente sorda di fronte alla nuova ragione dei lumi, o impaurita dalla radicale spregiudicatezza di chi con rigorosa determinazione svolgeva fino alle ultime conseguenze la critica dell'autorità che essa aveva coraggiosamente iniziato. Dai primi agli ultimi tomi è possibile seguire nella Raccolta la storia di questa cultura, assistendo alla sua progressiva affermamone e poi al suo lento inaridirsi. Il giornale si apre infatti con un'esplicita affermazione di fiducia nella cultura moderna: "Io ho sempre avuto opinione che meglio sia studiare su le Opere di qualche Moderno, da cui per istrade non battute, o ardue, ma pure con metodo, con nobiltà e con chiarezza ne venga mostrato il vero…", e continuava nello stesso primo tomo pubblicando quel Progetto ai letterati d'Italiaper iscrivere le loro vite di Giovanartico di Porcia, che resta il più lucido manifesto ideologico di quegli anni, non per caso seguito dalla Vita di Giambattista Vicoscritta da se medesimo, e - nel secondo tomo - da quella di Pier Iacopo Martello.
Al rinnovamento della cultura italiana non può bastare, tuttavia, uno strumento così lento e impegnativo come la Raccolta, e per intervenire tempestivamente, per divulgare le notizie d'ogni giorno è necessario ricorrere a formule giornalistiche più agili e vivaci: perciò nel 1729 alla Raccolta si affiancheranno, le Novelle della Repubblica delle lettere edite da Giambattista Albrizzi.
L'impegno questa volta è soprattutto informativo e la periodicità più serrata - settimanale -, ma, anche per questo, l'autonomia è assai minore. Innanzitutto preme l'editore interessato a usare il giornale come un bollettino pubblicitario e poi sono inmolti pronti all'impegno pur di disporre di uno strumento tanto importante; così, dopo pochi mesi, incominciarono gli scontri e i litigi e dopo il 1731 il C. non vi ebbe più parte alcuna.
Nel 1731 appariva tra l'altro la più interessante delle sue traduzioni dal francese, Ilnuovo Gulliver, o sia viaggio di Giovanni Gulliver, seguito apocrifo dal capolavoro swiftiano dell'abate francese Pierre François Guyot noto con lo pseudonimo di Desfontaines, senza dubbio il diretto antecedente, forse il modello, dei Viaggi di Enrico Wanton di Zaccaria Seriman, amico e collaboratore del Calogerà. Qualche anno dopo, nel 1734, usciva il primo volume della Biblioteca volante di Giovanni Cinelli Calvoli, da lui rivista e ampliata, assieme alla prima delle sue opere di pietà, le Dieci meditazioni sopra alcune delle principali azioni di s. Benedetto;e a questo genere di operette si dedicò anche in seguito non senza autentica fede, alternando traduzioni o compilazioni a composizioni originali. A quest'ambito di interessi va ricondotta anche la traduzione delle Avventure di Telemaco figliuolo di Ulisse del Fénelon (Venezia 1744).
Nel 1729 fu eletto priore del monastero di S. Michele e l'anno successivo ebbe dalla Repubblica l'incarico di "pubblico revisore dei libri da darsi alle stampe"; cresceva così parallelamente anche la sua autorità e si consolidava il prestigio di cui godeva tra i tipografi veneziani, dei quali per tutta la vita sarà un attento ed esperto consigliere. Nel 1731, per qualche mese, fu anche lettore di filosofia nel suo monastero, ma gli acciacchi di una salute per tutta la vita malferma lo costrinsero a rinunciare all'incarico che più aveva sognato, perché gli avrebbe consentito di avvicinarsi ai giovani avviandoli allo studio della cultura e della scienza moderne.
Dopo alcuni anni si ritrovò quindi impegnato nelle iniziative giornalistiche, dando vita assieme al Seriman e a Girolamo Zanetti alle Memorie per servire all'istoria letteraria, che Pietro Valvasense cominciò a stampare nel gennaio 1759.
Rispetto alle Novelle le Memorie, rinunciando a un'ideale completezza delle informazioni, accentuano il carattere polemico e d'intervento, valendosi di un'originale formula giornalistica; il nuovo giornale si presentava infatti come una raccolta di lettere provenienti da varie parti d'Italia, quasi una scelta di quella fitta corrispondenza privata che i letterati si scambiavano durante quegli. Espressione di "alquanti amici d'un animo e d'un pensiero istesso" le Memorie sitrovarono ben presto al centro di un vivace dibattito ideologico, schierandosi su posizioni decisamente filogianseniste contro la dottrina teologica e morale dei gesuiti. Ancora una volta il C. nel rispetto della muratoriana "repubblica letteraria" si proponeva come il coordinatore e l'organizzatore di un discorso e di un lavoro che solo in modesta parte svolgeva in prima persona, nella convinzione che tanto maggiore ne era l'interesse e il valore quanto più ampio e articolato era l'apporto dei vari collaboratori. Com'è naturale le scelte del C. non avvennero senza scontri e lacerazioni, tra gli altri decise di interrompere la collaborazione lo stesso Zanetti, infastidito dal peso che le dispute teologiche avevano nel giornale; ma il C. rinnovò gli sforzi, moltiplicò le energie perché le Memorie potessero continuare, dimostrando per questa sua iniziativa un attaccamento e un interesse senza precedenti.
Attorno a lui d'altronde si erano raccolti in quegli anni numerosi collaboratori - più di cento ne vantava il giornale un anno solo dopo l'inizio - legati da vincoli di amicizia e di profonda comunanza ideale, tra gli altri numerosi i bresciani riuniti dal conte Gian Maria Mazzuchelli, insigne maestro di studi storico-letterari.
Così, quando, alla fine del 1758, le difficoltà finanziarie indurranno il Valvasense a chiudere il giornale, il C. l'anno successivo riprenderà l'iniziativa con nuovi tipografi, il Marsini prima e poi il Fossati, continuandola col titolo di Nuove memorie per servire all'istoria letteraria fino al 1761.
Sono anni questi assai difficili per il C. anche per altre ragioni. Da tempo egli aspettava dall'Ordine camaldolese qualche segno di stima e di onore, e quando il 19 dic. 1756 il capitolo lo elesse abate titolare, riducendo il titolo a semplice segno di rispetto e di fatto escludendolo "per sempre dal Governo", considerò l'elezione una beffa e tanto fece che il papa Benedetto XIV con un breve del 25 maggio 1757 dava al suo titolo piena efficacia, non senza risentite reazioni dei suoi confratelli in questo modo sconfessati e scavalcati dall'autorità papale. Il momento della vendetta non si fece attendere a lungo: quando infatti il C. fu nominato da monsignor Giustinian, vescovo di Torcello e Murano, ispettore e confessore del monastero di S. Chiara a Murano, egli si schierò apertamente col partito avverso a quel vescovo, accettando lo scontro diretto e finendo coinvolto in un'accusa di stregoneria di fronte agli Inquisitori di Stato. Ammonito una prima volta il 29 nov. 1758, il C. non volle cedere e così il 18 marzo 1759 gli Inquisitori lo allontanarono da Venezia trasferendolo immediatamente alla badia della Vangadizza in Polesine, dove resterà in forzoso ritiro fino alla fine del 1763, soffrendo profondamente per l'umiliazione subita e inseguendo per anni un'impossibile rivincita.
Se la battaglia all'interno dell'Ordine era persa, non per questo interruppe la sua lotta ideale, anzi in quegli anni di lontananza da Venezia impegnò ogni energia per continuare le sue imprese giornalistiche, ma la solitudine e lo sconforto, mentre gli anni passavano, valsero a invecchiarlo più in fretta e a rendere più incerta e confusa la sua attività.
Quando anche le Nuove memorie si spensero offrì il suo appoggio e la sua esperienza a Iacopo Rebellini, spingendolo a pubblicare La Minerva sia nuovo giornale de' letterati d'Italia, che si apriva nel marzo 1762 con una "prefazione" del C. che resta una limpida pagina di storia del giornalismo veneziano, nella quale è riassunta con penetrante coscienza critica l'esperienza di mezzo secolo di iniziativa e di sforzi volti appunto al rinnovamento della cultura italiana. La Minerva però non seppe tenere fede a quell'impegno: la lontananza e la stanchezza resero impotente il C. che sentì presto quel foglio come cosa non sua, preferendo rivolgersi al ribelle Baretti, di cui riconobbe l'impegno e il coraggio, nella speranza di un'impossibile collaborazione. Le nuove idee di Francia e d'Inghilterra gli erano sostanzialmente estranee, se non apertamente ostili, il fervore riformistico dell'Accademia dei Pugni non riusciva ad appassionarlo, anzi a chi apprezza il libro di Beccaria risponde con fermezza: "nel libro de' Delitti è vero che vi sono delle cose buone, ma sovrabbondano le cattive d'assai" e l'autore è soprattutto "un giovane ardito che crede poco".
Il C. si spense nel monastero di S. Michele di Murano il 29 sett. 1766.
Fonti e Bibl.: Per un elenco delle opere del C. e per le notizie della sua vita restano fondamentali L'autobiografia di A. C., edita da C. De Michelis, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXXIV(1965-66), pp. 131-168; e le Memorie della vita del P.D. A.C.di F. Mandelli, in Nuova raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XXVIII(1775), pp. 1-78. Del suo carteggio, conservato alla Biblioteca Saltykov-Ščedrin di Leningrado (fondo 975, 30 volumi), è stato pubblicato l'indice, con l'indicazione delle responsive conservate in varie biblioteche italiane: C. De Michelis, L'epistolario di A.C., in Studi veneziani, X(1968), pp. 621-704; una descrizione del fondo leningradese dà anche E. Bernadskaia, in Atti del II Convegno degli storici italiani e sovietici, Roma 1968, pp. 291-293; e in (L'archivio dell'editore veneziano A. C. a Leningrado), Moskva 1968, pp. 51-56. Un ricco fondo di mss. del C. è conservato nella Biblioteca nazionale di Roma (fondo S. Gregorio al Celio), dov'è finita parte della vecchia biblioteca di S. Michele di Venezia (vedi l'elenco del Mandelli, pp. 53-63). Sul C. si vedano ancora Elogio del P. C. mandatomi dal P. D. F. Mandelli, in Novelle letterarie, XXVIII(1767), coll. 21-27, 4044, 53-55; Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat.9263: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, cc.235r-246v; G. A. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII, II, Venezia 1806, pp. 250-251; B. Gamba, Galleria dei letterati… del secolo XVIII, I, Venezia 1822, pp. 8384; II, ibid. 1824, p. 307; A. Lombardi, Storia della lett. ital. del sec. XVIII, III, Venezia 1829, pp. 112-113; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, I, Padova 1832, pp. 183-189; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant'anni, App., Venezia 1857, p. 326; L. Piccioni, Il giornalismo letterario in Italia, Torino 1894; Id., Studi e ricerche intorno a Giuseppe Baretti, Livorno 1899, pp. 277-287; G. Loria, Il "Giornale de' letterati d'Italia" e la"Raccolta C." come fonti per la storia delle matematiche nel secolo XVIII, in Abhandlungen zur Geschichte der Mathematik, IX(1899), pp. 241-274; Memorie dell'… Accademia … degli Agiati in Rovereto, Rovereto 1901-05, I, p. 401; II, p. 13; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 4041; A. Dresler, Geschichte der italienischen Presse, München 1931, I, pp. 87-90, 102-103; G. Gasperoni, Settecento ital., I, L'ab. G. C. Amaduzzi, Padova 1941, ad Indicem;B. Croce-F. Nicolini, Bibliografia vichiana, Napoli 1947, I, pp. 61-75, 201-248; L. Tenca, Lettere di A. C., in Mem. della Acc. patavina di scienze, lett. ed arti, LXVII(1954-55), pp. 288-295; A. Andreoli, Vociitaliane al tempo del Muratori, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria delle provincie modenesi, VII (1955), pp. 206-207; M. D. Collina, Ilcarteggio letterario di uno scienziato del Settecento (Janus Plancus), Firenze 1957, pp. 80-84, 1201-22; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel '700italiano, Firenze 1960, ad Indicem;E.Bernadskaja, Una lettera di G. Vico ad A.C., in Riv. stor. ital., LXXIII(1961), pp. 186-187; A. Cosatti, I periodici e gli atti accademici italiani dei secc. XVII e XVIII posseduti dalla biblioteca dell'Acc. naz. dei Lincei, Roma 1962, pp. 28, 103, 117 s., 131 s., 143 s., 147 s.; C. Godi, Un equilibrio difficile: l'amicizia tra il Mazzuchelli e il Querini, in Aevum, XXV(1962), pp. 83-108; V.Meneghin, S. Michele in Isola di Venezia, Venezia 1962, I, pp. 208-229, 268-274; M. Berengo, Giornali veneziani del Settecento, Milano 1962, A. Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Venezia-Roma 1962, ad Indicem;G. Procacci, Studi sulla fortuna del Machiavelli, Roma 1965, pp. 350 s.; G. Torcellan, Settecento veneto, Torino 1969, pp. 181, 218-219, 236-237.