DECEMBRIO, Angelo Camillo
Nato forse nel 1415 a Milano da Uberto, illustre umanista della corte milanese di Gian Galeazzo e di Gian Maria Visconti, e da Caterina Marrazzi, figlia di un famoso medico di Pavia, fu l'ultimo dei quattro figli dopo Modesto, Pier Candido (che era destinato a diventare il più famoso membro della famiglia per i suoi studi umanisticì) e Paolo Valerio.
Dalla più importante delle opere del D., la Politia litteraria, conosciamo alcuni fatti e vicende della sua vita giovanile. Studiò a Milano. alla scuola di Gasperino Barzizza (certamente per un periodo limitato, morendo il Barzizza nel 1431); andò poi a Ferrara (dove la sua presenza pare estendersi dal 1430 al 1438), sia per seguire le lezioni di medicina di Ugo Bensi, sia per frequentare il circolo letterario di Guarino Veronese presso la corte estense. Altri particolari su questo periodo giovanile del D. sappiamo da alcune lettere del fratello Pier Candido: ad esempio, la grave malattia da cui egli fu colpito nel 1438 e per la quale subì un intervento chirurgico che lo distolse dagli studi per un certo periodo di tempo, e inoltre le sue amicizie e i suoi rapporti con gli umanisti di Ferrara, i suoi studi, i libri che i due fratelli si scambiavano, l'invio, da parte di Pier Candido, della sua traduzione latina della Repubblica di Platone, e la richiesta del D. (del quale sono rimaste alcune poche lettere al fratello) di avere la copia della traduzione della stessa opera, compiuta dal padre Uberto.
Gli stretti rapporti del D. con il fratello Pier Candido avevano avuto inizio con la morte del padre Uberto (avvenuta nel 1427, preceduta da quelle della madre e di Paolo Valeflo, nel 1424 e seguita da quella di Modesto nel 1430); fin da allora Pier Candido gli era stato assai vicino, allevandolo a sue spese ed educandolo personalmente; anche l'andata a Ferrara era avvenuta su consiglio e per cura del fratello. Questi, inoltre, tenne con il D. un lungo rapporto di studi e di lettere: gli mandò, ad esempio, alcuni suoi testi da trascrivere -attività che sempre occupò il D. -, ma soprattutto lo seguì nella sua formazione culturale con affettuosa disponibilità. Non sappiamo però la ragione (determinata molto probabilmente da interessi economici, oltre che da rivalità professionali) per cui, nel 1441, i rapporti fra i due fratelli mutarono radicalmente e si guastarono al punto che Pier Candido e il D. non si riconciliarono più per tutto il resto della vita: in particolare, Pier Candido accusò di superbia ed ingratitudine il fratello, il quale gli si dimostrò, in realtà, pieno di arroganza.
A Ferrara, dove forse si laureò in medicina, il D. rimase a lungo, divenendo esponente fra i più attivi di quel cenacolo unianistico legato a Leonello d'Este. Ma alternò il soggiorno ferrarese con più o meno lunghe permanenze a Milano, città in cui sicuramente si fermò nel 1446-47, forse per un incarico di insegnamento, in base a quanto si deduce da una sua nota autografa nel manoscritto Ambrosiano Z 184 sup. Con molta probabilità tornò a Ferrara dopo la morte di Filippo Maria Visconti e la proclamazione della Repubblica Ambrosiana. Agli inizi del 1450, secondo la sua sottoscrizione nel manoscritto Malatestiano 29 sin. 12, fu in Spagna, a Saragozza, in un'ambasceria: non si sa, però, se per conto di Francesco Sforza o di Leonello d'Este. Ma alla morte di Leonello (1° ott. 1450) il D. si trovava a Ferrara; da qui, subito dopo, si trasferì a Napoli, presso la corte di Alfonso d'Aragona, legandosi quindi al circolo unianistico di quella città. Morto alcuni anni dopo Alfonso (27 luglio 1458), il D. tornò in Spagna, forse al seguito di qualche maggiorente conosciuto a Napoli. In Spagna visitò numerose biblioteche, si procurò non pochi libri, rivolgendo in particolare i suoi interessi ai testi degli scoliasti ed anche di autori più recenti, come Dante e Petrarca. Ma durante il viaggio di ritorno dalla Spagna in Italia tutti quei volumi (e vari altri di classici greci e latini) gli furono carpiti in Provenza da Giovanni d'Armagnac e, con molta probabilità, non li riebbe più. Andò nuovamente a Ferrara, alla corte di Borso d'Este, al quale, fra l'altro, nel 1466 si rivolse per riottenere quanto gli era stato sequestrato dal d'Armagnac: proprio dalla supplica scritta in tale occasione dal D. all'Estense si deduce quanto'gli era stato sottratto (vesti, suppellettili, ecc.) e soprattutto l'elenco dei manoscritti. Nella faccenda, per l'interessamento di Borso, fu richiesto l'intervento di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, il quale, a sua volta, incaricò di occuparsene il suo ambasciatore in Francia: ma pare che tutto si sia concluso in maniera assolutamente negativa per il Decembrio. Questi, intanto, dopo essersi trattenuto a lungo a Ferrara, nel novembre del 1466 partì, al seguito di un'ambascieria estense, per la Borgogna. Al 1467, evidentemente dopo il rientro in Italia, risale l'invito rivolto al D. dall'università di Perugia ad occupare la prima cattedra ufficiale di greco, istituita appunto da quella università: ma non è dato sapere se il D. abbia assunto o no quell'insegnamento.
Dopo questa notizia niente altro conosciamo del D.: se e quanto sia rimasto ancora a Ferrara, dove eventualmente si sia da lì recato, dove e quando sia morto.
La cultura dei D. fu piuttosto ampia e sicura, almeno in alcuni settori specifici testimoniati dalla sua Politia litteraria, l'opera alla quale soprattutto è legato il suo nome. La sua fama non fu certamente effimera e si affermò anche al di fuori dell'ambiente ferrarese e dell'accademia di Leonello d'Este e di Guarino, della quale la Politia litteraria è fondamentale rappresentazione. Su questo libro grava negativamente la mancanza di un'edizione critica che ne consenta una lettura ed un'interpretazione sicure, e che quindi renda giustizia delle parti che, sfrondate dal monotono e a volte farraginoso procedimento, hanno valore come testimonianza della cultura ferrarese in generale e dell'apporto specifico ad essa dato dal Decembrio. Sarebbe comunque troppo limitato circoscrivere la personalità del D. ai dati forniti dalla Politia litteraria; occorrerà, per esempio, tener presente anche la sua attività di ricercatore di testi classici e di diffusore di alcuni di essi poco noti e conosciuti. Non c'è ragione, infatti, per non credere all'inventario dei suoi codici, redatto (come si è visto) dopo il sequestro fattogli in Provenza: inventario che elenca una quantità notevoie di opere che il D. si sarebbe procurato in Italia e in Spagna (regione, questa, del resto, che fino allora poco aveva attratto gli interessi degli umanisti).
Nel già ricordato manoscritto autografo ambrosiano, che risale al 1447, il D. compilò un elenco delle opere da lui allora già scritte o ideate; nella successiva supplica a Borso d'Este, che è del 1466. pose un altro elenco che si aggiunge al precedente. Delle opere indicate da tutti queì titoli, oltre venti, ben poco è rimasto; d'altra parte è per lo più difficile determinare con sicurezza se al titolo sia corrisposto effettivamente lo scritto, o se quello significasse solo l'idea di scrivere sull'argomento indicato. Rimangono, comunque, come realmente composte dal D., queste opere: De cognitione et curatiotie pestis, Commentarius de supplicarionibus Maiis ac veterum religiónibus, Politia litteraria, alcuni Epigrammata e alcune lettere.
Il De cognitione et curatione pestis, chiara testimonianza degli interessi del D. verso la medicina, fu probabilmente scritto durante uno dei periodi della sua permanenza milanese, come farebbe pensare la dedica dell'opera al segretario del duca di Milano, Tomaso Tebaldi da Bologna. Il procedimento generale dello scritto risente della comune trattatistica medico-scolastica, senza distinguersi per originalità d'impostazione e, soprattutto, di argomentazione. Non a caso, ad esempio, questo testo del D. nel manoscritto Vat. Palatino lat. 1123 è inserito in una miscellanea di trattati medici che si apre con quello di Avicenna. Dapprima il D. discute le diverse opinioni filosofiche sul calore del Sole e della stella Sirio, sui loro effetti e in modo speciale sulle cause che possono determinare le pestilenze; quindi passa ad elencare ed esaminare i sintomi della malattia riscontrabili sugli uomini infetti. Ampio spazio è poi rivolto ai rimedi medici di fronte alla peste e all'elencazione dei medicamenti con cui devono essere curati i malati: soprattutto unguenti, tratti 'da un miscuglio di erbe aromatiche, e salassi. L'ultima parte dell'opera è dedicata alla presentazione e spiegazione dei consigli e delle medicine preventive (in modo speciale suffumigi di resina dì pino, di aceto e di ruta) con cui i sani possono evitare di essere contagiati.
Il Commentarius de supplicationibus Maiis ac veterum religionibus fu scritto a Milano nel 1447, come dimostra la sottoscrizione finale autografa del D.: "Idem Angelus scripsit manu febricitanti. Mediolani 8 kalendas septembris 1447" (ms. Ambrosiario Z 184 sup., f. 48v). Composta dopo il precedente De cognitione et curatione pestis, come esplicitamente il D. afferma, e dedicata a Giovanni Toscanella, segretario di Borso d'Este (allo stesso Toscanella appartenne la copia ora segnata α G.7A5 della Bibl. Estense di Modena), l'opera è introdotta da un prologo in cui il D. spiega le ragioni dello scritto, originato dall'approssimarsi del mese di maggio: mese che nei riti pagani e cristiani è dedicato a cerimonie particolari. Si presenta quindi l'incontro, nella chiesa milanese di S. Ambrogio, di alcuni giovani per discutere sulla religione degli antichi e quindi sul rapporto fra cerimonie pagane e cristiane. Le notizie sulla religiosità antica (di quando, cioè, in maggio si celebrava la fine dell'inverno e il risveglio della natura), desunte per la maggior parte da Virgilio (e il Toscanella era cultore di testi virgiliani) e da Orazio, vengono ampiamente illustrate in un momento triste per la città di Milano, colpita dalle caotiche conseguenze della guerra con Venezia e poi della morte di Filippo Maria Visconti. Alcuni degli intervenuti parlano delle litanie cristiane e dicono che derivano da antichi canti in onore di Bacco, purgati da quanto di osceno essi contenevano in origine; altri discorrono della stessa chiesa ambrosiana, dove i giovani si trovano riuniti, e ricordano che in antico era un tempio pagano, come testimoniano ancora ornamenti e decorazioni esterne. Ci si diffonde, quindi, in una rapida ma efficace trattazione sulle cerimonie pagane e su quelle della prima cristianità, utilizzando, oltre a Virgilio e a Orazio, un'ampia scelta di fonti classiche (fra quelle greche il D. mostra di aver letto nella lingua originale Diodoro Siculo, non ancora tradotto da Poggio Bracciolini), patristiche e, in tono minore, anche tardomedievali (Cecco d'Ascoli e le Genealogie del Boccaccio).
L'opera maggiore del D., come già si è accennato, e fondamentale contributo alla storia della cultura dell'umanesimo, è la Politia litteraria (o Politia litterarum, secondo l'intitolazione che, a quanto sembra, avrebbe preferito il D.), fonte preziosa, in modo speciale, per la conoscenza della società dotta ed umanistica di Ferrara, riunita intorno a Leonello d'Este e a Guarino Veronese, legati fra loro da profonda amicizia ed entrambi promotori di una fervida attività culturale. Ferrara - che non poco approfittò della permanenza del concilio che, apertosi a Basilea doveva poi, dopo Ferrara, passare e concludersi a Firenze -, proprio grazie alla grande personalità di Guarino e all'ingegno e alla disponibilità di Leonello, divenne un centro preminente negli studi nel corso del sec. XV: e proprio questo centro il D. nella Politia litteraria, sia pure non senza entusiastiche amplificazioni, cerca di rappresentare.
Già nel 477 (ancora è preziosa fonte il manoscritto Ambrosiano Z 184 sup.), il D. aveva incominciato a lavorare a quest'opera coi pensiero di dedicarla a Leonello d'Este, e ne aveva fissato il titolo in De politia litteraria variisque poetae Virgilii laudibus; rispetto al piano generale dell'edizione rimasta poi definitiva, questo abbozzo ne costituisce i libri I, II, V. Anche durante il suo primo viaggio in Spagna, nel 1462, il D. continuò a lavorare alla Politia e ad ampliarla col proposito però, essendo morto Leonello, di dedicarla (come poi fece) a Pio II (presso il quale sarebbe stato mandato in ambasceria, secondo una notizia dell'Argelati, la quale però non trova conferma nei documenti). Al papa, comunque, fu presentato l'esemplare, splendidamente miniato, che venne poi collocato nella Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 1794). Una copia della Politia sarebbe stata utilizzata, nel 1540, per l'editio princeps, nella cui intitolazione si legge che il testo derivava da un manoscritto sottratto, durante il Sacco di Roma del 1527, dalla biblioteca pontificia: pare poco verosimile, però, che si trattasse proprio dell'esemplare di dedica, il quale poi sarebbe quindi ritornato in Vaticano. Una seconda edizione della Politia litteraria - la cui tradizione manoscritta sembra pressoché inesistente - si ebbe nel 1562 a Basilea. Ma entrambe le edizioni a stampa sono assai scorrette e lacunose (forse proprio come il manoscritto utilizzato dal primo editore), ed è perciò indispensabile ricorrere al testo manoscritto del Vat. lat. 1794.
La Politia litteraria è divisa in sette libri, e ciascuno di questi, a sua volta, in capitoli (partes) per un totale di 103. Il prologo generale dell'opera, posto all'inizio del libro I, di cui costituisce appunto la prima pars, è importante per la varietà degli argomenti trattati. C'è, anzi tutto, la giustificazione del titolo Politia litteraria e, implicitamente, l'indicazione della finalità dell'opera stessa: essa non ha niente a vedere con la "polis" greca, ma riguarda lo scrivere "pulito": "non a poli civitate, Graeca derivatione, sed a nostris hoc est, a poliendo seu polite scribendo appellare libet". Segue quindi la dedica: il libro avrebbe dovuto essere offerto a Leonello d'Este, ma, per la sua morte immatura, è ora inviato al pontefice Pio II; il discorso porta così ad esaltare la figura del papa, ma soprattutto a ricordare con affetto il principe scomparso e a celebrame le lodi. Ma al ricordo di Leonello si unisce anche quello dell'intero ambiente culturale ed unianistico di Ferrara con la rievocazione dei dotti personaggi che facevano corona a Leonello: da Guarino Veronese a Carlo Nuvolone, da Feltrino Boiardo a Tito Vespasiano Strozzi. Il D. dice quindi - altro rilevante accenno - di aver strutturato la Politia litteraria sul modello delle Noctes Atticae di Gellio e della Institutio oratoria di Quintiliano, ed indica in sintesi gli argomenti che verranno trattati: dall'"artificium" oratorio e poetico ad ogni tipo di "ornatus" dei libri, dalla "proprietas" dei vocaboli ai diversi "styli", dall'uso dei dittonghi alle norme dell'ortografia. A questa visione d'insieme del contenuto dell'opera segue la solenne affermazione della sua utilità, soprattutto per la formazione culturale dei giovani. Infine non è da tralasciare un ultimo elemento di questo prologo: l'indicazione, da parte del D., di alcune vicende della sua stessa vita (la nascita a Milano, la dimora a Ferrara, la permanenza a Napoli, i viaggi in Spagna), notizie tutte estremamente preziose - con le altre sparse nel corso del libro - nella scarsità di conoscenze sicure sulla figura e l'opera del Decembrio.
Col capitolo secondo incomincia l'esposizione dettagliata dei diversi temi; così, dopo aver approfondito il concetto di "litteraria politia" e aver trattato dei "modus ordoque" che devono caratterizzare una biblioteca, il D. parla - attribuendo quasi sempre l'esposizione a Leonello - dei libri che in essa si debbono tenere, iniziando dai poeti (soprattutto Virgilio e Terenzio) e passando quindi ai prosatori (specie Cicerone e Sallustio). Queste riflessioni, insieme con quelle successive e più generali sull'eloquenza, la storia, la filosofia, e poi sulla retorica, l'arte militare ed altri argomenti ancora, danno la possibilità al D. di delineare un ampio quadro della letteratura latina ed un interessante "excursus" su quella greca. Il libro II si apre con una discussione su Virgilio, nella quale il D. si propone di confutare certi suoi denigratori. Seguono altre discussioni su numerosi passi di autori classici. Da segnalare, in particolare, il capitolo xvi, dedicato ad un ulteriore approfondimento del tema, già affrontato nel precedente libro, della "politia" delle biblioteche; nello stesso capitolo, fra l'altro, si parla anche della diversa condizione degli studi nell'età contemporanea in rapporto ai tempi antichi. Il libro III - che si apre col ricordo di una malattia di Leonello - è dedicato all'esame delle proprietà e delle improprietà dei vocaboli. La trattazione, introdotta da Guarino, prende in considerazione dapprima i sostantivi, poi i verbi e gli avverbi, per concludersi nell'ultimo capitolo con una discussione sugli omonimi e i sinonimi.
Nel libro IV sono ulteriormente trattati argomenti con un esame specifico di numerosi vocaboli in relazione ai loro diversi significati, e secondo l'ordine alfabetico. L'esemplificazione, condotta con i consueti e numerosi riferimenti a testi classici, e che assume quasi il valore di un repertorio lessicale, è preceduta da un prologo (pars xxxi) assai significativo, e relativo a tutt'altra questione: l'impresa a cui il papa Pio II era allora rivolto, e cioè, la crociata contro i Turchi, della quale si auspica un glorioso e felice esito. Il libro V prosegue idealmente il precedente, ma, più che fermarsi su specifici aspetti lessicali o stilistici, discute su singoli fatti o questioni aventi rapporto con l'attività letteraria, quasi sul modo delle Elegantiae di Lorenzo Valla (citato proprio nel prologo al libro). Così nel capitolo LX il D. racconta come si svolse la presentazione (nel 1437), a Leonello d'Este e ai suoi umanisti, della commedia Repetitio magistri Zanini coqui, scritta dal parmense Ugolino Pisani, e nel capitolo Lxiv riferisce l'errata interpretazione data da Dante (Purg., XXII, vv. 40-41) di un'espressione virgiliana (Aen., III, vv. 56-57). Il libro VI si apre con un prologo che nuovamente tesse le lodi di Pio II e di Leonello d'Este, il quale ultimo viene rimpianto come mecenate attento e colto. L'argomento del libro è simile a quello del precedente, in quanto nel complesso tende a mettere in risalto, nelle singole discussioni sui più diversi temi, l'eleganza e la ricchezza dello stile latino. Il libro VII ed ultimo è dedicato all'esame dei dittonghi e di vocaboli specifici (in linea, dunque, col libro III): la discussione è originata dal contributo offerto da Guarino a questa materia. Il D. spiega anche, di nuovo, le ragioni per cui egli si impegnò nell'opera.
Gli Epigrammata, e più in generale le composizioni poetiche del D., dovettero essere assai più numerosi di quelli effettivamente pervenuti a noi. Infatti, nei già ricordati elenchi sono compresi - ma tutti perduti (alcuni probabilmente neppure scritti) - due Libri elegiarum et epigrammatum a Tito Vespasiano Strozzi, un Liber de Zucharina et Thebaldo aureis adulescentibus et de effigie cupidittis a Tomaso Tebaldi, uno De anilibus studiis, cinque libri De matronali oeconomico, uno De vita et morte divi Caroli Hispani principis, uno De matronalibus ingeniis a Niccolò d'Este (forse tutt'uno, secondo una supposizione dei Sabbadini, col De matronali oeconomico o col De anilibus studiis), due Elegiae per lo stesso Niccolò, ed altri "epigrammi". Per alcuni titoli non è invece definibile se si trattasse di opere in prosa o in versi, come per il De arte augurali e il De somniis.
Ci sono giunte, invece, nel manoscritto Vaticano Capponi 3 (ff. 113v-117r), quarantadue composizioni in versi latini (una si trova anche nel ms. N. A. 227 della Bibl. naz, di Firenze, ff. 173v-174r) In funere illustrissimi ducis Francisci Sfortiae immortalis. Nella monotona ripetizione di toni e di concetti tutti tesi ad esaltare la vita, le imprese e la morte dello Sforza - visto come nume tutelare della patria, esempio per l'Italia e per l'Impero - e nell'uso di fonti virgiliane ed ovidiane riprese con una certa noiosa insistenza, non mancano immagini e momenti meglio riusciti, soprattutto quando l'evento da ricordare (come il dolore di Bianca Maria Visconti per la morte del marito) sembra permettere un più diretto intervento dell'autore, libero da moduli strettamente retorici e scolastici. Altri versi, in forma di epitaffi, anonimi ma scritti dalla stessa mano del D., e quindi attribuibili forse a lui, si trovano ai ff. 2r-5v del già ricordato ms. Ambrosiano Z 184 sup. Senz'altro del D. sono quelli contenuti nei mss. Malatestiano 29 sin. 12 di Cesena e n. 2 della Bibl. civica di Rovereto.
Le opere che il D. avrebbe scritto in prosa, ma delle quali si conosce soltanto il titolo (è da notare che le segnature, date dall'Argelati, relative ad alcuni manoscritti della Bibl. Ambrosiana non trovano riscontro nella realtà), sono: Contra Curtium historicum super conditionibus Pacis inter Alexandrum et Darium reges a Tomaso Tebaldi, De scriptore et librario deque eorum variis officiis a Carlo Nuvolone, il dialogo Quod senectus sive senes iuventuti consilio et auctoritate anteponenda sit a Uguccione Contrari, Super Iliadibus matronis contra Virgilium a Matteo Malferito, Artes oratoriae a Borso d'Este, De omnibus religionibus et cerimoniis, orazioni e sermoni vari. Nel ms. Plut. LIX, n. 33 della Bibl. Laurenziana di Firenze J. 1-40), sono conservate Regulae Graecae attribuite in parte al Decembrio. Rimangono, inoltre, del D. alcune lettere: ma si tratta certamente di un numero assai esiguo (una diecina e quasi tutte al fratello Pier Candido, una a Carlo Nuvolone, un'altra ad Antonio Panormita e un'altra a Matteo Buttigella) rispetto a quelle che in effetti il D. dovette scrivere durante la sua vita.
La Politia litteraria fu stampata due volte: Augustae Vindelicorum, "in officina Heinrici Steyneri", 1540, e Basileae, "per Ioannem Hervagium", 1562. Anche il De cognitione et curatione pestis (autografo nel ms. di Rovereto, Bibl. civica, n. 2; altro ms. è il Vaticano Palat. lat. 1123) fu stampato a Pavia nel 1521. Il Commentarius de supplicationibus Maiis ac veterum religionibus è autografo nel ms. Ambrosiano Z 184 sup., e tramandato anche nel ms. di Modena, Bibl. Estense, Estense 121 (α G. 7- 15). Le lettere del D. sono sparse in vari mss.: Firenze, Bibl. Riccardiana, 827; Milano, Bibl. Ambrosiana, E 124 sup.; Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 3372; Rovereto, Bibl. civica, n. 2 (per le lettere cfr. l'elenco e gli studi di V. Zaccaria, L'epistolario di P. C. Decembrio, in Rinascimento, III [1952], pp. 85-118; Id., P. C. Decembrio traduttore della "Repubblica" di Platone, in Italia medioevale e umanistica, II [1959], pp. 180, 194 ss.; alcune lettere sono state pubblicate da A. Della Guardia, La "Politia litteraria" di A. D., Modena 1910; e R. Sabbadini, Tre autografi di A. D., in Scritti vari in on. di R. Renier, Torino 1912, pp. 11-19, poi in Classici e umanisti da codici ambrosiani, Firenze 1933, pp. 94-103). Scritti dal D., oltre a quelli già indicati, rimangono altri codici, contenenti per lo più testi classici: Firenze, Bibl. Laurenziana, Conv. soppr. 263; Modena, Bibl. Estense, Lat.331 (α F. 8. 15); Cesena, Bibl. Malatestiana, XXIX sin. 12; Parigi, Bibl. nationale, Lat.7243, 7244, 7245. Altri riferimenti a manoscritti di opere dei D. - sul quale manca uno studio complessivo - sono già stati forniti nel corso del profilo.
Fonti e Bibl.: Le limitate fonti docum. sulla vita del D. si trovano in: Arch. di Stato di Modena, Registri diversi MM. Intrà et spese. 1465, f. 108v; Nota da robe. 1465-1471, f. 75; Camera Ducale. Registro Mand. 1466, f. 250; Arch. di Stato di Milano, Autografi Decembrio; Perugia, Arch. comunale, Annal. decemv. 1467, f. 117. Altre notizie biografiche apprendiamo, come si è detto, dalla Politia litteraria. Cfr. inoltre, C. Gesnero, Bibl. instituta et collecta, Tiguri 1583, p. 100; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 34; L. A. Cotta, Museo novarese, Milano 1701, p. 66; B. de Montfaucon, Bibliotheca Bibliothecarum manuscriptorum nova, I, Parisiis 1739, p. 399; Ph. Argelati Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I,Mediolani 1745, coll. 547 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI,Modena 1790, p. 738; I. A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae ac infimae aetatis, II,Florentiae 1858, pp. 433 s.; R. Sabbadini, Storia del ciceronianismo, Torino 1886, p. 92; G. Voigt, Il risorgimento dell'antichità classica, ovvero il primo secolo dell'umanesimo, I,Firenze 1888, pp. 247, 253, 501; A. Cappelli, A. D., in Arch. stor. lomb., XIX (1892), pp. 110-17; M. Borsa, P. C. Decembrio e l'umanesimo in Lombardia, ibid., XX (1893), pp. 1-59 passim; R. Sabbadini, Spigolature latine, in Studi ital. di filol. classica, V (1897), p. 378; Id., Un biennio umanistico (1422-1426), ibid., VI (1903), suppl., p. 89; G. Bertoni, La Biblioteca Estense e la cultura ferrarese ai tempi del duca Ercole 1 (1471-1505), Torino 1903, pp. 109, 116, 249, 258; A. Farinelli, Note sulla fortuna del Petrarca in Ispagna nel Quattrocento, in Giorn. stor. d. letter. ital., XLIV (1905), p. 301; Id., Appunti su Dante in Ispagna nell'Età media, ibid., VIII (1905), suppl., p. 161; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secc. XIV e XV, I,Firenze 1905, pp. 136-39; G. Fatini, Dante presso gli Estensi. Contributo allo studio e alla fortuna di Dante nel sec. XV, in Il Giornale dantesco, XVII (1909), pp. 126-44; G. Bertoni, Guarino da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara, Ginevra 1921, pp. 42, 64, 77 s.; V. Zabughin, Vergilio nel Rinascimento ital., II,Bologna 1923, pp. 9 s., 36; D. Fava, La Biblioteca Estense nel suo sviluppo stor., Modena 1925, pp. 2427, 39 s.; E. Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de Milan au XVè siècle, Paris 1955, pp. 52 s., 323; E. Garin, La cultura milanese nella prima metà del XV sec., in Storia di Milano, VI,Milano zqss, pp. 561, 607; M. T. Casella, Nuovi appunti attorno al Boccaccio traduttore di Livio, in Italia medioevale e umanistica, IV (1961), pp. 127 s.; A. Colonna, A. D., primo lettore di greco nell'università di Perugia, in Ann. d. Univers. d. studi di Perugia.... 1959-60 e 1960-61, Perugia 1961, pp. 25-41; A. Zanella, Uberto Decembrio e un codice bergamasco, in Bergomum, XXXVI (1962), pp. 88 s.; XXXVIII (1964), p. 71; M. Bascandall, A Dialog on Art from the Court of Leonello d'Este, in Journ. of the Warburg and Courtauld Institutes, XXVI (1963), pp. 303-26; A. Colonna, Elegie inedite di A. D., in Annali d. Facoltà di lettere e filosofia d. Università d. studi di Perugia, I (1963-64), pp. 51-59; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1964, p. 109; E. Garin, La letteratura degli umanisti, in Storia della letteratura italiana, III, Il Quattrocento…, Milano 1966, pp. 51, 123; R. Sabbadini Storia e critica di testi latini, Padova 1971, pp. 131, 144, 150, 165, 170, 187, 270, 295; G. Ermini, Storia dell'università di Perugia, Firenze 1971, pp. 604 s.; S. Rizzo, Il lessico filol. d. umanisti, Roma 1973, passim; L. Paoletti, Cultura ed attività letter. dal XII al XV sec., in Storia dell'Emilia Romagna, a cura di A. Berselli, I, Bologna 1976, p. 602; P. Scarcia Piacentini, A. D. e la sua scrittura, in Scrittura e civiltà, IV (1980), pp. 247-77; A. Biondi, A. D. e la cultura del Principe, in La corte e lo spazio. Ferrara estense, II,Roma 1982, pp. 637-57; L. Balsamo, La circolazione del libro a corte, ibid., pp. 659-51; M. E. Cosenza, Biographical and Bibliographical Dictionary of the Italian Humanists, Boston 1962, II, coll. 1194 s.; V, rm. 606 s.; P. O. Kristeller, Iter Italicum, ad Ind.