CELLI, Angelo
Nacque a Cagli (Pesaro) da Cristoforo e da Teresa Amatori il 25 marzo 1857. Di modeste condizioni, rimase presto orfano e poté proseguire gli studi solo grazie a una borsa di studio messa a disposizione dall'Istituto dei Piceni. Conseguita la laurea in medicina e chirurgia presso l'università di Roma, grazie all'aiuto del sottosegretario al ministero dell'Istruzione F. Martini si recò per breve tempo a Monaco, a perfezionarsi nell'istituto di M. J. von Pettenkofer, il fondatore dell'igiene sperimentale. Tornato a Roma, nel 1883 divenne assistente dell'Istituto di igiene diretto da C. Tommasi Crudeli, del quale due anni dopo ebbe il titolo di supplente.
Risalgono a questo periodo alcuni importanti studi: nel 1883, in collaborazione con E. Marchiafava, su una epizoozia di colera dei polli nella campagna romana; nel 1884, con G. Guarnieri, sulla penetrazione per inalazione del bacillo di Koch negli organismi animali; e, soprattutto, nel 1884-85 ancora col Marchiafava su un microrganismo reperito in due casi di meningite e sull'infezione malarica.
La scoperta del meningococco, l'agente etiologico della meningite cerebro-spinale epidemica, è generalmente attribuita ad A. Weichselbaum, che nel 1887 osservò il microbo in sei casi sporadici di meningite (Ueber die Aetiologie der akuten Meningitis cerebro-spinalis, in Fortschritte der Medizin, V[1887], pp. 573-583, 620-626), e a H. Jaeger, che alcuni anni più tardi dimostrò che il diplococco descritto dal Weichselbaum è responsabile anche della forma epidemica della malattia (Die Cerebrospinalmeningitis als Heereseuche, Berlin 1901). Tuttavia, nel 1884 Marchiafava e il C., esaminando l'essudato meningeo di due casi di meningite, avevano individuato e descritto un diplococco, del quale mettevano in evidenza la somiglianza morfologica e per la localizzazione intracellulare con il gonococco (Zur Geschichte der Entdekung des Micrococcus intracellularis meningitidis, in Centralbl. für Bakter., Parasit. und Infektionskrankh., XVIII [1907], pp. 141 ss.): essi riconobbero comunque che i loro tentativi di coltivare il microbo non erano stati coronati da successo.
I primi studi sull'infezione malarica segnarono una svolta decisiva nella impostazione concettuale sull'argomento dei ricercatori italiani, e costituirono la base degli importanti studi sulla profilassi che dovevano seguire non molti anni più tardi. Dopo che C.-L.-A. Laveran aveva annunciato la scoperta di un parassita, che egli chiamò Oscillaria malariae nel sangue di molti soggetti affetti da malaria (Un nouveau parasite trouvé dans le sang deplusieurs malades atteints de fièvre palustre, in Bull. et mém. de la Soc. méd. des Hôp. deParis, s. 2, XVII [1881], pp. 158-164), nei vari ambienti scientifici nacquero opinioni contrastanti: in particolare in Italia si dubitava delle osservazioni del Laveran: i parassiti da lui descritti erano generalmente interpretati come alterazioni degenerative dei globuli rossi. Quando finalmente, nel 1885, Marchiafava e il C. modificarono le proprie convinzioni e riconobbero la natura parassitica dei cosiddetti corpi di Laveran, ebbe inizio una nuova corrente di pensiero che doveva poi risultare fecondissima, tanto da far ricordare quelli italiani tra i contributi fondamentali alla conoscenza della malaria: in una memorabile pubblicazione (Weitere Untersuchungen überdie Malariainfektion, in Fortschr. d. Med., III [1885], pp. 787-806) i due studiosi dettero la prima accurata descrizione del parassita scoperto, dal Laveran, che chiamarono Plasmodium malariae. Essi dimostrarono inoltre che il microrganismo, accrescendosi nei globuli rossi, trasforma l'emoglobina in pigmento e, giunto a un certo grado di sviluppo, si divide in vari corpiccioli figli che invadono altri globuli rossi.
Conseguita la libera docenza in igiene nel 1886, nello stesso anno il C. venne nominato professore straordinario presso l'università di Palermo; in questa città fondò un istituto antirabbico, uno dei primi sorti in Italia. Intanto aveva modo di segnalarsi per l'opera svolta in occasione dell'epidemia di colera scoppiata nell'Italia centromeridionale: incaricato dal governo di dirigere il servizio profilattico nelle zone maggiormente colpite, si recava nel 1886 a Ripi presso Frosinone, nel 1887 nella provincia di Napoli, quindi in Calabria (otteneva per la sua generosa attività la cittadinanza onoraria dei comuni di Resina e di Roccella Ionica). Trasferito come professore straordinario all'università di Roma, nel 1889 fondava anche nella capitale un istituto antirabbico e dava vita al periodico Annali di igiene. Nel '90, succedendo a C. Tommasi Crudeli, fu nominato professore ordinario di igiene nell'ateneo romano. Nello stesso anno iniziò i corsi di ingegneria sanitaria nella R. Scuola di applicazione di Roma, e nel 1893 cominciò a insegnare anche nella scuola di farmacia. L'attività didattica, comunque, non lo distoglieva dagli altri interessi: lo studio delle epidemie (come quella colerica del '93, a Roma; e quella di dissenteria del '95 in Egitto, ove si recò per compiere accurate, ricerche); la prosecuzione degli studi sulla malaria, cui conseguirono importanti acquisizioni di ordine epidemiologico e profilattico; le molteplici iniziative culturali (nel 1890 fondò la Società di igiene e medicina tropicale, e nel '98 - con G. Fortunato e L. Franchetti - la Società per gli studi sulla malaria).
Dopo l'ampio, accurato studio sulla epidemia di colera di Roma (Il colera di Roma nel 1893 in confronto con le precedenti epidemie, in Ann. d. Ist. d'igiene sper. d. R. Univ. di Roma, IV [1894], pp. 233-61, in coll. con F. S. Sartori), le ricerche sulla dissenteria bacillare culminarono nella descrizione dell'agente etiologico di questa forma, B. coli dysentericum, che discriminò nettamente dalla dissenteria amebica (Eziologia della dissenteria ne' suoi rapporti col B. coli e colle sue tossine. Ricerche sperimentali, in Annali d'igiene sperimentale, VI [1896], pp. 203-38); riuscì anche a ottenere buone colture di amebe, con una scarsa mescolanza di batteri, adoperando un terreno semisolido (Die Kultur der Amöben auf festen Substrate, in Centralbl. f. Bakter, Parasit. u. Infekionskrankh., XIV [1896], pp. 536 ss.).
Di vasta risonanza furono le ricerche del C. sulla malaria: dopo aver attentamente studiato i parassiti descritti dal Laveran, nel 1889, in collaborazione col Marchiafava, ne individuò e descrisse la varietà responsabile della forma estivo-autunnale, così frequente nella campagna romana, mettendo in evidenza la gravità di questo tipo di malaria rispetto alla quartana e alla terzana benigna (Sulle febbri malariche predominanti nell'estate e nell'autunno in Roma, in Bullettino della R. Accademia medica di Roma, XVI [1890], pp. 203-10). Ma soprattutto alla profilassi antimalarica il C. doveva recare un contributo particolarmente prezioso che rappresentò anche il primo approccio sperimentale al problema: egli poté infatti dimostrare che nelle zone malariche si riusciva efficacemente a impedire la comparsa di nuovi casi di malattia riparando in modo adeguato le abitazioni dalle zanzare e convincendo gli abitanti a non uscire all'aperto nelle ore comprese tra il tramonto e l'alba, periodo nel quale, come è noto, si manifesta vivacemente l'attività degli insetti.
Questi studi costituirono la base dell'opera svolta dal C. per la redenzione dell'Agro romano: dopo i primi esperimenti, compiuti nel 1896 in una tenuta di duecentosessantaquattro ettari a pochi chilometri da Roma, denominata Cervelletta, in breve tempo si registrò la completa regressione dell'endemia. Tuttavia il C. era pienamente cosciente che una efficace lotta antimalarica non poteva prescindere da una adeguata profilassi medicamentosa, basata sull'impiego del chinino, i cui effetti poté magistralmente documentare con osservazioni compiute in vari anni (La lotta contro la malaria in Italia, in Ann. di medicina navale, XIII [1907], pp. 585-605). Particolare interesse rivolse alle modalità di somministrazione del chinino ai bambini, indicandone la forma migliore nel tannato di chinina in cioccolatini, che fu presto approvato dal Consiglio superiore di sanità per l'adozione statale (Il tannato di chinina in cioccolatini per la profilassi e cura della malaria, Roma 1909; Il tannato di chinina e le sue indicazioni per la cura e la profilassi della malaria, estratto da Boll. della Soc. it. di medic. e d'igiene coloniale, II [1910]). Oltre alle numerose pubblicazioni che videro la luce negli anni della sua attività, l'opera del C. per lo studiò e la cura della malaria è efficacemente illustrata in un lavoro postumo, la cui pubblicazione fu curata dalla moglie Anna Fraentzel (The History of malaria in the Roman campagna from ancient times, a cura di A. Celli-Fraentzel, London 1933).
Alla lotta contro la malaria il C. portò il suo contributo anche all'interno del Parlamento dove, dal 23 nov. 1892, schierato con i radicali, rappresentò per sei legislature, fino al 29 sett. 1913, il collegio di Cagli. Fu il maggiore artefice della legislazione italiana contro la malaria, il cui nucleo fu essenzialmente costituito da tre fondamentali leggi che egli propugnò di concerto con G. Fortunato e L. Franchetti: la legge n. 505 del 23 dic. 1900 sull'esercizio di Stato del chinino con cui si istituiva presso il ministero delle Finanze l'Azienda del chinino di Stato, preposta alla preparazione e alla vendita, tramite gli spacci di sale e tabacchi, dei prodotti chinacei al fine di permettere la più capillare diffusione del farmaco e di stroncare nel contempo ogni abuso e speculazione: inoltre gli utili dell'Azienda dovevano essere reinvestiti in opere antimalariche e di bonifica; la legge n. 460 del 2 nov. 1901, con cui si faceva obbligo ai comuni dichiarati appartenenti a zone malariche di fornire gratuitamente il chinino ai lavoratori agricoli, con il diritto del comune stesso di ripartire le spese tra i proprietari in ragione della superficie posseduta; la legge n. 209 del 19 maggio 1904 sul diritto dei poveri e dei lavoratori delle zone malariche ad avere il chinino gratuito non solo per la cura ma anche per la profilassi della malattia.
Tale legislazione avrebbe rischiato tuttavia di rimanere in gran parte inoperante se fosse mancata la collaborazione delle masse rurali interessate; di qui l'esigenza, avvertita dal C., di una vasta azione di educazione igienica da effettuarsi soprattutto attraverso l'istruzione scolastica. Si dedicò perciò alla lotta contro l'analfabetismo con la valida collaborazione della moglie Anna, con la quale creò nell'Agro romano numerose scuole per contadini. La stretta connessione esistente tra il problema malarico e le condizioni economico-sociali delle popolazioni delle zone infestate indusse il C. a concentrare la propria attenzione sul problema del latifondo, in cui vedeva la causa prima non solo delle miserevoli condizioni in cui versavano i lavoratori agricoli e le loro famiglie, ma anche il maggior impedimento alla necessaria azione di bonifica agraria e igienica. Il latifondo, generalmente caratterizzato dalle grandi distanze tra punti di lavoro e abitazioni dei braccianti agricoli, imponendo spesso a questi ultimi il pernottamento in ripari improvvisati, inidonei o addirittura all'aperto, li esponeva infatti pericolosamente a contrarre la malaria, come già il C. aveva dimostrato sperimentalmente. Il 24 apr. 1902 il C. presentava una proposta di legge sulle abitazioni e sulla colonizzazione dei latifondi nelle zone malariche, che imponeva ai proprietari dei latifondi, sotto minaccia di espropri, la costruzione di abitazioni per contadini a dimora stabile e di locali per quelli a dimora temporanea: la proposta tuttavia non divenne legge per l'ostinata opposizione della parte conservatrice.
Sulle miserevoli condizioni dei salariati agricoli dell'Agro romano, da lui definito "Abissinia di Roma" in polemica con i fautori dell'espansione coloniale dell'Italia in Africa, il C. pubblicò un opuscolo (Come vive il campagnolo nell'Agro romano, Roma 1900), in cui venivano crudamente descritte le spaventose condizioni igieniche ed economiche, cui erano soggetti i braccianti agricoli stagionali provenienti dalle zone e regioni limitrofe, decimati dalla malaria e soggetti ad uno sfruttamento bestiale da parte di proprietari, fittavoli e mediatori senza scrupoli.
La sua azione nel campo della politica sanitaria interessò anche altri settori, oltre quello della lotta antimalarica: impressionato, nel corso delle sue ripetute esperienze, dalla rapidità della diffusione delle epidemie, nel tentativo di individuare le cause della propagazione dei germi patogeni, il C. rivolse la propria attenzione alle condizioni igieniche delle zone infestate, studiando in particolare l'approvvigionamento idrico delle città, l'igiene industriale e soprattutto l'alimentazione delle classi povere italiane. In tale campo di particolare interesse fu il lavoro, eseguito in collaborazione con O. Casagrandi e A. Bayardi, Studio batteriologico dell'acqua Marcia, dalle sorgenti alla sua distribuzione. Contributo alla batteriologia delle acque condotte e sorgive, Torino 1903. Si occupò dello sviluppo dell'assistenza sanitaria e, sensibile ai problemi dell'infanzia, fondò a Roma nel 1891 l'ambulatorio Soccorso e lavoro per i bambini poveri. Portando in Parlamento l'esperienza del medico e dell'igienista, si batté sempre con tenacia per lo sviluppo della legislazione sociale, collaborando all'elaborazione e all'approvazione delle leggi volte a migliorare le condizioni di vita delle classi lavoratrici. Di particolare interesse fu il discorso del 18 marzo 1902 sul lavoro delle donne e dei fanciulli, nel quale denunciò la mancanza di una legge che tutelasse il lavoro minorile e delle donne soprattutto durante il periodo di gestazione. Soffermandosi sulle leggi dello sviluppo del corpo, dimostrò i danni che un lavoro eccessivo e insalubre può arrecare all'organismo e affermò la necessità che nel periodo della pubertà si diminuisse la quantità di lavoro sia muscolare sia mentale. Lottò per la riduzione dell'orario giornaliero di lavoro, per il riconoscimento del riposo settimanale e per la creazione di una cassa maternità. Non meno importante il discorso del 16 aprile dello stesso anno sull'estensione della legge sugli infortuni del lavoro alle malattie professionali, come le asfissie da idrogeno solforato, ammoniaca, acido carbonico o le paralisi conseguenti al maneggiamento di sostanze contenenti piombo; in questa sede appoggiò la proposta di fondazione di casse di assicurazione per gli operai nei casi di malattie e inabilità. Sensibile ai problemi delle zone più arretrate, non trascurò di difendere gli interessi della sua regione lottando indefessamente affinché la serie degli interventi legislativi, diretti a stimolare e proteggere l'economia delle regioni meridionali e delle isole, venisse estesa anche al territorio delle Marche.
Tra gli altri studi del C., di particolare rilievo furono quelli condotti su una malattia contagiosa delle pecore e delle capre: in collaborazione con D. De Blasi, egli riusci a dimostrare che il latte di animali malati, filtrato per candela Berkefeld e iniettato in animali sani, riproduce la tipica forma morbosa caratterizzata da agalassia, lesioni oculari e lesioni articolari (Etiologia della agalassia contagiosa delle pecore e delle capre, in Ann. d'igiene sper., XVI [1906], pp. 257-299). Questo lavoro, unitamente a uno studio precedente sul virus rabbico eseguito sempre in collaborazione col De Blasi (Il virus rabbico è filtrabile?, in Riv. crit. di clin. med., IV [1903], pp. 612-19), recò un contributo prezioso alla conoscenza dei virus filtrabili.
Dei suoi numerosi scritti si ricordano ancora: La malaria secondo le nuove ricerche, Roma 1893; Il manuale dell'ufficiale sanitario, ibid. 1899; Il manuale dell'igienista, Torino 1906-07.
Dal 1908 al 1911 il C. fu presidente della Società di igiene e di medicina coloniale, da lui stesso fondata al pari dell'Istituto siero-vaccinoso dell'Asmara, a testimonianza del suo vivo interesse per la situazione igienica e sanitaria delle colonie, alle quali apportò enormi vantaggi soprattutto attraverso la profilassi delle malattie del bestiame. Fu membro di varie accademie e associazioni mediche e venne insignito del titolo di doctor honoris causa delle università di Atene e di Aberdeen, di quello di lettore del Royal Institute of Public Health di Londra e della medaglia Mary Kingsley dell'Institute of tropical medicine di Liverpool.
Morì a Monza il 2 nov. 1914 e, per suo espresso desiderio, fu sepolto nel cimitero di Frascati.
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