D'AMBROSIO, Angelo
Nacque a Reggio Calabria il 22 sett. 1774 da Bernardo, giureconsulto di antica e nobile famiglia calabrese e da Vincenza Ricci.
Trasferitasi la famiglia a Napoli, il padre acquistò presto fama nel foro e nell'università napoletani, mentre la madre, donna di buona cultura e di raffinati costumi, ottenne l'incarico a corte di educatrice dell'infanta Maria Amelia, futura regina dei Francesi. Rimasta presto vedova, senza beni di fortuna e con dieci figli cui accudire, ella decise di avviare il D. alla carriera ecclesiastica.
Entrato nel prestigioso collegio del S. Salvatore e ascritto al clero della cappella palatina, il D. compì i suoi studi con maestri rinomati, quali il Lancilotti, il Campolongo, il Fergola, dando buona prova di sé soprattutto nelle lettere latine e greche, ma lasciando tuttavia trapelare la sua insoddisfazione per lo stato ecclesiastico e la sua vocazione per la carriera militare.
Non tardò infatti a convincere la madre ad ottenere per lui, attraverso le sue amicizie a corte, un posto nell'accademia militare della Nunziatella. Qui divenne l'allievo prediletto del ten. col. G. Parisi, fondatore dell'accademia e noto scrittore di arte militare, e riuscì a entrare come cadetto nel reggimento "Re" della brigata comandata dal gen. Pignatelli, inviata da Ferdinando di Borbone, nel 170, alla difesa di Tolone contro la Francia repubblicana. Nell'assedio del forte Balanguer fu ferito e fatto prigioniero; condotto a Valence, trascorse lì quattro anni di prigionia, dedicandosi allo studio dell'arte militare e della storia politica e diplomatica dell'Europa. Frattanto, nel 1794, per meriti sul campo, aveva ricevuto dal re il brevetto di alfiere, primo grado di ufficiale dell'esercito napoletano.
Dopo la pace di Campoformio nel 1797. il D. ritornò in patria, maturato dalle esperienze della guerra, della prigionia e, pur avendo solamente ventitré anni, fu chiamato a far parte dello Stato Maggiore dell'esercito e scelto come aiutante di campo del gen. Dillon. Nel 1798 egli partecipò col grado di capitano alla campagna contro i Francesi che erano giunti a Roma e che, al comando del gen. Championnet, sconfissero l'esercito napoletano.
Dopo la fuga del re in Sicilia e la proclamazione della Repubblica partenopea nel 1799, il D. militò nella legione campana agli ordini dei gen. Matera e domò le ribellioni realiste scoppiate nei dintorni di Nola, rimanendo per due volte ferito. Nello stesso anno, essendo buon conoscitore della lingua francese, accompagnò il gen. Pignatelli e C. Lauberg che si recavano a Parigi come rappresentanti del Comitato provvisorio, per chiedere al Direttorio il riconoscimento della Repubblica napoletana e insieme aiuti per la sua sopravvivenza; ma ebbero una fredda accoglienza dal Talleyrand e se ne rientrarono senza successo a Napoli, ove poco dopo, caduto l'effimero governo democratico, ritornarono i sovrani borbonici.
Il D. allora, per sfuggire alla repressione, si rifugiò, insieme al fratello Paolo anch'egli ufficiale, nell'isola di Corfù, ove visse modestamente dando lezioni di letteratura italiana, latina e greca; da lì si trasferì a Venezia, poi a Padova ed in altre città della Italia settentrionale, ove strinse amicizia con gli artisti e i letterati più famosi dell'epoca, Foscolo, Pindemonte, Canova, Alfieri, Cesarotti, Cesari, Monti, i quali lenirono, con il loro affetto e la loro stima, la tristezza dell'esilio e lo squallore della miseria in cui egli visse in quello che fu definito "il periodo letterario" della sua vita.
Desiderando fortemente ritornare in patria, pensò di riconquistarsi la stima dei Borboni militando nell'esercito austriaco e si arruolò come ufficiale nel reggimento "La Tour" dei dragoni in Moravia. Tuttavia, ammalatosi gravemente, dovette dare le dimissioni e poté tornare a Napoli solo grazie alla generale amnistia accordata agli esuli politici dopo la pace di Firenze del 1801. Non essendogli consentito di avere un grado nell'esercito borbonico, per aver militato nella Repubblica, il D. decise di intraprendere la carriera paterna del foro e dopo due anni di studi severi cominciò a segnalarsi come buon avvocato.
Nel 1806 tuttavia, instauratasi a Napoli la dominazione francese, non esitò ad accettare l'invito del gen. Dumas, ministro della Guerra, che gli offriva l'incarico di suo aiutante di campo e il grado di capitano: la reputazione di valoroso ufficiale e la fama di studioso dell'arte militare di cui egli godeva lo avevano infatti segnalato a Giuseppe Bonaparte, che intendeva favorire l'immissione nell'esercito francese degli ufficiali napoletani. Così, nel 1808, al comando di un battaglione del 1° reggimento di fanteria, partecipò alla guerra di Spagna voluta da Napoleone e si meritò la Legion d'onore del governo francese e la croce delle Due Sicilie dei governo napoletano.
Si coprì di gloria, infatti, nella presa del castello di Mongat e della città di Mastarò; ottenuto il comando dell'intero reggimento, essendo stato gravemente ferito il col. M. Carrascosa, si distinse nell'assalto alla fortezza di Gerona e nella difesa della piazza di Barcellona; infine, inviato con una scorta di 500 soldati alla frontiera francese per recare dispacci a Napoleone, fu sorpreso tra le gole della Montagna Nera da bande d'insorti catalani e riuscì a portare a termine la difficile missione, anche se con gravissime perdite.
Richiamato a Napoli nel giugno 1809 da Gioacchino Murat, il D., ora colonnello, ebbe l'incarico di formare il reggimento di fanteria "Real Sannita", che fu poi uno dei migliori dell'esercito napoletano e di cui egli scelse personalmente i sottoufficiali tra gli alunni della Nunziatella.
Durante la spedizione del 1810, voluta dal Murat per conquistare la Sicilia, ove erano rifugiati e protetti dagli Inglesi i sovrani napoletani, il D. partecipò in prima linea a tutte le battaglie e si segnalò particolarmente nel fallito sbarco sulle coste dell'isola, quando, nonostante fosse ferito ad una gamba, riuscì a proteggere, con soli 500 uomini, la ritirata del corpo del gen. Cavaignac.
Fatto prigioniero e condotto a Malta, dopo ché fallirono tutti i suoi tentativi di ottenere la liberazione con uno scambio di prigionieri, riuscì ad evadere imbarcandosi su un mercantile amico e ritornò a Napoli accolto trionfalmente da Murat che, nel gennaio del 1811, lo nominò barone e lo inviò di nuovo in Calabria a riassumere il comando del suo reggimento. Promosso generale, insieme a C. Rosaroli e G. Pepe, il 26 apr. 1812, lasciò le Calabrie e assunse il comando della II brigata, concentrata sull'Adige per costituire la retrovia della grande armata che si preparava alla campagna di Napoleone in Russia.
L'esercito napoletano, dopo aver fatto tappa a Verona, Bamberga e Königsberg, fu chiamato a rinforzare la guarnigione di Danzica; quando le vicende della guerra volsero a sfavore di Napoleone e fu ordinata la ritirata dalla Russia, il D., alla testa della brigata napoletana, il 5 genn. 1812, mosse verso Elbing e agli ordini del maresciallo Mortier copri la divisione del gen. Gérard fino all'Elba. Ottenuto poi il comando del 4° reggimento napoletano, giunto da poco ad Augusta, e del 101° francese, nel corpo d'esercito del maresciallo Oudinot, riprese a combattere, a Lützen, poi a Bautzen e infine a Hochkirch ove il 21 maggio del 1813 fu ferito gravemente; costretto ad abbandonare il comando, si ritirò a Dresda, dove lo raggiunse la nomina di ufficiale della Legion d'onore.Nel 1814 Murat, abbandonato Napoleone e alleatosi con l'Inghilterra e l'Austria, inviò il D. a combattere contro il principe Eugenio e dopo la vittoriosa battaglia a Guastalla lo nominò suo aiutante di campo e lo decorò della commenda dell'Ordine delle Due Sicilie; l'imperatore d'Austria, dal canto suo, lo decorò della Croce di S. Leopoldo.
Dopo l'abdicazione di Napoleone, il D. fu nominato governatore delle Marche e nel gennaio del 1815, mentre fervevano le discussioni dei diplomatici al congresso di Vienna, fu incaricato dal Murat di una missione presso Francesco I per sostenere la causa della sua dinastia a Napoli, contro la teoria della "legittimità" proclamata dal Talleyrand. Di ritorno a Napoli, con le vaghe assicurazioni del Mettemich sulla stabilità del trono di Murat, gli giunse notizia della fuga di Napoleone dall'Elba e temette fortemente che il re, accecato dalla sua ambizione e dall'odio per l'Austria, teniasse un'impresa pericolosa al seguito di Napoleone. Più volte gli consigliò la prudenza, così come i ministri e generali napoletani, ma il Murat, che sognava di costituire un regno d'Italia indipendente, partì per Ancona, portando con sé il D., al quale riaffidò, dopo un po' di malumore, il comando della 2ª divisione dei suo esercito.
Contrario a questa impresa, il D. tuttavia combattè col solito valore sul Panaro, ad Occhiobello: fu ferito alla vigilia della sfortunata battaglia di Tolentino. Costretto a lasciare il comando, fu nominato dignitario dell'Ordine delle Due Sicilie dal Murat.
Dopo la convenzione di Casalanza Ferdinando I, restaurato sul trono, dopo aver riunito i due eserciti, quello murattiano e quello borbonico, chiamò il D. a far parte del Supremo Consiglio di Guerra; nel settembre del 1816 lo nominò ispettore generale della fanteria e nel 1819 infine lo decorò della gran croce di S. Giorgio.
Durante il breve governo costituzionale del 1820-21, fu dapprima governatore militare di Napoli e si adoperò a mantenere la calma e l'ordine pubblico; in previsione della guerra contro l'Austria, egli ottenne il comando della 1ª divisione riunita a Fondi e poi a Capua. Dopo la sconfitta di Rieti, in mezzo alla generale indisciplina, riuscì a tenere con fermezza il governo della fortezza sul Volturno, ove si erano radunate le truppe superstiti.
Il 20 marzo 1821 il D. e il conte di Fiquelmont, per l'Impero austriaco firmavano la cessazione delle ostilità.
Durante la reazione borbonica, privato degli incarichi pubblici, si ritirò insieme alla moglie Carolina Sutton, figlia di un baronetto inglese e che aveva sposato nel 1816, in una sua terra alle falde del Vesuvio, detta la Starza.
Lì trascorse l'ultimo periodo della sua breve. vita, in malinconia e solitudine, privato'del grado e dello stipendio, afflitto da malattie e da rimpianti. E lì morì il 29 luglio del 1822.
Il D. fu autore di una Memoria sulla difesa del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1820, uno studio sulle linee di difesa che suscitò vivaci polemiche, e de La Campagne de Murat en 1815, pubblicata da A. Lumbroso nel Carnet historique, Paris 1899.
Bibl.: G. Ferrarelli, Il gen. D., in Rivista militare ital., XXVII (1881), pp. 459-86; M. D'Ayala, Bibliogr. militare ant. e mod., Torino 1854, p. 83; Id., Vite dei più celebri capitani e soldati napoletani, Napoli 1877, pp. 7-25; B. Croce, La missione a Vienna del gen. D. nel Mis, in Arch. stor. d. prov. napolet., XXVIII (1903), pp. 389-406; N. Cortese, Mem. di un generale della Repubblica ... F. Pignatelli, Bari 1927, I, p. CCXLI; II, pp. 121, 123, 143 ss., 166, 170 ss., 181 ss., 192, 208 ss., 216, 260, 270, 289; Id., L'esercito napol. e le guerre napoleoniche, Napoli 1928, pp. 50, 54 ss., 67, 73, 123, 136, 138, 154 ss., 159, 164, 166 ss.; C. Spellanzon, Storia del Risorg. e dell'Unità d'Italia, I, Milano 1933, pp. 661 ss., 670, 676; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1957, I, pp. 340, 357, 378, 390, 409, 425, 430, 438, 446 ss., 461, 463; II, pp. 25, 128, 157, 160, 199, 228 ss., 266, 334; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, pp. 10, 24 ss., 28-31, 64, 86, 831; Diz. del Risorg. nazionale, II, pp. 817 ss.