Angelo da Chivasso
Il pensiero di Angelo da Chivasso è insieme un momento di sintesi della scolastica medievale e un punto di partenza per le trattazioni economiche di età moderna. La teologia dei secc. 13° e 14° (soprattutto di matrice francescana), abilmente integrata con la tradizione canonistica e civilistica, è aggiornata a un contesto storico-politico in cui lo spazio d’intervento della Chiesa sulla materia economica è quello del controllo dei comportamenti tramite la confessione. Tale scelta si rivela di grande successo, facendo della riflessione di Angelo da Chivasso uno snodo fondamentale nella trasmissione dei concetti economici medievali alla cosiddetta seconda scolastica.
Angelo Carletti nasce a Chivasso, non prima del 1418 (al contrario di quanto si è a lungo ritenuto), da una famiglia dell’élite socioeconomica della cittadina piemontese. Avviato allo studio del diritto, deve aver conseguito la laurea a Pavia (e non a Bologna, come tradizionalmente si sostiene) per poi entrare nell’ordine dei frati minori osservanti, trasferendosi a Genova. Conseguita una seconda laurea in teologia, deve aver alternato l’insegnamento con la predicazione itinerante nell’Italia centro-settentrionale.
Nel 1462 è nominato vicario della Provincia osservante di Genova, incarico confermato nel 1467; è probabilmente in questo periodo che compone i suoi primi trattati di argomento economico (il de contractibus e il de restitutionibus). Sempre nel 1467 comincia l’intensa attività politico-diplomatica che caratterizzerà buona parte della sua esistenza; dapprima è inviato nell’Europa centro-orientale per riorganizzare la comunità osservante di quella regione; poi, su mandato di papa Sisto IV, è incaricato nel 1480 di sollecitare l’intervento dei regnanti cristiani contro i Turchi che in quell’anno avevano occupato Otranto; infine, nel 1491, sarà papa Innocenzo VIII a rivolgersi a lui per organizzare la crociata contro i valdesi del Piemonte e della Savoia.
Nel frattempo aveva raggiunto i vertici del proprio ordine con l’elezione nel 1472 a vicario generale dell’Osservanza cismontana, carica che, rinnovatagli per ben tre volte, deterrà ininterrottamente fino al 1493. In questo ruolo si distingue per le sue doti politiche, respingendo il progetto di Sisto IV che mirava a ridurre l’autonomia dei frati osservanti, e per l’impegno profuso a favore dei Monti di Pietà; il suo nome si lega, direttamente o indirettamente, alla fondazione di quelli di Genova, Savona e Lucca. Gli anni del vicariato coincidono con la redazione dell’opera che lo renderà celebre, un manuale per confessori intitolato Summa de casibus conscientiae che sarà più conosciuto con il nome di Summa angelica, pubblicato per la prima volta nel 1486.
Dal 1493 torna all’insegnamento ed è chiamato come lettore di teologia presso il convento di S. Antonio di Cuneo, dove muore l’11 aprile 1495.
La fama di cui godrà negli anni successivi alla morte è attestata dal noto episodio di Wittenberg del 10 dicembre 1520, quando Martino Lutero bruciò insieme alla bolla papale Exsurge Domine, anche la sua Summa. Sarà beatificato nel 1753 da papa Benedetto XIV (Lupano 1995; Lupano, in «Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo», 1998, pp. 45-73).
Angelo da Chivasso si occupa di argomenti economici fin dai suoi primi scritti (la Tractatio de contractibus e la Tractatio de restitutionibus), inserendosi a pieno titolo in una tendenza che stava facendo di molti frati osservanti degli ‘specialisti’ della materia. Nei decenni centrali del 15° sec. molti esponenti di questa corrente del francescanesimo, come Giovanni da Capistrano, Giovanni Piazza, Alessandro Ariosti e Giovanni da Prato, si dedicano alla trattatistica sui contratti. Il loro intento è di rendere più accessibili gli insegnamenti di Bernardino da Siena, riorganizzandoli in forma semplificata e di più facile consultazione. Si tratta in larga misura di opere di carattere compilativo, in cui la necessità di divulgare diviene preminente rispetto all’autonomia di pensiero del singolo autore (Ceccarelli 2012).
A questa logica non sfugge Angelo da Chivasso, che si pone lo scopo, esplicitamente dichiarato nelle prime righe dei suoi scritti, di offrire un compendio di quanto sostenuto da altri (Tractatio de restitutionibus, 1° vol., 1771, p. 1). Ne discende una riflessione poco originale, che traspare in modo evidente già dalla maniera in cui è organizzata la materia e che trova precisi riscontri a livello contenutistico dal raffronto con le sue opere successive (Pene Vidari, in «Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo», 1998, pp. 196-98).
Esemplare, in questo senso, il trattato sui contratti, strutturato in tre sezioni secondo una logica tanto convenzionale (compravendita, usura e prestito a interesse, contratti di società) da far pensare a un Carletti che, da poco addottoratosi in teologia, vuole far vedere di aver appreso la lezione bernardiniana. La scarsa originalità di questi testi ne limita il successo a un breve intervallo temporale che non reggerà ai profondi cambiamenti determinati dall’invenzione della stampa. Gli scritti di Angelo da Chivasso, rimanendo inediti fino al 18° sec., non avranno alcuna influenza sulla riflessione economica di età moderna. Ciononostante rappresentano un momento formativo essenziale, perché permettono a Carletti di entrare in contatto, per il tramite di Bernardino da Siena, con un modo francescano di leggere l’economia che aveva preso corpo nei secc. 13° e 14° e che segnerà la sua riflessione successiva.
È infatti alla Summa de casibus conscientiae che bisogna guardare per conoscere il pensiero di un Angelo da Chivasso che, riprendendo tutti gli argomenti discussi nella trattatistica, li sviluppa con un notevole grado di autonomia. Dall’incontro tra la riflessione teologica medievale e la tradizione giuridica medievale, che tale genere rendeva obbligato, nasce una sintesi in cui il ragionamento sull’economia di matrice osservante può giungere a piena maturazione (Pene Vidari, in «Bollettino della Società per gli studi storici [...]», 1998). La scelta di esporre la propria riflessione in un manuale per confessori è una forma di rottura con il passato che consente di risolvere il problema divulgativo cui egli aveva prestato tanta attenzione.
Riprendendo la struttura per voci ordinate alfabeticamente della Summa composta dal domenicano Bartolomeo da San Concordio intorno al 1338, il manuale per la confessione più diffuso dell’epoca, Carletti incontrerà un successo enorme (Capitani, in «Bollettino della Società per gli studi storici [...]», 1998, pp. 7-17). L’opera, immediatamente data alle stampe, rappresenterà un formidabile veicolo delle idee economiche di stampo francescano, fissando un modello che darà all’osservanza uno strumento per monopolizzare la materia (Turrini 1991, pp. 72 e segg.). Tale fortuna si spiega con la comprensione, espressa dall’autore nel prologo, che questa forma letteraria era la più adatta a raggiungere vasti strati della società alfabetizzata, andando ben al di là dei confessori cui tradizionalmente era rivolta (Todeschini 2001, pp. 61-62).
Carletti si rifà a una consolidata tradizione, soprattutto francescana, che considerava il commercio in termini elogiativi e vedeva nel profitto mercantile l’ovvia conseguenza della capacità che i traffici avevano di accrescere le ricchezze collettive. L’argomento è tuttavia sviluppato in modo originale, facendo coincidere la pubblica utilità del mercante con il dettato evangelico del sostegno al prossimo (Summa angelica, 1499, p. 311ra-rb; Langholm 2003, pp. 159-60).
Questa premessa è essenziale per comprendere la discussione sul prezzo. Angelo da Chivasso non sposa la nozione di valore emersa in seno alla tradizione romanistica, in base alla quale le parti erano libere di contrattare a patto che il prezzo convenuto non eccedesse della metà quello di norma praticato sul mercato. La teologia scolastica, pur riconoscendo che l’apprezzamento dei beni dipende in larga misura dalla loro utilità soggettiva, riteneva infatti che esso si dovesse fondare anche su elementi di oggettività. Per Carletti il gioco della domanda e dell’offerta si deve pertanto inquadrare in una cornice capace di prevenire le distorsioni derivanti dagli eccessi della valutazione individuale. Questa si realizza se le parti si trovano in una condizione mentale idonea alla contrattazione, quando cioè sono in possesso della consapevolezza, della libertà e della competenza necessarie per farlo, mettendo in conto di dover rinunciare a parte del guadagno inizialmente ipotizzato (Summa, cit., p. 121ra; Langholm 2003, pp. 162-67). Rispettate queste condizioni, il valore di un bene può coincidere con la communis extimatio, formula con la quale la tradizione scolastica identificava il prezzo che in condizioni normali si forma sul mercato (Summa, cit., p. 121ra; Langholm 2003, pp. 170-71). Facendo proprie le posizioni della scuola francescana, Carletti spiega che la volontà dei contraenti troverà un suo punto di equilibrio che non può essere stabilito a priori in modo preciso (punctualiter), ma che si colloca all’interno di una gamma oscillante di valori (una latitudo) tutti ugualmente legittimi (Summa, cit., p. 448va; Langholm 2003, pp. 167-68).
Ciononostante, il gioco dell’offerta e della domanda non sempre è in grado d’individuare il corretto valore di un bene, e ci sono dei casi nei quali alla communis extimatio si deve sostituire il giudizio di professionisti dello scambio (i boni mercatores) la cui perizia supera quella delle persone comuni. Qui il ragionamento si riallaccia a un’idea molto radicata all’interno della tradizione cristiana che, vedendo nel mercato un’entità speculare alla comunità ecclesiastica, assegnava il compito di guidarlo a un ristretto nucleo di soggetti degni di pubblica fiducia (Todeschini 2004, pp. 109-24). È a costoro che bisogna guardare quando nel valore di un bene vanno incorporati fattori oggettivi, come la sua rarità, i costi di produzione e commercializzazione, o quando bisogna contemplare elementi di natura ipotetica che sono difficili da quantificare (Summa, cit., pp. 121rb, 443ra, 444va; Langholm 2003, p. 168).
Viene così resa esplicita una duplice concezione del valore, latente nella scolastica dalle grandi trattazioni della seconda metà del 13° sec.: attenersi alla communis extimatio di un mercato sovrapersonale in condizioni di normalità, ma propendere per la valutazione espressa da chi è riconosciuto dalla comunità per le sue particolari competenze, quando da tale normalità si diverge. Si chiariscono così quelle condizioni che Angelo da Chivasso poneva alla libera contrattazione: se il mercato è capace di emulare i boni mercatores, riconoscendone implicitamente la superiorità, la contraddizione tra le due nozioni di valore verrà meno. Lo dimostrano le situazioni in cui l’utilità soggettiva di un contraente soppianta la communis extimatio e la richiesta di un prezzo più alto da quello di mercato diviene del tutto legittima (Summa, cit., pp. 449ra-rb; Todeschini 2001, p. 65).
La discussione sul credito è impostata secondo un procedimento ormai tipico, ossia dedicando poco spazio a chiarire cosa sia in termini tecnico-formali l’usura e concentrandosi invece sulla ricaduta che tale condanna ha nei singoli contratti. Nella Summa il fenomeno è più vistoso che altrove, perché non solo gli aspetti teorici sono risolti in poche righe, inserite peraltro nella sezione dedicata alle pene da comminare agli usurai, ma sono nettamente sovrastati dalla condanna fondata sulle Scritture (Summa, cit., pp. 451vb-452ra). Per Carletti l’usura non è tanto una questione di forma giuridica, ma un peccato contra caritatem, la cui natura va approfondita alla luce di una sterminata serie di casi contrattuali (Todeschini, in «Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo», 1998, p. 160).
Per farlo si collega allo schema impostato a metà del 13° sec. dal canonista Enrico da Susa, che aveva indicato dodici eccezioni alla condanna, in cui ricevere una somma maggiore di quella prestata non costituiva usura. Angelo da Chivasso si focalizza soltanto su alcune eccezioni, organizzando il proprio ragionamento attorno a quei casi che meglio degli altri si prestavano a spiegare le pratiche creditizie correnti. Sono essenzialmente due i principi in base ai quali un prestito può legittimamente essere retribuito: l’interesse e il rischio (Summa, cit., pp. 443ra-444va, 445vb-447ra).
La nozione di interesse affonda le proprie origini nel diritto romano-bizantino, e racchiude in sé due concetti distinti: il danno emergente e il lucro cessante. Mentre in ambito civilistico erano stati accettati entrambi, il diritto canonico e la teologia si erano mostrati più prudenti: se il primo principio era unanimemente riconosciuto, fino al 15° sec. pochi (quasi esclusivamente francescani) avevano fatto altrettanto con il lucro cessante. Nel Quattrocento quest’ultimo concetto è accolto con molta cautela da Bernardino da Siena, aprendo così la via a una discussione unitaria sull’interesse (Langholm 1992, pp. 370, 416, 526; Noonan Jr 1957, pp. 126-28).
E così Angelo da Chivasso può iniziare il proprio ragionamento affermando con disinvoltura che «l’interesse non consiste solo in un danno subito, ma anche in un profitto mancato» (Summa, cit., p. 443ra), per poi approfondire subito il vero punto della questione: definire il lucro cessante. Si scopre in tal modo che il mancato profitto determinato dalla cessione in prestito del denaro non è applicabile in assoluto, ma si deve basare sulla distinzione tra lucro probabile e lucro possibile. Già da questa precisazione emerge con chiarezza che l’ambito testuale in cui ci si sta muovendo è quello della dimensione potenzialmente produttiva del denaro teorizzata alla fine del 13° sec. da Pietro di Giovanni Olivi, conosciuta da Angelo da Chivasso attraverso Bernardino da Siena (Todeschini, in «Bollettino della Società per gli studi storici [...]», 1998, p. 161). È l’esempio con il quale si apre la lunga panoramica delle situazioni in cui va applicato il principio dell’interesse a confermarlo: il caso di una restituzione ritardata di un prestito. L’indennizzo per il profitto potenziale (lucrum cessans) non è un principio che vale in astratto, ma deve essere corrisposto quando il creditore, in quanto soggetto «abituato a commerciare» (solitus mercari), avrebbe con ogni probabilità ottenuto un guadagno dal denaro prestato, la cui quantificazione andrà affidata ai boni mercatores (Summa, cit., p. 443rb-va).
La capacità di rendere fruttifero un oggetto concreto come la moneta è dunque solo in apparenza riconducibile alla soggettività del creditore, e se ne ha una riprova quando si affronta un caso speculare, che tuttavia vede coinvolto l’alter ego in negativo del mercante abituato a trafficare. Discutendo infatti delle penalità pecuniarie che potevano essere aggiunte a un mutuo per tutelarsi dalla ritardata restituzione, Angelo da Chivasso spiega, seguendo il teologo francescano Giovanni Duns Scoto, che si tratta di una pretesa legittima, a meno che ad avanzare tale richiesta sia una persona che «abitualmente presta a usura» (consuetus fenerari; Summa, cit., p. 444vb). Lo spartiacque tra remunerabilità del credito e usura non si basa dunque su criteri formali (una clausola contrattuale o il lucro cessante) e nemmeno su elementi puramente soggettivi (l’abilità del singolo mercante); rinvia piuttosto a un’opinione comune, a un giudizio espresso da una comunità composta da uomini d’affari (i boni mercatores), in virtù dei quali è possibile verificare la natura potenzialmente fertile del denaro concesso a credito.
Questo approccio è cruciale per capire le ragioni che portano Carletti a essere il primo a teorizzare qualcosa che si avvicina molto alla remunerabilità dei rischi sul capitale nella sua discussione sul cosiddetto contratto trino. L’includere il pericolo d’insolvenza tra le cause che legittimano la restituzione di una somma maggiore di quella prestata si scontrava con il quadro formale in cui la scolastica aveva collocato il mutuo. Tommaso d’Aquino aveva infatti sancito che il creditore cedeva insieme all’uso del denaro anche la proprietà del capitale e i pericoli che ne derivavano; il rischio poteva perciò essere retribuito solo se svincolato dalla sfera creditizia, come nei contratti di società e di assicurazione marittima. Esisteva però una linea di pensiero francescana che, ragionando sulla pubblica utilità del commercio, aveva collegato in qualche modo il pericolo alla produttività potenziale del capitale (Ceccarelli 2003, pp. 310-27).
Nel tentativo di saldare le due posizioni, Angelo da Chivasso perviene a una sintesi che in epoca successiva avrà grande rilievo: le premesse le ritroviamo nella discussione sulle eccezioni all’usura, mentre lo sviluppo è nella sezione della Summa relativa ai contratti di società. Per un verso si afferma che l’eventualità di perdere il capitale può essere remunerata facendo leva su una lunga filiera di autori francescani, che tuttavia legavano tale possibilità alla natura fruttifera del denaro prestato. Per un altro, ci si ricollega alla tradizione opposta, stabilendo un’analogia con l’assicurazione marittima nello sforzo di non far venir meno le basi formali del ragionamento. Il mutuo potrà dunque essere retribuito a condizione che le parti considerino tale pratica nei termini di un’assicurazione contro l’insolvenza, scindendo nella forma come nella sostanza l’elemento aleatorio da quello creditizio (Summa, cit., pp. 445vb-446ra, 447ra). È proprio su questa scissione che si basa il contratto trino, una speciale forma di società in cui il soggetto cui è affidato il denaro può offrirsi di assicurare (assecurare) il suo finanziatore dal rischio sul capitale, trattenendo in cambio una parte del guadagno che sarebbe spettato a quest’ultimo (Summa, cit., pp. 401vb-402ra; Noonan Jr 1957, pp. 204-05).
Il lessico utilizzato da Carletti ci fa però capire che tale possibilità non è riservata a chiunque, ma solo a chi ha le competenze per stimare il valore del rischio e per tradurre tale operazione in termini contrattuali appropriati. Non è di un denaro qualsiasi (pecunia) che si sta parlando, ma di quello che, abitualmente investito nei traffici (capitale), contiene in sé un profitto potenziale (lucrum). È questa la cifra interpretativa attraverso cui vanno letti i restanti snodi che Angelo da Chivasso affronta. La riflette appieno l’articolata casistica con cui si discute la questione del debito pubblico delle città italiane, lo riflettono anche il suo sostegno ai Monti di Pietà, nella variante che prevedeva il pagamento di un interesse, e la sua contestuale lotta contro le condotte che autorizzavano l’attività dei prestatori ebrei (Summa, cit., pp. 450ra-451va, 453ra-454ra; Todeschini 2001, pp. 71-72; Muzzarelli, in «Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo», 1998, pp. 169-84).
Il pensiero di Carletti rappresenta sotto molti aspetti il punto di massima dilatazione di una concezione dell’economia emersa nel corso dei secc. 13° e 14° e poi riattualizzata in seno al francescanesimo osservante. La sua riflessione sul prezzo, come quella sul credito, denota aperture che alludono a un mercato capace di dotarsi di regole autonome, cui la religione e la morale paiono condannate ad adeguarsi. Eppure la cesura con la tradizione medievale è più apparente che concreta; il costante rinvio a dei soggetti cui spetta l’ultima parola nel determinare la legittimità del profitto, i boni mercatores, tradisce una visione che ancora identifica il mercato come una comunità di fedeli cristiani.
Sarà la riflessione a lui successiva che, attingendo all’enorme serbatoio di concetti e casi contrattuali presenti nella Summa angelica, procederà progressivamente a depurarne il pensiero dalle sue radici medievali. I teologi dell’Università di Tubinga prima, e quelli della scuola di Salamanca poi, riprendendone nelle loro trattazioni interi passi, amplieranno il significato delle parole di Angelo da Chivasso, in modo tale che ognuno potrà identificarsi con un bonus mercator che legittimamente ambisce alla ricchezza (Todeschini 2001, pp. 76-78).
La Tractatio de contractibus, che la tradizione manoscritta consente di datare intorno al 1460 (cfr. La biblioteca manoscritta del convento di S. Francesco Grande di Padova, a cura di M. Pantarotto, Padova 2003, pp. 112-13), è stata edita con il titolo Anecdotum venerabilis servi Dei beati Angeli Carletti a Clavasio Pedemontani [...] in quo author agit de contractibus, eosque explanat, vestigia præsertim sequens Sancti Bernardini de Senis [...], Mediolani 1768.
Di qualche anno successiva è la Tractatio de restitutionibus, data alle stampe come Tractatio de restitutionibus venerabilis servi Dei beati Angeli Carletti a Clavasio Pedemontani [...], 2 voll., Romae 1771-1772.
Della Summa de casibus conscientiae, composta negli anni Settanta del 15° sec., si contano tra il 1486 e il 1628 venticinque edizioni diverse, di cui tre in traduzione italiana; la copia di una presunta edizione veneziana del 1476 non è stata finora rinvenuta (cfr. M. Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la confessione della prima età moderna, Bologna 1991); l’ultima edizione è quella di Roma 1771. Qui si è utilizzata una delle prime edizioni in incunabolo dotata di paginazione: Summa Angelica venerabilis [...] Angeli de Clavasio [...], Venetiis 1499.
Tra le altre opere che in qualche misura hanno attinenza con i temi economici vanno segnalate: un trattato sui dieci precetti e sui vizi capitali (pubblicato come Manuscriptum [...] in quo agit de decem praeceptis Decalogi et de septem vitiis capitalibus, Milano 1767), un commentario alla bolla sulle indulgenze di papa Sisto IV (dato alle stampe in incunabolo come Declaratio seu interpretatio bullarum indulgentiarum Sixti IV, Firenze 1481) e un consiglio giuridico sul Monte delle Doti di Firenze (ed. critica in J. Kirshner, A ‘consilium’ of Angelo da Chivasso on the Monte delle doti of Florence, in Proceedings of the fifth inernational congress of medieval canon law, Salamanca 1976, ed. S. Kuttner, K. Pennington, Città del Vaticano 1980, pp. 435-41).
J.Th. Noonan Jr, The scholastic analysis of usury, Cambridge (Mass.) 1957.
S. Pezzella, Carletti Angelo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 20° vol., Roma 1977, ad vocem.
M. Turrini, La coscienza e le leggi. Morale e diritto nei testi per la confessione della prima età moderna, Bologna 1991.
O. Langholm, Economics in the medieval schools. Wealth, exchange, value, money and usury, according to the Paris theological tradition, 1200-1350, Leiden 1992.
A. Lupano, Nota biografica su Angelo da Chivasso, in Angelo Carletti tra storia e devozione, Catalogo della mostra nel 5° centenario della morte, Cuneo 1995-1996, Cuneo 1995, pp. 69-89.
«Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo», 1998, 1, nr. monografico: Frate Angelo Carletti osservante, nel V centenario della morte (1495-1995), a cura di O. Capitani, R. Comba, M.C. De Matteis, G.G. Merlo (in partic. O. Capitani, Prolusione, pp. 7-17; A. Lupano, Tra Paleologi e Savoia: il giovane Angelo Carletti e la sua famiglia, pp. 45-73; G. Todeschini, Scienza economica francescana nella Summa di Angelo da Chivasso, pp. 157-68; M.G. Muzzarelli, Angelo da Chivasso e i Monti di Pietà, pp. 169-84; G.S. Pene Vidari, Angelo Carletti e la cultura giuridica del suo tempo, pp. 185-98).
G. Todeschini, Credito ed economia della Civitas. Angelo da Chivasso e la dottrina della pubblica utilità fra Quattro e Cinquecento, in Ideologia del credito fra Tre e Quattrocento: dall’Astesano ad Angelo da Chivasso, Atti del Convegno internazionale, Asti 2000, a cura di B. Molina, G. Scarcia, Asti 2001, pp. 59-83.
G. Ceccarelli, Il gioco e il peccato. Economia e rischio nel tardo Medioevo, Bologna 2003.
O. Langholm, The merchant in the confessional. Trade and price in the pre-reformation penitential handbooks, Leiden-Boston 2003.
G. Todeschini, Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato, Bologna 2004.
G. Ceccarelli, Concezioni economiche dell’Occidente cristiano alla fine del Medioevo. Fonti e materiali inediti, in Religione e istituzioni religiose nell’economia europea, 1000-1800, Atti della XLIII settimana di studi dell’Istituto internazionale di storia economica F. Datini, Prato 2011, a cura di S. Cavaciocchi, Firenze 2012, pp. 249-58.