DELLA MARRA (de Marra), Angelo
Figlio di Giovanni di Giozzo, nacque probabilmente alla fine del sec. XII.
La famiglia era originaria di Ravello e si era trasferita a Barletta in data a noi sconosciuta. Il Camera attribuì al figlio del D., Giozzolino, il passaggio dei Della Marra nella città pugliese, ma questa idea è smentita dalle fonti dalle quali risulta che già il padre del D., Giovanni, era attivo a Barletta. Lo Sthamer (Das Amtsbuch) ritenne, poi, possibile collegare il trasferimento della famiglia alla grande emigrazione da Ravello avvenuta all'inizio del 1231. Anche tale ipotesi, però, contrasta con le fonti ed in particolare con i documenti relativi alle inchieste svoltesi a Barletta nel 1267, nel 1269 e nel 1271, dietro ordine di Carlo I d'Angiò, per accertare i diritti della Chiesa cittadina. Tutti e tre i documenti riportano la testimonianza giurata di un tale Andrea de Lillo il quale affermava di sapere che suo padre Dionisio riscuoteva le entrate della dogana, e ne versava una quota all'arcivescovo, insieme con Giovanni Della Marra ed altri "olim campsores Baroli iam sunt anni quinquaginta et plus" (Codice diplomatico barese, VIII, nn. 289, 296, 298). Secondo questa testimonianza, dunque, Giovanni si trovava a Barletta sin dal secondo decennio del sec. XIII. Di lui, peraltro, abbiamo poche notizie. I documenti ora ricordati lo dicono "cartipsor", mercante, cambiatore di moneta, interessato alla gestione di un ufficio fiscale locale e forse appaltatore dello stesso. Sappiamo, inoltre, che il 2 apr. 1235 fu tra i testimoni all'atto con cui Federico II fissò la ripartizione delle entrate della dogana di Barletta tra il clero cittadino e il vescovo di Trani. È ricordato ancora nel 1239 quando risulta custodire nella sua casa di Barletta, insieme con il D., uno degli ostaggi stranieri che Federico Il tratteneva nel Regno, il padovano Giordanino di Alberto. Il 27 apr. 1240 il D. si rivolse al sovrano per chiedergli di affidare l'ostaggio al castellano di Barletta e motivava la richiesta dichiarando che una sicura custodia di Giordanino non poteva essere garantita né da lui, troppo assente da casa a motivo della sua attività amministrativa, né dal padre "senectute gravatus" (Regestum, pp. 403 s.). Questa sembra essere l'ultima notizia sicura su Giovanni. Oltre al D., egli aveva avuto una figlia di nome Sigilgata, la quale aveva sposato Nicola Rufolo di Ravello, dando inizio ai vincoli di parentela tra le due famiglie che si rinsalderanno nel corso del sec. XIII.
Non sappiamo se in età giovanile il D. si dedicasse alla mercatura sull'esempio paterno: la qualifica di "campsor" che il Kamp gli attribuisce non si ritrova nei documenti. In realtà, le notizie sicure su di lui lo indicano già impegnato nell'amministrazione finanziaria del Regno: egli appare, infatti, per la prima volta nelle fonti l'11 dic. 1232 quando fu nominato maestro procuratore di Terra di Lavoro, Principato e della contea di Molise.
I maestri procuratori furono istituiti da Federico II per l'amministrazione dei beni fiscali "con compiti di gestione diretta di tali beni, di recupero di quanto fosse uscito dal patrimonio dello Stato, e con poteri ... di provvedere alla locazione dei beni stessi a terzi" (Colliva, p. 286). Essi affiancarono in un primo tempo i camerari provinciali e poi, intorno al 1238, li sostituirono ovunque, ad eccezione dell'Abruzzo. A da notare che la nomina del D. consente di anticipare la data di istituzione dei maestri procuratori, data che B. Capasso (Sulla storia esterna delle costituzioni del Regno di Sicilia promulgate da Federico II, in Atti dell'Accademia Pontaniana, IX [1869], pp. 31, 37) assegnava al 1239-1240 e il Colliva al 1235-1238.
Nel dicembre 1234 il D. è indicato come familiare del sovrano nel diploma con cui Federico II attribuì alla Chiesa di Barletta alcune entrate fiscali e concesse alla città di tenere una fiera annuale a metà del mese di agosto. Nel febbraio 1235 risulta come "custos imperialis Camere" di Barletta e nel medesimo anno, o in quello successivo (la notizia si riferisce alla IX indizione: 1°sett. 1235-31 ag. 1236) come titolare della "cabella sete" di Calabria. Nel 1237 e per gran parte del 1238 appare nei documenti come maestro procuratore di Terra di Lavoro e Principato. Nel corso della XII indizione (1°sett. 1238-31 ag. 1239) ebbe ancora il monopolio della seta di Calabria e risulta di nuovo maestro procuratore di Terra di Lavoro e Principato fino all'inizio di ottobre 1239, quando la carica era ricoperta da un suo successore.
Secondo il Winkelmann (Zur Geschichte..., p. 559) il D. coprì ininterrottamente questo ufficio dal 1237 all'ottobre 1239. Lo Stliamer (Das Amtsbuch)preferisce, invece, pensare ad un'interruzione della carica in corrispondenza con la titolarità della "cabella sete". Di recente il Kamp (Vorn Kommerer..., Adel und Kaufmannschaft)ha assegnato al D. l'ufficio di maestro procuratore di Terra di Lavoro e Principato (11 dic. 1232-5 ott. 1239): se questa ipotesi fosse esatta, dovremmo pensare che in alcuni periodi il D. tenne contemporaneamente più cariche.
Nell'ottobre 1239 il D. fu nominato custode del tesoro imperiale insieme con Marino de Valle e Eufrano de Porta. Il tesoro era conservato nel Castello di S. Salvatore a Mare, comunemente detto Castel dell'Ovo, a Napoli. Numerosi sono i mandati di pagamento indirizzati al D. dopo quella data. Inoltre un documento del febbraio 1240 potrebbe far pensare che il D. fosse anche titolare della custodia del castello medesimo: in quel mese, infatti, a lui si rivolse Federico II per ordinare la consegna a Giovannuccio de Amato di quel castello "quod hactenus de mandato nostre celsitudinis custodisti" (Mazzoleni).
Il 3 maggio 1240 Federico II dispose che tutti i funzionari del Regno fossero tenuti a presentare i rendiconti della gestione del suo ufficio a tre ufficiali, i quali venivano così preposti al controllo dell'intera amministrazione finanziaria del Regno: questi ufficiali erano il D., Tommaso da Brindisi, già maestro camerario di Puglia, Capitanata e Basilicata, e Procopio di Matera, notaio di corte. Il D., dunque, venne scelto, in virtù delle doti di buon amministratore dimostrate e della sua ricca esperienza, a far parte del sommo collegio di controllori finanziari che subito dopo assunsero il titolo di maestri razionali. All'inizio i tre operarono presso la corte. Poi dovettero spostarsi a Melfi: l'11 giugno 1240 Federico II scriveva, infatti, al castellano di Melfi di assegnare loro locali idonei a conservare i "quaterniones rationum" (i libri, cioè, che contenevano i rendiconti degli uffici) e ordinava nella stessa data al vescovo di quella città di mettere a loro disposizione chierici esperti nel controllo dei conti.
Mancano ulteriori notizie sicure sul D.; il suo nome non compare più accanto a quello degli altri maestri razionali sin dai primi mesi del 1241. Il Loffredo ritiene che il D. morì proprio all'inizio di quell'anno in Romagna, dove aveva raggiunto Federico II impegnato nell'assedio di Faenza. L'idea si basa sulla lettera inviata dall'imperatore al padre di "Angelo de Morra" per dolersi dell'improvvisa morte di questo, avvenuta nell'accampamento regio (Petri de Vineis Epistolarum..., a cura di J. R. Iselius, Basileae 1740, pp. 21 s.); il Loffredo afferma che il cognome "de Morra" deriva da un errore dell'editore e deve intendersi "de Marra".
Il D. ebbe due figli, Giozzolino e Risone, e una figlia, Anna, che si sposò con Matteo Rufolo, altro importante funzionario finanziario del Regno.
La carriera amministrativa del D. è stata considerata dalla storiografia come conseguenza ed espressione della politica di Federico II diretta a stabilire saldi vincoli tra il governo regio e i gruppi mercantili più attivi delle città meridionali (così, di recente, Kamp). Si deve notare che il sovrano svevo si rivolse a quei gruppi specialmente per la gestione delle finanze del Regno: soprattutto loro potevano, infatti, offrirgli quella esperienza e capacità tecnica che venivano richieste dalla crescente complessità del sistema finanziario del Regno. La carriera del D., peraltro, appare interessante anche sotto un altro profilo: essa sta ad indicare che le scelte di parte almeno del ceto mercantile meridionale si indirizzarono non già verso il grande commercio, dove la politica sveva privilegiava le attività di compagnie dell'Italia centrosettentrionale, bensì verso l'apparato amministrativo del Regno. Cominciò allora a formarsi un gruppo di funzionari che gradualmente assunse nelle proprie mani la gestione corrente degli affari dello Stato, soprattutto nel settore finanziario. I vincoli di parentela che si stabilirono all'interno di tale gruppo servirono a rinsaldarne la coesione: in questa ottica devono essere visti i matrimoni che legarono i Della Marra ai Rufolo.
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