DELLA STUFA, Angelo
Nacque a Firenze intorno al 1407 da Lorenzo di Andrea e da Simona di Angelo Spini. Membro di una importante e ricca famiglia di mercanti (il padre dichiarerà al catasto del 1427 un imponibile di 4.415 fiorini), da tempo ai vertici della società fiorentina, il D. fu indirizzato alla carriera politica, mentre la cura del patrimonio familiare e dell'attività mercantile ricadde più direttamente sui fratelli Giovenco e Francesco. Dopo essersi iscritto all'arte della lana nel 1428, requisito essenziale per intraprendere la carriera politica nel Comune fiorentino, il D. seguì quindi le orme del padre che aveva svolto diverse missioni diplomatiche e ricoperto importanti cariche, tra le quali in particolare quella di gonfaloniere di Giustizia nell'anno 1428.
Nel momento culminante della lotta fra le due fazioni opposte dei Medici e degli Albizzi, la famiglia Della Stufa, legata ai Medici anche da rapporti di affari, si schierò con il partito vincente dischiudendo al giovane D. le porte di una lunga carriera politica che lo vedrà particolarmente impegnato nell'attività diplomatica. Gli stretti vincoli esistenti in particolare tra il D. e Cosimo de' Medici sono testimoniati da due episodi avvenuti nel 1433. Il 15 settembre, infatti, il D. ottenne dalla Signoria un permesso per poter conferire "senza suo pregiuditio" con Cosimo agli arresti; il 2 ottobre, invece, lo stesso Medici, prima di partire per l'esilio di Padova, nominò il D. e altri suoi procuratori per l'esecuzione di varie operazioni.
Il primo incarico diplomatico del D. risale al 23 luglio 1443, quando fu inviato a Bologna da Annibale Bentivoglio, alleato di Firenze e Venezia nella guerra contro Eugenio IV. Sei anni più tardi (19 dic. 1449) era a Faenza, presso Astorre Manfredi, condottiero al servizio di Firenze e di Bologna. Nel 1451 era nuovamente a Bologna, una prima volta per trattare con Santi Cascese la riconferma della condotta di Astorre Manfredi, una seconda, nel dicembre, mutate le alleanze, "per opporsi agli ambasciatori veneziani colà inviati dalla loro Repubblica se mai avessero trattato, come si dubitava, di cose contrarie al bene e alla quiete del comune di Firenze e coll'autorevolezza di potere operare quanto richiedesse il bisogno".
Il 23 maggio 1452 fu inviato per la terza volta a Bologna, sempre per questioni relative alla condotta di Astorre Manfredi. Nello stesso anno, il 20 luglio, era al campo di Sigismondo Malatesta, in Romagna, per trattare a nome del Comune di Firenze e del duca di Milano "i capitoli della di lui condotta". Nel maggio dell'anno successivo, dopo la ripresa delle ostilità da parte di Venezia contro Milano e di Napoli contro Firenze, ritornò nuovamente dal Malatesta per sollecitare il suo passaggio in Toscana, così come era stato precedentemente concordato con l'altro inviato fiorentino Bernardo de' Medici. Nominato quindi commissario dell'esercito fiorentino, nell'ottobre del 1453 raggiunse l'esercito del Malatesta, che aveva occupato Vada, per congratularsi a nome della Repubblica del suo operato durante l'assedio.
È da mettere in relazione con questi frequenti contatti tra il D. e Sigismondo Malatesta la notizia, riportata dalle storie della famiglia, di una supposta parentela che i due avrebbero riconosciuto sussistere tra le due famiglie, tanto che lo stesso Malatesta avrebbe tenuto a battesimo uno dei figli nati dal matrimonio che il D. aveva contratto con Margherita Ridolfi e che ebbe appunto il nome di Sigismondo.
Nel frattempo il D. aveva percorso anche il tradizionale cursus honorum riservato ai cittadini fiorentini: in particolare ricoprì la carica di podestà di Prato e, nel 1457, quella di capitano di Cortona per quanto riguarda gli uffici "estrinseci"; in città fu eletto tra i Dieci di balia nel 1435 e tra i Priori nel 1446. Infine, nel 1458 ereditò dal padre (che si ritirava per motivi di età ed indicava il figlio come sostituto) la carica di accoppiatore.
Alla metà del secolo XV la residenzialità o comunque il consolidamento di una diplomazia continuata, a Firenze come negli altri Stati italiani, non si erano ancora affermati. Erano gli stessi cittadini che partecipavano alla vita politica della città, che intercalavano alle cariche ricoperte brevi missioni diplomatiche di maggiore o minore prestigio. La scelta spettava alla Signoria che faceva in modo di mandare personalità sicure e fidate nelle ambascerie più delicate. In particolare negli anni intorno al 1450, quando si affermò una stretta identità di vedute e di interessi tra il regime mediceo di Firenze e quello sforzesco di Milano, ambedue privi di un chiaro crisma di legittimità, la gestione della diplomazia fiorentina si presentò torbida e delicata. Cosimo de' Medici e il partito sforzesco, i cui principali esponenti erano Diotisalvi Neroni, Luca Pitti e Agnolo Acciaiuoli, ma dei quale faceva parte, come vedremo, anche il D., usavano ogni mezzo, grazie anche all'aiuto degli agenti milanesi, per assicurarsi il controllo delle missioni diplomatiche. Un esempio, seppure minimo, di questa collaborazione è offerto proprio dal D. il quale, in cambio del lavoro svolto a Bologna per neutralizzare le manovre degli inviati veneziani che avevano suscitato particolare inquietudine tra i fautori dell'alleanza sforzesca a Firenze, ottenne da Francesco Sforza la concessione per il cugino Andrea della commissaria di Parma.
Cosimo de' Medici riuscì così ad esercitare un controllo assoluto sulla politica del Comune fiorentino imponendo da un lato suoi partigiani nelle missioni diplomatiche ed assicurandosi, dall'altro, la presenza di persone fidate nelle cariche cittadine e in particolare tra gli accoppiatori, tra coloro cioè che dovevano predisporre le borse per le elezioni alle principali magistrature dello Stato. Il D., che dal 1458 figurava tra gli accoppiatori e che da anni veniva impiegato nelle missioni diplomatiche, faceva dunque parte, anche se non in posizione di primissimo piano, di questa schiera di fedeli esecutori della politica medicea, che si dimostreranno particolarmente utili nei momenti di maggiore crisi quando, dopo la morte di Cosimo, Piero prima e Lorenzo poi dovranno fare i conti con l'opposizione antimedicca sempre agguerrita.
Quando la Repubblica veneziana su pressione dei fuorusciti fiorentini, esiliati da Piero de' Medici, permise ad uno dei suoi condottieri, Bartolomeo Colleoni, di muoversi verso la Toscana (maggio 1467), il D. fu inviato per la quarta volta a Bologna per trattare con il legato pontificio Angelo Capranica l'acquartieramento, nel Bolognese, dell'esercito della lega formata da Firenze, Milano e Napoli e guidato da Federico da Montefeltro.
Commissario dell'esercito della lega nello stesso anno, il D. rientrò a Firenze nel 1468, dopo che era stata ristabilita la pace e poco prima che la situazione politica italiana si complicasse nuovamente per la morte di Piero de' Medici (3 dic. 1469). Temendo le ripercussioni che questo avvenimento poteva causare a Firenze, in particolare sugli interessi del partito sforzesco, il 2 dicembre il D. scrisse a Galeazzo Maria Sforza per esortarlo a predisporre le dovute contromisure nel caso che gli Este tentassero di aiutare i fuorusciti per un colpo di mano su Firenze.
Quando il giovane Lorenzo de' Medici successe al padre si trovò, così, stretto da un lato dall'opposizione interna favorevole ad un riavvicinamento a Venezia e dall'altro dalla sempre più ingombrante alleanza con gli Sforza. Per destreggiarsi quindi tra i due pericoli e per parare le manovre del suo principale oppositore, Tommaso Soderini, il quale, in occasione dell'iniziativa presa dal re Ferdinando per riportare la pace in Italia, proponeva di inviare a Napoli Otto Niccolini per isolare la posizione milanese, Lorenzo decise di mandare a Milano il fidato D. con il compito specifico di convincere lo Sforza ad aderire a questo tentativo di pace.
Il D. partì il 28 apr. 1470, portando con sé una procura di Lorenzo per partecipare in sua vece al battesimo del figlio di Galeazzo Maria. Aveva la piena stima e fiducia del Medici, come risulta da una lettera che gli fu inviata a Milano per tenerlo informato sulle trattative che condurranno alla riconferma della lega fra Napoli, Firenze e Milano: "so che ghirterete bene questa parte di questa lettera nella quale non è prudentia, perché rade volte si truova ne' giovani, ma avvi grandissima affetione e sincerità d'animo, le quali chose insieme cholo hutile chommune m'anno forse facto parlare troppo largamente. Se chosì vi paressi levate et ponete quello pare a voi; et io sono schorso con voi più che non arei fatto chon altri, perché scrivendo a voi mi pare scrivere a Piero mio padre o parlare mecho medesimo".
La missione diplomatica si concluse favorevolmente non solo per Lorenzo, ma anche per lo stesso Della Stufa. In occasione di questa ambasceria, infatti, il duca di Milano lo ricompensò per la lunga milizia nel partito sforzesco con l'investitura a cavaliere dello Speron d'oro (12 ag. 1470). Il timore che una simile onorificenza potesse provocare risentimenti nella parte avversa indusse Lorenzo a rimandare il rientro del D. a Firenze. Il mandato, che scadeva il 27 agosto, fu rinnovato fino a quando il governo comunale non ratificò la conferma del titolo, non senza difficoltà, nei primi giorni dell'ottobre 1470. Rientrato a Firenze il D. fu nominato capitano di Pisa, carica che dovette comunque rifiutare per la quasi contemporanea elezione a gonfaloniere di Giustizia per i primi due mesi del 1471.
Gli agenti milanesi tentarono ancora di approfittare dei legami del D. con lo Sforza (l'elezione era stata accolta molto favorevolmente negli ambienti della corte sforzesca: "tu non potresti credere - scriveva lo stesso duca al Sacromoro, suo agente a Firenze - el piacere et contentamento havemo havuto ad intendere che il nostro messer Angelo sii stato electo confallonero; et parhe hora che Lorenzo comenzi ad intendere la medicina che gli bisogna..."), per convincere il Magnifico ad intraprendere alcune riforme costituzionali, peraltro senza successo. Lorenzo, ormai sicuro di avere rafforzato il suo potere dopo i difficili momenti della successione, tendeva infatti ad avviare una politica di più ampio respiro, distaccandosi dal tradizionale alleato. Intraprese così egli stesso il viaggio a Roma, insieme con altri importanti cittadini fiorentini fra i quali il D., per rendere omaggio al nuovo pontefice Sisto IV e nello stesso tempo per negoziare nuovi rapporti tra Firenze e lo Stato della Chiesa (23 sett. 1471).
Del mutato clima fra Firenze e Milano fece le spese lo stesso D. in occasione del suo secondo viaggio in Lombardia. Quando nel 1475 fu inviato allo Sforza per chiedere ragione della spedizione di Bartolomeo Colleoni, ora al servizio di Milano, che si era portato con il suo esercito verso la Toscana, il D. non fu neppure ricevuto da Gian Galeazzo. Probabilmente non vi furono comunque solo ragioni politiche alla base dell'atteggiamento dello Sforza, ma anche personali, poiché sembra che il D. avesse avanzato nuove richieste per una pensione o qualche altro beneficio.
Nel frattempo egli aveva continuato a ricoprire varie cariche politiche: tra le più importanti sono da ricordare la sua presenza nella Balia di venti cittadini creata dal Consiglio dei cento il 30 apr. 1472 in occasione della guerra di Volterra e la sua nomina a commissario in Lunigiana per stabilire i capitoli della sottomissione di Fivizzano alla Repubblica fiorentina (1477).
In seguito alle vicende legate alla congiura dei Pazzi e dopo il successo personale di Lorenzo che, con il suo viaggio a Napoli, riuscì a scongiurare una nuova guerra, il D. - che in questo periodo era uno dei Dieci di balia e come tale scriveva allo stesso Lorenzo a Napoli il 4 genn. 1480 - fu chiamato a far parte della Balia istituita per introdurre le riforme costituzionali ormai ritenute improcrastinabili dal Magnifico e dai suoi seguaci. Nominato quindi tra i membri del Consiglio dei settanta, creato dalla stessa Balia il 19 apr. 1480, il D. figurò anche fra i primi Otto di pratica, istituiti nel maggio dello stesso anno: nuova magistratura cui era affidato il disbrigo delle relazioni diplomatiche, che aveva competenza in campo di politica estera e militare e doveva garantire al partito mediceo il pieno controllo "sopra le cose externe et dello Stato".
Il D. restò in carica fino all'ottobre 1480; morì a Firenze il 1ºott. 1481. Fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo, dopo un solenne funerale organizzato dal Comune.
Dal suo matrimonio con Margherita Ridolfi (1446) ebbe cinque figli: Cleofe, che sposerà Piero Alamanni, e Bartolomea, maritatasi con Bartolomeo Benci; Luigi, destinato a seguire le orme del padre nella carriera politica, Pandolfo e Sigismondo.
Sigismondo (1452-490) fu tra l'altro podestà a Pisa (1475), gonfaloniere di Giustizia (1476), e nel 1487 uno degli Otto di guardia e balia incaricati di raccogliere tutte le leggi relative a questa magistratura in uno statuto che, promulgato il 17 nov. 1478, fu chiamato "legge gismondina"; deve essere ricordato anche per la sua amicizia con Marsilio Ficino e con Angelo Poliziano. In particolare il Poliziano che, prima di entrare al servizio dei Medici, era stato segretario del D. intorno al 1463, figura tra gli autori di lettere, epigrammi ed elegie scritte a Sigismondo in occasione della morte della fidanzata, Albiera Albizzi, avvenuta nel 1476.
Fonti e Bibl.: Cenni biogr. sul D. in Firenze, Bibl. naz., Poligrafo Gargani 1958 e in Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 3091. Per la carriera politica cfr. Ibid., Signori Collegi. Leg. e comm. 16,cc. 6v, 150-153; 17, cc. 25-34, 48-53,112-16; Carte di corredo, 51, cc. 46v, 94v; Tratte, 68, c. 6. Per il carteggio conservato, Ibid., Mediceo avanti il Principato, sirimanda alla bibliografia. Altre notizie sul D. e sulla sua famiglia, Ibid., Catasto, 78, cc. 84-86; Ibid., Guicciardini Corsi Salviati, 89-139, in part. la p. 89; Ibid., Carte Pucci, IX, ins. 21, e Ceramelli Papiani, 4518. Per la data di morte cfr. Ibid., Medici e speziali, 246, c. 66; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516..., Firenze 1883, p. 11; Lorenzo de' Medici, Lettere, I-II,a cura di R. Fubini, Firenze 1977, e IV, a cura di N. Rubinstein, ibid. 1981, sub voce; J. Gaddi, Elogi istor. in versi e in prosa, Firenze 1639, pp. 337 ss.; D. M. Manni, Osservazioni istor. sopra i sigilli antichi, XX,Firenze 1764, p. 25; Mem. storiche e geneal. della nobilissima casa de' signori Della Stufa, già Lotteringhi, marchesi del Calcione, in Delizie degli eruditi toscani, XV (1781), pp. 318-28; A. Fabroni, Laurentii Medicis magnifici vita, II, Adnotationes et monumenta, Pisa 1784, pp. 207-10; E. Repetti, Diz. geografico, fisico, storico della Toscana..., II,Firenze 1835, p. 300; E. Fiumi, L'impresa di Lorenzo de' Medici contro Volterra (1472), Firenze 1948, pp. 157, 183; S. Camerani, I documenti commerciali del fondo diplomatico mediceo nell'Arch. di Stato di Firenze (1230-1492), Firenze 1951, pp. 51 ss.; Archivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo avanti il Principato. Inventario, Roma 1951-63, sub voce; G. Soranzo, Lorenzo il Magnifico alla morte del padre e il suo primo balzo verso la signoria, in Arch. stor. ital., CXI(1953), pp. 42-77; Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74 e 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956, ad Ind.; P. G. Ricci-N. Rubinstein, Censimento delle lettere di Lorenzo di Pietro de' Medici, Firenze 1964, pp. 7 s.; M. Del Piazzo, Il protocollo del carteggio della Signoria di Firenze (1459-1468), Roma 1968, pp. 119, 187, 236 s.; R. De Roover, Il banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), Firenze 1970, pp. 304, 307; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, ad Ind.; R. Fubini, Appunti sui rapporti diplom. fra il dominio sforzesco e Firenze medicea, in Gli Sforza a Milano e in Lombardia e iloro rapporti con gli Stati italiani ed europei (1450-1535), Atti del conv. intern. di Milano, 18-21 maggio 1981, Milano 1982, pp. 291 ss.