DUCATI, Angelo
Nacque a Trento da Giuseppe Maria e da Francesca Magatti il 30 apr. 1808. I Ducati, di recente nobilitazione, erano entrati nel numero delle più influenti famiglie cittadine grazie agli uffici del nonno paterno Pietro Carlo, segretario dell'ultimo principe vescovo E.M. v. Thun.
Era stata una prassi comunemente seguita dai presuli trentini del secondo Settecento quella di ravvisare nel mondo delle professioni urbane il sostegno più spontaneo all'autonomia politica del Principato; per molti, e così per i Ducati, avvocati e ingegneri per tradizione, si era aperto l'accesso alla ristretta cerchia del patriziato cittadino, che sempre più assommava alle competenze dell'amministrazione urbana quelle di reggenza dell'intero territorio. L'occupazione napoleonica, la secolarizzazione del Principato, l'aggregazione momentanea al Regno Italico e, nel 1815, la definitiva annessione all'Impero asburgico, se pure avevano cancellato ogni ricordo dell'antico regime ecclesiastico, della secolare commistione di poteri temporali e spirituali incarnati dai principi vescovi, molto meno influirono sui destini del patriziato trentino. La capacità che esso ebbe di conservare intatti i propri privilegi, salvandoli dagli scossoni della breve presenza napoleonica, fece sì che in buon numero le famiglie operanti nelle vecchie magistrature consolari e vescovili fossero insignite di cariche e di responsabilità governative ancora al ritorno del dominio austriaco. Diverso, naturalmente, era il referente politico con cui adesso si misurava il ceto consolare - il forte disegno centralizzatore viennese aveva sostituito il cautelato riformismo degli ultimi principi vescovi, includendo repentinamente il Trentino nella contea del Tirolo - e diverse, per conseguenza, erano le aspirazioni che andavano maturando in seno alla nascente borghesia cittadina; tuttavia non è strano che le richieste di maggiore autonomia amministrativa, di riconoscimento delle peculiarità locali contro la sbrigativa assimilazione al Tirolo tedesco, si facessero tuttora forti del richiamo all'indipendenza goduta nell'età precedente all'occupazione francese.
In questo filone di atteggiamenti e di pensiero, sospeso tra gelosa tutela della tradizione politica, moderatismo cattolico e cauta apertura alle nuove idee del liberalismo, si inseriscono le vicende biografiche del Ducati. Egli, una volta compiuti gli studi classici nel ginnasio-liceo cittadino, studiò giurisprudenza a Vienna laureandosi poi presso l'università di Padova nell'aprile del 1832. Come molti altri della generazione nata entro i primi quindici anni dell'800 - basta ricordare G. Prati, G. Frapporti, T. Gar - anche il D. venne quindi a contatto con gli ambienti universitari italiani; fu un incontro decisivo, poiché negli anni Trenta gli Studi di Padova e Bologna rappresentavano i luoghi in cui più vivacemente si esprimevano le tensioni del nazionalismo italiano. Tornato a Trento, egli si dedicò dapprima all'esercizio della professione legale; le prime testimonianze di una sua partecipazione attiva alla vita politica risalgono invece alla primavera del 1848.
Indiziato di essere tra i promotori della manifestazione svoltasi a Trento il 19 marzo, il D. fu infatti nominato dalla rappresentanza civica quale membro dei comitati di sicurezza; questi, organizzati con guardie nazionali, rifiutavano di partecipare alla difesa del paese in unione con i Lánder tedeschi. Quando Vienna, di fronte all'avanzata piemontese, affidò il governo militare della provincia al barone Zobel, il D. dovette abbandonare Trento e cercare rifugio presso il governo provvisorio milanese. Nel capoluogo lombardo, accanto ad altri notabili cittadini (G. Marchetti, G. Danieli, don G. Zanella), egli organizzò quel "Comitato di profughi trentini a favore del loro paese" che divenne il centro promotore dell'azione politica e militare degli esuli trentini. Anticipando le decisioni dello stesso governo provvisorio, che su cio avrebbe preferito attendere il voto dell'Assemblea costituente, il comitato trentino si schierò apertamente, da subito, a favore dell'immediata fusione con gli Stati sardi. Il 6 maggio 1848 il D., il conte S. Manci e don Zanella si recarono al campo piemontese, consegnando all'inviato di Pio IX mons. G. Corboli Bussi, allora segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari della S. Sede, una lettera dei profughi trentini al "loro Re liberatore" per sollecitare la causa dell'annessione al Regno; un mese più tardi, a Valeggio, ancora il D. venne ricevuto da Carlo Alberto, al quale offrì il comando della legione trentina, un raggruppamento di circa duecento volontari in armi che il comitato era riuscito a reclutare in Lombardia.
Alla sconfitta dei Piemontesi l'organismo si sciolse e, mentre il Marchetti riparava in Svizzera, il D., come molti esuli trentini, approfittò dell'amnistia concessa dall'imperatore per ritornare nella città natale. Qui poté aprire nuovamente il suo studio legale. Eletto il 18 sett. 1865 deputato alla Dieta provinciale del Tirolo, si rifiutò tuttavia di frequentarla, proseguendo quella politica dell'astensione che aveva uniformato i comportamenti dei deputati trentini dopo le vicende quarantottesche. Convinto fautore dell'unificazione italiana sotto l'egida di casa Savoia, il D. non partecipò al tentativo insurrezionale progettato dal mazziniano E. Bezzi nel 1863, nel quadro delle rievocazioni centenarie del concilio; il suo nome comparve però tra i membri del collegio di difesa che assistette i congiurati durante il processo tenuto a Innsbruck nel maggio del 1864.
Allo scoppio della guerra, il 23 giugno 1866, le autorità austriache ordinarono di inviarlo a domicilio coatto nelle regioni settentrionali; riparato dapprima in Germania, riusci in seguito a raggiungere i figli Gustavo e Pio, arruolati con l'esercito garibaldino, e a fissare temporaneamente la sua dimora a Bergamo. Proprio a seguito della fortunata campagna italiana in Trentino - esercito e garibaldini - il governo italiano lo invitò a Firenze, il 2 agosto, chiamandolo a far parte della Commissione organizzatrice per le terre trentine.
In questa veste ebbe numerosi contatti ufficiali con B. Ricasoli ed E. Visconti Venosta, altri però, meno formali e al di fuori degli ambienti governativi, li tenne con G. Prati, il poeta trentino che la commissione, di propria iniziativa, aveva inviato alla corte di Napoleone III per perorare la causa dell'annessione delle terre alpine al Regno. L'incauta missione diplomatica del Prati ebbe un appoggio molto distaccato dal governo italiano; e sebbene il D., scrivendo all'amico, ancora il 29 agosto continuasse a giudicarla realizzabile, già alla fine di luglio il Consiglio dei ministri si era pronunciato a favore dell'armistizio cedendo alle condizioni dettate da Napoleone III.
Forse deluso dall'esito delle proprie speranze politiche, il D. si ritirò nello stesso anno con la moglie Paolina Tabacchi a Padova, ove gli fu affidata la cattedra di diritto commerciale. Frattanto, accusato di alto tradimento dalle autorità austriache., veniva condannato in appello con una sentenza che gli precludeva la possibilità di svolgere l'attività forense nei territori imperiali. Nel marzo 1867 fu eletto deputato per la X legislatura nei collegi di Adria e di Thiene, optando per il primo. Annullata l'elezione "in causa d'impiego", nel 1869 il D. si trasferì a Bologna, dedicandosi quasi esclusivamente all'insegnamento: ordinario di diritto commerciale anche in questa università, fu inoltre direttore dei periodici Studio giuridico internazionale e Rivista internazionale.
Il D. morì a Bologna il 4 febbr. 1887.
Fonti e Bibl.: L. Marchetti, Il Trentino nel Risorgimento, Milano-Napoli-Roma 1913, I, pp. 238-80; II, pp. 138-48; F. Cantoni, La missione diplomatica di un poeta, in La Lettura, XVII (1917), pp. 720-26; P. Pedrotti, A. D., in Il Trentino, XIII (1937), pp. 63 ss.; P. Ducati, Ricordi, ibid., XVII (1941), pp. 129-33; U. Corsini, Il Trentino nel sec. XIX, I, Rovereto 1963, pp. 285-406; S. Benvenuti, L'autonomia trentina al Landtag di Innsbruck e al Reichsrat di Vienna. Proposte e progetti, 1848-1914, Trento 1978, pp. 26-81; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, pp. 421 s.; Diz. del Risorg. naz., II, ad vocem; Nuovo Digesto italiano, V, ad vocem.