GABRIEL, Angelo
Nacque, probabilmente a Venezia, intorno al 1470 dal matrimonio del patrizio Silvestro con Agnese Pesaro, celebrato nel 1465. Ebbe un solo fratello, Cristoforo, con il quale si intrecciano le sue vicende matrimoniali e patrimoniali. Nel 1503 infatti i due fratelli sposarono le due figlie del conte Lancilotto Maurizio, cavaliere e procuratore dei signori di Tolentino, residente a Sant'Angelo: il G. sposò Vittoria, mentre Cristoforo Bortola.
Dal matrimonio del G. nacquero due figli maschi, Silvestro e Giulio. Morto Lancilotto nel 1506 senza eredi maschi, la famiglia Gabriel venne in possesso dei feudi comitali di San Polo e San Giorgio presso Conegliano, nel Trevigiano, e di Aviano, nel Friuli, che restarono nel patrimonio familiare sino all'estinzione della casata nel 1805. La gestione di questi feudi non dovette essere delle più facili. Già nel maggio 1515, infatti, la famiglia fu citata dalla Comunità di Aviano presso l'avogaria di Comun, e il Collegio decise di formare una commissione di tre membri per dirimere la controversia. La vertenza fu composta nel maggio del 1525 con pieno riconoscimento da parte del Senato veneziano della signoria dei Gabriel. Nel luglio del 1525 suscitò grande scalpore a Venezia l'arrivo di una delegazione di ben duecento villici da Aviano, recatasi sino a palazzo ducale per "dolersi" contro il G. e Paolo Pasqualigo (quest'ultimo, alla morte di Cristoforo nel 1521, aveva preso in moglie Bortola).
La passione per gli studi classici portò il G. a intrattenere vivaci e proficue amicizie con i letterati e gli scrittori più in vista dell'epoca; in particolare saldo e profondo fu il legame con Pietro Bembo: è con lui infatti che il G., nel 1492, si trasferì a Messina ove, in veste di auditore, frequentò le lezioni di Costantino Lascari dal quale venne introdotto alla conoscenza della lingua greca. A testimonianza del rapporto con il Bembo ci sono pervenute numerose lettere che evidenziano non solo affinità culturali e di studio ma pure quell'intima fratellanza che durò sino alla morte del G. e oltre, vista l'attenzione particolare che il Bembo nutrì in seguito anche per i suoi figli. Al G. il Bembo dedicò inoltre la sua opera De Aetna (Venezia 1495, more veneto) in ricordo della loro escursione sul vulcano.
Al ritorno da Messina il G. perfezionò i suoi studi presso l'ateneo patavino e subito si affermò come personaggio di spicco nella vita culturale della Serenissima. In particolare Aldo Manuzio il vecchio lo accolse tra i componenti della sua Accademia, ove il G. ebbe modo di incontrare e lavorare non solo con il Bembo, ma anche con Andrea Navagero, Daniele Renier, Marin Sanuto, Battista Egnazio e Giovanni Battista Ramusio. Lo stesso Manuzio gli dedicò la Grammatica greca del Lascari (Venezia 1495) e Aurelio Augurelli il carme XVII Vivendum esse et amandum nel libro I del suo Iambicus (ibid. 1505). Il G. non trascurò neppure la vita politica, cosa che gli permise nel contempo di manifestare la sua profonda erudizione umanistica.
Nel giugno 1501 fu infatti lui a pronunciare davanti al doge e al Senato l'orazione funebre in memoria del card. Bernardo Zeno, poi data alle stampe nel 1502 (l'Oratio fu poi ristampata a Padova nel 1719 a cura di G. Volpi). Nel 1502 il G. diede alle stampe, per i tipi di Bernardino Vitali, il Libellus hospitalis munificentiae Venetorum in excipienda Anna regina Hungariae, indirizzato al cavalier Sebastiano Giustinian, tradotto in italiano e pubblicato a Padova solo nel 1837 da F. Testa. Nell'opera viene descritta la festosa accoglienza tributata alla regina Anna, nipote del re di Francia, durante il suo viaggio da Crema a Venezia, nel luglio 1502, mentre si recava, sposa promessa, da Ladislao, re di Ungheria e di Boemia, ed è riportato il discorso che lo stesso G. pronunciò in onore della regina a nome del Senato veneziano. Scrisse ancora l'Epistola, seu Responsio ad carmen 81. libri XVII. Promiscuorum Ieronimi Bononi, in occasione della morte della madre Agnese Pesaro, e l'opuscolo Ad ducem imperitum ex Plutarcho opusculum in Latinum traductum, dedicato all'amico Girolamo Bologni.
La prima carica di cui si abbia sicura notizia è quella di auditor vecchio, alla quale fu eletto il 28 giugno 1501. Nell'aprile 1502 venne eletto auditor novo. Secondo Marin Sanuto il G. partecipò attivamente alla guerra contro la Lega di Cambrai, distinguendosi particolarmente nella difesa dei possedimenti friulani della Serenissima. Nel luglio del 1509, quando era provveditore a Serravalle, venne chiamato, anche per volere del cognato Gianconte Brandolini, al governo di Belluno al posto di Giacomo Gabriel, catturato dalle truppe imperiali e tenuto prigioniero a Primiero. Ad agosto il G., insieme con il conte G. Brandolini, si ritirò a Serravalle in posizione difensiva. È con suo dispaccio che la notizia della perdita di Castelnuovo di Quero e di Feltre giunse a Venezia dove, prima di lasciare Belluno, il G. inviò un'imbarcazione di notevoli dimensioni presa ai nemici, che con essa avevano intenzione di giungere a Venezia. L'imbarcazione fu esposta per alcuni giorni come trofeo presso il palazzo di famiglia a San Giovanni in Bragora, sul Canal Grande, per essere poi trasferita all'Arsenale. All'intervento militare del G. il Cappellari attribuisce la riconquista della città e del castello di Belluno. Al suo ritorno a Venezia fu candidato a varie cariche senza venir mai eletto.
Nel novembre 1513 accorse alla difesa di Padova con un manipolo di dieci provvisionati a cavallo. Si recò poi ancora nella Patria del Friuli, precisamente a Marano, da cui tornò nel maggio del 1514 portando in Collegio un disegno della fortezza e alcune missive di Girolamo Savorgnan. Nel 1514-21 fu ancora in lizza per varie cariche diplomatiche ma sempre con esito negativo. Il 22 luglio 1526 venne scrutinato avogador di Comun al posto di Marc'Antonio Venier, nominato ambasciatore in Inghilterra (e non eletto egli stesso ambasciatore, come riportato da R. Brown). Prese possesso della carica il 25 luglio, sottomettendosi al pagamento di 2.500 ducati. Dovette per altro ritardare l'effettivo esborso della somma, come attesta il richiamo del doge dell'agosto dello stesso anno, e il suo nome comparve tra i debitori "che hanno officio" nel gennaio 1527. Nel ruolo di avogador fu alquanto attivo e vivace, grazie anche alle sue doti oratorie: il G. partecipò a molte discussioni in Collegio e in Quarantia e il suo prestigio pubblico aumentò notevolmente (il Sanuto nel 1526 comincia ad appellarlo "el grando"). Il 25 nov. 1527 compì il suo mandato come avogador. Nel 1528 concorse per altri uffici ma sempre con scarsa fortuna. Nell'aprile e nel dicembre del 1528 contribuì a finanziare la Repubblica, impegnata nell'impresa di Milano, con un prestito di 50 ducati, come pure nel maggio del 1529, conformemente all'invito contenuto nella "parte" del Senato del 23 aprile dello stesso anno.
Il 27 dic. 1529 fu finalmente eletto avogador di Comun straordinario insieme con Antonio Giustinian e Pietro Morosini. Subito dopo, il 19 febbr. 1530, con Alvise Badoer e Stefano Tiepolo, sempre nella veste di avogador straordinario, gli fu ordinata una missione itinerante nella Terraferma, in particolare a Verona e a Brescia, allo scopo di ispezionare la gestione contabile delle varie "camere" dei reggimenti, di rivederne tutte le spese, di "resecar et scansar" tutte le uscite ritenute superflue e di provvedere alla riscossione di alcuni tributi dovuti all'Erario da privati insolventi. In questo compito il G. ebbe facoltà di agire con la stessa autorità del Senato, come aveva disposto il Consiglio dei pregadi il 27 genn. 1530. Anche in questa occasione il G. agì con prontezza e capacità: nel maggio fu a Verona e in agosto i tre patrizi inviarono al Senato una lettera da Brescia, annunciando l'invio di 5000 ducati già introitati. Chiesero inoltre di poter tornare a Venezia per un mese, permesso loro accordato dal Maggior Consiglio solo in seconda votazione, e quindi di ripartire alla volta di Bergamo e Crema allo scopo di portare a termine il delicato incarico. Solo nel novembre 1530 il G. poté far ritorno a Venezia e il giorno 11, insieme con i due colleghi, venne introdotto in Collegio. Nella qualità di anziano, fu scelto per relazionare in Senato; il 14 in Collegio accusò di peculato Paolo Nani, provveditore generale in campo, Giovanni Andrea da Prato, cavaliere e collaterale generale, il vicecollaterale e altri pagatori, tra i quali Francesco Gritti. Il 4 dicembre fu inquisito pure Zusto Guoro, già capitanio a Bergamo. Il 15 dicembre il G. comunicò di aver recuperato 16.000 ducati per conto dell'Erario e di averne risparmiati altri 1400 di spese superflue. Il processo contro Paolo Nani e altri nove imputati, di cui quattro contumaci, iniziò il 27 genn. 1532 davanti alla Quarantia civile e criminale riunita in seduta plenaria; la sentenza, che riconobbe tutti gli imputati colpevoli di peculato, venne pronunciata il 6 marzo 1532 e pubblicata quattro giorni dopo. Il Nani fu condannato alla detenzione perpetua a Capodistria e al pagamento di 1000 ducati di ammenda in favore delle casse dell'Arsenale.
Il 7 maggio 1532 il G. venne inviato come avogador straordinario, insieme con Alvise Badoer e Gerolamo Pesaro, a Padova, Treviso e Udine per un'ispezione contabile alle casse dei rispettivi reggimenti. Il 9 settembre ritornò a Venezia e poté annunciare di aver recuperato all'Erario la somma di 4400 ducati e di averne portati con sé altri 600. La relazione conclusiva fu letta in Senato da Gerolamo Pesaro il 9 ott. 1532. Il 10 dicembre dello stesso anno il G. avrebbe dovuto assumere l'incarico di avogador ordinario ma le sue condizioni di salute gli impedirono di prendere possesso della carica. Nel gennaio dell'anno seguente gli fu concesso di conservare l'incarico, ma venne momentaneamente sostituito da Alvise Badoer, sempre per ragioni di salute.
L'11 febbr. 1533 il G. morì a Venezia senza aver fatto testamento e, come afferma il Sanuto, essendo "stato assa' amalato per cargar tropo una sua favorita".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta, 18: M. Barbaro, Arbori de' patrizi veneti, II, pp. 188, 191; Ibid., III, Codici Soranzo, 31: G.A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, p. 316; Ibid., G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, II, pp. 213, 393; Ibid., Avogaria di Comun, Cronaca matrimoniale, reg. 107, c. 154rv; Ibid., Segretario alle Voci, Misti, regg. 6, cc. 114r, 150v; 7, cc. 3v, 4v; 10, c. 4r; M. Sanuto, I diarii, VII-LVII, Venezia 1882-1902, ad indices; P. Bembo, Lettere, a cura di E. Travi, Bologna 1987-93, I, nn. 15, 34, 37 s., 110, 116, 141; II, nn. 674, 724, 728, 731, 739 s., 750, 759, 769, 778, 799, 811, 815, 821, 823, 832, 866; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1752, pp. XL, 134; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 205-207; IV, ibid. 1834, p. 658; Calendar of State papers and manuscripts… Venice…, a cura di R. Brown, III, London 1869, p. 258; L. Dall'Oste, San Polo nel Trevigiano. Cenni storici, aggiuntavi la genealogia dei Gabrieli, Venezia 1874, pp. 56, 67 s., 128 s., tav. V.