GATTI, Angelo
Nacque a Ronta (oggi frazione di Borgo San Lorenzo nel Mugello), in località San Michele, il 17 dic. 1724 da Michele Angelo Filippo e Maria Giovanna Pazzi e fu battezzato come Giovanni Angelo.
Poiché dimostrò precoci doti intellettuali, i genitori, non potendo sostenere - benché di condizioni agiate - i costi di un'educazione privata, optarono per l'unica opportunità di assicurargli una buona formazione scolastica: il 1° genn. 1737 il G. entrò quindi nel seminario di Firenze, che sotto la guida di G.M. Brocchi si stava allora svecchiando nei programmi e nel corpo docente.
Per sette anni si applicò con profitto allo studio dimostrando, insieme con qualche indocilità - il rettore lo giudicò "giovane inconsiderato, ma però di buon costume e studioso" -, un "talento particolare nelle cose matematiche e filosofiche" (Andreani, p. 3).
Non portato alla vita ecclesiastica, nel 1744 il G. abbandonò il seminario prima di intraprendere i corsi teologici e si iscrisse, il 20 nov. 1745, all'Università di Pisa, dove il 5 giugno 1748 conseguì la laurea in medicina e filosofia. Improbabile è l'affermazione che vorrebbe il G. allievo di A. Cocchi a Pisa, mentre appare più verosimile la possibilità che sia entrato in contatto con quel grande medico più tardi, tra il 1748 e il 1750, mentre seguiva i corsi presso l'arcispedale di S. Maria Nuova di Firenze, dove per qualche tempo fu condiscepolo di F. Mazzei.
Incaricato nel 1750 di logica nell'Università pisana, tenne tale cattedra per cinque anni, per poi passare come extraordinarius a quella di medicina teorica. Frequentò in questo periodo i più aperti colleghi dello Studio, tra cui P. Frisi, che resero più tollerabile il grigio clima intellettuale della facoltà medica. Il naturalista Felice Fontana nel 1759 giudicava il G. "uno de' più dotti professori in medicina di questa Università" e con lui condivise "esperienze" di carattere anatomico (F. Fontana, Carteggio con L.M.A. Caldani, a cura di R.G. Mazzolini - G. Ongaro, Trento 1980, p. 148).
A questi anni dovrebbero risalire uno o più viaggi, peraltro non documentati, intrapresi dal G. in Europa e in Oriente (paesi barbareschi, Egitto, Turchia, Grecia) per studiare la pratica dell'inoculazione del vaiolo.
Per certo, senza bisogno di recarsi in paesi lontani, egli si familiarizzò con le modalità dell'innesto in Toscana, che tra il 1755 e il 1760 era il paese europeo all'avanguardia nell'adozione di tale profilassi medica. Anche il G. partecipò agli esperimenti inoculazionisti e acquisì un metodo sicuro per operare senza pregiudizio dei pazienti.
Preceduto dalla fama di ottimo inoculatore, nel 1760 il G. lasciò la Toscana diretto a Parigi, ove fu accolto con grande simpatia; il "medico filosofo" conquistò il bel mondo cittadino non solo per le sue radicali idee sulla medicina e sui medici, per il carattere schietto e semplice o per la fama di bon vivant, ma soprattutto per la lucida critica - egli "tutto il più serio metteva in burla, ancor quello che giustizia, dovere, onestà non avrebber permesso di mettersi a gabbo", testimoniava qualche anno più tardi il matematico P. Ferroni (Discorso, p. 165) - e l'acuta capacità affabulatoria che nei salotti parigini trovò la dimensione ideale, secondo in ciò solo al pirotecnico abate F. Galiani, destinato a stringere con lui una saldissima amicizia.
Entusiasta dell'accoglienza fattagli e affascinato dall'ambiente parigino, pur senza aver chiesto il permesso in Toscana, il G. decise di fermarsi a Parigi: entrò subito in grande intimità con la côteriephilosophique (D. Diderot, G.-T.-F. Raynal, V. Riqueti de Mirabeau, J.-J. de Barthélemy, F.-J. Chastellux, madame d'Épinay, F.-M. Grimm, Ch.-M. La Condamine, A. Morellet, Louise-Suzanne Curchod, moglie di J. Necker) e frequentò intensamente i cenacoli intellettuali che si riunivano intorno a P.-H. Dietrich d'Holbach e a C.-A. Helvétius. Durante i loro soggiorni a Parigi, conobbe pure il filosofo D. Hume ed entrò in contatto con A. Verri e C. Beccaria. Anche il potente duca É.-F. de Choiseul e la moglie lo fecero oggetto di ripetuti segni di stima e simpatia e lo elessero a loro sollecito medico personale; almeno dal 1763 aveva pure ottenuto la nomina a "médicin consultant du roi".
La confidenza conquistata dal G. era tale che fin dal suo arrivo a Parigi Holbach gli affidò l'inoculazione dei propri figli. L'innesto e il decorso riuscirono alla perfezione, cosicché divenne il medico inoculatore alla moda celebrato per la leggerezza e la facilità con cui procedeva: nel 1763 più di cento "personnes de distinction" ricorsero ai suoi servigi e fino al 1767 aveva procurato non meno di mille inoculazioni.
Lo scoppio di una violenta e prolungata epidemia vaiolosa nell'inverno 1762-63 diede tuttavia spazio agli avversari e alle voci che già da tempo circolavano contro l'inoculazione, favorite dal fatto che il metodo adottato dal G. non prevedeva la degenza degli inoculati, i quali continuavano invece a svolgere le loro normali attività quotidiane. L'inoculazione venne accusata di diffondere il contagio e a nulla valsero le prove contrarie: l'8 giugno 1763 il Parlamento di Parigi ne decretò la sospensione e incaricò la facoltà di teologia e medicina della Sorbona di esprimersi non solo sugli aspetti medici, ma anche sulla liceità morale della pratica. Il G. fu fatto segno di una violenta campagna libellistica denigratoria, alla quale rispose con la Lettre à M. Roux (Paris 1763) e soprattutto con le Réflexions sur les préjugés qui s'opposent aux progrès et à la perfection de l'inoculation (Bruxelles-Paris 1764), da cui P. Verri trasse molti suggerimenti per il celebre articolo del Caffè, e Nouvelles reflexions sur la pratique de l'inoculation (Paris-Bruxelles 1767), composte dal G. in italiano e, a causa della sua incerta conoscenza della lingua, tradotte in francese dal Morellet.
Allo scritto del 1767 arrise un cospicuo successo editoriale: tra le numerose edizioni va segnalata almeno quella fatta subito uscire a Milano in francese a cura di P. Verri, mentre nel dicembre 1769 il Senato veneziano ne decretò la traduzione italiana e la stampa. Con le sue opere il G. trasformò la battaglia sull'innesto del vaiolo in un più generale e deciso attacco illuminista contro la medicina tradizionale, la classe medica e i suoi interessi economici, denunciando la vacuità delle teorie mediche coeve e la loro pretesa di definire dogmaticamente le cause dei fenomeni quando non riuscivano a comprendere i fenomeni stessi. In nome di una medicina semplice e naturale, si opponeva alle convinzioni di quanti circondavano l'inoculazione di "preparazioni" e consideravano necessaria l'adozione di cure particolari, riti inutili per la pratica di un buon innesto che doveva anzi trasformarsi in una operazione facile e alla portata di tutti, compresi i "non dotti".
Quegli scritti e le protezioni di cui godeva il G. riuscirono a circoscrivere l'ondata antinoculazionista. Il 15 genn. 1768 la Sorbona decretò l'ammissibilità dell'innesto e di lì a poco il G. ottenne da Luigi XV l'incarico, portato a termine tra il settembre e l'ottobre di quell'anno, di sottoporre a inoculazione gli alunni dell'École militaire e quelli di La Flèche. Richiamato espressamente per un breve periodo in Toscana, nel maggio 1769 procedette a innestare il vaiolo sulla persona del granduca Pietro Leopoldo. Più tardi, nel 1772 e ancora nel 1774 il granduca gli avrebbe affidato l'inoculazione degli arciduchi suoi figli.
La caduta in disgrazia del duca di Choiseul nel dicembre 1770 - fu il G. ad accompagnare i duchi nel loro viaggio verso l'esilio a Chanteloup - e il "colpo di Stato" del cancelliere R-.N. de Maupeou provarono profondamente il G. e a nulla valse nel 1771 il prestigioso conferimento dell'Ordine di S. Michele. Valutava con somma preoccupazione l'evoluzione politica francese - "il craignait les jésuites, les devôts, les ennemis de Choiseul, les médecins: tout enfin" (Nicolini, p. 105) - e ormai giudicava la chiusura degli spazi di libertà politici e culturali esiziale per l'azione e le battaglie dei philosophes, arrivando persino a invitarli a lasciare la Francia per l'Italia: abbandonò così amici e pazienti e il 21 maggio 1771 raggiunse Firenze per affrettarsi, a fine anno, a riabbracciare l'amico Galiani a Napoli. Anche qui cominciò a praticare per primo l'innesto del vaiolo incontrando grande e incontrastato successo.
Dal maggio 1772 al 1777 il G. si rintanò in campagna nella sua Toscana gettando nello stupore gli amici per l'ignavia in cui sembrava essere sprofondato. In effetti, si stava prodigando in aiuto della famiglia della sorella Caterina, rimasta vedova con sei figli in tenerissima età, e provvide a sistemare le dissestate finanze dei congiunti e ad assicurare un'educazione e un solido futuro ai nipoti, tra i quali era Filippo Pananti.
Nel 1775 ottenne comunque la cattedra di medicina pratica nell'Università di Pisa e alla fine dell'anno con il matematico P. Ferroni fu nominato membro della deputazione incaricata dell'ispezione della Maremma senese con il compito specifico di esaminare lo stato della "pubblica salute", degli ospedali e delle acque.
Al G. pensò di ricorrere la corte di Napoli quando, dopo la morte per vaiolo del fratello del re, Filippo di Borbone, nel settembre del 1777 decise di tutelare la vita della famiglia reale sottoponendola a inoculazione. L'abilità e i modi affabili del G. conquistarono i sovrani napoletani che nell'aprile 1778 pretesero che si stabilisse definitivamente a Napoli: egli consentì ponendo la condizione di non ricevere incarichi ufficiali o titoli a corte ma solo quello privato di medico particolare del re.
Refrattario a ogni forma di applicazione intellettuale, nella capitale partenopea il G. si diede a una vita di disimpegno assoluto, godendo del clima e della conversazione degli amici: oltre al Galiani, che assistette in punto di morte, frequentò i circoli riformatori, massonici o paramassonici riuniti attorno a G. Filangieri e si legò ai più intelligenti viaggiatori che giungevano a Napoli, come il naturalista A. Fortis.
A seguito di un colpo apoplettico, il G. morì a Napoli il 18 genn. 1798.
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