GERALDINI, Angelo
Figlio primogenito di Matteo e di Elisabetta Gerarda, nacque ad Amelia, presso Terni, il 28 marzo 1422, da una famiglia appartenente al locale patriziato. Il padre, giurista e funzionario in vari Comuni e signorie dell'Italia centrale, si trovò in precarie condizioni economiche, e così il G. intraprese la sua carriera basandosi sostanzialmente sulle sue sole forze.
Le vicende biografiche e l'attività pubblica del G. sono note dalla Vita che suo nipote, il poeta umanista Antonio Geraldini, scrisse secondo le indicazioni dello zio, durante un viaggio che i due fecero insieme da Napoli a Tarragona nella primavera del 1469, e che Antonio finì di scrivere nel gennaio del 1470 in Spagna. Inoltre le lettere, i resoconti e i documenti conservati nel fondo dell'Archivio Sforzesco (presso l'Archivio di Stato di Milano), nell'Archivio segreto Vaticano e nel Fondo Podocataro della Bibl. Marciana di Venezia (cfr. Petersohn, 1985, pp. 341-344) contribuiscono a ricostruire la biografia del Geraldini. Importanti testimonianze provenienti dal suo archivio privato, oggi perdute, erano ancora accessibili a E. Gamurrini nel XVII secolo.
Il G. ebbe la sua prima formazione presso un "magister Petrus de Claravalle" ad Amelia e, dopo aver studiato arti a Perugia, frequentò a Siena i corsi di poesia e retorica tenuti da Francesco Filelfo, per poi passare nel 1436, all'età di quattordici anni, allo studio del diritto. Non conosciamo la data del suo ingresso in religione. Per mancanza di denaro fu costretto a sospendere gli studi e a esercitare attività giurisdizionali. Durante il soggiorno a Siena della Curia romana, nel 1443, il cardinale Domenico Capranica notò il giovane G., che disputava acutamente, e lo prese al suo servizio. Al seguito del Capranica, il G. tornò a Perugia nel 1444 dove, l'anno seguente, fu promosso al titolo di doctor decretorum, diventando poco dopo rettore della Sapienza nuova e della Sapienza vecchia, e anche vicario del vescovo di Perugia, Andrea di Giovanni Baglioni. Dopo aver svolto attività a carattere giuridico-amministrativo nell'ambito della legazione del Capranica nelle Marche, nel 1455 il G. entrò a far parte della Cancelleria papale, dove in breve tempo fu promosso abbreviator de parco maiori. Papa Callisto III ne riconobbe le capacità organizzative e nel 1455, nel corso della mobilitazione pontificia contro Jacopo Piccinino (impegnato in Italia centrale, con il sostegno di Alfonso d'Aragona, in azioni militari volte a minacciare lo Stato della Chiesa), gli conferì per la prima volta l'incarico di commissario di guerra, nominandolo nello stesso anno segretario papale. In questo periodo ebbero inizio i rapporti, assai stretti, fra il G. e il duca di Milano Francesco Sforza, che dovettero influire in modo determinante sulla sua ascesa.
Nel 1458 il pontefice lo innalzò al rango di protonotario, e nel novembre dello stesso anno lo nominò rettore del Contado Venassino. Il G. dovette in seguito faticare per imporsi nei confronti del legato di Avignone, il cardinale Pierre de Foix il Vecchio, che gli avrebbe procurato, anche successivamente, considerevoli difficoltà nell'amministrazione dei possedimenti pontifici nella Francia meridionale, soprattutto per l'atteggiamento protettivo manifestato dal G. nei confronti degli ebrei.
All'inizio della sua attività come protonotario, il pontefice gli assegnò altre due missioni diplomatiche nel Sud della Francia. Nell'aprile-maggio del 1459 partecipò in veste di delegato papale al capitolo generale dei monaci certosini tenutosi alla Grande-Chartreuse, per ripristinare la compromessa disciplina dell'Ordine. Successivamente si recò in Provenza per spiegare a Renato d'Angiò, re titolare di Gerusalemme e Sicilia, le ragioni di papa Pio II, che aveva investito Ferdinando d'Aragona del Regno di Napoli, ignorando le rivendicazioni concorrenti degli Angiò.
Agli anni della sua presenza in Francia (1458-61) risale una serie di importanti resoconti diplomatici con i quali il G. teneva informato il suo amico e benefattore, il duca di Milano Francesco Sforza, della situazione politica nella Francia meridionale, in particolare dei preparativi militari condotti in Provenza da Renato d'Angiò per la progettata invasione angioina nel Regno di Napoli. Tali informazioni erano della massima importanza per la politica milanese e comprensibilmente, quindi, Francesco Sforza si prodigò più volte e insistentemente presso Pio II per la carriera del Geraldini.
Ritornato in Curia nel 1461, il G. sostenne innanzi tutto gli interessi di Ferdinando I presso la corte papale e a Firenze. Dopo essere stato nominato da Pio II nel settembre 1462 vescovo di Sessa Aurunca, partecipò in modo decisivo, negli anni 1462-64, in qualità di commissario di guerra e governatore della Romagna alla liquidazione politica e militare dei Malatesta nelle Marche e alla diretta annessione dei territori loro soggetti allo Stato della Chiesa. Il G. ebbe la soddisfazione di essere scelto per impartire a Rimini, ai primi di dicembre del 1463, l'assoluzione in nome del pontefice allo spodestato Sigismondo, e di accogliere la sua promessa di obbedienza alla Chiesa di Roma. Mentre risiedeva a Fano come governatore, il G. sostenne con vigore e abilità gli interessi del Papato nei confronti della locale popolazione, rimasta fedele ai Malatesta.
Le fortune del G. presso la Curia romana declinarono con la morte di Pio II (1464) che era intenzionato, in vista della crociata contro i Turchi, a nominarlo legato per le truppe tedesche e ungheresi. Il progetto di Francesco Sforza di vederlo arcivescovo di Genova al posto di Paolo Fregoso (inviso al duca e da lui ritenuto inadatto da molti punti di vista per questa dignità) fu prima differito e poi fallì definitivamente con l'avvento al soglio pontificio di Paolo II.
Risale all'estate 1465 il più lungo soggiorno del G. nella sua diocesi in Terra di Lavoro, dove risiedette solo occasionalmente, trattenuto da impegni presso la Curia e dagli affari diplomatici. Nel corso delle sue permanenze si occupò tuttavia della riforma del vescovado e del clero; ampliò il palazzo vescovile e restaurò la cattedrale, preoccupandosi di un migliore sfruttamento economico dei possedimenti episcopali e reclamando i diritti alienati.
Ormai deluso, il G. nel 1468 entrò al servizio di Ferdinando di Napoli, il quale gli affidò importanti missioni diplomatiche a Venezia (1468) e nel Regno aragonese (1469-70). Qui il suo compito principale fu quello di rassicurare il sovrano Giovanni II d'Aragona, in occasione della rivolta catalana e dell'invasione francese, del sostegno politico, morale e finanziario del re di Napoli. Nel dicembre del 1469 Giovanni II d'Aragona incaricò il G. di un'ampia missione presso le potenze italiane, con lo scopo di creare un'alleanza tra gli Aragona e la Lega italica contro la Francia e gli Angiò. Tali piani (che rispecchiavano molto bene le idee politiche del G. e che secondo lui dovevano costituire la base per un sistema di alleanze filoaragonesi nell'Europa occidentale) non furono realizzati, visto l'interesse degli aderenti alla Lega a rinnovare le vecchie alleanze.
Dopo l'elezione al soglio pontificio di Sisto IV, il G. tornò definitivamente al servizio del Papato, tanto più che con la morte di Francesco Sforza aveva perso il suo precedente sostegno. Al più tardi nel 1473 fu nominato referendario papale. Nel giugno 1476 Sisto IV soggiornò per quasi tre settimane nel palazzo dei Geraldini ad Amelia, per sfuggire all'epidemia di peste scoppiata a Roma. Nello stesso anno il papa lo mandò di nuovo - questa volta addirittura conferendogli i diritti di legatus de latere - nella Francia meridionale come rettore del Contado Venassino e poco tempo dopo lo nominò anche governatore ad Avignone. Sostituito in questi uffici (1478), negli anni 1480-82 il G., in qualità di vicario generale e incaricato speciale, accompagnò il cardinale Giuliano Della Rovere (nipote di Sisto IV e futuro papa Giulio II) ad Avignone; da qui fu impegnato in questioni diplomatiche della Curia alla corte di Luigi XI e in Provenza.
Il 29 apr. 1481 a Plessis il G. sottopose al re di Francia un articolato piano di pace per le potenze europee che Sisto IV aveva elaborato in conseguenza della presa di Otranto da parte dei Turchi (1480). Inoltre presentò al sovrano un esposto per il rispetto dei diritti della Chiesa in Francia. La legazione, condotta dal G. nel settembre del 1481 presso il duca Carlo III d'Angiò in Provenza, aveva come oggetto i conflitti esistenti tra questo principe (a causa delle sue ambizioni sul Regno di Napoli) e la Chiesa romana e in particolare il legato avignonese, Giuliano Della Rovere.
La più difficile missione diplomatica della sua vita fu senza dubbio la legazione a Basilea, organizzata negli anni 1482-84 per contrastare il tentativo di Andrija Jamometić di promuovere un concilio.
Jamometić era un domenicano croato, che Sisto IV aveva nominato, nel 1476, arcivescovo di Krajina in territorio montenegrino. Nel 1481 Jamometić si era ribellato al papa e l'anno successivo aveva convocato a Basilea un concilio che avrebbe dovuto, secondo le sue intenzioni, riformare la Chiesa, preparare una crociata contro i Turchi e sottoporre a giudizio i trascorsi del papa Della Rovere e dei suoi nipoti. Sisto IV prese sul serio i pericoli che lo minacciavano sia dal punto di vista politico, sia da quello ecclesiastico, supponendo che Jamometić agisse con l'accordo dell'imperatore Federico III d'Asburgo, di cui negli anni precedenti era stato rappresentante diplomatico presso la Curia pontificia.
Il 22 luglio 1482 il G. ricevette l'incarico di recarsi in Germania, come nunzio e commissario "cum potestate legati de latere" e di stabilirsi nel territorio dei Confederati svizzeri. Lì il suo compito consisteva nell'annunciare la punizione dichiarata dalla bolla Grave gerimus del 16 luglio contro Jamometić e i suoi seguaci, nel portare al fallimento il tentativo di concilio e nel rendere inoffensivo il ribelle. La preparazione dell'impresa da parte della Curia soffrì in modo determinante del fatto che Sisto IV, accanto al G., aveva spedito Oltralpe una serie di altri emissari con compiti simili, senza coordinarne le rispettive mansioni. Il pontefice, nella sua radicata sfiducia nei confronti dei suoi diplomatici, aveva pertanto autorizzato uno degli accompagnatori del G., il francescano Emerich Kemel, a bloccare, in base a istruzioni segrete, l'azione dello stesso legato in determinate condizioni.
Prima della partenza del G. per Basilea, Sisto IV gli conferì il 24 luglio 1482 il vescovado di Camin in Pomerania. Il G. non visitò mai la sua nuova sede episcopale, né fece valere lì alcun diritto di sovranità, ma vi rinunciò nel dicembre 1485, con l'assicurazione di una pensione annua di 100 fiorini. Non per questo rinunciò al titolo di Suessanensis et Caminensis episcopus, che portò fino alla morte.
Giunto in Svizzera il G. sostenne una dura lotta contro gli abitanti di Basilea, il cui Consiglio cittadino aveva negato l'arresto e la consegna di Jamometić, con un'applicazione rigorosa delle sentenze punitive alle quali poteva ricorrere. Dovette però vedere uno dei suoi concorrenti, il francescano Antonio Graziadei, sostenuto dall'imperatore Federico III, arrivare più velocemente allo scopo, facendo arrestare il ribelle il 21 dic. 1482 nel nome dell'imperatore e affidandolo alla custodia delle autorità di Basilea. I successivi provvedimenti del G. furono in seguito impediti dal Kemel. Tuttavia, la situazione rimaneva incerta sotto l'aspetto giuridico e politico, poiché Sisto IV insisteva sulla richiesta di consegna a Roma di Jamometić e il G., ricorrendo al tenore di una bolla emanata nel frattempo, organizzò dal gennaio del 1483 i preparativi per una formale crociata contro Basilea. Anche in seguito alla sospensione della spedizione militare il G., che considerava illegittima l'iniziativa del Kemel, continuò la sua battaglia disciplinare e giuridica contro la città svizzera, finché alla fine del maggio 1483 fu indotto ad abbandonare la sua lotta da un mandato imperiale e da una lettera pontificia. Ciononostante, Sisto IV lasciò i legati in Germania fino all'aprile 1484 - con l'evidente intento di garantirsi la possibilità di una ripresa di azioni drastiche contro Basilea - e giustificò espressamente le procedure del G. nei confronti dell'imperatore, il quale aveva proibito ai membri dell'Impero di eseguire le sue disposizioni. In quei mesi il G. poté allacciare rapporti più stretti con i principi elettori della Germania occidentale, e probabilmente anche con l'arciduca Massimiliano, e formulò alla Curia altre proposte per risolvere il caso Jamometić, nelle quali metteva insistentemente in guardia dal pericolo rappresentato da un concilio in Germania.
Del periodo dell'ambasceria a Basilea sono conservate otto lettere abbastanza dettagliate, datate tra il 22 sett. 1482 e il 18 luglio 1483, indirizzate al papa o al Collegio dei cardinali: queste hanno in parte il carattere di rapporti diplomatici e costituiscono anche dei formali memoriali, con l'aiuto dei quali il G. cercava di influenzare, in linea con le proprie idee e i propri piani, le decisioni della Curia. Questo ridotto corpus epistolare si rivela di interesse generale non soltanto per la storia della Chiesa alla fine del Medioevo, ma anche per la personalità e per le idee del Geraldini. Il fulcro della sua esposizione consisteva in dettagliati programmi per la repressione della resistenza antipontificia di Basilea, da punire come una "seconda Cartagine", sottraendole la sede vescovile e affidando la vicina città di Kleinbasel all'arciduca Sigismondo d'Austria. Nella discussione sull'estradizione del ribelle Jamometić, il G. rivelava una concezione del mondo determinata dall'assoluta preminenza del Papato nella società umana e la convinzione che ogni ribellione contro la Chiesa di Roma dovesse necessariamente essere punita in modo inflessibile. Senza dubbio, queste opinioni lo avevano indotto anche a reazioni scoperte ed eccessive nei confronti dei Basileesi, i quali da parte loro erano legati agli ordini dell'imperatore e dimostravano di avere, come era già avvenuto in negli anni precedenti, simpatia per il concilio. Ciò che ebbe un effetto negativo per l'andamento della legazione del G. a Basilea fu il fatto che egli da una parte sottostimava le possibilità di influenza politica dell'imperatore Federico III, il quale rivendicava per sé la più alta sovranità giudiziaria nel caso Jamometić, mentre d'altra parte egli fu tenuto informato soltanto parzialmente e sostenuto con esitazione da papa Sisto IV, il quale, nonostante una grande simpatia per gli obiettivi del G., si riservava di trattare personalmente la faccenda, come una questione di principio tra Impero e Papato.
Il fallimento della legazione di Basilea, alla quale il G. dedicò quasi due anni (dal settembre 1482 all'aprile 1484), non diminuì affatto il suo credito come diplomatico presso la Curia, dove ritornò. Già alla fine del settembre 1484 papa Innocenzo VIII lo delegò come legato papale presso la corte spagnola, rilevandone esplicitamente i precedenti meriti. Lo scopo di questa legazione riguardava il conferimento al cardinale vicecancelliere Rodrigo Borgia dell'arcivescovado di Siviglia, intorno al quale era sorto un conflitto tra la Curia romana e le maestà cattoliche. Il G. - cui venne contrapposto come rappresentante degli interessi del re suo nipote Antonio Geraldini, segretario e consigliere regio aragonese - non poté imporsi in quell'occasione sulle ragioni di Stato di Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia, sostenitori del Borgia.
Dopo una breve attività come governatore in Umbria e a Perugia (dall'ottobre 1485 al gennaio 1486), papa Innocenzo VIII, che nell'ottobre 1485 era entrato in guerra contro il re di Napoli, sostenendo la cosiddetta "congiura dei baroni" avversa a Ferdinando I d'Aragona, fece ricorso di nuovo alle esperienze militari e organizzative del Geraldini. Il papa, dopo avergli conferito ampi poteri, lo nominò infatti gubernator et commissarius generalis super gentibus armigeris in provincia Patrimonii e gli affidò l'amministrazione militare e l'assistenza delle truppe nel territorio del Lazio. I suoi resoconti al pontefice chiariscono la situazione difficile nella quale si era messo lo Stato della Chiesa con questa guerra intrapresa sconsideratamente, e Innocenzo VIII apprezzò più volte l'azione del G. con grande lode. Ma la ricompensa promessa, l'ascesa al cardinalato, non arrivò mai.
Il G. morì il 3 ag. 1486 a Civita Castellana, sfinito dalle fatiche dei mesi passati nell'accampamento militare; fu sepolto ad Amelia, nella cappella Geraldini della chiesa di S. Francesco (ora Ss. Filippo e Giacomo), come egli stesso aveva predisposto. Il suo monumento funebre, realizzato per volere dei fratelli e del nipote Antonio, lo raffigura giacente in abiti vescovili.
Nel corso della sua carriera ecclesiastica il G. attuò un'accorta politica di prebende, che si concentrò soprattutto nei dintorni della sua città natale, Amelia, e in Umbria, nelle Marche e nel Lazio settentrionale, nonostante gli occasionali sforzi per ottenere delle sedi vescovili anche fuori dall'Italia (per es.: Pamplona, Dax). Con le entrate di Curia il G. acquistò una proprietà agricola di grandi dimensioni nei dintorni di Amelia, che cercò di rendere redditizia impiantandovi ulivi e vigneti. Dalla nobile famiglia orvietana dei Monaldeschi acquistò il castello di Seppie presso Bagnoregio. Ad Amelia fece restaurare il palazzo della famiglia secondo lo stile del tempo e acquistò numerose case e giardini nelle vicinanze del duomo. Tutti questi provvedimenti avevano come ultimo scopo di aumentare la fama e il rango sociale della sua famiglia e lo portarono nel 1452 ad acquistare dall'imperatore Federico III un miglioramento dello stemma e la dignità di conte palatino, e nel 1455 da papa Callisto III lo status ereditario di conte palatino lateranense.
Il G. si adoperò energicamente per l'educazione e la carriera dei fratelli minori Battista, Bernardino e Giovanni, e allo stesso modo si occupò della carriera dei suoi nipoti e degli altri familiari. Dalla cura e dalle iniziative che ebbe nei confronti della sua famiglia emerge l'alta stima in cui egli tenne un'accurata formazione umanistica, accompagnata da adeguata preparazione giuridica, quale base per il proprio status sociale e presupposto per qualsiasi attività pubblica. Suo nipote il poeta "laureatus" Antonio Geraldini, al quale il G. aprì nel 1469 una carriera di successo alla corte aragonese, nella sua Vita Angeli Geraldini lo definì "restaurator domus Geraldinae" (ed. Peter, p. 284) e così si vedeva lo stesso Geraldini.
L'espressione più alta dell'attaccamento alla sua terra d'origine e alla sua famiglia fu la creazione, da parte del G., dell'Oliva de Geraldinis - chiamata così dallo stemma di famiglia, un ulivo fronzuto in campo blu - alla quale volle dare vita nel palazzo papale di Avignone, nel giorno del suo cinquantacinquesimo compleanno, il 28 marzo 1477 (il libello di fondazione è conservato nel manoscritto 395 della Bibl. Riccardiana di Firenze). Si trattava di una fondazione basata sui beni mobili e immobili del G., il quale aveva richiesto l'anno precedente al cardinale Giuliano Della Rovere la licentia testandi per disporne liberamente. Le rendite percepite dalla fondazione dovevano servire per aiutare la sua famiglia e i suoi discendenti in situazioni di bisogno, quali il sostegno ai nipoti maschi per i loro studi universitari o la dote alle femmine. Altre quote del patrimonio dovevano servire come elemosina per la salute della sua anima e per la celebrazione di messe in occasione dell'anniversario della sua morte. Il generoso piano, che era stato pensato in tutte le sue parti, ma che risultava utopico in ultima istanza, iniziò a fallire dopo i primi tentativi, naufragando del tutto con la morte del suo fondatore. Tuttavia rappresenta a suo modo un documento unico della concezione, delineata in epoca rinascimentale, di una strategia familiare ad ampio raggio volta a garantire la sicurezza economica della propria discendenza.
Al pari dell'Oliva de Geraldinis, un'altra iniziativa avrebbe dovuto far vivere il nome del G. per sempre: il tentativo di fondare il Collegium Geraldinorum di Perugia, un nuovo collegio di studenti da affiancare alle già esistenti "Sapienze". Il G. aveva acquisito una grande esperienza nella gestione di simili istituzioni, poiché era stato allievo della Sapienza di Siena, rettore della Sapienza vecchia e nuova di Perugia, e più tardi riformatore del Collège d'Annecy ad Avignone, ed era pronto a destinare al collegio che voleva fondare, oltre alla sua biblioteca, 6000 fiorini di valuta perugina. Su preghiera del G., papa Innocenzo VIII il 4 ott. 1484 istituì formalmente il nuovo collegio, poco dopo però si perdono le testimonianze di ulteriori sforzi per la realizzazione di questa iniziativa. Dopo la morte del G. i depositi destinati alla fondazione a Perugia furono acquisiti dalla Camera apostolica.
Grazie alla sua formazione il G. apprezzò l'educazione umanistica, anche se fu tuttavia più influenzato dalla metodica del diritto civile e canonico. Uomo legato alla prassi giuridica e all'attività politica, la sua attitudine come diplomatico fu favorita da una acuta capacità di osservazione e dalla capacità di analisi anche di contesti politici, economici, sociali e militari a lui lontani, capacità che riusciva a trasformare sempre in azione. Le sue proposte e il suo agire incontrarono però non di rado critiche e rifiuti, perché prevalse sempre in lui il giurista sul politico e perché gli mancarono qualche volta l'occhio e le virtù del tattico: pazienza, delicatezza e disponibilità al compromesso.
Fonti e Bibl.: Antonio Geraldini, Vita di mons. A. G. vescovo diSessa, a cura di B. Geraldini, Perugia 1895 (poi col titolo De vita Angeli Geraldini episcopi Suessani…, in Boll. della Società umbra di storia patria, II [1896], pp. 41-58, 473-532); E. Pontieri, La dinastia aragonese di Napoli e la casa de' Medici di Firenze (dal carteggio familiare), in Arch. stor. per le provincie napoletane, LXV (1940), pp. 285-287; Documentos sobre relaciones internacionales de los Reyes Catolicos, II, 1484-1487, a cura di A. De la Torre, Barcelona 1950, pp. 146, 158, 537; Legaciones y nunciaturas en España de 1466 a 1521, I, 1466-1486, a cura di J.F. Alonso, Roma 1963, pp. 414-427, 429-431, 435 s., 455; J. Petersohn, Diplomatische Berichte und Denkschriften des päpstlichen Legaten A. G. aus der Zeit seiner Basel-Legation (1482-1483), Stuttgart 1987; Die Vita Angeli Geraldini des Antonio Geraldini. Biographie eines Kurienbischofs und Diplomaten des Quattrocento. Text und Untersuchungen, a cura di H. Peter, Frankfurt a.M. 1993; F. Ughelli, Italia sacra…, VI, Romae 1659, coll. 682-686; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre, III, Firenze 1673, pp. 169, 173-175, 182 s.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra…, VI, Venetiis 1720, coll. 541-544; A. Di Tommaso, Amelia nell'antichità e nel Medio Evo, Terni s.d. (circa 1931), pp. 41, 44, 60 s.; C. Cansacchi, Famiglie nobili di Amelia ancora viventi: i conti Geraldini patrizi di Amelia, in Rivista del Collegio araldico (Rivista araldica), XXXV (1937), pp. 398, 401 s.; Id., Cronistoria amerina, ibid., LIII (1955), p. 186; LIV (1956), p. 94; A. Stoecklin, Der Basler Konzilsversuch des Andrea Zamometić vom Jahre 1482, Basel 1938, pp. 102, 108-110, 114-125, 151-156, 163-172, 178-184 e passim; J. Petersohn, Ein Diplomat des Quattrocento: A. G. (1422-1486), Tübingen 1985; Th. Frenz, Die Kanzlei der Päpste der Hochrenaissance (1471-1527), Tübingen 1986, p. 283; J. Petersohn, Zum Personalakt eines Kirchenrebellen. Name, Herkunft und Amtssprengel des Basler Konzilsinitiators Andreas Jamometić († 1484), in Zeitschrift für historische Forschung, XIII (1986), p. 2; Id., Konziliaristen und Hexen. Ein unbekannter Brief des Inquisitors Heinrich Institoris an Papst Sixtus IV. aus dem Jahre 1484, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, XLIV (1988), pp. 133 s., 153; Id., Die Vita des Aufsteigers. Sichtweisen gesellschaftlichen Erfolgs in der Biografik des Quattrocento, in Historische Zeitschrift, CCL (1990), pp. 4, 19, 23, 25 s.; G. Sapori, Matteo Geraldini e Giovanni Fiorentino, in Dall'Albornoz all'età dei Borgia. Questioni di cultura figurativa nell'Umbria meridionale. Atti del Convegno, Amelia… 1987, Todi 1990, pp. 265-267; M. Miglio, La Curia papale tra XV e XVI secolo, in Alessandro Geraldini e il suo tempo. Atti del Convegno, … Amelia… 1992, a cura di E. Menestò, Spoleto 1993, pp. 17-20, 33; R. Chiacchella, L'Umbria e Amelia al tempo di Alessandro Geraldini, ibid., pp. 47 s.; M. Sensi, La famiglia Geraldini di Amelia, ibid., pp. 57-67, 69, 78, 83; J. Petersohn, Amelia, Roma e Santo Domingo. Alessandro Geraldini e la sua famiglia…, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXVI (1996), pp. 253, 256 s., 259, 262, 264-266, 269, 272 s.; Id., Giovanni Geraldini, Bischof von Catanzaro (+ 1488), und die Gründung des Archidiakonats von Amelia, in Forschungen zur Reichs-, Papst- und Landesgeschichte, Peter Herde zum 65. Geburtstag dargebracht, Stuttgart 1998, I, pp. 795-801, 803-805, 808, 811-816, 818; Gesamtkat. d. Wiegendrucke, II, nn. 1948, 1949, 1958; Lexikon des Mittelalters, IV, coll. 1296 s.