LOMELLINI, Angelo Giovanni
Primogenito di Imperiale di Napoleone e di Maria di Angelo Di Negro, nacque a Genova sul finire del XIV secolo.
Il padre, impegnato come i fratelli nell'attività commerciale e finanziaria, rivestì più volte incarichi pubblici e, nel 1425-26, fu podestà di Pera. Alla sua morte, nel 1430, il L. ereditò, con il fratello Pietro, una bottega da setaiolo, un banco di cambiavalute e alcune quote di proprietà di navi; fu proprio come patrono di una nave che per la prima volta egli si segnalò nelle acque dell'Egeo, catturando nel 1435 un vascello catalano, poi venduto a Rodi. La fama acquisita nell'impresa, la sua conoscenza del mare e il favore del doge Tommaso Fregoso lo portarono, il 25 genn. 1437, a essere nominato consigliere di Battista Fregoso, fratello del doge e ammiraglio della flotta che il Comune, su richiesta del re di Napoli Renato d'Angiò, avrebbe dovuto inviare a Napoli contro gli Aragonesi.
I preparativi durarono a lungo a causa delle difficoltà economiche in cui si dibatteva il re; così, in attesa della partenza, in febbraio, il L. fu inviato commissario a Ventimiglia, che pochi mesi prima i cugini Galeotto e Sorleone (figli dello zio paterno Carlo) avevano dovuto restituire al Comune. Rientrato a Genova, fu nominato partitore delle Avarie (la tassa principale dello Stato genovese) e, poco dopo, anziano, e solo nella primavera 1438 salpò per Napoli con la flotta di Battista Fregoso.
La spedizione fu inconcludente, tanto che Renato d'Angiò, dopo appena due mesi, preferì licenziare i capitani genovesi. Rientrato a Genova, il L. fu trattenuto agli stipendi del Comune e obbligato a partecipare a una nuova squadra, armata contro i pirati catalani che infestavano il Tirreno. Le navi, partite da Genova nel novembre 1438, raggiunsero Napoli agli inizi del 1439; qui Renato ne prese al suo servizio una parte, lasciando libero, tra gli altri, il L. che tornò ai suoi traffici e negli anni successivi si rese protagonista di alcune gravi azioni piratesche. Nel 1440, infatti, quale rappresaglia per la cattura, a Modone nel Peloponneso, di un carico di allume di sua proprietà da parte dei Veneziani, egli si impadronì presso Candia di un vascello veneto carico di spezie, che poi rivendette a Rodi e a Genova. Ne nacque una lunga controversia commerciale tra le due Repubbliche, con reciproche ritorsioni e sequestri a carico dei rispettivi mercanti. Per nulla intimorito dal putiferio scatenato, nel settembre 1441 egli partecipò con altri due capitani genovesi all'attacco di tre vascelli alla fonda nel porto di Rodi, uno dei quali fu dato alle fiamme e gli altri catturati. Le navi, credute catalane, appartenevano in realtà all'Ordine di S. Giovanni ed erano in procinto di uscire in caccia dei Turchi. Accortisi dell'errore, il L. e gli altri restituirono i due legni in loro possesso, ma l'impresa provocò dure ritorsioni da parte del gran maestro Jean de Lastic, che ordinò il sequestro di tutte le merci genovesi presenti in Rodi, tra cui molte di proprietà del Lomellini.
Rientrato a Genova, sul finire del 1442 venne inviato dal doge Tommaso Fregoso nella Riviera di Levante per assoldare marinai e balestrieri al servizio della fazione al potere e per riportare l'ordine in alcune località. Nel 1444 - era doge Raffaele Adorno - la sua nave fu assoldata dal Comune per condurre a Napoli gli ambasciatori incaricati di presentare a re Alfonso V d'Aragona il bacile d'oro che, in base al trattato di pace del 1443, i Genovesi erano tenuti a donare al re in segno di omaggio e vassallaggio.
La missione fu l'unico gesto di favore dimostrato dagli Adorno nei confronti del L., oggetto negli anni seguenti di alcuni provvedimenti a lui sfavorevoli in occasione delle numerose cause di carattere mercantile che lo videro coinvolto. Fu forse questo motivo a spingerlo, nel 1446, a unire la sua nave, nel porto di Chio, a quelle di altri tre patroni genovesi (Benedetto Doria, Domenico Dentuto e Gerolamo Cattaneo) e a lanciarsi in una vera e propria guerra di corsa ai danni di ogni nave che incontravano e in particolare di quelle genovesi, specie se di partigiani degli Adorno. Contro di loro il doge organizzò più di una spedizione navale, senza riuscire ad averne ragione. Il L., peraltro, dopo pochi mesi scese a patti con il Comune, ottenendo un salvacondotto e un parziale perdono per gli atti di pirateria commessi, ma la sua situazione si mantenne precaria fino al gennaio 1447, quando il potere a Genova tornò ai Fregoso, con il doge Giano. Sotto il nuovo regime egli ottenne importanti riconoscimenti e, in primo luogo, la completa revisione dei suoi processi pendenti. Lo stesso anno fu incaricato di ricevere gli ambasciatori francesi inviati a Genova a reclamare dal doge la signoria della città, in virtù della promessa fatta al re di Francia Carlo VII l'anno prima.
Nel 1448 fu nominato commissario generale dell'esercito genovese impegnato a Finale contro il marchese Galeotto (I) Del Carretto, sovrintendendo alla demolizione del castello marchionale e del borgo. Commissario di sanità nella Riviera di Levante l'anno successivo, nel 1450 fece parte dell'Ufficio di balia costituito per affiancare il nuovo doge Pietro Fregoso e, nell'autunno, fu inviato ambasciatore a Napoli, con il cancelliere Giacomo Curlo, per rinnovare a re Alfonso l'omaggio del bacile.
Rientrato a Genova, nell'aprile 1451 il L. fu designato podestà di Pera per tredici mesi a decorrere dal giorno in cui sarebbe giunto a destinazione. Partì poco dopo e, strada facendo, fu incaricato anche di una nuova missione diplomatica a Napoli.
Pera (o Galata), sobborgo di Costantinopoli situato a nord del Corno d'oro, era dal XIII secolo un possedimento genovese fornito di ampi privilegi commerciali e retto da un podestà, inviato annualmente da Genova, assistito da un Consiglio degli anziani e da magistrature simili a quelle genovesi. Abitata da una folta colonia ligure e latina, la città viveva da anni una profonda crisi economica che aveva ridotto il suo commercio a un terzo rispetto al secolo precedente. La contrazione, dovuta in larga misura all'incertezza della situazione politica e alla continua minaccia turca, aveva spinto i Peroti a cercare una politica di collaborazione con i Turchi, giungendo a prestare loro aiuto in occasione della cosiddetta crociata di Varna (1444), quando le navi genovesi, traghettando le truppe anatoliche attraverso il Bosforo, avevano permesso il successo del sultano Murad II sull'esercito ungherese.
Il L. giunse a Pera probabilmente alla fine del 1451 quando, da alcuni mesi, il nuovo sultano Maometto II aveva chiaramente manifestato l'intenzione di rompere la fragile pace con l'imperatore Costantino XI e di impadronirsi di Costantinopoli. Il L. sperava, come del resto il doge e il governo genovese, che anche se ciò fosse avvenuto, sarebbe stato comunque possibile accordarsi con il sultano, ottenendo la conferma dei privilegi che avevano garantito la sopravvivenza di Pera all'interno dell'Impero bizantino. Gli enormi preparativi militari turchi lo indussero tuttavia ad assoldare truppe a rinforzo della guarnigione, impegnando la quasi totalità dei proventi delle gabelle. Il denaro anticipato dai Peroti servì per arruolare un centinaio di fanti di Chio, mentre altri uomini, inviati da Genova, giunsero nei primi mesi dell'anno seguente, al comando di Maurizio Cattaneo e Giovanni Giustiniani (Giustiniani Longo). Nel frattempo, secondo le istruzioni ricevute, egli cercò, senza successo, di convincere Maometto II a desistere dalla progettata costruzione della fortezza di Rumeli-Hisary che, sbarrando il Bosforo poco a nord di Pera, avrebbe reso praticamente impossibili le comunicazioni con Caffa e le altre colonie genovesi del Mar Nero. Il mancato arrivo del suo successore, Franco Giustiniani (nominato fin dal giugno dell'anno prima), lo costrinse a restare in carica anche oltre i tredici mesi del suo mandato, così che toccò a lui fronteggiare il drammatico assedio di Costantinopoli, iniziato il 6 apr. 1453.
In ottemperanza agli ordini ricevuti e rendendosi conto dell'ineluttabile sconfitta che attendeva l'ultimo imperatore d'Oriente, egli cercò di mantenere Pera in una stretta e difficile neutralità, tanto più che poco prima del suo arrivo il Comune di Genova aveva rinnovato un trattato di pace e di amicizia con il sultano. Il suo operato nel corso dell'assedio si attirò così feroci critiche sia da parte bizantina sia da parte veneziana, nonostante egli autorizzasse i mercenari assoldati a Chio e i soldati inviati da Genova (tra cui il proprio nipote Imperiale) a passare a Costantinopoli, concedendo ancora un grosso prestito a Costantino XI. È certo però che l'atteggiamento dei Genovesi fu assai ambiguo perché, se è vero che molti di loro si batterono con valore per la difesa della città (primo fra tutti Giovanni Giustiniani), è anche vero che non mancarono le occasioni in cui parvero favorire i Turchi, informandoli segretamente dei piani dei difensori e fornendo loro appoggio logistico. Tale comportamento valse comunque a risparmiare nell'immediato, a Pera e alla comunità genovese, buona parte delle sciagure di Costantinopoli.
Il 29 maggio, all'indomani della caduta della capitale, il L. inviò un'ambasceria a Maometto II per complimentarsi della vittoria e offrirgli le chiavi di Pera, confidando in una conferma degli antichi privilegi, anche in considerazione dei servigi prestati durante l'assedio. Due giorni dopo, il 1° giugno, egli stesso si presentò al sultano per ascoltare le sue decisioni. Nonostante le accuse al L. di aver favorito i nemici, il Gran Turco, pur ordinando la distruzione delle mura e la consegna delle armi, promise di rispettare i beni dei Genovesi e concesse loro libertà di commercio in tutto l'Impero.
Pera, tuttavia, non avrebbe più avuto alcuna dipendenza da Genova, ma sotto la sovranità ottomana avrebbe comunque goduto di una sua autonomia, sotto un capitano (o protogero) eletto all'interno della comunità. A questo nuovo ufficiale nei giorni successivi il L. rimise ogni potere, ma i Peroti vollero che egli continuasse a sedere nel nuovo Consiglio.
Si trattenne così a Pera per tutta l'estate e il 22 settembre raggiunse Chio, da dove passò a Genova. Il suo operato come podestà non fu oggetto di critiche da parte del governo genovese, tanto che agli inizi del 1454 egli fu incaricato dal doge di concordare con l'ammiraglio Giovanni Filippo Fieschi la spedizione navale che si intendeva inviare contro re Alfonso. L'impresa, per il sopravvenire della pace generale in Italia, non ebbe luogo, ma il L. fu comunque eletto, nei mesi seguenti, prima anziano e poi membro di un nuovo Ufficio di balia. Agli inizi del 1457 la sua nave fu assoldata dal Comune per scortare le navi genovesi dirette verso la Provenza, la cui rotta era minacciata da corsari catalani.
Di ritorno da una di queste missioni, nel maggio 1457, la sua nave carica di grano fu attaccata e catturata da tre galee di Barcellona al largo di Marsiglia e nel combattimento il L. restò ucciso.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 1793, n. 408; L.T. Belgrano, Prima serie di documenti riguardanti la colonia di Pera, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIII (1877), pp. 229-233; La caduta di Costantinopoli, a cura di A. Pertusi, Verona 1976, I, pp. 39-51, 168-170; II, pp. 98-107; G. Pistarino, La caduta di Costantinopoli: da Pera genovese a Galata turca, in La Storia dei Genovesi, V (1985), pp. 7-47; G. Olgiati, A.G. L.: attività politica e mercantile dell'ultimo podestà di Pera, ibid., IX (1989), pp. 139-196; A. Roccatagliata, Nuovi documenti su Pera genovese, ibid., XI (1992), pp. 136, 143.