INGEGNERI, Angelo
Nacque intorno al 1550 a Venezia da un'antica famiglia originaria di Burano e residente alla Bragora. Mancano notizie sulla sua gioventù. Nel 1573 tradusse in ottava rima i Remedia amoris di Ovidio, stampati nel 1576 ad Avignone per i tipi di P. Rosso, con dedica al conte Marcantonio Martinengo di Villachiara, generale delle armi pontificie nel territorio di Avignone. Forse proprio a quest'occasione si riferisce il componimento in dialetto veneziano "del so viazo per Avignon", pubblicato nei Versi alla venitiana zoè canzon, satire, lettere amorose, matinae, canzonette in aieri moderni, et altre cose belle. Opera del signor Anzolo Inzegner et d'altri bellissimi spiriti (Vicenza 1613; poi ibid. 1617).
Nel 1575, a Roma, conobbe Torquato Tasso. Tre anni dopo lo incontrò, per caso, alle porte di Torino, dove Tasso giungeva esule volontario dalla corte di Ferrara. Viste le difficoltà del poeta, gli procurò l'appoggio del filosofo e cortigiano Agostino Bucci e l'ospitalità di Filippo d'Este, genero del duca di Savoia Emanuele Filiberto e comandante della cavalleria sabauda. In quegli anni, l'I. prestava i propri servigi a Massa, alla corte di Alberico I Cibo Malaspina: nel 1579 si recò a Ferrara per trattare il matrimonio del figlio di Alberico, Alderano, con Marfisa d'Este. Durante il soggiorno ferrarese, nell'inverno 1579-80, ebbe tra le mani un manoscritto del poema tassiano sulla prima crociata, del quale trasse una copia.
L'I. pensava di ottenere da Alfonso II d'Este la licenza di stampare l'opera, sperando che lo stesso autore fosse in grado di rivederla. Preceduto dalla stampa del Goffredo preparata da Celio Malespini (Venezia, D. Cavalcalupo, 1580), cambiò i suoi piani e di ritorno da Ferrara si fermò a Casalmaggiore per allestire al più presto un'edizione corretta del testo. Convinto da Isabella Pallavicini Lupi, marchesa di Soragna (cantata dai poeti come Calisa) e dall'amico poeta Muzio Manfredi, curò un'altra stampa. Nel 1580, quindi, uscirono per iniziativa dell'I. due edizioni del poema, che a lui deve il titolo di Gerusalemme liberata: in febbraio quella parmense, per i tipi di Erasmo Viotto e un mese più tardi quella di Casalmaggiore, nella stamperia di Antonio Canacci. Forse all'I. si deve anche l'edizione di un'altra opera del poeta, i Dialoghi amorosi editi, ancora a Casalmaggiore, dal Canacci, nel 1581.
Il 22 apr. 1580 l'I. fu accolto nella vicentina Accademia Olimpica con il nome di Negletto. Aveva intenzione di mettere in scena a Vicenza la pastorale intitolata Danza di Venere, composta su richiesta di Giacomo Ragona, che però fu rappresentata soltanto tre anni dopo alla corte di Parma, grazie a Isabella Pallavicini Lupi. Allo spettacolo, svoltosi alla presenza del giovane Ranuccio Farnese futuro duca di Parma e Piacenza, partecipò nel ruolo della ninfa Amarilli la giovane figlia della marchesa di Soragna, Camilla Lupi, alla quale l'I. dedicò l'edizione dell'opera (Vicenza, Stamperia Nuova, 1584).
L'I. rimase alla corte dei Farnese dal 1581 al 1584. Per la Stamperia Nuova nel 1585 curò l'edizione delle Rime di Curzio Gonzaga e partecipò con tre sonetti alla raccolta funebre in onore di Leonora d'Este, Lagrime di diversi poeti volgari, et latini. Sparse per la morte dell'illustriss. et eccellentiss. madama Leonora di Este. Et raccolte da Gregorio Ducchi (ibid. 1585, pp. 6, 75, 77). Contemporaneamente fu impegnato anche nell'attività dell'Accademia degli Innominati di Parma (il suo nome accademico era Innestato). Coinvolto nelle discussioni che si erano accese fra gli accademici di Vicenza circa l'opera da rappresentare per l'inaugurazione del teatro Olimpico, esaminò le tragedie Alessio dell'udinese Vincenzo Giusti ed Heraclea del vicentino Livio Pagello (Giuditio primo del signor Angelo Ingegneri fatto da lui l'anno 1583 sopra l'"Heraclea" tragedia del signor Livio Pagiello vicentino, e dell'autore chiamato avvertimento, copia ms. di Muzio Manfredi conservata nella Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 8745, cc. 11v-15v). Infine, quando fu presa la decisione di mettere in scena l'Edipo re di Sofocle, tradotto da Orsatto Giustinian, all'I. fu affidata la direzione dello spettacolo, andato in scena il 3 marzo 1585.
Presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano si conserva un fascicolo manoscritto (R.123 sup.) contenente alcuni scritti vergati dai partecipanti all'allestimento della rappresentazione (oltre al testo della tragedia, cc. 283r-298r). Vi figurano, fra gli altri, gli scritti dell'architetto-scenografo Vincenzo Scamozzi. In veste di corago, l'I. redasse una relazione ("progetto") sulla messa in scena della "più eccellente tragedia del mondo" nel "più famoso teatro del mondo": vi sono racchiuse indicazioni circa le suddivisioni del palcoscenico, la dizione e la recitazione, l'illuminazione, gli abiti e gli accessori. Contribuirono anche il pittore Giambattista Maganza, curatore dei costumi, e Battista Guarini, che ottenne la partecipazione dei Verato, padre e figlia, entrambi attori, nei ruoli di Creonte e Giocasta, a fianco di Luigi Groto nella parte di Edipo.
L'esperienza dell'Olimpico offrì all'I. lo spunto per un ampio discorso sulla prassi teatrale, l'"institutio scenica", che si concretizzò nel Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche, dato alle stampe nel 1598 (Ferrara, V. Baldini, 1598; ed. anast. Bologna 1971).
L'I. ribadisce che il diletto e "la forza della tragedia" aumentano grazie alla "nobiltà dell'apparato": quindi, oltre al valore assoluto del testo creato dal poeta (come vuole Aristotele), occorre la messa in scena che invece spetta al regista. Constatando la "maninconia" degli spettacoli tragici e la loro poca rappresentabilità, l'I. esalta il nuovo genere di poesia scenica, la pastorale, che "con apparato rustico" riesce "vaghissima alla vista" e "diletta a meraviglia". Nel percorrere la genealogia di "questa terza spezie di dramma" loda il suo fondatore Tasso, l'autore dell'Aminta, e il Guarini, creatore del Pastor fido, non mancando di dichiarare esempio "di decoro, di stile e di leggiadria" la tragedia pastorale Enone, opera di Ferrante (II) Gonzaga signore di Guastalla.
Chiamato da Ferrante a Guastalla, l'I. vi si trasferì nel 1586 per svolgere uffici diversi, da poeta a consigliere teatrale del principe; ma vi impiantò anche una "casa" per la lavorazione del sapone, come documentano alcuni atti amministrativi del dicembre 1586. Nel 1587 si hanno notizie di guai finanziari: l'I. venne portato in tribunale a causa di debiti contratti presso un mercante veneto, generosamente saldati da Ferrante. Nel 1593 si trasferì a Roma, passando al servizio del cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote di Clemente VIII e segretario di Stato; all'Aldobrandini l'I. aveva già indirizzato l'anno prima una gratulatio, Per la felicissima e desideratissima assuntione al pontificato del… papa Clemente ottavo (Roma, A. e G. Donangeli, 1592). Nella sua dimora privata il cardinale ospitava una sorta di accademia, frequentata da letterati e artisti quali Francesco Patrizi, Gabriello Chiabrera, Battista Guarini, Luca Marenzio e altri. Dal 1592 vi soggiornò anche il Tasso, per il quale l'Aldobrandini finanziò, fra l'altro, la pubblicazione della Gerusalemme conquistata (Roma, G. Facciotti, 1593). All'I. fu affidato il compito di copiare i manoscritti del poeta. Inoltre, per conto dell'Aldobrandini egli portò a termine diverse missioni a Napoli e alla corte di Guastalla (come si evince dalla corrispondenza con il duca Ferrante).
Di questo periodo è il trattato Del buon segretario, uscito nell'aprile 1594 (Roma, G. Facciotti) con la dedica al cardinale Aldobrandini e in esergo il sonetto del Tasso Angelo, tu di Cinzio e di Parnaso. L'opera, in tre libri, ebbe tre ristampe (Venezia, G.B. Ciotti, 1595; Viterbo 1607; Milano 1613), l'ultima con il titolo Il perfetto segretario e l'aggiunta di un ampio Discorso intorno al bene scrivere lettere famigliari, secondo le maniere de' più approvati et dei più sensati autori.
La lunga pratica di segretario in importanti centri politici e culturali dell'epoca costituisce la premessa del trattato, in cui l'I. tenta la definizione del ruolo di letterato-confidente che sappia "negotiare" con la scrittura e gli fa ribadire (nel Discorso aggiunto nel 1613) la necessità di una "pura e naturale chiarezza" del genere epistolare, il quale all'epoca appariva pervaso da un'"eccessiva affettatione" e reso in una lingua volgare trascurata, contaminata di voci straniere, spagnole e francesi.
Nel 1598 l'I. passò al servizio di Francesco Maria II Della Rovere, duca di Urbino, per conto del quale nel 1599 fu a Modena per tenere a battesimo, in vece della duchessa Livia, un figlio del duca Cesare d'Este. Nel 1600 soggiornò a Venezia, dove curò l'ultima fatica del Tasso, I due primi giorni del Mondo creato (Venezia), suscitando il risentimento di Cinzio Aldobrandini (pare che la stampa sia stata portata a termine contro la volontà del cardinale, tutore delle carte tassiane). A Roma, nel settembre 1607, l'I. dedicò a Giovan Battista Vittorio, nipote di Paolo V, una nuova edizione dell'opera, intitolata Mondo creato (poi uscita a Venezia, nel 1608, con il titolo Sette giornate del Mondo creato).
Il 1° nov. 1601 dedicò a Carlo Emanuele I di Savoia l'Argonautica (Vicenza s.d.), breve poema nel quale allegoricamente descrisse gli "altissimi studi" di Giacomo Antonio Gromo, diplomatico dei Savoia. Negli anni dal 1602 al 1608 rimase alla corte torinese come segretario di Carlo Emanuele, con uno stipendio di 400 scudi. Del 1608 è una canzone Nella promotione al cardinalato del serenissimo principe Maurizio di Savoia (Firenze). Per conto del duca, nel 1604 si trasferì a Genova dove scrisse rime encomiastiche per Gian Vincenzo Imperiale, offrendogli anche la ristampa genovese della Danza di Venere accompagnata dal Discorso della poesia rappresentativa (1604; si hanno due ulteriori ristampe vicentine della Danza, 1613). A Napoli, nel 1606 nella stamperia di G.G. Carlino ripubblicò l'Argonautica, con annotazioni e un discorso Contra l'alchimia e gli alchimisti,palinodia dell'Argonautica, e una Fisionomia naturale, opera di suo zio Giovanni Ingegneri, vescovo di Capodistria (1a ed., Venezia 1585), con dedica a Filiberto Gherardo Scaglia conte di Verrua, consigliere di Stato del duca di Savoia. L'anno successivo dette alle stampe la propria tragedia Tomiri (Napoli), accompagnata da una disquisizione intorno alla crisi sia del genere tragico sia di quello comico.
La storia tragica della regina Tomiri, che dopo aver ordinato una sanguinosa rappresaglia contro Ciro, re di Persia, e il suo esercito, scopre di aver fatto tagliare a pezzi il proprio figlio, rivela da una parte un gusto manieristico nella ripresa dei motivi del teatro senecano, e dall'altra la tendenza moraleggiante dell'epoca controriformista, che emerge dal pentimento finale della protagonista. La prassi dell'I. scrittore tragico non corrisponde così del tutto alla teoria del drammaturgo, che mostra propensione per la tragedia greca, più adatta alla scena.
Nel 1608 l'I. venne imprigionato a Torino per debiti. L'anno seguente ritornò a Venezia. L'ultimo documento noto che lo riguarda risale al 14 apr. 1612: alla Biblioteca Reale di Torino (Vern., 33, 35) si conserva il mandato di pagamento della Tesoreria generale sabauda di 100 ducatoni all'inquisitore di Torino "per spese cibarie fatte ad Angelo Ingegneri e suo servitore" (M.L. Doglio, Nota biografica, in A. Ingegneri, Della poesia rappresentativa…, p. XXX n. 13).
L'I. morì a Venezia nel 1613, presumibilmente all'inizio di giugno: era ancora vivo quando si stamparono a Vicenza i Versi alla venitiana, contenenti le sue poesie dialettali, la cui dedicatoria porta la data 30 maggio 1613 "in Venezia, Dalla Giudecca". Invece, nella dedicatoria datata 5 giugno 1613 de Il perfetto segretario lo stampatore parla dell'I. ormai al passato.
Dell'I. sono editi modernamente: Della poesiarappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche, in F. Marotti, Lo spettacolo dall'umanesimo al manierismo. Teoria e tecnica, Milano 1974, pp. 271-308; e a cura di M.L. Doglio, Modena 1989; Danza di Venere, a cura di R. Puggioni, Roma 2002. Suoi sonetti sono in G.M. Agaccio, Rime, Parma, E. Viotto, 1598, cc. 13r, 52v; un ecatostico Venere nel primo giorno di maggio è conservato a Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 191 (=537), cc. 15r-18v.
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