LIPINSKY, Angelo
Nacque a Roma il 26 apr. 1904 da Sigmund, pittore e incisore tedesco di origine ebraica, e da Elenita Kümpel, di confessione protestante. Il padre, trasferitosi nel 1902 da Berlino a Roma - dove il L. crebbe nel clima vitale e cosmopolita della comunità tedesca - e stabilitosi inizialmente a villa Strohl-Fern, esercitò un'influenza determinante nella formazione intellettuale del figlio.
Gli studi, interrotti allo scoppio della prima guerra mondiale e poi ripresi a Monaco di Baviera, dove la famiglia - nel frattempo accresciuta di Lino ed Eva - si era rifugiata (1914-19), si conclusero con la licenza classica (1924) per le condizioni economiche non floride della famiglia stessa. Affascinato dallo spirito del mondo classico, si dedicò agli studi di storia dell'arte, partendo non da una valutazione meramente estetizzante di quel mondo, ma da un approccio mirato alla spiegazione del manufatto artistico in quanto generatore di forme e di stili che avrebbero segnato la civiltà artistica sino alla modernità.
A Roma la formazione fu completata dalla collaborazione con W. Amelung, direttore dell'Istituto archeologico germanico, e con E. Steinmann, direttore della Biblioteca Hertziana. Ben presto scelse una specializzazione che non veniva insegnata in alcun ateneo italiano: storia dell'arte orafa e delle sue tecnologie. Agevolato dalla conoscenza delle principali lingue europee, dal 1928 iniziò a pubblicare saggi e articoli su periodici specializzati italiani e stranieri, dando l'avvio a un'intensa attività di ricerca scientifica, di promozione culturale e di civile militanza a tutela del patrimonio artistico nazionale, che, da allora, non conobbe soste.
Fin dal 1931 U. Zanotti Bianco gli indicò il Mezzogiorno come campo di indagine, invitandolo a collaborare all'Archivio storico per la Calabria e Lucania. I numerosi viaggi che egli intraprese in quegli anni nell'Italia meridionale costituirono il fondamento di un'ineguagliabile conoscenza di prima mano della materia. L'osservazione delle condizioni ambientali e sociali di quelle genti lo colpì al punto da "definirsi convinto meridionalista" (Oro, argento, gemme e smalti. Tecnologia delle arti dalle origini alla fine del Medioevo, 3000 a.C. - 1500 d.C., Firenze 1975, p. 12; recensione di A. Peroni, in Athenaeum, LVI [1978], pp. 203 s.).
Il L. sottolineò il legame della produzione calabrese con l'ambiente artistico orientale, soprattutto siriaco, testimoniato principalmente dagli encolpi di V e VI secolo del Museo nazionale di Reggio Calabria e dalle brattee auree provenienti da Siderno e da Tiriolo (conservate rispettivamente a Reggio e nel Museo provinciale di Catanzaro). Del primo importante oggetto da attribuire all'arte orafa normanno-siciliana, la stauroteca del duomo di Cosenza, donata da Federico II nel 1222, il L. ipotizzò l'appartenenza alle "Nobiles Officinae" di Palermo. Significativa, poi, la scoperta di scuole periferiche, come quella di Longobucco, della quale si serviva Gioacchino da Fiore.
Il 6 nov. 1937 sposò Lydia Zamboni. Dopo la morte del padre, avvenuta il 17 febbr. 1940, il L. pubblicò il saggio su SigmundLipinsky und sein graphisches Werk (in Maso Finiguerra, nn. 1-2, pp. 3-64), che illustrava l'attività paterna nell'inscindibile unità operativa tra le diverse arti.
Nel 1934 gli fu interdetta l'attività di corrispondente per la stampa tedesca con provvedimento di J. Göbbels. Dopo l'emanazione delle leggi razziali in Italia, il L. in data 14 febbr. 1939 venne dichiarato appartenente alla "razza ebraica" e fu costretto a firmarsi con lo pseudonimo di A. Dal Tiglio. A fine 1939 il fratello Lino si rifugiò negli Stati Uniti, dove, nel dopoguerra, sarebbe divenuto curatore del John Jay Homestead a Katonah (NY). Il 1o febbr. 1941, fu revocato, in seconda istanza, il provvedimento di discriminazione razziale. Tuttavia, il suo fermo, nel febbraio 1944, convinse la famiglia ad abbandonare l'abitazione di via Flaminia. Il L. trovò ospitalità nella vicina Filacciano, presso il principe F. Del Drago, il quale frequentava lo studio di pittura e disegno di via Margutta tenuto dalla sorella Eva.
Il L. sostenne una costante polemica contro la discriminazione tra le arti maggiori e minori, e affermò l'opportunità di introdurre la trattazione di queste ultime nell'insegnamento della storia dell'arte (Lo studio delle arti minori nell'Italia meridionale, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, XXV [1956], p. 71 e passim; Premessa al catalogo della "Mostra delle arti minori" e rapporto sulla conservazione degli oggetti d'artein Calabria e Catalogo degli oggetti esposti [con M. Borretti], ibid., p. 221 e passim; Le arti minori, in Arte cristiana, XLV [1957], p. 31 e passim; Testimonianze di arte bizantina in Calabria e in Basilicata, in L'Osservatore romano, 16 apr. 1986, p. 3).
Frutto degli studi avviati soprattutto in Calabria, sono gli ampi saggi, dall'arte orafa bizantina a quella napoletana sotto gli Angiò, che furono largamente utilizzati per l'aggiornamento, sotto la direzione di Adriano Prandi, della classica opera di E. Bertaux, L'art dansl'Italie méridionale (Rome 1978, pp. 235-239, 385-397). Con Bertaux, così come con D. Talboot Rice e A. Grabar, polemizzò in nome di una lettura integrale dell'oggetto d'arte, che privilegiasse le tecniche con le quali i materiali erano stati elaborati (Oro, argenti, gemme e smalti…, pp. 452 s.).
Fu tra gli organizzatori della grande mostra 1400 Jahre christliches Bayern, che si tenne a Monaco nel 1960, in occasione del Congresso eucaristico mondiale; e, per sua iniziativa, furono esposti in quella circostanza i principali pezzi del tesoro del duomo di Monza.
Studi approfonditi intorno all'arte orafa tardoromana, veterocristiana e bizantina furono anche resi possibili dalla collaborazione con G. Bovini, fondatore dell'Istituto di antichità ravennati e bizantine dell'Università di Bologna. Questi, a fine 1959, chiamò il L., in sostituzione di C. Cecchelli, a tenere cicli di lezioni, a partire dal VII Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina (in Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina, 1960, 1962, 1964, 1966-67, 1969, 1972, 1974-75, 1977, e in Felix Ravenna, 1960-61, 1967).
La corona ferrea di Monza fu tra i suoi temi più cari che gli dettero fama internazionale. Il L. ne diede l'interpretazione - risolutiva dei problemi sia funzionali, sia cronologici - di corona imperiale di epoca tardoantica, menomata di una placca in segno di diminutio della originaria dignità, inviata in Italia da Costantinopoli per l'incoronazione regale di Teodorico (La corona ferrea, in Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina, VII [1960], 2, pp. 191 s.).
Agli inizi degli anni Settanta, fu particolarmente fecondo l'incontro con P. Borraro e con D. Adamesteanu, soprintendente alle Antichità per la Basilicata, il quale proprio allora stava conducendo scavi nell'area della Serra Lustrante presso Armento. Il riesame della corona da Armento (Monaco di Baviera, Museum antiker Kleinkunst) portò il L. a riconoscere nell'oggetto una corona votiva che, per freschezza compositiva e assenza di stilizzazione, egli definì un monumento di arte italica, più esattamente lucana (IV-III sec. a.C.), in netto contrasto con l'arte ellenica delle città della Magna Grecia.
Per Antiquariato, la "Collana di arti decorative" diretta da G. Gregorietti, pubblicò Oreficeria eargenteria in Europa dal XVI al XIX secolo (Novara 1965) e Marchi dell'argenteria e oreficeria europee dalXVI al XIX secolo (ibid. 1966, ma 1965), opere propedeutiche all'importante volume Oro, argento, gemme e smalti…, nel quale egli propose una summa della tecnologia dell'arte orafa nell'arco di quarantacinque secoli. Così egli volle dare veste sistematica alla sua quasi cinquantennale attività di ricercatore.
Nell'opera si ritrova un'aperta presa di posizione contro un modo di leggere il manufatto artistico sulla base di una valutazione esclusivamente stilistica ed estetica piuttosto che sull'interpretazione del come una determinata opera è stata realizzata. Nell'estrema scarsità della produzione specialistica in lingua italiana, l'opera fu ben presto considerata un fondamentale strumento di lavoro.
Nel 1977, su indicazione di E. Steingräber, direttore delle Bayerische Staatsgemäldesammlungen, l'editore E.A. Seemann di Lipsia si rivolse al L. - noto fra l'altro per i saggi che dal 1952 andava pubblicando su Das Münster - per affidargli il compito di aggiornare per l'Italia la nuova edizione del Künstlerlexikon di U. Thieme e F. Becker. Il L. predispose un imponente piano di lavoro e redasse oltre cinquecento bio-bibliografie di artisti orafi (1977-84).
Nel 1980, nominato da E. Pontieri socio corrispondente dell'Accademia Pontaniana, offrì un'organica classificazione delle gemme nell'Archeogemmologia. Proposta per una nuova scienza sussidiaria per l'archeologia di campagna e la storia dell'artedella gioielleria antica (in Atti dell'Acc. Pontaniana, n.s., XXIX, pp. 222-251).
Nel 1983 si trasferì a Morlupo, nei pressi di Roma, dove morì il 31 marzo 1986.
Degli scritti del L., oltre a quelli citati, si ricordano: L'arte orafa normanno-sicula, in Annali dell'Acc. del Mediterraneo, I (1952-53), pp. 46-74; Sizilianische Goldschmiedekunst im Zeitalter der Normannen undStaufer, in Das Münster, X (1957), pp. 73-99, 158-186; L'arte orafa napoletana sotto gli Angiò, in Dante e l'Italia meridionale. Atti del II Congresso nazionaledi studi danteschi, Caserta… 1965, Firenze 1966, pp. 169-215; Die Goldschmiedekunst in KönigreichNeapel zur Zeit der Anjou und Aragon III., in Das Münster, XXII (1969), pp. 389-405; L'arte orafa bizantina nell'Italiameridionale e nelle Isole, in La chiesa greca in Italia dall' VIII al XVI secolo. Atti del Convegno, Padova 1973, pp. 1389-1478. Postumo è Il tesoro sacro della costiera amalfitana (Amalfi 1989), nel quale confluì la catalogazione dei beni sacri conservati negli edifici di culto dell'arcidiocesi. Patrocinata sin dal 1972 da E. Pontieri e V. Panebianco, l'opera fu completata dalla moglie Lydia.
Fonti e Bibl.: Aurifices universi caelatores gemmarii Pompeiani, in La regione sotterrata dal Vesuvio. Atti del Convegno, … 1979, Napoli 1982, p. 827; R. Conti, A. L. a Monza, in Il Cittadino, 31 maggio 1984; O. Cavalcanti, La scomparsa di A. L., in Calabria nobilissima, XXXVI (1984), 80-81, pp. 77-82; Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Roma, Gruppo romano Incisori artisti (catal.), Roma 1988, p. 71; E. Bragaglia - M.A. Gai, Sigmund Lipinsky. Ex libris, Latina 1992, p. 9 e passim; Società di studi monzesi, La corona ferreanell'Europa degli imperi, a cura di G. Buccellati, Milano 1998, I, p. XXIV e passim; II, p. 28 e passim.