ARCIONI, Angelo Maria
Di nobile famiglia, nacque a Parma nel 1606. Fratello di Andrea, abate prima del monastero parmense di S. Giovanni e poi, dal 1645 al 1647, di quello di Montecassino letterato e uomo di cultura, l'A. entrò nel 1625, seguendo l'esempio fratemo, nell'Ordine benedettino. Dotato di un sincero interesse alla cultura storica e letteraria e alle arti in genere, si inserì agevolmente nell'ambiente contemporaneo parmense, che aveva nel monastero di S. Giovanni uno dei suoi più vivaci centri di cultura, e, sotto la guida dell'abate A. Grillo, cominciò a comporre poesie che, peraltro, pubblicò soltanto in vecchiaia. Divenuto nel 1657 abate egli stesso del monastero di S. Giovanni, eseguì nel 1661, in occasione di un capitolo generale della Congregazione, la solenne traslazione di alcuni santi, che celebrò in un opuscolo edito nello stesso anno (Pompe festive per la solenne translazione di sei corpi santi, Parma 1661). Compì anche importanti opere di abbellimento architettonico nel monastero e ideò un ingegnoso sistema per illuminare meglio la cupola dipinta dal Correggio. Nel 1663 ristabilì l'Accademia degli "Elevati", fondata a Parma nel 1635 da Paolo Scotti. Divenuto abate di S. Benedetto di Ferrara, poi (1678) di S. Flora e Lucilla ad Arezzo, quindi, nel 1679, abate generale della Congregazione cassinese, emanò nel 1680 una circostanziata circolare per la custodia delle biblioteche e degli archivi monastici. Passò poi a reggere il monastero pavese dei SS. Spirito e Gallo, tornando definitivamente a Parma, in quello di S. Giovanni, nel 1683.
Ivi morì il 5 ag. 1689.
L'importanza dell'A. non è dovuta né alla sua attività nell'Ordine (di cui pure appariva, almeno agli occhi del Bacchini, "parens"), né alla sua produzione letteraria, ma piuttosto a quel generico interesse per la cultura che contraddistinse sempre la sua operosità e che lo portò sia a proteggere e favorire in ogni modo l'attività del Bacchini, sia a stringere amichevoli rapporti col Mabillon, che, insieme col p. Germain' ricevette signorilmente a Parma fra il 26 e il 28 maggio dei 1686 e con il quale mantenne una certa corrispondenza. Sin dal 1677 l'A. legò a sé con funzioni di segretario il ventiseienne B. Bacchini, che poi dal 1683 liberò di ogni incombenza ecclesiastica, lasciandolo interamente ai suoi studi. Fra il 1686 e il 1689, anno della sua morte, lodò e incitò in vario modo il Mabillon all'opera intrapresa che egli intendeva, piuttosto limitatamente, come orientata in senso apologetico o legata alla lotta contro l'eterodossia.
Gli stessi interessi, prevalentemente religiosi,e moralistici, danno un tono particolare alle sue Ode (Venezia 1678; Pavia 1682; Parma 1687), che, sebbene letterariamente non si distinguano dalle coeve produzioni dei rimatori barocchi, pure, almeno nell'ispirazione moralistico-didascalica di alcune delle composizioni giovanili e nell'argomento teologico-morale delle altre composte in età avanzata, hanno una certa originalità di ispirazione. Ricche di reminiscenze classiche (specialmente oraziane) e di spunti descrittivi, esse rivelano comunque una certa imitazione dei moduli stilistici propri sia all'Achillini, sia al Testi, con i quali l'A. fu in rapporto.
Fonti e Bibl.: I. Mabillon et M. Germain, Museum Italicum, I, Luteciae Paris. 1687, p. 208; B. Bacchini [Autobiografia], in Giorn. dei Letter. d'Italia, XXXIV(1723), pp. 300 s., 304 s., 309; Correspondance inédite de Mabillon et de Montfaucon avec l'Italie...., a cura di M. Valéry, Paris 1846, I, pp. XVII s., 275; II, pp. 9 s, 137 s., 214, 278 s.; III, p. 27; M. Armellini, Bibliotheca Benedictino-Casinensis, I, Assisi 1731, pp. 20-22; I. Affò-A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, V, Parma 1797, pp. 245-24,9; VI, 2, ibid. 1827, pp. 822 ss., 982; M. Maylender, Storia delle Accademie d'Italia, II, Bologna 1927, p. 266; T. Leccisotti, La Congregazione cassinese ai tempi del Bacchini, in Benedictina, VI (1952), pp. 35, 36, 37; G. Gasperoni, Don Benedetto Bacchini nella storia della cultura e dell'erudizione critica, ibid., XI (1957), pp. 58-61; H. Leclercq, Mabillon, I, Paris 1953, p. 437; II, ibid. 1957, p. 916.