DURINI, Angelo maria
Nato a Milano il 24 maggio 1725, figlio del conte Giuseppe e della contessa Costanza Barbavara, fece gli studi di umanità dai barnabiti di S. Alessandro a Milano. Avviato alla carriera ecclesiastica e recatosi a Roma presso lo zio, il futuro cardinale Carlo Francesco Durini, studiò teologia e diritto al Collegio Romano.
Nel 1744 segui lo zio, inviato nunzio a Parigi: mentre nella capitale fece esperienza della vita di corte e dei salotti letterari non meno che della vita diplomatica, approfondi gli studi del greco e del latino (fu anche nel collegio dei gesuiti di Lione), divenendo; abile compositore di versi latini. Per questo, tornato a Roma, fu accolto nel 1756, col nome di Crisauro Filomuso, nell'Accademia dell'Arcadia; il 9 maggio 1755 aveva conseguito il dottorato in utroque iure. Nel 1757 Benedetto XIV lo nominò prelato domestico e referendario delle due Segnature. Nel 1759 Clemente XIII - Carlo Rezzonico, di origine comasca e amico di famiglia - gli affidò l'ufficio di inquisitore a Malta, dove trascorse sei anni assolvendo pure il compito di sovrintendere a un piccolo presidio antiturco di galee pontificie e di curare i rapporti con i cavalieri del S. Sepolcro, allora proprietari dell'isola. Approfittò dell'ozio per comporre versi latini e coltivare utili relazioni con Roma: con i fratelli del papa, il cardinale Pietro e il senatore Abondio Rezzonico e col segretario di Stato card. Luigi M. Torrigiani, succeduto nel 1758 ad A. Archinto. Per merito del Torrigiani ottenne nel 1765 la commenda dell'abbazia di Lodi e nell'anno seguente la nomina a nunzio in Polonia, notificatagli dalla segreteria di Stato il 15 ott. 1766, con i poteri di legato a latere. Rientrato a Roma ricevette pochi mesi dopo l'ordinazione sacerdotale (20 dic. 1766), la nomina ad arcivescovo di Ancira (concistoro del 22 dicembre) e la consacrazione episcopale (28 dicembre) per le mani dello stesso pontefice.
Parti per la sede di Varsavia, dove succedeva a mons. Antonio E. Visconti, all'inizio dell'anno seguente e, dopo una sosta a Vienna - ove ebbe un colloquio con l'imperatrice Maria Teresa e incontri, fra gli altri, col Metastasio, al quale avrebbe dedicato poi odi e versi latini -, vi giunse il 24 luglio 1767. La sua missione, durata sei anni, coincise con uno dei più drammatici periodi della storia della Polonia, quello precedente la prima spartizione.
Il 6 ott. 766, due anni dopo l'assunzione al trono di Stanislao Augusto Poniatowsky, eletto con l'appoggio di Caterina II, si era aperta la Dieta di costituzione che doveva affrontare delicati progetti di riforma istituzionale dello Stato, la questione del liberum veto e la richiesta dei diritti civili e della libertà religiosa per i luterani e gli ortodossi, appoggiati dalla Prussia e dalla Russia. Conclusasi la Dieta con un compromesso che non accontentava nessuno, si acuirono i conflitti civili e religiosi: ai primi del 1767 si formarono due confederazioni di dissidenti, protestante e ortodossa, e il 26 giugno fu formata a Radom, sotto la guida di Karoll Radziwill, la Confederazione generale cattolica.
Il D., che già il 28 luglio ebbe un primo incontro con il re, aveva ricevuto dalla S. Sede queste direttive: difesa del cattolicesimo; neutralità nelle questioni civili e politiche; evitare di rimanere invischiati nelle contese fra i partiti nobiliari; agire con prudenza onde non alienarsi né il re né i suoi oppositori. Quando il 3 ott. 1767 prese ufficialmente possesso del suo ufficio il D. fu festeggiato da tutti, ma le attese di ognuno - re, vescovi, nobiltà - erano inconciliabili, sicché la sua posizione risultò quanto mai difficile.
Radunatasi a Varsavia nello stesso ottobre 1767 la Dieta generale dei confederati e mostrandosi questa restia ad accedere alle richieste della Russia, mentre il re stesso tentennava fra fedeltà al giuramento di difendere la religione cattolica e adesione alla richiesta russa di concedere la libertà religiosa ai dissidenti, le truppe del principe Repnin, ambasciatore russo e latore degli ordini di Caterina II, nella notte fra il 13 e il 14 ottobre si impadronirono del vescovo di Cracovia Gaetano Soltik (doppiogiochista e corrotto), del Radziwill e di altri oppositori, rivelando la precisa volontà della Russia di schiacciare con la violenza la nazione polacca.
Il D., che aveva presenziato all'apertura della Dieta pronunciando un discorso a favore delle prerogative dei cattolici (edito dieci anni dopo in versione italiana: Orazione di mons. A. M. Durini dei conti di Monza … volgarizzata e di annotazioni illustrata da G. M. Zenoni…, Cremona 1777) e cercando di influire sull'andamento di essa presentando brevi pontifici che chiedevano la salvaguardia dei diritti della Chiesa cattolica in Polonia, avanzo una vibrata protesta - il cui testo era stato redatto nella Curia romana, dopo che era stato giudicato impresentabile quelloiedatto dal deputato di Grodno K. Chreptowicz; - per la violenza subita. Benché nella protesta non si facesse il nome del Repnin, questi pensò di imprigionare anche il nunzio.
Diversamente dal giudizio della Curia, il D. non nascondeva la sua diffidenza verso il re, sapendolo imbevuto di idee voltairiane e razionalistiche ed incline ai dissidenti, né quegli nascondeva la sua diffidenza verso il D., sapendolo favorevole ai confederati cattolici. Anche la Curia romana condivideva taluni giudizi sul Poniatowski, la cui politica era definita "insidiosa", ma teneva un atteggiamento prudente per salvaguardare gli interessi cattolici nel paese e in questo senso dava assicurazioni al rappresentante del re a Roma, marchese Tommaso Antici e raccomandazioni al nunzio a Varsavia. Repnin aveva fatto votare una commissione di sessanta membri che sotto il suo controllo continuò l'elaborazione del nuovo statuto costituzionale della Polonia: questo riconosceva la religione cattolica religione dello Stato e stabiliva che il re dovesse essere cattolico, ma ripristinava il liberum veto, proclamava la libertà di culto e concedeva i diritti civili e politici ai dissidenti; sancite queste leggi dal trattato di Varsavia (24 febbr. 1768) fra Austria, Prussia e Russia, la Dieta si sciolse il 5 marzo. Il D. avvertiva però chiaramente la crisi e lo sfacelo imminente della Polonia e la inefficacia del suo ruolo: "La libertà e la religione non han più fiato per reggersi in piedi. Mi par di vedere la Polonia scismatica quanto prima e smembrata in più parti", scriveva fin dal 28 dic. 1767 allo zio cardinale e vescovo di Pavia. Il 29 - febbr. 1768 si costituiva a Bar un'altra Confederazione di nobili che, raccolto un piccolo esercito, intendeva combattere sia le truppe del re sia quelle russe in difesa della libertà della Polonia. Il D. non nascose le sue simpatie e i suoi incoraggiamenti per questa iniziativa.
Nel corso del 1768 l'attività dei D. e l'intervento nelle cose polacche s'accrebbero; nell'agosto fece celebrare solenni esequie per la morte della regina di Francia, l'unica nazione che appoggiava apertamente i confederati. Alle critiche della Curia per questa iniziativa il D. rispondeva d'aver voluto dare alla cerimonia un significato religioso e apologetico, in una città ove voltairiani e dissidenti circondavano il re e l'incredulità avanzava. Che il gesto fosse politico e ispirato alle simpatie e amicizie filofrancesi del D. era evidente. Altro episodio che accelerò la rottura fra il nunzio e la corte in quel periodo fu il rifiuto del D. di trattare con il segretario privato del re, il canonico Ghigotti (che lo accusava di spingere i cattolici ad aderire alla Confederazione di Bar), adducendo a motivo il rango inferiore del rappresentante dei re; ma la Curia romana e lo stesso zio dei D. furono d'altro avviso, suggerendo moderazione nei confronti del re, di adottare una posizione più cauta nei confronti della Confederazione e di avvalersene semmai come strumento di pressione sul re, tanto più che i progetti dei confederati apparivano più politici che religiosi. Mentre la guerra straziava il paese, persisteva una profonda divergenza fra S. Sede e nunzio, il quale sopravvalutava i successi iniziali dei confederati. Lo scoppio della guerra russo-turca, lo stesso invito rivolto dal re al D. - mentre la Polonia era dichiarata ribelle ed egli temeva il crollo del Regno - perché invitasse i vescovi polacchi e le superstiti 'forze dei confederati, sconfitte più volte dai Russi, a venirgli in aiuto, sembrarono per un po' dar ragione alle ipotesi e alle speranze del nunzio, che per tutto il 1769 ebbe la fiducia del nuovo cardinale segretario di Stato L . O. Pallavicini, nominato dopo l'elezione di Clemente XIV.
Il Pallavicini lodava la diligenza (dispacci del 29 luglio e 22 ag. 1769), l'esattezza e il buon discernimento del nunzio (9 settembre). Il D. sperava che le armi turche distogliessero la Russia dagli affari polacchi; ma il Pallavicini, cui egli aveva comunicato l'ingresso dei Turchi in territorio polacco, "in numero tanto formidabile", gli faceva osservare che "la compagnia di questa sorta di truppe deve far paura ugualmente" ai Polacchi come ai loro vicini 04 ott. 1769) e che tali informazioni non erano "del tutto combinate" con quelle ricevute "da altri canali" (4 nov. 1769).
L'ottimismo del D. sulle annunciate vittorie dei Turchi e dei confederati sui Russi, dalla primavera del 1770 smentite da altre fonti, convinse sempre meno il segretario di Stato, che l'8 settembre gli inviava istruzioni tali da tradire una sostanziale mancanza di fiducia nel nunzio (Caccamo, pp. 48 s.). Di nuovo, all'inizio del 1771, mentre il D. lasciava credere ancora che la guerra russo-turca potesse volgere in favore dei Turchi e che varie potenze europee si erano schierate contro la Russia, il Pallavicini ribatteva che ben diverse erano le notizie in possesso di Roma: Stanislao aveva unito il suo esercito a quello russo; Berlino e Vienna negoziavano un piano di aggiustamenti fra i Russi e i Turchi. Mentre a Roma cresceva la convinzione che la rovina della Polonia fosse inevitabile, nel novembre 1771 il D. parve compromesso anche nel tentativo, presto fallito, dei confederati di impadronirsi a Varsavia della persona del re: operazione che diede pretesto a Russi, Prussiani e dissidenti di gridare al tradimento e di dichiarare i Polacchi indegni di sopravvivere come nazione libera. Quando il 22 apr. 1772 nella battaglia di Cracovia i confederati furono definitivamente sconfitti dal Suvarov, anche Austriaci e Prussiani varcarono i confini della Polonia.
L'11 luglio il D. fu richiamato a Roma; il 25 luglio il segretario di Stato gli scriveva che, consultate le corti più autorevoli e constatato che "una fatale combinazione di circostanze" escludeva ogni umano rimedio alle sorti della nazione polacca, il papa ormai implorava "dal cielo soltanto quella difesa del cattolicesimo della Polonia in cui ha bramato sempre che Ella pur impiegasse con miglior successo il suo zelo" (ibid., pp. 49 s.). Era un duro ed esplicito biasimo per l'azione del D., il quale veniva sollecitato a rientrare a Roma anche dall'ostilità dei vincitori. I trattati dell'agosto del 1772 sancivano la prima spartizione della Polonia: il D., avuta l'ultima udienza di congedo dal re, partiva il 14 settembre alla volta dell'Italia.
Quasi altrettanto sfortunata fu l'azione del D. in campo religioso, su cui si sofferma in particolare il Pastor. Teso a contrastare lo spirito antireligioso, che si stava diffondendo nella Polonia colta e illuminista di re Stanislao, il nunzio si scontrò con fortissime resistenze. Quando ebbe l'incarico dalla S. Sede di visitare il collegio dei piaristi (scolopi) di Varsavia, egli incontrò la netta opposizione del provinciale dell'Ordine, S. Konarski, che aveva studiato a Roma al Nazareno ed era impregnato di idee illuministiche, tanto che un suo scritto era stato posto all'Indice; il re stesso, tramite T. Antici a Roma (inviso al D.) ed alcuni vescovi, appoggiò il Konarski, sicché il papa rimise la questione alla congregazione dei Vescovi e Regolari, mentre il vescovo di Chelm, mons. F. P. Turski, confidava al D. che il provinciale degli scolopi nel 1767 s'era adoperato presso il re per la soppressione della nunziatura. Il 23 dic. 1769 il neoeletto Clemente XIV aveva trasmesso al nunzio una enciclica che indiceva il giubileo, insieme con un breve nel quale lo esortava a invitare i vescovi alla difesa dei diritti della Chiesa e della fede cattolica. L'enciclica fu pubblicata dal vescovo di Poznan, A. S. MIodziejowski, in un testo alterato che inseriva fra le condizioni per lucrare l'indulgenza giubilare anche l'obbedienza assoluta al re, trasformando un documento religioso in un proclama politico: ciò sollevò le proteste del D., oltre che dei confederati di Bar. Il nunzio lamentava spesso lo scarso spirito di fedeltà a Roma dell'episcopato e l'indegnità di alcuni vescovi, come quello di Gniezno, G. Podoski. in una lettera del 14 apr. 1770 aggiungeva che solo pochi potevano essere considerati veri pastori della Chiesa e due di questi erano prigionieri dei Russi. Lamentava inoltre l'alienazione dei beni dei conventi, l'oppressione religiosa dell'Ucraina occupata dai Russi, le tendenze anticristiane, di cui portava ad esempio la festa dei liberi muratori celebrata a Varsavia nel 1770.
L'azione del D. a Vaisavia è stata variamente giudicata dalla storiografia. La più recente e documentata delle interpretazioni, quella di Caccamo, mette in evidenza la condotta largamente autonoma del nunzio rispetto alle direttive romane, addebitandola a una concezione conservatrice della vita religiosa e civile del D. e alle simpatie filofrancesi (in corrispondenza con l'ambasciatore francese a Roma cardinale de Bernis, egli era perfettamente informato sulla posizione di Parigi circa la questione polacca), che lo inducevano a simpatizzare per i circoli di opposizione e a sostenere la totale libertà della Polonia dalle ingerenze russe.
Se la presenza del D. a Varsavia risultò poco fruttuosa sul piano diplomatico, fu invece intensa sotto il profilo culturale. Egli partecipò attivamente alla rinascita letteraria stanislaviana come cultore della poesia latina, dal momento che ignorava la lingua polacca, raccogliendo in due volumi i suoi componimenti (Carmina, Varsaviae 1768-69). Pubblicò anche tra il 1769 e il 1772 numerose altre composizioni, perlopiù di carattere convenzionale, dedicate a personaggi di corte, grandi dame, principi, ecclesiastici: tra gli altri, Katarziyna Kossakowska, Amelia Bruül, Mniszech, Anna Ludwika Borch, Andrzej Zaojski, alcuni membri della famiglia Czartoryski, l'arcivescovo di Leopoli, Walclaw Sierakowski, al quale il D. dedicò l'edizione di Szymonowicz.
Corrispondente di letterati come Janocki, J. A. Zaluski, Minosowicz, A. Naruszewicz, egli non ignorava che la fiorente cultura letteraria e artistica della Polonia si doveva anche a Stanislao Augusto, al quale dedicò versi nel primo volume dei Carmina e nel 1771 dunque dopo gli scontri per la Confederazione di Bar e l'aperto dissenso sulla politica reale - un epigramma, in cui la Varsavia stanislaviana è paragonata alla Roma di Cesare Augusto. Dalla collaborazione con Zaluski nacque l'edizione delle opere latine di Szymonowicz (Simonis Simonidis Bendonski Opera omnia, Varsaviae 1772, con una premessa del D.: Aeternae memoriae Simonis Simonidis Bendonski poëtarum Polonorum qui latine scripserunt principis). L'iniziale amicizia con Konarski si tramutò in piena avversione per motivi politico-religiosi, e in particolare perché ritenuto dal D. sostenitore del partito filorusso e attentatore delle libertà polacche. Fra gli scritti polacchi del D., più che le composizioni poetiche, meriterebbero considerazione i saggi di poetica e critica letteraria, come la dissertazione De vera carminis elegiaci natura et optima constitutione (1771) e l'introduzione storico-critica all'Operaomnia di Szymonowicz, che colpiscono per due ragioni: "per la capacità di valutare il potenziale poetico delle risorse metriche" e "per il riferimento a principi di poetica che superano l'estetica classica e classicistica" (Graciotti, pp. 95 s.).
Ancor prima della partenza da Varsavia, sostituito da Giuseppe Garampi, il D. aveva avuto l'assicurazione di un "destino proporzionato alla carica … dimessa"; anzi il Pallavicini gli scriveva a nome del papa di considerare ciò cosi sicuro "come se fosse già individualmente assegnato" (11 luglio 1772).
Dopo la sua partenza lo stesso re di Polonia chiese al papa, con lettera del 26 sett. 1772, la promozione del D. a cardinale, ma senza esito. Quando nel 1773 si profilò la restituzione alla S. Sede di Avignone e del Contado Venassino - occupati dalla Francia nel 1768 - Clemente XIV pensò di affidarne il governo al D., conoscendolo persona gradita a Luigi XV e, con breve del 22 genn. 1774, lo nominò presidente e governatore generale di Avignone. Il 3 marzo 1774 il pontefice riceveva il D. in visita di congedo, ma - poiché nel frattempo l'arcivescovo di Avignone, Francesco M. Manzi, con un'azione che dispiacque al governo francese, aveva ripristinato l'amministrazione del Contado com'era prima del 1768, conipreso il Parlamento generale - l'incarico di chiudere la questione con comune soddisfazione delle parti fu affidato al nunzio a Parigi. Finalmente il 18 maggio 1774 due lettere di Clemente XIV ai re di Francia e di Spagna annunciavano la partenza per Avignone del D., che solo ai primi di settembre prendeva possesso del suo ufficio. Il D. resse il piccolo territorio emanando leggi ispirate a spirito di tolleranza, che vennero raccolte in un codice a stampa intitolato Recueil des règlements et ordonnances de S. E. mgr. A. M. Durini, président pro-légat, gouverneur de la ville d'Avignon (Avignon 1776); a lui si devono anche un regolamento di pubblica sicurezza e statuti cittadini locali.
Della presenza in Francia il D. approfittò per riallacciare vecchie amicizie e stringerne delle nuove. Nell'autunno del 1774, ospite del card. J-F. Rochechouart a Parigi, assistette all'incoronazione di Luigi XVI, al quale non mancò d'indirizzare un'ode e strinse amicizia con uomini politici come Turgot e de Vergennes e dotti come J. Delille, ai quali pure dedicò versi latini. Anche al nuovo pontefice Pio VI, eletto il 15 febbr. 1775, al quale i notabili avignonesi inviarono un indirizzo pieno di lodi per il loro presidente, il D. dedicò un Carmen gratulatorium. Il16 maggio 1776 egli inviava al segretario di Stato una lunga lettera contenente molte e interessanti proposte di riforma dell'amministrazione di Avignone, mentre faceva nuove istanze per avere qualche beneficio con cui sopperire al suo mecenatismo.
Nel concistoro del 20 maggio 1776 il D. fu creato cardinale ed ebbe insieme in commenda la ricca abbazia di S. Dionigi, che aveva beni in Merate e a Milano. Il breve pontificio di nomina gli venne inviato il 5 giugno.
Lasciò Avignone il 17 giugno con una lettera di saluto ai cittadini e rientrò a Milano: qui la berretta cardinalizia gli fu portata dal marchese A. Brivio e imposta ai primi di ottobre alla presenza del card. arcivescovo G. Pozzobonelli, ma il D. non ebbe né cappello né titolo cardinalizio e non fece parte di alcuna congregazione romana. L'ipotesi che ciò sia avvenuto per uno screzio con Pio VI a motivo dei suoi costumi fastosi e mondani non è verosimile, benché in calce a una lettera di Pio VI dell'8 genn. 1777 in risposta ad un suo indirizzo di saluto per gli auguri di Natale, nella quale il pontefice diceva che "praeclare iam tibi testatum fecimus animum in te nostrum …", il D. annotasse: "Verius dicatur obscuram, non praeclaram in me fuisse Pontificis voluntatem" (Arch. Durini, cart. 2). Quando il papa si recò a Vienna per incontrare Giuseppe II (1782) accolse benevolmente il D. che si era recato a salutarlo a Bologna.
L'insolito cardinale visse alternando soggiorni fra la casa avita in Milano, la villa di Merate e la villa di Mirabello a Monza, accanto alla quale fece costruire una più piccola dimora, villa Mirabellino, accogliendovi esponenti della cultura e della vita letteraria lombarda, come il Balestrieri e il Passeroni, superstiti membri dell'Accademia dei Trasformati, lo storico di Milano Giorgio Giulini e Giuseppe Parini. Attratto dalla bellezza e dall'amenità del lago di Como - già ad Avignone aveva fatto ristampare, preceduti da suoi componimenti poetici, due scritti sul Lario, uno del Boldoni e uno del Giovio - riusci ad acquistare la bella villa Gallio di Balbiano di fronte all'isola Comacina, costruita dall'architetto P. Tibaldi (Pellegrini) per il cardinale Tolomeo Gallio nella seconda metà del Cinquecento, facendone la dimora prediletta, insieme con la vicina villa di Balbianello, fatta costruire da lui stesso. Nella villa di Balbiano, abbellita e ornata di ritratti e di busti di grandi personaggi antichi e moderni, raccoglieva amici, artisti, letterati e uomini politici - tra gli altri G. R. Carli -, promuovendo la pubblicazione di opere di erudizione, di letteratura e di scienza, come le opere dell'archeologo e latinista novarese Guido Ferrari, pubblicate in sei volumi. Fra i letterati milanesi fu in particolare amicizia con Domenico Balestrieri, traduttore della Gerusalemme liberata in versi milanesi, che sin dal 1776 aveva dedicato al D. le Rime toscane e milanesi (Milano 1776, pp. 191 s.). Questo mecenatismo trovò ampi riconoscimenti nell'ode che nel 1791 gli dedicò il Parini, poi denominata la Gratitudine.
Il D. aveva fatto fronte al suo mecenatismo letterario e alle sue ambizioni artistiche con i proventi delle ricordate commende di S. Bassiano e Feriolo di Lodi, di S. Dionigi in Merate, con modeste pensioni sui benefici dell'abbazia di S. Benedetto a Trezzo, di S. Pietro e Calogero di Civate e di Viboldone, sul canonicato di S. Donato in Pavia, ma soprattutto sulla cospicua abbazia di S. Abbondio a Como, che nel 1785 era valutata per 53.447 scudi d'estimo e riscuoteva livelli attivi per 4.717 lire.
Nel 1795 cominciò a rinunciare via via a questi benefici, disponendo pure lasciti ed elemosine in beneficenza; fece inoltre dono alla Biblioteca di Brera, costituita in epoca teresiana ed aperta al pubblico dal 1773, della sua preziosa biblioteca di classici greci e latini e di scrittori moderni; la cospicua raccolta ("dieci scaffali e molte casse") venne catalogata e collocata in apposita sala; vi confluirono anche gli scritti poetici del D. e una ricca raccolta di autori polacchi.
Un anno dopo, il 28 apr. 1796, mori nella sua villa di Balbiano (ora villa Arconati, nel Comune di Lemno) e fu sepolto nella chiesa di S. Abbondio a Como; è poco verosimile che, come vorrebbe una tradizione locale, stesse riparando in Svizzera all'annuncio delle vittorie francesi in Italia.
Fonti e Bibl.: La fonte più cospicua è costituita dall'Archivio Durini di villa Durini Ajmone Cat di Tavernola (Como), Gruppo 7, cartelle 2-17: sez. 1 (titoli di studio); 2-10 (benefici e prebende); 11-18 (lettere al D.); 19-21 (lettere e componimenti poetici del D.) e 22 (componimenti poetici in onore dei D.); Ibid., tre volumi contenenti il copialettere dei dispacci dalla nunziatura di Polonia (1766-1772) e le relazioni da Avignone alle congregazioni romane (1774-76). I dispacci della segreteria di Stato, oltre che nell'Arch. Durini (cart. 11, fasc. 33), si trovano in Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Nunziatura di Polonia. Documenti della nunziatura del D. sono stati parzialmente editi in Vetera monumenta Poloniae etLithuaniae gentiumque finitimarum historiam illustrantia ex tabulariis Vaticanis deprompta, a cura di A. Theiner, IV, 2, Roma 1864; altra corrispondenza e documenti sul D. sono editi in appendice a G. M. Marchesi, Un mecenate del Settecento…, cit., pp. 108-132. Notizie sul Fondo Durini nella sala 25 della Biblioteca di Brera, in La cultura inMilano nell'età di Maria Teresa (catal.), Milano 1980, pp. 34, 37, 55, 57-59, 62, 95, 111; un repertorio degli scritti e delle edizioni del D. durante il soggiorno polacco, oltre che nel saggio di S. Graciotti citato più avanti (pp. 85 s.), è in S. Ciampi, Bibliografia critica delle antiche reciproche corrispondenze … dell'Italia con la Russia, con la Polonia ed altre parti settentrionali, I, Firenze 1834, pp. 99 s., e in K. Estreicher, Bibliografia polska (Bibliografia polacca), XV, Kraków 1897, pp. 416 ss. Fra le fonti polacche coeve, si veda anche Fr. Karpiúski, Korespondencja z lat 1763-1825 (Corrispondenza negli anni 1763-1825), a cura di T. Mikulski-R. Sobol, Wroclaw 1958; A. Ferrand, Histoire des trois démembremens de la Pologne, Paris 1820, I, passim; F. Masson, Le cardinalde Bernis, Paris 1884, pp. 235 ss.; F. A. De Benedetti, La diplomazia pontificia e la prima spartizione della Polonia, Pistoia 1896; G. Riva, Le visitedel cardinale D. alle case del Parini e del Balestrieri, in Rend. d. Ist. lomb., s. 2, XXXIV (1901), pp. 773-792; G. B. Marchesi, Un mecenate delSettecento (il card. A. M. D.), in Arch. stor. lomb., s. 4, II (1904), pp. 51-107; F. F. De Daugnon, Gliitaliani in Polonia dal IX secolo al XVIII, Crema 1907, pp. 11 ss.; L. Loret, Zamach na StanislawaAugusta świetle źródeù watykanskich (L'attentato a Stanislao Augusto alla luce delle fonti vaticane), in Biblioteka Warszawska, LXXI (1911), 281, pp. 541-551; P. Pierling, La Russie et le Saint-Siège, V, Paris 1912, pp. 12 s..; F. Giannini, Storiadella Polonia e delle sue relazioni con l'Italia, Milano 1916; R. Calzini-P. Portaluppi, Ilpalazzo e lafamiglia Durini in due secoli di vita milanese (1648-1848), Milano 1923, pp. 41 ss.; K. Konopczyński, Stanisùaw Konarski, Warszawa 1926, pp. 109, 111, 291-297, 414, 418-421, 432-455; G. Seregni, Don Carlo Trivulzio e la cultura milanesedell'età sua (1715-1789), Milano 1927, p. 157; A. Giulini, Iprimi tentativi dell'aeronautica a Milano, in Miscell. di studi lombardi in onore di E. Verga, Milano 1931, pp. 115 ss.; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 2, Roma 1933, pp. 291 s.; M. Loret, Watykan a Polska wi dobie rozbiorow (1772-1795) (IlVaticano e la Polonia all'epoca delle spartizioni), in Przegla̢d wspóùczesny (Rassegna contemporanea), XIII (1934), 49, pp. 337-360; Wz. Konopczynski, Konfederacja barska (Confederazione di Bar), Warszawa 1935.33, adInd.; J. Fabre, Stanisùas-Auguste Poniatowski etl'Europe des lumières. Etude de cosmopolitisme, Paris 1952, ad Ind.; E. Duda, Le Saint-Siège devantles événements politiques de Pologne à la vieille deson premier partage, in Sacrum Poloniae millennium, I, Rzym 1954, pp. 139-207; G. Seregni, Lacultura milanese nel Settecento, in Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 586, 590, 594, 626 ss., 871, 896; R. Aubert, D. A. M., in Dict. d'hist. etde géogr. eccl., XIV, Paris 1960, coll. 1201 ss.; Papiesùwo wobec sprawy polskiej w latach 1772-1864 (Il Papato e la questione polacca negli anni 1772-1864), a cura di O. Beiersdorf, con pref. di K. Piwarski, Wroclaw 1960, ad Ind.; D. Caccamo, Il nunzio A. M. D. (1767-1772) e la prima spartizione della Polonia, in Italia Venezia e la Poloniatra Illuminismo e Romanticismo, a cura di V. Branca, Firenze 1973, pp. 37-53 (con app. di documenti alle pp. 53-68); S. Graciotti, Il nunzio D. ela Polonia letteraria del tempo di Stanislao Augusto, ibid., pp. 69-105; G. Casanova, Istoria delleturbolenze della Polonia, a cura di G. Spagnoletti, Napoli 1974; A. Gieysztor, Storia della Polonia, a cura di D. Dallera, Milano 1983, ad Ind.; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor. - eccl., ad Indicem; F. Calvi, Famiglie notabili milanesi. Durini, Milano 1875, Suppl. alla tav. III; R. Ritzler-P. Seffin, Hierarchia catholica…, VI, Patavii 1958, pp. 31, 82; Enc. Ital., XIII, p. 306; Enc. catt., IV, coll. 201 s.
N. Raponi