MARIANI, Angelo
– Figlio di Natale e di Maria Grilli, nacque l’11 ott. 1821 a Ravenna, dove fu battezzato il giorno seguente.
Quasi nulla si sa della sua famiglia, se non che fosse piuttosto umile. Secondo le memorie del conte E. Fabbri, patriota cesenate, il padre e il nonno del M., Carlo, sarebbero stati carcerieri a Ravenna, ma Natale sarebbe in seguito divenuto da «gran papalino» un «liberale e patriotta».
A undici anni il M. fu avviato agli studi musicali presso l’Accademia filarmonica di Ravenna, dove prese lezioni di teoria e di violino dapprima da P. Casalini e successivamente da G. Nostini. Il suo talento attirò l’attenzione del conte G. Roberti, sacerdote e organista della cattedrale, che gli diede gratuitamente lezioni di armonia e lo indirizzò presso un padre Levrini da Rimini per lo studio del contrappunto.
I primi incarichi stabili del M. furono nel 1842 quello di direttore della banda municipale a Sant’Agata Feltria – dove ebbe modo di addestrarsi nella pratica di altri strumenti, in particolare i fiati – e nel 1843-44 di direttore e maestro degli strumenti ad arco della Società filarmonica di Faenza. Negli stessi anni suonò come violino e viola di fila durante le stagioni d’estate a Rimini e a Macerata e, nel giugno 1844, fu chiamato a Trento come maestro concertatore per Lucrezia Borgia di G. Donizetti e Saffo di G. Pacini. A Sant’Agata e a Faenza diede anche le sue prime prove compositive: pezzi sacri (tra cui un Miserere), pezzi strumentali per vario organico, tra cui due sinfonie e un Concertone. In particolare, una sinfonia in sol minore eseguita nell’estate 1844 a Faenza fu apprezzata da G. Rossini, che il 16 agosto gli scrisse una lettera molto elogiativa. Tale apprezzamento lo spinse a spostarsi a Bologna, dove prese per breve tempo lezioni da Rossini e da T. Marchesi. Nel frattempo aveva sposato Virginia Fusconi, da cui aveva avuto una figlia, morta precocemente; il matrimonio era naufragato quasi subito, probabilmente a causa delle infedeltà del Mariani.
Nella stagione 1844-45 fu scritturato a Messina come maestro concertatore e direttore: fu un’esperienza poco felice perché – racconta – gli orchestrali inizialmente si rifiutarono di farsi dirigere da un «forestiero ragazzo» (A. M., autobiografia, p. 17); diresse invece diversi concerti con sue composizioni per la locale Accademia filarmonica. Nella primavera e nell’estate del 1845 si recò a Napoli, dove conobbe S. Mercadante; si fermò poi per qualche tempo a Bologna e a novembre fu di nuovo a Messina, che abbandonò prima della fine della stagione per tornare a Napoli, dove frequentò assiduamente le serate musicali di Mercadante.
Le prime esperienze direttoriali significative furono quelle per le stagioni estive ai teatri Re (giugno-luglio 1846) e Carcano (agosto 1846) di Milano, dove diresse con successo alcune opere di G. Verdi (I due Foscari, Nabucodonosor, I Lombardi alla prima crociata, Ernani e Giovanna d’Arco), oltre a lavori di A. Rolla e G. Devasini. La direzione appassionata del Nabucco causò quasi un tumulto popolare e gli costò una reprimenda della polizia austriaca. Molto apprezzato fu il suo «solo» di violino alla fine del terzo atto dei Lombardi (Gazzetta musicale di Milano, V [1846], 35, p. 276). A quel tempo risale, probabilmente, la conoscenza con Verdi, che tanto avrebbe influenzato la sua carriera e la sua vita: da una lettera del 19 ag. 1846 di Verdi ad A. Lanari è noto che il compositore espresse il desiderio di avere il M. quale direttore per la prima di Macbeth a Firenze; la cosa non andò in porto, forse per l’eccessivo cachet richiesto (I copialettere di G. Verdi, pp. 25 s.).
Tra la fine del 1846 e il 1847 il M. alternò la sua attività tra l’Eretenio di Vicenza (carnevale 1846-47 e fiera 1847), il Carcano (primavera 1847) e il Comunale di Forlì (estate 1847), dove diresse per la prima volta un’opera di G. Meyerbeer, Robert le Diable, del quale sarebbe divenuto un notevole interprete. A Vicenza la carriera del M. toccò un altro vertice significativo il 15 sett. 1847, quando fu chiamato a dirigere al teatro Olimpico i cori composti da Pacini per l’Edipo re di Sofocle. Si trattò di una manifestazione grandiosa, con imponenti masse orchestrali e corali (circa 100 esecutori e 200 voci; il M. fu coadiuvato da tre maestri del coro) e il successo gli valse, a suo dire, l’offerta del posto di maestro concertatore al teatro di corte di Copenaghen, rinnovata nel 1842 per volontà del re «italianofilo» Cristiano VIII.
Nella stagione 1847-48 questo teatro ospitava una compagnia italiana guidata da E. Ricci, che comprendeva la giovane Rosina Penco. Il M. vi lavorò dal novembre 1847 all’aprile 1848, alternandosi come direttore con un altro musicista italiano, P.A. Sperati, e dirigendo tra l’altro Ernani e Attila di Verdi e Lucia di Lammermoor di Donizetti, oltre a sue composizioni. Dopo la chiusura dei teatri per la morte del re, cantanti e orchestra furono costretti a esibirsi solo in concerto: una sinfonia del M. fu eseguita il 16 marzo 1848, una polacca per voce e pianoforte il 6 aprile, un’ouverture il 7 e l’11 aprile. Il M. compose inoltre un Libera me Domine per i funerali del re, eseguito con notevole successo il 5 febbr. 1848 e replicato il 21 aprile.
Il successore di Cristiano, Federico VII, si mostrò subito meno interessato all’opera: per questo e per la notizia dei moti del 1848 il M. si affrettò a tornare in Italia, dove – sostiene lui stesso – si arruolò volontario (A. M., autobiografia, p. 20), rimanendo a Milano però solo fino al mese di settembre.
La tappa successiva della carriera del M. fu Costantinopoli, dove un teatro d’opera pubblico era stato inaugurato nel 1840. Distrutto da un incendio nel 1846, era stato subito ricostruito con l’aiuto del sultano Abdul-Mejid ospitando stabilmente una compagnia italiana diretta dall’impresario M. Naum. Giunto dopo un viaggio avventuroso, il M. si fermò a Costantinopoli fino al 5 dic. 1851, ospite nel palazzo dell’ambasciata russa a Pera, e vi diresse numerose opere anche di notevole impegno quali, al debutto, Macbeth e nel novembre 1850 Robert le Diable, che fu probabilmente l’ultima opera da lui diretta in quella città perché, ammalatosi di tisi, dovette rimanere a riposo fino alla partenza. Compose inoltre vari pezzi d’occasione, come le cantate La fidanzata del guerriero e Gli esuli, le Rimembranze del Bosforo per voce e pianoforte e un Inno nazionale dedicato a s.m. Imperiale il sultano Abdul-Medjid, poi stampato a Milano.
Fatto ritorno in Italia, dopo una tappa a Messina tra il gennaio e l’aprile 1852 e una a Napoli il M. approdò il 1° maggio a Genova, dove il 15 maggio 1852 salì sul podio del teatro Carlo Felice come direttore stabile dell’orchestra civica di nuova costituzione, incarico che occupò per tutta la vita malgrado le successive offerte pervenutegli da diverse istituzioni: Liceo musicale di Bologna (1860 e 1866), teatro S. Carlo di Napoli (1860), Lima (1863), Théâtre-Italien di Parigi (1863 e 1865), Madrid (1865), oltre agli inviti non ufficiali alla Scala nel 1867.
Unica nel panorama italiano, l’orchestra genovese era finanziata dalla Municipalità e prevedeva un organico stabile di 56 musicisti (36 effettivi e 20 soprannumerari) più un direttore, cui il municipio garantiva anche una pensione.
Fu questa per il M. l’opportunità di mettere in luce le sue doti e d’imporre un nuovo modello che in Italia stentava a prendere piede: quello del direttore unico, che in sé riuniva il duplice ruolo di maestro concertatore e di direttore d’orchestra. Il M. fa risalire questa sua innovazione alla stagione 1846-47 a Vicenza. In realtà il processo fu molto più complesso: fino al 1861 a Genova il M. condivise la direzione con N. Uccelli, e ancora nel 1852 e nel 1857 dirigeva impugnando l’archetto e non la bacchetta (Gazzetta musicale di Milano, X [1852], pp. 94 s.; L’Armonia, 16 marzo 1857, p. 20). A quell’innovazione contribuirono anche altri direttori come G. Bregozzo a Torino, C.E. Bosoni a Venezia, E. Muzio e A. Mazzuccato a Milano, nonché la nuova concezione dei lavori di Verdi e di Meyerbeer, che cominciavano a circolare in Italia dagli anni Quaranta. Il M. fu, non a caso, fra i principali interpreti delle opere di questi due maestri e nel 1871 il primo in Italia a dirigere un’opera di R. Wagner.
La rilevanza innegabile della sua esperienza sta nel fatto che egli fu per lungo tempo alla testa di due delle migliori orchestre italiane, quella genovese e, dall’ottobre 1860, quella del teatro Comunale di Bologna. In entrambi i casi il M. godette di ampi poteri anche per la scelta degli strumentisti (introdusse la pratica delle audizioni), degli interpreti e del repertorio e si impose con successo nell’orchestra e tra il pubblico, anche grazie a un notevole carisma personale.
Rilevanti furono le sue scelte di repertorio: da una parte tenne a battesimo a Genova molte opere verdiane (Trovatore, Giovanna di Guzman), riscoprendo La forza del destino e La Traviata; dall’altra ampliò il repertorio a numerosi autori stranieri quali Meyerbeer (tutti i grand-opéras e le ouvertures della Étoile du Nord, del Pardon de Ploërmel e della tragedia Struensee), Fr. von Flotow (Marta), F. Hérold (Zampa, 1861, con i recitativi composti dal M. al posto dei dialoghi), J.-Fr.-Fr. Halévy (La Juive, 1858, prima italiana), Ch. Gounod (Faust, 1864), a giovani italiani quali F. Faccio (Amleto, 1865), e a opere italiane in stile grand-opéra come Guillaume Tell di Rossini, Dom Sébastien di Donizetti, Vêpres siciliennes e Don Carlos di Verdi. Distinse la stagione autunnale, destinata a un repertorio buffo (classici rossiniani insieme con nuove opere come quelle di C. Pedrotti, E. Petrella, Ricci) da quella di carnevale, destinata a opere di maggior impegno orchestrale e direttoriale. In campo sinfonico affrontò nel 1854 l’Eroica di L. van Beethoven. Anche a Bologna – dotata di un’orchestra che reputava superiore a quella genovese – il M. diresse per la prima volta opere come Ballo in maschera di Verdi, Le prophète (1860), Faust, Guglielmo Tell (1864), La Juive (1868), nonché le prime rappresentazioni italiane di L’africaine di Meyerbeer (4 nov. 1865), Don Carlos (27 ott. 1867), e soprattutto di Lohengrin (1° nov. 1871) e Tannhäuser (11 nov. 1872) di Wagner. Queste prime segnarono il picco più alto della sua fama e un momento cruciale della storia musicale italiana. In seguito a tali scelte di repertorio, le due orchestre crebbero nella qualità e nel numero degli strumentisti, raggiungendo a Bologna nel 1869 – anno in cui andarono in scena Huguenots, Prophète e Robert le Diable di Meyerbeer – gli 80 elementi.
Oltre che a Genova e a Bologna, il M. diresse frequentemente in altre città italiane e le cronache attestano che il suo prestigio e la sua popolarità crebbero esponenzialmente: ne è prova anche il rilievo sempre maggiore dato al suo nome sui cartelloni. Il 7 marzo 1857 ricevette la nomina a cavaliere e nel 1868 quella di commendatore della Corona d’Italia.
Nel frattempo il M. continuava a dedicarsi alla composizione di brani d’occasione e specialmente da «salotto»: stornelli, romanze, pubblicate in raccolte da Ricordi.
Gli anni genovesi furono occasione di un’intensa frequentazione con Verdi e Giuseppina Strepponi, che passarono diversi inverni in quella città e subaffittarono al M. un mezzanino di palazzo Sauli, dove si erano installati nel marzo 1867. Le lettere di Verdi testimoniano ch’egli riteneva il M. il maggior direttore d’orchestra italiano ancora nel 1871, dopo la loro rottura (I copialettere, p. 259). I momenti di collaborazione furono numerosi: la prima di Aroldo (versione rivista di Stiffelio) a Rimini nel 1857, quella di Don Carlos a Bologna nel 1867 (che segna anche l’inizio della relazione del M. con il soprano Teresa Stolz), la nuova versione della Forza del destino a Vicenza nel 1869 e a Bologna nel 1870.
Come attestato dal carteggio fra i due, la figura di Verdi segnò indelebilmente gli ultimi vent’anni della vita del M., dalle lunghe permanenze a Sant’Agata, alle battute di caccia, ai viaggi a Parigi (1867), alle discussioni politiche, alle continue richieste di piccole commissioni da parte di Verdi e di consigli da parte del sempre irresoluto Mariani. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sui motivi che portarono alla rottura del sodalizio: le lettere pubblicate da Zoppi attestano che quelli sentimentali (la rottura del fidanzamento con la Stolz nel settembre 1870 e la successiva probabile relazione di questa con Verdi dal 1871-72) vi ebbero gran parte. Tuttavia, furono importanti anche divergenze di carattere (Verdi e sua moglie mal sopportavano la spacconeria alternata a indecisione del M., che avevano soprannominato «testa falsa»), artistiche e professionali. Occasioni di contrasto furono il fiasco della Forza del destino a Genova nel 1866, lo scarso impegno mostrato dal M. (a detta di Verdi) per il progetto di una messa da eseguirsi a Bologna nel primo anniversario della morte di Rossini (1869), l’indecisione e poi il rifiuto del M. a dirigere la prima di Aida al Cairo (1871).
Alla base del dissenso fu soprattutto il fatto che il M. rappresentò la figura di direttore moderno che avoca a sé il completo controllo dell’esecuzione di un’opera e pretende di fornirne una «interpretazione», sebbene distante dalla volontà dell’autore. Eloquenti in tal senso le sue stesse lettere: «un vero direttore deve anche dirigere e regolare tutto, allora si avrà unità nella esecuzione, nel concetto, e nella interpretazione» (lettera del 12 genn. 1862; cit. in Jensen, p. 55); nonché le parole di critici come F. Filippi: «è lui solo ad organizzare la musica, dalla genesi delle prime letture al cembalo fino alla perfetta fusione dell’orchestra colle voci e colla scena, a cui egli stesso accudisce» (La Perseveranza, 4 nov. 1865). Le lettere di Verdi, al contrario, mostrano chiaramente come egli non approvasse tale novità: «Io non ammetto né ai cantanti né ai direttori la facoltà di creare che, come dissi prima, è un principio che conduce all’abisso» (lettera a G. Ricordi dell’11 apr. 1871; cit. in I copialettere, p. 256).
Gli ultimi anni di vita del M. furono tristissimi, malgrado le «prime» wagneriane che lo consacrarono grande interprete anche della «musica dell’avvenire»: abbandonato dalla Stolz, in rotta con Verdi, soffrì moltissimo per un male incurabile manifestatosi nel 1868. Continuò a dirigere quasi fino alla fine (un’accademia a Bologna il 5 dic. 1872), passando il resto del tempo a letto.
Il M. morì a Genova, assistito dall’amico C. Del Signore, il 13 giugno 1873.
L’autobiografia del M., stesa per l’editore Ricordi nel 1866 (ms. a Bologna, Bibl. dell’Archiginnasio; altre copie a Ravenna, Bibl. Classense, e Milano, Arch. Ricordi), è stata pubblicata a cura di A. Potito a Rimini nel 1985 con il titolo A. M.: autobiografia e documenti (1821-1873). Il diario manoscritto della permanenza a Costantinopoli del M. è conservato a Milano presso il Museo teatrale alla Scala. Numerose lettere del e al M. – alcune inedite – si conservano a Milano (Arch. Ricordi), Genova (Bibl. civica Berio e Arch. privato Monleone), Ravenna (Bibl. Classense), Firenze (Bibl. del conservatorio L. Cherubini), Bologna (Bibl. dell’Archiginnasio e Biblioteca e Museo della musica), Forlì (Raccolta Piancastelli), Pesaro (Biblioteca del conservatorio G. Rossini), Parma (Istituto di studi verdiani). Quest’ultimo prevede di pubblicare interamente il carteggio Verdi-Mariani.
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