MARZI, Angelo
MARZI (Marzi Medici), Angelo. – Nacque a San Gimignano il 25 maggio 1477 da Michele Marzi di Berardo, commerciante, iscritto alla locale arte dei merciai e pizzicagnoli; della madre è noto solo il nome di battesimo: Lena, forse diminutivo di Maddalena.
I Marzi cercarono successivamente di accreditare una loro origine fiorentina per facilitarsi l’ingresso nei ranghi del patriziato, ma l’unico fatto certo è la loro dimora a San Gimignano fin dai primi anni del secolo XIV, epoca in cui è documentata la loro presenza nelle cariche pubbliche del Comune. La famiglia annoverava diversi notai tra i suoi membri. Anche il M. e due dei suoi quattro fratelli furono avviati allo stesso curriculum studiorum, mentre gli altri entrarono nel clero.
Terminati gli studi il M. fu creato notaio a San Gimignano il 26 ag. 1496 dal conte palatino Lattanzio Casucci e quindi si immatricolò nell’arte dei giudici e notai; il 3 ag. 1503 ottenne anche l’immatricolazione a Firenze, condizione necessaria sia per esercitare la professione sia per accedere agli incarichi pubblici nella città e nel Dominio fiorentino. Date le scarse possibilità di impiego a San Gimignano, decise di dedicarsi alla carriera di notaio itinerante nelle corti di giustizia del Dominio.
Si trattava di incarichi temporanei, di solito semestrali, per i quali si veniva reclutati e pagati direttamente dal giusdicente (podestà, vicario o capitano), ruolo che era invece prerogativa dei soli cittadini fiorentini. Era quindi un impiego subordinato, con compensi assai modesti e non continuativi, ma che offriva l’opportunità di entrare in contatto con membri della classe dirigente fiorentina e di inserirsi in più rilevanti uffici della amministrazione centrale.
Dei vari spostamenti del M. rendono testimonianza i protocolli notarili, nei quali egli annotava in sintesi i contratti rogati; in numero di sei, coprono un arco cronologico compreso tra il 1503 e il 1527, anno del suo temporaneo esilio dallo Stato fiorentino. Il M. iniziò la sua attività professionale come notaio del podestà del Galluzzo nell’agosto 1503; dopo un semestre passato a fare il vicario feudale nella contea di Monteacuto, signoria dei Barbolani, si recò dal marzo 1504 a Scarperia per un altro semestre come notaio degli atti criminali del vicario Giovan Paolo Lotti.
Dell’incarico svolto a Scarperia è rimasto nel locale Archivio comunale un frammento di registro di sua mano, che presenta gli stessi tratti caratteristici dei suoi protocolli: grande acribia delle registrazioni, scrittura ariosa e regolare, frequenti invocazioni a carattere religioso, disegni geometrici e ghirigori per decorare le lettere maiuscole. Contengono inoltre alcuni brevi componimenti poetici in rima del M. e suoi sporadici ricordi e annotazioni personali.
Negli intervalli di tempo intercorsi tra la fine di ciascun incarico e l’inizio del successivo, il M. tornava a San Gimignano, dove saltuariamente si dedicava alla professione privata, esercitando talvolta incarichi pubblici nel governo locale.
Una grande opportunità per la sua carriera fu costituita, nel dicembre 1504, dalla cooptazione nella «famiglia» di Francesco de’ Medici, designato a ricoprire la carica di capitano della Montagna di Pistoia. Francesco, titolare di una florida azienda mercantile, apparteneva a un ramo cadetto della famiglia Medici; cooptato nella ristretta cerchia della classe di governo, fu tre volte priore e una volta gonfaloniere di Giustizia, oltre ad aver ricoperto vari incarichi di giusdicente nel Dominio. Non sono note le vie e le intermediazioni attraverso le quali i due vennero in contatto. Il M. fu nuovamente con Francesco de’ Medici nell’aprile 1508, quando questi ricoprì l’ufficio di capitano di Cortona e nel 1515, quando fu inviato commissario straordinario a Pistoia per pacificare la città in preda alle lotte di fazione (il testo delle deliberazioni emesse dal commissario a questo scopo si trova in uno dei registri notarili del Marzi). In precedenza, nel marzo 1506, il M. aveva avuto occasione di andare in ufficio a Pieve Santo Stefano con il fratello di Francesco, Giovenco de’ Medici. Il rapporto di patronato instaurato tra Francesco de’ Medici e il M. si estese anche ai due fratelli notai, Pierpaolo e Vincenzo, che in varie occasioni fecero parte delle famiglie di Francesco e di Giovenco de’ Medici.
Fu lo stesso M. in più occasioni, e soprattutto in un frammento autobiografico, a porre espressamente alle origini della propria fortuna Francesco de’ Medici, dichiarando di essere divenuto «suo servidore dal 1505» (Arch. di Stato di Firenze, Carte Marzi Medici, 4, ins. 3: Nativitas Petri Poli de Martis, c. 1). Tra la fine del 1510 e l’inizio del 1511 il M. entrò, con la qualifica di coadiutore, nella Cancelleria della Repubblica fiorentina (il suo primo atto rogato in Cancelleria porta la data del 21 genn. 1511). In seguito alla nomina il M. si trasferì definitivamente a Firenze, dove non poteva contare su legami di parentela o conoscenze personali, a parte il rapporto di patronato con Francesco de’ Medici, al quale dunque presumibilmente doveva la sua assunzione nella Cancelleria, in un ruolo subalterno, ma comunque molto ambito.
Il M. fu addetto alla seconda Cancelleria, di cui era titolare Niccolò Machiavelli. Nell’ambito di quest’ufficio fu addetto in particolare alla copiatura del testo delle missive nei registri di copialettere, rimasto arretrato di quasi un anno e che egli riprese a partire dalle lettere del marzo 1510, come si può riscontrare dalla comparsa della sua grafia nei documenti (Ibid., Signori, Missive II Cancelleria, 37, c. 81; sono di sua mano anche i registri 38 e 39 della stessa serie) e dal vezzo di inserire invocazioni alla Madonna nell’incipit dei documenti ufficiali. La modestia dell’incarico lo salvò dalle conseguenze del cambiamento di regime nel 1512, con il ritorno dei Medici al potere e il licenziamento di Machiavelli. Dopo la restaurazione dei Medici per il M. iniziò un nuovo periodo di ascesa professionale.
Intanto si stabilì a Firenze insieme con la moglie, Cornelia di Bartolomeo Benvenuti, anche lei di San Gimignano, sposata circa nel 1506 e dalla quale ebbe almeno un figlio, nato nel novembre 1522, ma che non sopravvisse.
Nel 1514 ottenne licenza di assentarsi dalla Cancelleria, essendo stato richiesto come cancelliere da Francesco de’ Medici, in occasione della sua nomina a commissario straordinario di Pistoia. Durante quel periodo fu sostituito dal fratello maggiore Pier Paolo, che da allora seguì pedissequamente le sue orme. Sempre nel 1514 si recò per alcuni mesi a Roma dal nipote del suo protettore, monsignor Guido de’ Medici, protonotario apostolico, che lo introdusse negli ambienti curiali e forse lo presentò a papa Leone X e al cardinale Giulio de’ Medici. Tornato a Firenze, riprese servizio alla seconda Cancelleria, ottenendo il 3 giugno 1516 la promozione a cancelliere, con una motivazione molto elogiativa a riconoscimento della sua fedeltà e della diuturna applicazione ai suoi compiti.
In seguito, tramite l’intermediazione di Goro Gheri, segretario di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, fu assunto nella Cancelleria degli Otto di pratica, al posto di Girolamo Della Valle, morto nel settembre 1516. Il provvedimento che designava il M. a succedere a Della Valle risale al febbraio 1517, ma ai fini economici gli fu data validità retroattiva dal settembre 1516. Si trattò quindi di condizioni eccezionalmente favorevoli, che denotano l’avvenuto ingresso del M. nella cerchia dei più intimi collaboratori dei Medici a fianco di Niccolò Michelozzi, cancelliere mediceo fin dai tempi di Lorenzo il Magnifico, e di Giovanni da Poppi, che contemporaneamente svolgeva le mansioni di segretario di Lorenzo de’ Medici.
Anche per il M. si può ipotizzare l’esercizio contemporaneo delle due funzioni: quella di cancelliere degli Otto di pratica e quella di segretario di fiducia della casa de’ Medici, in quanto proprio dal 1516 prende avvio un copialettere da lui tenuto, in cui la corrispondenza personale è promiscuamente registrata con quella tenuta per conto della famiglia de’ Medici e nel cui incipit si definisce «uno de’ cancellieri della Illustrissima casa de’ Medici» (Ibid., Carte Marzi Medici, 36, c. 1). Le annotazioni contenute in questo registro giungono fino al maggio 1523 e poi continuano in altro registro dove si dice che le lettere ivi registrate sono state scritte dal M. per conto «del cardinale di Cortona, in assenza del cardinale de’ Medici», cioè di Silvio Passerini, che al momento dell’assunzione al pontificato di Giulio de’ Medici fu delegato come rappresentante degli interessi della famiglia de’ Medici a Firenze (ibid., 37, frontespizio). In quel periodo la presenza del M. nella Cancelleria fiorentina fu discontinua, come si evince dai luoghi di rogito registrati nei suoi protocolli notarili, probabilmente a causa degli spostamenti effettuati per incarico dei suoi superiori. Tra gli incarichi ad personam ricevuti nell’ambito dell’ufficio degli Otto di pratica, fu la missione affidatagli il 3 dic. 1517 per dirimere una controversia di confine fra i Comuni di Popiglio, in territorio Pistoiese, e Pontito, sotto il dominio di Lucca.
Al 1516 risale una delibera che accordava al M. e al fratello Pier Paolo l’abilitazione agli uffici pubblici della città, mentre il 30 ag. 1519 agli stessi fu conferita la cittadinanza fiorentina a pieno titolo, trasmissibile agli eredi. Poco prima, il 29 luglio 1519, il M. aveva lasciato il suo posto nella Cancelleria degli Otto di pratica, per essere impiegato a tempo pieno presso la famiglia de’ Medici e i suoi rappresentanti; al suo posto fece subentrare il notaio sangimignanese Girolamo Casucci.
Nel 1519, morto Lorenzo de’ Medici, il M. e il fratello passarono al servizio esclusivo del cardinale Giulio de’ Medici, designato da papa Leone X come successore di Lorenzo. Mentre il M. rimaneva a Firenze, in palazzo Medici, a sbrigare la corrispondenza per il cardinale e a informarlo minutamente su tutte le questioni, quando questi si assentava da Firenze, il fratello Pier Paolo si trasferì a Roma, restandovi anche dopo l’assunzione di Giulio de’ Medici al soglio pontificio, con il nome di Clemente VII. In questo modo i due fratelli Marzi divennero il tramite delle direttive adottate a Roma, che sempre più spesso incidevano sulle questioni interne fiorentine. Per il cardinale de’ Medici il M. aveva anche espletato mansioni che comportavano maneggio di denaro, tanto che dopo la sua ascesa al soglio pontificio questi gli rilasciò una quietanza di buona amministrazione.
Nel frattempo anche le condizioni economiche della famiglia avevano risentito favorevolmente di questi sviluppi professionali: quasi priva di beni immobili, a partire da questi anni avviò una serie di investimenti immobiliari soprattutto a San Gimignano, approfittando dell’esenzione da tutti i dazi e gravezze accordata al M. nel 1518 in ricompensa dei molti servizi resi alla Comunità e per i quali dal 1521 il M. ebbe una delega ufficiale, venendo nominato sindaco per gli affari di San Gimignano.
Il M. e i suoi familiari erano ormai considerati a tutti gli effetti creature dei Medici, tanto da subire le conseguenze del rivolgimento istituzionale del 1527.
Il 27 aprile di quell’anno, infatti, la notizia dell’approssimarsi del sacco di Roma e le conseguenti difficoltà di papa Clemente VII favorirono l’insorgere di un tumulto antimediceo che coinvolse la quasi totalità della classe dirigente fiorentina, avversa ai metodi di governo del cardinale Passerini. Da quegli avvenimenti prese origine l’ultima Repubblica di Firenze, durata fino al 1530.
Il M. fece ancora in tempo a rogare in palazzo Medici un accordo tra Firenze e Venezia stipulato il 28 apr. 1527 e alcuni atti accessori, la cui definizione si protrasse fino al 15 maggio, dopodiché dovette seguire in esilio il cardinale Passerini e i due più giovani membri della famiglia de’ Medici, Ippolito e Alessandro, essendo stato comminato anche contro di lui il bando di ribelle. Al seguito di Ippolito e Alessandro si recò prima a Lucca e poi a Roma. Il fatto che nella partenza il M. si fosse portato dietro i sigilli ufficiali con i quali si usava contrassegnare la corrispondenza causò molte difficoltà al nuovo regime, poiché i comandanti delle fortezze e i rettori del territorio erano restii a prestare fede agli ordini inviati da Firenze, in quanto privi dei segni che ne garantivano l’autenticità, ma ben presto si poté ovviare a questo inconveniente.
Il bando di ribelle comportò per il M. la confisca e la vendita di tutti i suoi beni, ma i successivi avvenimenti gli permisero, tre anni dopo, il recupero del patrimonio. Durante il soggiorno presso la Curia pontificia il M. ricevette vari incarichi di governo presso città dello Stato della Chiesa. Ai primi del 1528, rimasto vedovo e senza figli, ricevette gli ordini sacri e, il 10 ott. 1529, ottenne la nomina a vescovo di Assisi.
La carica era rimasta vacante per la morte del cardinale Silvio Passerini. La nomina del M. dovette però dispiacere a Malatesta Baglioni, signore di Perugia e artefice della recente riconquista di Assisi, tanto che il 2 maggio 1529 Clemente VII sentì il bisogno di giustificarsi con Baglioni, inviandogli un breve in cui si diceva che il vescovado di Assisi non era stato concesso al candidato a lui gradito perché già precedentemente promesso ad altri. Questa promozione non ebbe conseguenze sulla vita della diocesi, né sugli assetti locali, in quanto il M. non vi mise praticamente mai piede e si limitò ad appaltarne le rendite.
L’assenza dalla diocesi di cui era titolare era dovuta al fatto che fu continuamente utilizzato in altri incarichi: il 5 ag. 1530 fu inviato a Fano come governatore e successivamente svolse lo stesso incarico a Bologna. L’8 luglio 1530 era stato inviato dal papa a Firenze, assediata dalle truppe imperiali, per trattare il ritorno della famiglia de’ Medici. Questo tentativo non ebbe successo; anzi i repubblicani più intransigenti considerarono questa iniziativa priva di qualsiasi credibilità, poiché se avesse avuto qualche fondamento il pontefice non avrebbe scelto il M. come inviato, bensì «qualche persona di credito e di giudizio» (Busini). Da Bologna il M. fu richiamato dallo stesso pontefice con lettera del 29 genn. 1531, quando, ormai definitivamente vinta l’ultima resistenza della Repubblica fiorentina, la famiglia de’ Medici si apprestava a tornare al potere a Firenze.
Dopo il ritorno in città, il M. ottenne la reintegrazione dei beni che gli erano stati espropriati e il proprio ruolo nella Cancelleria medicea, collaborando alla ricostruzione dell’apparato di governo mediceo sotto Alessandro de’ Medici. Durante tutta la sua carriera, il M. seppe utilizzare la propria posizione negli uffici della Cancelleria fiorentina non solo per guadagnare e mantenere il favore della famiglia de’ Medici, ma anche per ottenere il consenso e il riconoscimento da parte della classe dirigente fiorentina, dalla quale, tuttavia, continuò a essere considerato con sospetto e sufficienza.
Significativa a questo proposito la riflessione dello storico Bernardo Segni che, nel delineare le caratteristiche del Principato mediceo ai suoi esordi, si trovò a fare questa considerazione, che sembra ritagliata espressamente sulle vicende e sulla carriera del M.: «la maggior parte delle faccende di fuori e dentro la città di Firenze erano amministrate da forestieri agenti o da uomini del dominio che, venuti su per via di notai, erano stati tratti in grandezza di maneggiare lo stato di questa città» (B. Segni, Storie fiorentine, Augusta 1723, p. 177).
Gli sforzi del M. per pacificare gli animi dopo la restaurazione medicea del 1530, e per proporsi come elemento di mediazione tra chi aveva favorito il ritorno dei Medici e chi vi si era strenuamente opposto, si spinsero fino al punto di occultare o addirittura censurare alcuni atti ufficiali del periodo della breve esperienza repubblicana. In particolare, il M. rivolse la sua attenzione ai verbali delle Consulte e Pratiche, cioè delle convocazioni politiche segrete della Signoria fiorentina di quel periodo, nelle quali avevano avuto modo di intervenire ed esternare il proprio parere i membri più coinvolti del reggimento fiorentino. Questi atti furono dal M. censurati e manipolati. Lo scopo ufficiale di tali interventi viene dichiarato dallo stesso M. nell’incipit del registro: «Questo libro si è tenuto secreto et tiene per me [...] vescovo de Ascesi per non dare materia di offensione ad chi haveva in quel tempo consigliato, con diffamationi et iniuriosi improperii, come si costuma di chi si è aquietato et aderito allo stato et governo della illustrissima et felicissima casa de’ signori Medici» (Arch. di Stato di Firenze, Consulte e pratiche, 72).
Durante il governo di Alessandro de’ Medici, il M. posò la prima pietra della fortezza di S. Giovanni Battista, costruita in città come deterrente a ulteriori sommovimenti. Una volta ultimata la costruzione, il 15 luglio 1534, il M. fu chiamato a celebrare l’avvenimento con una messa solenne concelebrata con l’arcivescovo di Firenze, Andrea Buondelmonti.
Nel gennaio 1537, il M. fu coinvolto in prima persona nelle drammatiche vicende seguite all’assassinio del duca Alessandro da parte del cugino Lorenzino de’ Medici. Dapprima aiutò senza volerlo la fuga dell’omicida, poiché, in qualità di maestro di casa del duca e responsabile del servizio postale della corte, accordò al fuggitivo, che aveva addotto motivi familiari per la concitata partenza, il permesso di usare i cavalli della posta. Finalmente aggiornato sugli avvenimenti, si adoperò per salvare parte del tesoro ducale, nascondendolo a casa sua e poi consegnandolo, secondo una sua testimonianza giurata resa alcuni anni dopo, al cardinale Innocenzo Cibo. Questo denaro fu adoperato da Cibo per pagare le truppe di Alessandro Vitelli, richiamate in tutta fretta in città per prevenire eventuali tumulti (Ibid., Notarile antecosimiano, 9325, c. 217). Inoltre il M. dette prova di grande prudenza, adoperandosi affinché la notizia dell’accaduto si diffondesse il più tardi possibile, in modo che le truppe di Vitelli avessero il tempo di arrivare a Firenze.
Anche con Cosimo I il M. seppe instaurare ottimi rapporti, tanto che questi, agli inizi del suo principato, il 1° ott. 1537, donò alla famiglia Marzi le proprie insegne e le conferì il privilegio di aggiungere al proprio il cognome Medici.
Tale concessione fu diretta ai nipoti del M., ma la motivazione addotta per questo gesto, «la fede del Reverendissimo Angelo Marzi […] inverso di noi e tutta la nobile stirpe dei Medici […] rara e perfetta» (Ibid., Carte Marzi Medici, 11, ins. 37), voleva costituire un riconoscimento per l’attività profusa dal M. durante tutta la sua vita.
Durante il governo di Cosimo I il M. acquisì una posizione chiave nella Segreteria ducale: nel 1539 fu nominato segretario alle suppliche, divenne cioè il vertice dell’apparato preposto a distribuire dispense, grazie e privilegi in nome del sovrano.
Il M. aveva ricevuto anche da papa Clemente VII molti riconoscimenti, morali e materiali: il 20 febbr. 1532 ottenne la facoltà di testare fino a un valore di 5000 ducati d’oro, di cui usufruì il 17 sett. 1537 per fare testamento, lasciando eredi universali i nipoti. Nella stessa occasione elesse suoi esecutori testamentari Cosimo I, la madre di questo, Maria Salviati, Alessandro Vitelli, comandante delle forze armate al servizio del duca, e Francesco Campana, primo segretario ducale. Nel 1533 il papa gli conferì una pensione di 100 fiorini d’oro l’anno sulle rendite delle abbazie di S. Michele alla Verruca e S. Ermete d’Orticaia, entrambe nella diocesi di Pisa.
Nel 1541 il M. rinunciò al vescovado di Assisi e nel 1544 successe a Giovan Battista Figiovanni come priore della basilica di S. Lorenzo a Firenze, dove già da alcuni anni deteneva un canonicato.
Il M. morì a Firenze il 5 sett. 1546.
Fu sepolto nella cappella di cui aveva il patronato nella chiesa del convento dei frati serviti della Ss. Annunziata; sulla sua tomba fu fatto erigere un monumento funebre opera dello scultore Francesco Giamberti da San Gallo, probabilmente realizzato mentre il M. era ancora in vita, che lo raffigura nell’atto di alzarsi dall’arca, con in testa una tiara.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 4656, c. 110 (notizia del matrimonio del M.); 13240-13245 (registri dei protocolli notarili del M.); 14936, c. 30v; 15320 c. 5v; 15322, c. 4; 21065, c. 508; Otto di pratica, Repubblica, Deliberazioni, Condotte e stanziamenti, 6, cc. 58, 70, 76, 102, 144; 7, c. 79; 11, cc. 140, 178; 12, c. 89; Signori, Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 116, cc. 88, 132; Balie, 40, c. 174; 49, c. 6; Cittadinario, Quartiere San Giovanni, 1, c. 78v; Carte Marzi Medici, 5, ins. 1; 11, inss. 5 e 19; 36, cc. 135, 149 (notizie relative alla nascita e morte del figlio del M.); 37; 27, ins. 2; Carte Strozziane, serie I, 16, cc. 11, 50-53; 60, c. 22; 61, cc. 63, 84; 230, cc. 276, 283; ibid., serie II, 149; Scarperia, Arch. comunale, reg. 1; G.V. Coppi, Annali, memorie ed huomini illustri di Sangimignano, Firenze 1695, pp. 62 s., 78 s.; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 483; P.N. Cianfogni, Memorie istoriche dell’ambrosiana r. basilica di S. Lorenzo di Firenze, I, Firenze 1804, p. 232; D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche dell’ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo di Firenze, I, Firenze 1816, pp. 191, 292 s., 298 s., 301 s.; II, ibid. 1817, p. 331; B. Varchi, Storia fiorentina, I, Firenze 1843, pp. 161, 189, 191, 257 s.; II, ibid. 1843, pp. 180 s.; III, ibid. 1844, p. 259; L. Pecori, Storia della terra di San Gimignano, Firenze 1853, pp. 453 s.; G.B. Busini, Lettere a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, Firenze 1860, p. 107; A. Cristofani, Delle storie di Assisi, Assisi 1866, p. 514; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, pp. 314, 319, 327, 422; L. Berti, Il principe dello studiolo: Francesco I de’ Medici e la fine del Rinascimento fiorentino, Firenze 1967, p. 190; Storia d’Italia (UTET), XIII, Il Granducato di Toscana, I, I Medici, a cura di F. Diaz, Torino 1976, pp. 88, 91; G. Pansini, Le segreterie nel Principato mediceo, in Inventario del carteggio universale di Cosimo I de’ Medici, a cura di C. Lamioni - A. Bellinazzi, Firenze 1982, p. XXIII e ad ind.; Carteggi delle magistrature dell’età repubblicana. Otto di pratica, I, Legazioni e commissarie, a cura di P. Viti, Firenze 1987, pp. 497, 502, 504; Carteggi delle magistrature dell’età repubblicana. Otto di pratica, II, Missive, a cura di R.M. Zaccaria, Firenze 1996, pp. 527, 558; Inventario dell’Arch. preunitario del Comune di Scarperia (sec. XV - 1865), a cura di V. Arrighi, Firenze 1991, p. 29; V. Arrighi - F. Klein, Aspetti della Cancelleria fiorentina tra Quattrocento e Cinquecento, in Istituzioni e società in Toscana nell’Età moderna. Atti delle Giornate di studio, Firenze… 1992, a cura di M. Ascheri - A. Contini, Roma 1994, I, pp. 148-164; V. Arrighi - F. Klein, «Recare indubitato honore et utile alla patria». Profilo di un segretario agli albori del Principato: A. M. da San Gimignano, in I Ceti dirigenti in Firenze dal gonfalonierato di giustizia a vita all’avvento del Ducato. Atti del VII Convegno…, Firenze… 1997, a cura di E. Insabato, Lecce 1999, pp. 139-152; Hierarchia catholica, III, p. 120.