MAZZA, Angelo
– Nacque a Parma il 16 nov. 1741, ultimo dei ventiquattro figli di Orazio e di Rosa Benelani. Nel 1753, alla morte del padre, entrò nel collegio di Reggio Emilia, dove ebbe come insegnante di fisica e di greco Lazzaro Spallanzani.
A diciannove anni pubblicò la sua prima opera, di orientamento scientifico, la dissertazione Propositiones physico-mathematicae (Parmae 1760), ma si dedicò anche alla composizione di versi. Tra l’altro un sonetto indirizzato a Carlo Innocenzo Frugoni gli ottenne l’amicizia del vecchio poeta, che pubblicò la poesia insieme con la sua risposta nelle Rime per la monacazione di Luigia Del Bono (Parma 1761). Nel 1762 Spallanzani indusse il M. a proseguire gli studi all’Università di Padova, dove ebbe alcuni fra gli insegnanti migliori del tempo: C. Sibiliato, P. Brazuolo, M. Colombo, J. Stellini, G. Toaldo e A. Vallisneri iunior.
Intanto alle difficoltà economiche dovute alla non puntuale trasmissione delle sue rendite amministrate dal fratello Antonio, si aggiungevano le preoccupazioni per il futuro. Il M. doveva contemperare la propria inclinazione per le lettere e la poesia con lo studio delle materie giuridiche in vista di un possibile impiego nella corte ducale. Infatti senza un’importante protezione non avrebbe potuto aspirare a una cattedra allo Studio di Padova, né egli si sarebbe accontentato, come in quegli anni l’amico M. Cesarotti, di un impiego in qualità di precettore in una famiglia dell’aristocrazia veneziana. Prese anche in considerazione la possibilità di andare a Lucerna o a Lisbona al servizio di qualche personalità di rilievo, ma l’assicurazione di un suo prossimo impiego a Parma fattagli dal ministro L.G. du Tillot attraverso il padre P.M. Paciaudi lo convinse ad attendere ancora.
Stellini, del quale M. seguì i corsi padovani per sei anni, lo aveva incoraggiato anche allo studio della lingua e della poesia inglesi, che risultò determinante per lo sviluppo della sua personalissima poetica. La prima prova di tale impegno furono I piaceri dell’immaginazione, traduzione di un poema didascalico di Mark Akenside, The pleasures of imagination, ispirato ad alcuni saggi di J. Addison pubblicati nello Spectator. Per ottenerne il permesso di stampa, dapprima negatogli da un revisore ecclesiastico, il M. si rivolse a Gasparo Gozzi e la traduzione venne edita nel 1764, con falsa data di Parigi, dalla stamperia Cominiana di Padova, che nel dicembre del 1763 aveva pubblicato le Poesie di Ossian tradotte da Cesarotti.
L’accoglienza fu buona nonostante la prevista stroncatura di G. Baretti (Frusta letteraria, n. 19, 1° luglio 1764), che intravide un attacco personale nel generico biasimo ai critici della poesia moderna contenuto nella dedica in versi del M. a Frugoni. La traduzione non passò inosservata neppure a Cesare Beccaria che, pur non menzionandola direttamente, pubblicò nel Caffè un articolo dal medesimo titolo (I piaceri dell’immaginazione, 1765, t. II, foglio VII).
Nell’estate 1765, trascorsa a Venezia, il M. compose il poemetto filosofico in endecasillabi sciolti Per le felicissime nozze dell’eccellenze loro il n.u. Marino Zorzi e la n. donna Contarina Barbarigo (Venezia 1765), molto apprezzato dai Veneziani ma fortemente criticato a Parma, dove fu posto a confronto con i versi di Frugoni dedicati alle stesse nozze.
Se già nel poemetto per le nozze Zorzi-Barbarigo era introdotto il tema dell’armonia nel diletto preso dalla sposa per la musica e nella celebrazione della sua virtù (armonia morale), due anni dopo esso conquistò per la prima volta un’assoluta centralità con l’Ode sull’armonia (Parma 1767), versione dall’inglese dell’Ode on St. Cecilia’s day di Alexander Pope, primo dei componimenti che a scadenza annuale scrisse per i Filarmonici di Parma in occasione della festa di S. Cecilia.
Nel progressivo sviluppo della sua poetica il M. utilizzò il concetto di armonia per recuperare in modo sincretico una visione tipicamente greca della realtà. L’armonia viene ad assumere valenze non solo strettamente musicali, che pure ne sono il punto di partenza, ma anche ontologico-cosmologiche, antropologiche ed etiche. Vi si può rintracciare l’interpretazione ontologica eraclitea della realtà come «armonia dei contrari», come alcuni elementi pitagorici (il «tutto nasce a causa della necessità e dell’armonia» di Filolao), mentre a livello antropologico si riprende il concetto platonico di anima espresso nel Fedone (86 b-c) e la virtù stessa è interpretata come armonia, come ordine interiore, cosmo dell’anima.
Nel 1768 il M. ritornò a Parma, nominato segretario nell’Università dal ministro G. du Tillot. Nella primavera dell’anno successivo egli, avendo suscitato le ire di un ufficiale per motivi di rivalità in amore (probabilmente il conte Carlo Castone Della Torre di Rezzonico, poi suo rivale in poesia) subì una bastonatura notturna. Il M. denunciò i suoi assalitori a du Tillot, che non gli credette, cosicché da accusatore si ritrovò accusato di calunnia. Fu costretto agli arresti per due mesi e in luglio fu invitato ad allontanarsi dalla città. In attesa del richiamo si trasferì a Bologna, fornito di una lettera commendatizia dello stesso du Tillot per il senatore Quaranta Zambeccari. Nel soggiorno bolognese strinse amicizia con A. Buonafede, del quale aveva apprezzato nel soggiorno padovano la satira Il bue pedagogo contro Baretti, e con F.M. Zanotti. Il M., che aveva inviato lettere apologetiche e poesie a du Tillot sempre ricevendone cortesi ma elusivi ringraziamenti, poté finalmente ritornare a Parma il 10 genn. 1770, confermato segretario dell’Università. Nel 1771 pubblicò a Parma gli epitalami La notte e Il talamo per le nozze del conte Pietro Paolo Bianchetti con la marchesa Aurelia Monti, di pensosa sensualità, l’ode L’aura armonica, l’inno L’armonia, e si cimentò in altre traduzioni (tutte pubblicate a Parma) dall’inglese, attentamente trascelte come L’inno al Creatore, versione dello Hymn on the power of God di J. Thomson, La melodia, imitazione da W. Mason e La cetra, dall’ode pindarica The progress of poesy di T. Gray. Uscì in quell’anno O verità che d’ombra esci profetica, il primo dei quattro Canti in rime sdrucciole sui dolori della Vergine, che è anche il primo componimento di carattere religioso del M. a superare l’angustia del sonetto.
Il 31 luglio 1772 fu nominato, in sostituzione di G. Pezzana, segretario nella Deputazione accademica per le opere teatrali, della quale era presidente J.A. Sanvitale.
Nell’espletamento di questo ufficio non mancò di suscitare critiche in occasione del giudizio della Faustina, tragedia di Pietro Napoli Signorelli respinta dal segretario nel 1778 in seguito al voto sfavorevole della commissione, che poi, ripresentata l’anno successivo benché data alle stampe, fu acclamata e premiata. Ma già in precedenza alcune risentite lettere di Girolamo Pompei in occasione della premiazione della Rossana del conte F.O. Magnocavallo e del rifiuto della Barsene testimoniano quanto fosse delicato e spinoso il suo lavoro di segretario.
Nell’agosto dello stesso anno il M. ebbe la cattedra di lingua greca nell’Università parmense.
Da allora e per diversi anni attese alla traduzione di Pindaro. Confidò ad A. Pezzana di averne redatte due versioni, una letterale e una poetica. Simile metodo aveva seguito Cesarotti nelle due traduzioni dell’Iliade che, date alle stampe, la seconda col titolo di Morte di Ettore, subirono critiche ingenerose. Ammaestrato forse dall’esempio negativo dell’amico padovano, il M. preferì lasciarle inedite, per poi distruggerle negli ultimi anni della sua vita, così come distrusse le composizioni amorose giovanili, La scoperta amorosa e le Stanze sdrucciole intorno al Desiderio. Scomparse le versioni, rimane tuttavia l’impronta di questo instancabile esercizio di stile nella produzione originale del M., sia nelle odi di più ampia e varia tessitura, sia in semplici sonetti d’occasione, come nell’allora celebre sonetto sulla vittoria di un cavallo barbero, composto nel 1792 per le nozze di Massimiliano di Sassonia, con inconfondibili agnizioni onomastiche dalla Prima Olimpica.
Il 10 sett. 1772 l’Arcadia di Roma lo aggregò col nome di Armonide Elideo. Degli anni successivi sono due componimenti celebrativi, l’Egloga per la nascita del principe Ludovico di Parma (Parma 1773) e il poemetto intitolato L’augurio, dedicato ai duchi regnanti (ibid. 1774). Al luglio del 1774 risale invece la prima stesura delle Stanze a Melchiorre Cesarotti.
Composte in un suo possedimento sull’Appennino dove si era recato per sfuggire all’epidemia che aveva colpito Parma, Le stanze, che riprendono il metro dei componimenti religiosi per la Vergine Addolorata, descrivono l’arco di una giornata trascorsa dal poeta nel suo rifugio campestre, alternando, nella quiete della natura, attività fisica («l’util Fatica») con l’otium contemplativo. La pacata visione del teatro della natura induce il M. alla serena accettazione dell’impossibilità di arrivare con la ricerca filosofica alla piena conoscenza del mondo e gli ispira poi la celebrazione, in una sorta di pantheon ideale, dei grandi poeti antichi e moderni. La sera conduce infine il poeta a un rapido ritorno all’ospitale ricovero, dove Fillide gli appresta un pasto frugale, preludio al dolce oblio del sonno.
Dopo una grave malattia che aveva messo in pericolo la sua vita, il M. lasciò l’abito clericale (aveva preso soltanto gli ordini minori) per sposare, il 21 nov. 1775, Caterina Stocchi (che nel 1776 fu aggregata all’Arcadia col nome pastorale di Laurinda Timbria), dalla quale ebbe tre figli, Jacopo, Isotta e Drusilla. Per le proprie nozze il M. compose quattro sonetti, poi inclusi nel secondo tomo delle Opere (Parma 1816). Nello stesso anno il M. pubblicò l’Ode sul tempo, versione dell’Ode sur le temps di A.T. Thomas e l’Inno alla pace dell’animo, da T. Parnell, entrambi dedicati al duca Ferdinando e, per i Filarmonici di S. Cecilia, Gli effetti della musica (le tre odi Bellezza armonica ideale, Musica direttrice del costume e Il potere della musica sul cuore umano, imitazione dell’Alexander’s feast di J. Dryden). Il 23 febbr. 1778 morì il figlio Jacopo, all’età di diciotto mesi. Prima del 1780, secondo il Pezzana, il M. aveva composto anche il poemetto La grotta platonica, pubblicato solo trent’anni dopo.
Concepita probabilmente come introduzione al poema didascalico sul Bello armonico rimasto incompiuto (del quale furono accolti solo tre canti nel terzo volume delle Opere), La grotta platonica rievoca il mito della caverna (in Platone, Repubblica, VII) per compiere un excursus attraverso le fallaci opinioni degli uomini, prendendo come esempio gli errori di tre nobili filosofi dell’antichità, Epicuro, Parmenide e Zenone. Nella conclusiva celebrazione dell’armonia dell’Universo, creazione divina di verità e bellezza, spunti dalla Teodicea di G.W. Leibniz sembrano affiorare tra più riconoscibili e familiari motivi platonici.
Del 1785 è il poemetto in endecasillabi sciolti l’Androgino, in occasione delle nozze del marchese Giuseppe Lalatta con Bianca Villani, nel quale il M. riprende, semplificato anche per motivi di convenienza, il mito narrato da Aristofane nel Simposio di Platone. Dello stesso anno è la raccolta dei sonetti sui Novissimi intitolati L’eloquenza, Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso in occasione delle prediche del padre L. Alfonsoni in duomo. Nel 1786 collaborò con A. Bernieri e G.M. Pagnini alla traduzione in versi toscani della tragedia latina Christus di C. Martirano (suoi solo i tre inni e il giudizio di Pilato), rappresentata dagli scolari dell’Università nel collegio de’ nobili e pubblicata dalla stamperia Ducale. Nel 1787 il M. compose 25 sonetti morali dedicati ai predicatori J. Belli e L. Grosso.
In quell’anno ebbe anche inizio la persecuzione letteraria subita da parte di un oscuro letterato e notaio di provincia, Giambattista Fontana, che cominciò a redigere il Giudizio tritico, un giornale satirico manoscritto diffuso settimanalmente nella bottega del libraio Blanchon. Il M. non si sottrasse alla sfida e rispose puntualmente alle satire e ai libelli di Fontana per diversi anni, finché, nel 1813, la grave malattia che colpì il suo avversario non lo indusse a una riconciliazione. Ben più nota è la polemica con V. Monti occasionata dall’Aristodemo. La tragedia era stata rappresentata al teatro Ducale di Parma nell’autunno del 1786 alla presenza di Ferdinando I, premiata dal duca con una medaglia d’oro e replicata nell’anno successivo. Secondo Monti, il M. avrebbe tentato in ogni modo di impedirne la rappresentazione e sarebbe stato autore di satire contro la tragedia, redigendo anche l’opuscolo, in realtà scritto da L.U. Giordani, Note critiche ad una lettera del padre Guglielmo Della Valle. Nell’edizione Puccinelli dell’Aristodemo (Roma 1788) Monti introdusse una sarcastica nota contro il M., chiamandolo «Omero vivente», soprannome che il poeta parmense si sarebbe conferito con la «modestissima epigrafe apposta al rovescio d’una medaglia decretata a sé stesso con suo privato senatus-consulto». A queste accuse il M. rispose con una lettera pubblica, alla quale seguì una controreplica di Monti. La riconciliazione fra i due poeti, forse più apparente che reale, si ebbe diversi anni dopo in un casuale incontro a Parma all’albergo della Posta, poco distante dall’abitazione del Mazza.
Nel 1789, accompagnato da una nipote, il M. tornò a Padova e a Venezia e nel 1790 in Toscana, dove gran favore avevano riscosso le sue ultime composizioni filosofico-religiose, Le facoltà umane, raccolta di dodici sonetti dedicati ad Adeodato Turchi, vescovo di Parma dal 1788, e i sei sonetti per la monacazione di Anna Pavesi. Del 1791 sono Il convivio delle vergini e dell’anno dopo I doni dello Spirito Santo, due raccolte di sonetti per monacazione dedicate a Turchi, e l’ultima delle odi all’armonia, Musica ministra della religione. È del 1793 l’Ode a Teresa Bandettini.
Questa (la poetessa improvvisatrice Amarilli Etrusca) si era esibita a Parma dove era stata raccomandata al M. e a G. Bodoni, ottenendo grande successo. Il M. ne fu subito fervido ammiratore e amico. Ne resta testimonianza un non fitto ma cordiale scambio epistolare e anche il sonetto Ad Amarilli Etrusca del 1792, nel quale il M. le proponeva un argomento di improvvisazione in un’esibizione pubblica.
Sviluppando alcune tematiche già presenti nell’Ode alla Bandettini, l’anno successivo il M. compose L’uguaglianza civile (Parma 1794).
Scritta per l’ingresso al gonfalonierato di Giustizia di Bologna del conte Ferdinando Marescalchi e giudicata da W. Binni «un curioso plaidoyer contro l’uguaglianza rivoluzionaria sconvolgitrice degli ordini voluti dall’armonia», l’ode mostra una notevole consonanza con il pensiero di Turchi, così come veniva espresso in quel tempo nelle omelie in duomo (cfr. A. Turchi, Omelia recitata nel giorno di tutti i Santi nell’anno 1793 sopra l’uguaglianza evangelica, Parma 1793).
A Firenze, invece, furono pubblicate le Poesie (1794), in due volumi, curate da G. Rosini, con la dedica degli editori a Marianna Acciaiuoli; l’anno successivo, a Venezia, A. Dalmistro inserì nelle Versioni di varj dall’inglese la traduzione del M. di un’altra poesia di Parnell, A night-piece on death. Nel 1795 il M. fu proposto come professore di filosofia platonica dal vescovo di Anversa mons. C.F. De Nelis, rifugiatosi a Parma dopo l’occupazione francese del Belgio, ma la cattedra non venne poi istituita.
Gli anni successivi, che videro la scomparsa del Ducato e la dominazione francese, coincisero con un ripiegamento del M., che accettò il nuovo corso politico più con rassegnazione che con entusiasmo.
Pochi sonetti in lode di Napoleone Bonaparte furono il più importante tributo che si sentì di dover pagare al nuovo regime. Unica eccezione fu forse il rapporto di reciproca stima con il generale S.A. Miollis, estimatore delle arti, mecenate e amico di Amarilli Etrusca. Per ricambiare una visita di cortesia che il generale gli aveva fatto in Parma nel 1797, il M. gli inviò una lettera con un sonetto, Miollis delle guerriere alme la prima, e intrattenne con lui una corrispondenza epistolare che continuò anche dopo la sua partenza dall’Italia.
Nel 1801, stampata a Parma dai fratelli Amoretti e dedicata A sua maestà d. Ludovico I di Borbone re dell’Etruria, apparve la raccolta dei 45 sonetti sull’armonia, scritti negli anni precedenti in diverse occasioni. Nello stesso anno compose il suo primo autoritratto senile nel sonetto Sei tu, t’appressi, sessagesim’anno. Nel 1807 il M. accettò l’ufficio di censore del Liceo di Parma, creato dal governo francese dopo la soppressione del collegio dei nobili. Sebbene l’Università fosse in una fase di rapido declino, fino all’anno successivo continuò a conferire lauree nel suo ufficio di segretario; venne poi giubilato col titolo di professore di letteratura antica.
Quando, soppressa la Gazzetta di Parma, Angelo Pezzana ebbe l’incarico, nel 1811, di compilare il Giornale del Taro, il M. gli fornì diverse composizioni inedite per il suo ebdomadario. Tra queste, a puntate, uscì La grotta platonica (nn. 57, 61, 62, 64 e 66), poi raccolta in volume l’anno successivo, corredata di note e preceduta dall’epistola in versi All’ombra di Meronte Larisseo (Cesarotti). Nel Giornale (n. 22) era già apparso il più leibniziano dei sonetti sull’armonia, intitolato Convenienza del sistema sociale col sistema fisico dell’universo (per questa collaborazione si veda anche Il Giornale del Taro. Ristampa anastatica dell’anno 1811, a cura di G.P. Coriani, Parma 1998, passim).
Nell’aprile del 1814, con la caduta del regime napoleonico, il M. assunse insieme con L. Bolla, I. Tommasini e G. Bertani, l’incarico di restaurare l’Università di Parma e venne nominato preside della facoltà di belle lettere, ma in ottobre fu colpito da una paralisi, che gli tolse per qualche tempo l’uso delle gambe. Intanto aveva cominciato a rivedere la pubblicazione delle sue Opere. I primi due volumi furono stampati a Parma nel 1816, il terzo era già preparato alla morte dell’autore, avvenuta a Parma nella notte tra il 10 e l’11 maggio 1817.
Fu sepolto nel nuovo cimitero della Villetta di Parma e il conte J. Sanvitale, suo pronipote, ne pronunciò l’orazione funebre.
Declinata rapidamente la sua fama già con la fine della Restaurazione, il M. è stato considerato al più come inconsapevole precursore di certe atmosfere preromantiche, soprattutto nelle traduzioni e imitazioni dall’inglese, che riecheggiano in alcuni versi di Foscolo e Leopardi. Solo in anni recenti egli ha trovato una parziale rivalutazione, che da «poeta mancato» (W. Binni) arriva al più generoso riconoscimento di «poeta d’inquieta sperimentazione» (Marchetti).
Oltre agli scritti già segnalati si ricordano: Rime degli Arcadi, t. XIII, Roma 1780, pp. 60 ss. e t. XIV, ibid. 1781, pp. 84 ss.; Versi sull’armonia, Firenze 1795; Poesie piacevoli, s.l né d. [ma Parma 1810]; Odi… tra gli Arcadi Armonide Elideo, ibid. 1815; Opere… tra gli Arcadi Armonide Elideo, I-V, ibid. 1816-19; Poesie…, I-III, Pisa 1822; Poesie… fra gli Arcadi Armonide Elideo, Livorno 1831; Poeti minori del Settecento: M., Rezzonico, Bondi…, a cura di A. Donati, Bari 1913, pp. 1-113; Lirici del Settecento, a cura di B. Maier, Milano-Napoli 1959, pp. 505-507; Poesia del Settecento, a cura di G. Gronda, Milano 1978, pp. 276-281.
Fonti e Bibl.: Nella Biblioteca Palatina di Parma è presente la maggior parte dei manoscritti del M. e dei carteggi, sia nell’Epistolario parmense sia nella Raccolta Micheli-Mariotti, acquisita solo nel 1964, dove sono anche le minute delle lettere stampate, ancora vivente il M., nell’Epistolario di M. Cesarotti (I-II, Firenze 1811; III-V, Pisa 1813). Nell’Archivio di Stato di Parma sono custodite lettere del M. (Corrispondenze diverse del barone V. Mistrali) e documenti relativi alla sua attività di segretario (Carteggio dell’Università, cartt. 24-25). Altre lettere del M. sono nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (lettere a Isidoro Bianchi, T.125 sup.-158 sup.); nella Bibl. Estense universitaria di Modena (Autografoteca Campori, ad nomen), nella Biblioteca municipale di Reggio Emilia (Mss. Reggiani, B.214.12); nella Biblioteca statale di Lucca (Epistolario di vari a Amarilli Etrusca, vol. 647); nella Biblioteca comunale di Mantova (Carteggio Bettinelliano); nella Biblioteca comunale degli Intronati di Siena (Autografi Porri); nella Biblioteca comunale di Forlì (Raccolta Piancastelli e Carte Bertola); nella Biblioteca nazionale di Firenze (Autografi Gonnelli, cart. 25, nn. 51-55); nella Biblioteca apost. Vaticana (Ferrajoli, 1008, n. 188; 1009, nn. 185, 218); nella Biblioteca universitaria di Bologna (Cart. Pozzetti, 2087); Revue encyclopédique, ottobre 1820, p. 129 (elogio del M.); A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VII, Parma, 1833, pp. 413-491; E. De Tipaldo, Biografie degli Italiani illustri…, VIII, Venezia 1841, pp. 265-269; A. Pezzana, A. M. Supplemento alle memorie che di lui si leggono in quelle degli «Scrittori parmigiani», in Strenna parmense a benefizio degli asili per l’infanzia, Parma 1842, pp. 2-10 (3 lettere a T. Bandettini); Poesie postume di Diodata Saluzzo…, Torino 1843, pp. 519 s. (2 lettere del M.); F. Bellini, Cenni intorno alla vita e alle opere di A. M., Parma 1845; G.B. Jannelli, Diz. biografico dei Parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 250-253; A. Rondani, Iacopo Sanvitale e le sue poesie, in Saggi di critiche letterarie, Firenze 1881, pp. 102-123 e passim; C. Capasso, Studi su A. M., Camerino 1901; A. Brianzi, Una satira inedita di A. M., Parma 1903; A.F. Rossi, A. M. e i tempi suoi, Parma 1905; E. Bertana, In Arcadia: saggi e profili, Napoli 1909, pp. 63 s.; A.M. Boselli, Il carteggio Bodoniano della Palatina di Parma, Parma 1913, pp. 112 ss. (5 lettere del M. a G.B. Bodoni); G. Melli, Rose e spine d’Arcadia, in Arch. stor. per le provincie parmensi, XXIII (1922), pp. 475-482; M.T. Balestrino, Versi inediti di A. M., in Aurea Parma, XIV (1930), pp. 186-189; A. Pigorini, Il poeta dell’armonia (A. M. parmense), Milano 1930; M.T. Balestrino, A. M., Milano 1932 (in appendice 198 lettere del M. al fratello Andrea e lettere a lui indirizzate di G. Pompei, G. Parini, V. Monti, L. Cerretti, P. Metastasio, P. Giordani e U. Foscolo, con risposta del M.); U. Valente, L’idea dell’infinito, in Riv. letteraria, VII (1935), 6, pp. 22-24; G. Micheli, Romagnosi e A. M., in Aurea Parma, XX (1936), pp. 18-24; Edizione nazionale delle opere di G. Carducci, XV, Lirica e storia nei secoli XVII e XVIII, Bologna 1936, pp. 196-213; G. Micheli, Il sonetto di A. M. e l’ode di Vincenzo Mistrali, in Aurea Parma, XXIV (1940), pp. 123-134; B. Croce, Verseggiatori del grave e del sublime, in La letteratura italiana del Settecento, Bari 1949, pp. 353-356; M. Corradi Cervi, L’inaugurazione del teatro Scotti al Ponte di Dattero (A. M. e la prima interprete della Agnese di Paër), in Aurea Parma, XXXIV (1950), pp. 15-20; C. Calcaterra, La mutazione di A. M., in Id., Il Barocco in Arcadia e altri scritti sul Settecento, Bologna 1950, pp. 115-127; A. Vallone, Dal Caffè al Conciliatore, Lucca 1953, pp. 41 s.; M. Turchi, Per una recente interpretazione di poeti del Settecento parmense, in Aurea Parma, XXXIX (1955), pp. 81-84; F. Ulivi, Settecento neoclassico, Pisa 1957, pp. 238-240; A. Barilli, Il Correggio ed altri studi, Parma 1961, pp. 243-296; W. Binni, Classicismo e neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze 1963, pp. 178-190; A. Ciavarella, Gli autografi frugoniani della Biblioteca Palatina di Parma, in Atti del convegno sul Settecento parmense nel II centenario della morte di C.I. Frugoni… 1968, Parma 1969, pp. 146-159 (con 7 lettere di Frugoni al M.); C. Jannaco, Rapporti di A. M. con Foscolo e Spallanzani, ibid., pp. 217-222; E. Sabia, Reggio e Parma dal ’500 all’800, Reggio Emilia 1971, pp. 116 s.; A.T. Romano Cervone, La scuola classica estense, Roma 1975, pp. 27-31; G. Marchetti, «L’uomo di ragion» nelle «Stanze» a Cesarotti del M., in Aurea Parma, LXIII (1979), pp. 143-152; W. 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