MENGALDO, Angelo. –
Nacque a Cimadolmo, presso Treviso, il 3 giugno 1787 da Francesco e da Anna Forlin, in una famiglia originaria di Sacile che possedeva una villa con podere in località Tezze di Cimadolmo.
Il M., dopo la prima educazione in famiglia a opera di due sacerdoti, fu mandato a studiare nel seminario di Ceneda (attuale Vittorio Veneto). Si iscrisse quindi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova, ma, animato da spirito di avventura e vincendo l’opposizione della famiglia, lasciò gli studi e si arruolò come volontario nell’aprile 1806, nel reggimento Veliti della guardia reale del Regno Italico.
Militò nelle truppe napoleoniche impegnate dapprima in Dalmazia, poi in Montenegro e in Albania contro Russi e Montenegrini, e il 28 ag. 1806 fu ferito a Castelnuovo, alle Bocche di Cattaro. Ripresa la guerra nel 1809, combatté contro l’arciduca Giovanni d’Austria che aveva invaso il Veneto, e rimase ferito vicino a Verona. Sconfitto l’esercito asburgico tra Conegliano e Sacile, il M. fece parte delle armate che il 14 giugno sul fiume Raab, affluente del Danubio ungherese, sconfissero quelle austriache. Qui si rese protagonista di alcuni atti di valore personale; promosso sergente maggiore, quando l’armata d’Italia si riunì al resto dell’esercito francese, combatté valorosamente anche a Wagram (5-6 luglio), meritandosi un encomio personale da Napoleone Bonaparte e la promozione a tenente, anche se ricordò con modestia come questi veloci avanzamenti di carriera fossero dovuti alla sorpresa che ebbe Napoleone nel trovarlo, in un momento di riposo, intento a leggere gli Annales di Tacito (Meneghetti, Il «Cavaignac»…, 1, p. 328). A Milano negli anni 1810-11 diresse la scuola sottufficiali e fu relatore nei consigli di guerra. Il 13 genn. 1812 rimase vittima di un incidente in caserma, riportando la frattura delle gambe in più punti. Dopo pochi mesi partecipò, tuttavia, alla campagna di Russia, dove fu protagonista di altri atti di coraggio, salvando tra l’altro un superiore che non sapeva nuotare al passaggio della Beresina, nella battaglia del 26-29 nov. 1812; l’anno successivo, il 2 maggio, combattendo a Lützen, il M. salvò la cassa militare e gli archivi da un attacco improvviso di cosacchi, impresa che gli fruttò la nomina sul campo a cavaliere della Corona di ferro. Prigioniero per tre settimane nel castello di Magdeburgo, partecipò quindi alla battaglia di Lipsia (17-19 ott. 1813), proteggendo la ritirata della divisione italiana. All’abdicazione di Napoleone (6 apr. 1814) l’esercito si sciolse e il M. si ritirò con il grado di capitano, non partecipando al successivo tentativo dei Cento giorni.
Con la Restaurazione il M., temendo ritorsioni da parte degli Austriaci, lasciò Milano e la promessa sposa Isabella Prayer. Tornato a Padova, si laureò in legge, iniziando la pratica forense a Venezia, ma le restrittive leggi asburgiche ostacolavano l’esercizio della professione a chi aveva posizioni non politicamente omologate al regime austriaco: il suo passato napoleonico era noto quanto le sue attuali simpatie repubblicane, pur moderate da una prassi che lo vedeva contrario a sette e associazioni segrete. Rimasto inattivo per otto anni, il M. si dedicò alla letteratura, cimentandosi in composizioni poetiche e nella traduzione di autori dal tedesco, tra cui J.W. Goethe, e dal francese, e frequentò i salotti veneziani, aristocratici e borghesi, in particolare quelli di Giustina Renier Michiel, di Isabella Teotochi Albrizzi e di Marina Benzon.
Nel 1816, durante una di queste «conversazioni», conobbe, innamorandosene, Carolina, figlia del protomedico F. Aglietti. Il fidanzamento si interruppe bruscamente alla vigilia del matrimonio, questa volta a causa della giovane: ciò spinse il M. a un periodo di dissipazione, dal quale uscì anche in forza del legame con G.G. Byron, conosciuto il 27 marzo 1818 in casa del console britannico R. Hoppner. Con lui nei tre anni seguenti il M. ebbe un’intensa amicizia, nata dopo una celebre sfida natatoria lanciata a casa Benzon il 6 maggio 1818, in ricordo della quale venne istituita a Venezia, sino agli anni Cinquanta del Novecento, la Coppa Byron.
Un anno dopo, il 1° giugno 1819, a suggello dell’amicizia, Byron, in partenza per Ravenna, consegnò al M. alcune carte private che documentavano la sua vita intima a Venezia e i coinvolgimenti politici, con l’incarico di bruciarle se gli fosse accaduto qualcosa: cosa che il M. fece, all’indomani della sua scomparsa (aprile 1824, in Gracia), sulla spiaggia del Lido dove Byron avrebbe voluto essere sepolto.
In seguito il M. alternò la cura delle proprietà familiari, dove incentivò tra l’altro la coltura del baco da seta impiantando migliaia di piante di gelso, all’esercizio della professione forense. Nella veste di avvocato, e come amico della famiglia Manin, prese parte al consiglio di amministrazione della costruenda ferrovia Ferdinandea e vi sostenne la tesi di D. Manin e del cosiddetto partito di Treviglio, che patrocinava la soluzione di una linea ferroviaria che puntasse direttamente su Milano contro il gruppo che preferiva una deviazione della linea attraverso Bergamo.
Nel marzo 1848, alla notizia della liberazione di Manin e N. Tommaseo (che erano stati arrestati in gennaio), dalla sua villa di Tezze il M. accorse prontamente a Venezia, proponendosi a Manin, che per questo ruolo aveva pensato a F. Solera, come comandante della guardia civica. Alla fine il M. ottenne l’incarico con il grado di generale.
Il 18 marzo, insieme con altri, come gli avvocati G.F. Avesani e B. Benvenuti e il notaio G. Giuriati, il M. si recò una prima volta dal governatore delle province venete A. Palffy e dal comandante F. Zichy, forte di una richiesta condivisa dal podestà di Venezia, G. Correr, volta a ottenere il riconoscimento della guardia civica al fine di preservare la città dalle repressioni dei soldati e dagli eccessi rivoluzionari. Ottenutolo, nella veste di generale e dittatore, resse le sorti della città dal 19 al 23 marzo, prodigandosi per evitare spargimenti di sangue e inutili provocazioni.
Anche per questo, il 22, temendo che fallisse l’idea di Manin – da lui considerata una follia – di far insorgere l’Arsenale, a sorpresa gli rifiutò l’apporto ufficiale della guardia civica «provocando con una fortunata disobbedienza la riuscita più prodigiosa» (Fantoni, p. 252): Manin, infatti, con addosso la fascia bianca della guardia civica si recò egualmente all’Arsenale, seguito lungo la strada da un numero crescente di volontari e di guardie. In quella stessa mattina del 22 marzo, il M., prima da solo, poi affiancato da Avesani, Benvenuti e I. Castelli, convinse Palffy e Zichy a capitolare e a deporre le armi nelle sue mani, abbandonando la città.
A mezzogiorno del 23 marzo il M., in qualità di dittatore, proclamò la Repubblica in piazza S. Marco e annunciò il conferimento della presidenza a Manin. Il M. conservò il comando militare sino all’arrivo delle truppe napoletane del generale Guglielmo Pepe, riservando per sé quello della guardia civica, da cui si dimise il 6 luglio, dopo che la maggior parte del corpo aveva appoggiato la fusione con il Regno dell’Alta Italia; la sua rinuncia fu accettata dal governo solo il 12 agosto, poco prima del ritorno al potere di Manin, che tuttavia non lo reintegrò, ritenendolo indirettamente responsabile del pronunciamento delle guardie a favore di Carlo Alberto. Il M. fu poi inviato ambasciatore a Parigi e a Londra, per ottenere aiuto e sostegno, avvalendosi della sua amicizia con il generale L.-E. Cavaignac e con il primo ministro H.J. Temple, visconte di Palmerston.
In tale missione ottenne molte promesse ma nessun aiuto concreto, cosa che imputò anche alla rivalità con Tommaseo, affiancatogli da Manin nell’ambasciata parigina. Rientrato a Venezia in dicembre, rifiutò ogni compenso; ritornò all’attività agli inizi di febbraio del 1849 costituendo, su richiesta del governo, un corpo scelto che chiamò dei Veliti, in ricordo della sua esperienza napoleonica. Dopo il voto del 2 aprile in cui l’Assemblea decretò «la resistenza all’austriaco ad ogni costo», il reparto si distinse difendendo Venezia, Chioggia (famosa la sortita di Brondolo) e le lagune, sino alla resa del 24 ag. 1849.
Inserito dall’Austria nella lista dei 40 proscritti imbarcati sul «Pluton», il M., dopo essere stato a Nizza e Firenze, a Londra e a Genova, si stabilì a Torino.
Qui sfruttò la sua antica anglofilia e l’amicizia con l’ambasciatore britannico a Torino, lord J. Hudson, per fare da tramite con l’armatore R. Rubattino e contribuire così all’organizzazione della spedizione dei Mille. Il Regno sabaudo gli riconobbe il grado di generale di brigata, conferendogli anche il titolo di grand’ufficiale dell’Ordine Mauriziano e di ufficiale della Corona d’Italia.
Durante gli anni dell’esilio si attestò su posizioni sempre più moderate e di critica al passato rivoluzionario, rimproverando a se stesso soprattutto l’ottimistica e ingenua fede nella rivolta, ora vista come fonte di «anarchia» generale in Italia e in Europa (Meneghetti, Il «Cavaignac», 2, pp. 57 s.).
Ripensamenti che non gli impedirono, dopo il plebiscito del 1866, di unirsi alla delegazione veneta che rese omaggio a Vittorio Emanuele II – in palazzo reale a Torino con la bandiera tricolore e l’emblema del leone di S. Marco con i quali aveva proclamato la Repubblica il 23 marzo 1848 – e di recarsi in laguna per due volte, il 22 marzo 1867 e poi, l’anno successivo, al rientro delle spoglie di Manin dalla Francia.
Il M. morì a Torino il 20 maggio 1869.
Fonti e Bibl.: Lettere e scritti del M. sono conservati, a Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Fondo Provenienze diverse (cfr. catalogo, ad vocem); Fondo Bernardi. Torino, Museo del Risorgimento, Giordano Beotto, Arch. C.253 (ms. 1961): G. Beotto, Il generale A. M. - Un illustre patriota pioniere del Risorgimento italiano; A. de La Forge, Histoire de la République de Venise sous Manin, Paris 1852, pp. 229-258; J. Bernardi, Lord Byron e il generale M., Pinerolo 1866; Id., Lord Byron a Venezia e alcune memorie a suo riguardo tratte dai diarii 1818-1819 del generale A. M., in Ateneo veneto, IV (1881), pp. 81-103; G. Fantoni, Biografie di A.M. e G. Marsich, in Riv. storica del Risorgimento italiano, II (1897), pp. 251-255; A. Lumbroso, Il generale M., lord Byron e l’ode «On the star of the Legion of honor», Roma 1903; N. Meneghetti, Storia di una croce della Legion d’onore donata da lord Byron al cav. A. M., ora conservata nel Museo Correr, Pieve di Soligo 1907; Id., Una celebre gara di nuoto di lord Byron e A. M. dal Lido a Venezia, in Ateneo veneto, XXXI (1908), pp. 313-333; Id., Lord Byron a Venezia, Venezia 1910, in partic. pp. 105-127, cui si rimanda per altre fonti e bibl.; Id., Il «Cavaignac» di Venezia (Diario inedito del generale M. durante la rivoluzione e l’assedio di Venezia: 1848-1849), in Ateneo veneto, XXXIII (1910), 1, pp. 319-341; 2, pp. 5-58; Id., L’agonia del Regno Italico in tre lettere di A. M., ibid., XXXVIII (1915), 2, pp. 174-184; A. Bernardello, La prima ferrovia tra Venezia e Milano. Storia della i.r. privilegiata strada ferrata Ferdinandea lombardo-veneta (1835-1852), Venezia 1996, pp. 270 s.; Id., La guardia civica, in Venezia Quarantotto. Episodi, luoghi e protagonisti di una rivoluzione 1848-49 (catal.), a cura di G. Romanelli et al., Milano 1998, pp. 42-45; P. Brunello, Voci per un dizionario del Quarantotto, Venezia 1999, ad vocem; P. Del Negro, Il 1848 e dopo, in Storia di Venezia, IX, L’Ottocento e il Novecento, 1, a cura di M. Isnenghi - S. Woolf, Roma 2002, pp. 120-154; E. Cecchinato, La rivoluzione restaurata. Il 1848-1849 a Venezia fra memoria e oblio, Padova 2003, pp. 427-429; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49, Torino 2007, pp. 65, 106-115, 276, 313-323, 390.
M. Gottardi