MODOTTO, Angelo (Angilotto Ermagora)
– Secondogenito di Giovanni Battista e Maria Feruglio, nacque a Udine il 12 luglio 1900.
Iniziò a dipingere in epoca giovanile, prima della partenza per il fronte il 22 marzo 1918. Congedato a Roma il 15 ott. 1921, tornò a Udine e iniziò a frequentare l'atelier di A. Coceani, pittore d'impronta veneta e postmacchiaiola e poi, tra il 1922 e il 1923, il corso di disegno della scuola d'arti e mestieri Giovanni da Udine, lavorando contemporaneamente come commesso in una salumeria per mantenersi (Manzano - Venturoli, p. 5; Bucco, p. 157). Il paesaggio fu la sua prima fonte di ispirazione pittorica e poetica: dal 1924 cominciò a esporre presentando al caffè Contarena di Udine un Paesaggio (le opere del M. si trovano tutte in collezioni private, cfr. Bucco) e ad annotare in diari stati d'animo, impressioni, poesie, idee, sperimentazioni pittoriche, giudizi sull'arte e sugli artisti del suo tempo. Questi diari inediti (Udine, eredi Modotto), redatti fino al 1963, hanno permesso di individuare relazioni, amicizie e attività rimaste per molto tempo insondate e di ricostruire la personalità e il percorso artistico del M., che fu anche decoratore di mobili e creatore di gioielli nella bottega di L. Zoratti (Damiani, 2006; Bucco, pp. 99-107). Sempre a Udine, nella primavera del 1925, partecipò alla mostra di artisti e artigiani del rione Grazzano e, nel diario, annotò l'interesse e l'apprezzamento che alcuni esponenti dell'alta società cittadina manifestarono per le sue opere. Tra questi era il senatore E. Morpurgo che gli promise sostegno per la sua formazione artistica (L. Damiani, in Bucco, p. 28 n. 10). Udine però, nella seconda metà degli anni Venti, era lontana dal mercato artistico e l'ambiente culturale era estremamente limitato rispetto al clima vivace di altre città italiane come Milano, Venezia o Roma e il M., volendo sostenere con una solida formazione accademica la sua vocazione pittorica, nel 1925 si iscrisse all'Accademia di Venezia dove sodalizzò presto con i conterranei Afro, Dino e Mirko Basaldella e con C. Grassi; con quest’ultimo in particolare trovò maggiori corrispondenze artistiche e intellettuali (ibid., pp. 25-28).
Tra il 1926 e 1927, ispirandosi ai poemi medievali, modificò il suo nome in Angilotto e vi aggiunse quello di Ermargora, santo protettore della città di Udine. Affascinato dal Medioevo, ricostruì il proprio albero genealogico facendo risalire al XIV secolo il momento in cui il primo nucleo familiare dei Modotto si sarebbe stabilito nella borgata omonima del Comune di Moruzzo.
Nel 1927 presentò il dipinto La chiesetta di Castellerio alla II Esposizione nazionale dell'arte del paesaggio di Bologna e lo stesso anno, insieme con l'amico Grassi, fu presente all'Opera Bevilacqua La Masa di Venezia, dove tornò anche l'anno seguente, sempre con Grassi e con gli amici S. Filipponi e G. Pittino. Personalità complessa, altera e ambiziosa, ricca di idee, di coraggio e di iniziative, il M. rivendicò a sé la fondazione del «gruppo dei giovani pittori», avvenuta il 1° luglio del 1927 con gli artisti Afro, Dino e Mirko Basaldella, Filipponi, Grassi, Pittino, e con l’amico E. Trangoni (Manzano - Venturoli, p. 6; Damiani, in Bucco, p. 22).
Il M. si considerava il caposcuola del movimento e, nel diario, annotò compiaciuto l’influenza diretta della sua arte su Afro e Mirko e su Filipponi e Grassi, lamentando però che quest’ultimo seguiva la sua maniera, ma non i suoi principî e classificando come «rigidità» l’indipendenza artistica di Pittino che non mostrava di voler seguire la sua «strada maestra dell’arte» (ibid., pp. 36 s.). Fin dall’inizio si manifestarono diverse tendenze: da un lato Grassi e il M. orientati verso il mito del «primordio» (definizione data da M. Bontempelli per indicare la tendenza a una sorta di «realismo magico», di senso del mistero celato dietro le apparenze naturali «primigenio dominio spirituale del Mediterraneo») in consonanza con i temi di Novecento e anticipandone talvolta le iconografie, dall’altro Filipponi, interessato alla cultura espressionista dal segno semplificato della Neue Sachlichkeit, e i fratelli Afro e Dino Basaldella dalla cultura variegata «espressionista-barocca» orientata a una rilettura della pittura classica italiana che trovò poi assonanze con la scuola romana (Crispolti, p. 270; Damiani, 2000, p. 85). L’unico punto chiaro in comune, ovvero lo schierarsi contro il gusto locale accademico dell’epoca, resistette pochissimo ai dissidi sorti tra gli artisti.
Già in agosto il gruppo si sciolse e, fuoriusciti Grassi e Pittino, si ricostituì come «gruppo friulani artisti d’avanguardia» al quale il M. impose la direttiva di non partecipare alla II Biennale friulana (che avrebbe avuto luogo a novembre e alla quale sarebbero intervenuti invece Grassi e Pittino) e organizzò una mostra alternativa ottenendo l’appoggio di U. Nebbia (Id., in Bucco, p. 37). Il 1° ottobre il gruppo si costituì in scuola friulana d’avanguardia e il 18 ottobre fu inaugurata una mostra a palazzo Chiesa con 32 dipinti (di cui 16 del M. e gli altri di Afro Basaldella e Filipponi) e quattro sculture di Mirko e Dino Basaldella, il cui catalogo fu curato da Nebbia.
I dipinti del M. del 1927, quali Ferriera o Villanova delle Grotte, echeggiano, come quelli contemporanei dei Basaldella o di Filipponi, la struttura dei dipinti quattrocenteschi di scuola umbra e marchigiana, ma i colori sono più cupi e le forme più solide. Le nature morte del M., invece, cromaticamente luminose e concepite come solidi geometrici in sintonia con il recupero novecentista di Piero della Francesca e dei principî cézanniani, anticipano di un anno quelle dei compagni e costituiscono nell’insieme il tratto più comune al linguaggio variegato degli artisti.
Conclusa la mostra il 26 ottobre, si aprì un divario insanabile: il risentimento del M. nei confronti di Afro che riscosse qualche successo di vendita, fu espresso chiaramente nel diario: l’opera di Afro, per il M., avrebbe conservato qualche «filo passatista» al contrario della sua arte che non poteva essere ancora capita appieno essendo lui il «caposcuola» (Id., in Bucco, p. 42). Nel novembre il M. accusò Filipponi, Dino e Afro Basaldella di tramare contro di lui, di fargli guerra artistica e di essergli irriconoscenti, mentre rimase in buoni rapporti con Mirko. Partiti i Basaldella per l’Accademia di Firenze, il M. il 10 aprile si trasferì a Milano e nell'autunno successivo si diplomò all’Accademia di Brera dove si era iscritto anche Grassi. A maggio, nel corso della diatriba apertasi in Accademia alla chiusura della II Mostra di Novecento (attaccata dalle feroci critiche di R. Farinacci e difesa da C. Carrà), anche il M. intervenne schierandosi dalla parte del movimento novecentista; tale coraggiosa posizione colpì Aligi Sassu che gli divenne amico e lo presentò a B. Munari. Contemporaneamente il M. cominciò a frequentare R. Birolli e G. Ghiringhelli. Rientrato a Udine, dipinse La fabbrica Scaini adottando un lessico fiabesco, in linea con lo stile del Novecento «magico». Nel 1930 si trasferì per due anni e mezzo a Parigi entrando in contatto con personalità importanti del mondo artistico come G. Apollinaire, P. Guillaume, P. Picasso, G. Braque, J. Gris, F. Léger, e con gli artisti de l’Ècole italienne de Paris, con M. Tozzi, E. Prampolini, G. De Chirico, A. Savinio, M. Campigli, R. Paresce, F. De Pisis, e soprattutto con G. Severini, con il quale stabilì un rapporto di profonda amicizia. Lo stile di quest’ultimo, come le atmosfere di De Chirico e Savinio, ma soprattutto la filosofia di J. Maritain (improntata all’ «umanesimo integrale» basato sull’aristotelismo e sul tomismo per valorizzare la persona nella sua dimensione sociale, spirituale e religiosa in posizione polemica con la fede illuminista nella razionalità dell’uomo) furono determinanti nella produzione parigina del M. e si diffusero in Friuli grazie a lui e all’opera di divulgazione teorica di Grassi che, seppure fuoriuscito presto dal gruppo del M., restò sempre vicino all’artista e alle posizioni della scuola friulana.
La tendenza a «trascendere dal mondo reale» per «un mondo surreale, di sogno» (Manzano, p. 12), fu espressa attraverso il ricorso a figure stilizzate (quasi dei manichini geometrizzati) ambientate in inquietanti scenari medievali. I risultati di questa ricerca furono presentati nelle personali di Parigi nel 1931 e di Udine nel 1933. A Udine espose 40 opere, tra cui: Giovani in riva al mare, Due figure e torri, Torri sommerse, Cavallo rosso (1931); Gorgo, Nudo disteso (1932); la mostra non ebbe unanimi consensi, ma il M. continuò a lavorare alacremente e a esporre: nel 1932 inviò tre disegni a Mosca, espose a Milano (nella galleria Milano) e fu invitato a Istanbul e l'anno successivo espose a San Francisco (Bucco).
Nel 1933 si trasferì a Roma dove ritrovò Afro e Mirko e si stabilì in uno studio sulla via Flaminia. L’anno successivo espose alla galleria Sabatello con Grassi, Pittino, G. Grinovero e Mirko sotto l’egida della scuola friulana d’avanguardia; la mostra subì la feroce stroncatura di Libero De Libero, critico vicino ad Afro e Dino Basaldella e alla scuola romana, ma fu apprezzata dal pittore F. Gentilini e stimata da C.E. Oppo. A Roma frequentò l'imprenditore e mecenate R. Gualino e i pittori M. Mafai e G. Omiccioli. Il M. ebbe una costante attività espositiva e fu presente, tra l'altro, alle Quadriennali romane dal 1935 al 1943 e alla Biennale di Venezia del 1936; tra le opere di questo periodo si citano l’Isola, 1937; Bagno di sole, 1938, nelle quali adotta forme e colori più morbidi che uniscono reminiscenze del tonalismo veneto ai cromatismi accesi della scuola romana. Alla XX Mostra della galleria di Roma nella mostra organizzata nel 1939 dalla Confederazione fascista dei professionisti e artisti espose 18 opere tra cui Amanti al castello di Buja, Bagno di sole e Giardino solitario. Nel 1940 accettò l’invito del ministero dell’Educazione nazionale a collaborare con l’Ufficio per l’arte contemporanea istituito sulle direttive di B. Mussolini, per la creazione di un Ufficio biografico, bibliografico e fotografico degli artisti contemporanei.
Richiamato alle armi nel 1941, nello stesso anno tornò a Roma. Dal marzo del 1947 al giugno 1950 si trasferì a Buenos Aires dove espose in diverse gallerie ottenendo un buon successo di pubblico. Al ritorno in Italia si stabilì a Sutri dove, per tre anni, fu ospite nella villa del notaio T. Staderini. Coinvolto da quest’ultimo nella passione per l’arte antica e per la tutela di monumenti storici, divenne attivo collaboratore nell’Accademia di studi storici sutrini per la conservazione dei beni artistici; organizzò squadre archeologiche per le ricerche, una biblioteca e scrisse un Breve cenno storico di Sutri (E. Bevilacqua, in Bucco, p. 114). Nella villa ricevette amici e collezionisti, tra cui Gualino, E. Castelli e i fratelli E. e F. Gattinoni che girarono e produssero un film su Sutri etrusca. Dal 1953 tornò a Roma dove si dedicò a tempo pieno all’attività pittorica ristabilendo i contatti con gli artisti della capitale tra cui lo scultore S. Olivo e M. Maccari. Nel 1956 ebbe uno studio a villa Strolhl Fern che condivise, per un certo tempo, con il nipote G. Celiberti. In questi anni la sua pittura riprese lo stile metafisico del periodo parigino, accentuando la geometrizzazione delle figure e degli ambienti (Paesaggio metafisico, 1960; L’enigma del cavaliere, 1961).
Il M. morì il 25 apr. 1968 a Udine, dove era appena tornato a vivere.
Fonti e Bibl.: M. (catal.), a cura di A. Manzano - M. Venturoli, Udine 1972; L. Damiani, in Dino Mirko Afro Basaldella (catal.), a cura di E. Crispolti, Milano 1987, pp. 267-270; Id., La scuola friulana d'avanguardia e l'arte italiana del Novecento, in Le arti a Udine nel Novecento (catal.), a cura di I. Reale, Venezia 2000, pp. 85-87; Angilotto M. il maestro della scuola friulana d'avanguardia (catal.), a cura di G. Ellero, Udine 2003; L. Damiani, M., Treviso 2006; Angilotto M. pittore per grazia di Dio (catal.), a cura di G. Bucco, Udine 2009 (con ampia bibl. precedente).