NARDI, Angelo (Angelo Maria). – Nacque in località Razzo di Vaglia del Mugello (Firenze) il 19 febbraio 1584 da Giovanni, discendente da un’antica famiglia nobile del contado fiorentino, e da Caterina Magliani (Sánchez Cantón, 1925; Agulló y Cobo, 1978, p. 112)
A partire da Sánchez Cantón (1915) diversi studiosi hanno legato l’artista a una famiglia di fuoriusciti fiorentini che si oppose all’instaurazione del granducato di Alessandro de’ Medici, insinuando in maniera indiretta una parentela con lo storico e politico cinquecentesco Jacopo Nardi (1476-1563), ambasciatore toscano a Venezia negli ultimi anni della sua vita. Tale identificazione non sembra corretta, sebbene anche i Nardi di Vaglia avessero forti legami con la città lagunare, dove Francesco, zio di Angelo, esercitava la mercatura con i figli Domenico e Lorenzo.
A inizio Seicento Nardi, che doveva aver già ricevuto un primo apprendistato come pittore, dimorò a Venezia presso lo zio, per approfondire lo studio dei maestri della scuola veneta. Palomino (1724) sostenne che fu allievo di Veronese, in realtà dovette limitarsi a studiare e a copiare le opere di questo autore, morto quando Nardi aveva quattro anni. Non si conoscono opere che permettano di documentare la sua fase formativa in Italia e nemmeno dati sulle circostanze in cui, intorno al 1607-15 si recò in Spagna, probabilmente in cerca della fama che molti artisti italiani avevano raggiunto presso i monarchi della casa d’Austria.
Nel corso della vita fornì due date diverse del suo arrivo nella Penisola Iberica. Nel 1631 dichiarò in un’istanza indirizzata al re che risiedeva a Madrid da 15 anni (Justi [1888], 1999), mentre in una successiva testimonianza del 1658 sostenne che viveva in Spagna da 51 anni (Varia Velazqueña, 1960). La sua partenza è comunque relazionabile a un richiamo della corte di Filippo III (1598-1621), presso la quale erano diversi i pittori dell'Italia centro-settentrionale implicati in committenze reali (quali la nuova decorazione del palazzo del Pardo, ricostruito dopo l’incendio del 1604) e tra loro vi erano alcuni discendenti, ormai del tutto ispanizzati, di una prima generazione di artisti chiamata da Filippo II intorno al 1567 per la decorazione del monastero di S. Lorenzo dell’Escorial: Fabrizio Castello e Félix Castelo (figlio e nipote di Giovan Battista, detto il Bergamasco), Eugenio Cajés o Caxés (figlio di Patrizio Cascese) e il fiorentino Vicente Carducci o Carducho, giunto in Spagna a nove anni al seguito del fratello Bartolomeo Carducci.
Questo gruppo di pittori, soprattutto grazie ai Carducci – relazionati già da Ceán Bermúdez (1800) con la partenza di Nardi per la Spagna – imposero presso la corte il loro manierismo controriformato, che soddisfaceva particolarmente la sensibilità religiosa iberica e aprì la strada al naturalismo nella pittura spagnola del Seicento (come suggerì Longhi [1927], 1967, p. 121). La filiazione dalla scuola riformata fiorentina, particolarmente da Cigoli e Passignano, e la conoscenza dei risultati della scuola bolognese dei Carracci, garantì a Nardi una prolifica attività per una committenza principalmente ecclesiastica nell’area di Madrid e di Castilla-La Mancha.
Nel 1617 è documentato già come maestro, in un contratto di apprendistato di un Francisco López, mentre l’anno successivo firmò la stima dell’inventario di dipinti di uno dei suoi primi protettori in Spagna, Gaspar de Ledesma, membro del Consiglio cittadino di Baeza (Andalusia), per il quale aveva già eseguito dei quadri. Il primo incarico importante giunse nell’agosto 1619, quando firmò il contratto (Sánchez Cantón, 1945) per le 33 tele per la chiesa del monastero delle bernardine di Alcalá de Henares, il più corposo gruppo di dipinti tuttora conservati di Nardi. Il monastero era stato fondato dall’arcivescovo di Toledo, cardinal Bernardo de Sándoval y Rojas (1546-1618) che lasciò la cura del completamento della casa religiosa ai suoi esecutori testamentari, il camarero Luís de Oviedo e il segretario Sebastián de la Huerta. Nardi si impegnò a consegnare un quadro ogni due mesi e a rispettare le richieste di Luís de Oviedo riguardo al tema, le dimensioni, il numero e il prezzo imposto ai dipinti una volta completati.
I dipinti per i sei altari delle cappelle laterali, tutti firmati «Angelo Nardi ft. 1620», rappresentano l’Adorazione dei pastori, l’Adorazione dei magi, la Circoncisione, la Resurrezione, l’Ascensione e l’Assunzione della Vergine (tre misteri gloriosi e tre misteri gaudiosi) e mostrano in maniera chiarissima una sintesi degli elementi toscani e veneti assimilati negli anni italiani. Ad alcuni risultati propri del manierismo riformato toscano (l’Adorazione dei magi, la Circoncisione) si affiancano degli schemi compositivi fortemente ispirati a Tiziano o a Jacopo Bassano, interpretati da Nardi con un tratto fermo e una tavolozza di toni freddi (la Resurrezione, l’Ascensione, l’Assunzione).
Il resto delle tele di diverse dimensioni, che tappezzano letteralmente l’area del presbiterio, rappresentano – sulla parete di fondo – l’Immacolata e la Vergine Annunciata con l’Angelo Gabriele (dipinti su due tele diverse) e immagini di santi relazionati con l’ordine (S. Bernardo, S. Ildefonso, S. Humbertina e S. Lutgarda). Nella parte superiore della stessa parete un’enorme Incoronazione della Vergine (3 x 7 m) in cui il cardinal Sandoval, presentato alla Trinità da un angelo, ricorda la Gloria dipinta da Tiziano per Carlo V (Madrid, Prado). Sulle pareti laterali vi sono, a sinistra, un tondo con S. Francesco, accompagnato da due tele con la Conversione di s. Paolo e il Martirio di s. Lorenzo, mentre a destra un tondo analogo con S. Domenico è accostato al Martirio di s. Pietro e al Martirio di s. Stefano. Sono state attribuite (Guinard, 1960 p. 24) a Nardi anche le 14 tavolette, realizzate con veloci pennellate, che decorano il tempietto dell’altare maggiore con scene della vita di s. Bernardo e figure di santi dell’Ordine cistercense.
Nello stesso periodo, dovette affrontare una serie di cause contro i familiari di Marcos de Aguilera, pittore privo di un catalogo di opere documentate, defunto nel 1620. L’artista fiorentino risultava responsabile della bottega di Aguilera ancora nel 1622, perché la vedova, María Lozano, per mantenere in piedi l’attività del marito, aveva combinato il matrimonio tra il suo migliore collaboratore – Nardi – e la figlia Ana, tredicenne, mentre il figlio Lorenzo aveva fatto ingresso nella bottega come apprendista del cognato (Simón Díaz, 1947). Le nozze furono celebrate il 19 marzo 1623, ma la convivenza della famiglia nel domicilio di proprietà di María Lozano durò poco e portò a tre diverse cause tra gli Aguilera e il pittore, oltre all’annullamento del matrimonio, nell’ottobre 1625. Nella documentazione (ibid.) di questo lungo contenzioso vi è un inventario dei beni dell’artista, tra i quali figurano una serie di dipinti, in cui sorprende trovare un gran numero di nature morte – genere che non risulta sia stato praticato dall’artista – e composizioni dal titolo «i mesi dell’anno» o «le stagioni dell’anno».
La decorazione del monastero di Alcalà costituì l’opera più rappresentativa dell’intera carriera dell’artista, in cui espose un repertorio figurativo che continuò a ripetere con poche varianti nelle decadi successive. Per il successo riscosso da queste tele, ricevette altre commissioni dall’intorno del defunto cardinal Sandoval: il suo segretario de la Huerta, gli incaricò nel 1631 tele e affreschi per la cappella dell’Immacolata della chiesa parrocchiale de La Guardia (l’Annunciazione, l’Assunzione e santi relazionati con il culto dell’Immacolata), mentre il suo vescovo ausiliare, Melchor de Soria y Vera, gli commissionò intorno al 1634 il retablo dell’altare maggiore e i quadri di due altari laterali della chiesa del convento delle bernardine che aveva fondato nella sua città natale, Jaén (per gli altari laterali: Annunciazione e Assunzione, nel retablo la Crocifissione, la Sacra Famiglia con s. Anna, la Natività e figure di santi). Ove si trovò a riproporre temi già eseguiti per il convento di Alcalà (come l’Annunciazione e l’Assunzione della Vergine) mostrò nella ripetizione dei medesimi modelli veneti e toscani uno stile più maturo e aperto a influssi barocchi. Nella stessa città di Alcalà de Henares le sue opere vennero richieste da altre comunità religiose. La gran parte di questi dipinti andarono dispersi nel corso della guerra civile spagnola, come le tele per l’altare maggiore della chiesa dei gesuiti, un grande dipinto per l’altare della chiesa delle clarisse (firmato e datato 1647), un Crocifisso per la cattedrale e diverse opere per il monastero delle orsoline. Bruciò nell’incendio dell’Archivio di Alcalà del 1939 la grande tela con il Pranzo miracoloso di s. Diego (firmata e datata 1640) proveniente dal collegio di S. Maria di Gesú, che per Tormo ([1927], 1985) e Pérez Sánchez (1964) costituiva il capolavoro degli anni della maturità di Nardi, in cui l’autore mostrava la ricezione del naturalismo iberico di Francisco Zurbarán e Diego Velázquez. Della serie di opere per la chiesa delle carmelitane scalze del Corpus Christi de afuera restano solo la S. Teresa inginocchiata davanti alla Trinità – che Angulo Iñiguez - Pérez Sánchez (1969) credettero dispersa, citandone la foto eseguita dal Servicio de recuperación durante la guerra civile – e un Crocifisso datato 1648. Nel monastero delle orsoline si conservano invece un S. Gerolamo penitente, attribuitogli da Tormo ([1927], 1985), e un Crocifisso, firmato «Angelo Nardi/ruega/ lo encomienden/ a Dios» (Pérez Sánchez, 1964 p. 38).
Le numerose opere per i conventi di Alcalà, dove Nardi acquistò alcune case e dei terreni (in parte venduti nel 1654: Agulló y Cobo, 1978, p. 110), si alternarono all’esecuzione di dipinti per collezionisti privati e per altri luoghi di culto nei pressi di Madrid. Nel 1625 ricevette l’incarico, insieme allo scultore Antonio Herrera e a Francisco Granello (nipote del Bergamasco) di realizzare i quadri per un primo progetto di altare maggiore per la chiesa parrocchiale di S. Pedro di Vallecas di cui resta ancora, a destra dell’altare, una Liberazione di s. Pietro. Nel 1639 ottenne il saldo per due scene della vita della Maddalena (Noli me tangere e Assunzione della Maddalena) per l’altare della chiesa parrocchiale di Getafe a cui collaborarono anche Castelo e Jusepe Leonardo con altre due tele ciascuno.
Per l’assenza di una vera e propria evoluzione nello stile di Nardi è impossibile datare con precisione i dipinti conservati presso i padri scolopi di Madrid (un’Immacolata e un Crocifisso, che a sua volta ha permesso di ricondurre alla sua mano una tela del Bowes Museum a Barnard Castle proveniente dalla collezione del conte di Quinto), la coppia con l’Adorazione dei magi e la Presentazione al tempio in deposito presso il Museo nacional de arte decorativo di Buenos Aires (dalla chiesa di S. Nicolás de Bari della capitale argentina) e le due tele, già nel Museo de la Trinidad di Madrid e dal 1879 depositate presso il Museo di Huesca, raffiguranti la Presentazione di Gesù al tempio e S. Giuseppe con il Bambino (in cui uno scorcio di bottega di falegname ricorda molto le nature morte spagnole coeve) eseguite probabilmente per un convento carmelitano di Madrid.
Nelle chiese madrilene le fonti sette-ottocentesche (Palomino [1724], Caimo [1761], Ponz [1772-94], Ceán Bermúdez [1800]) attribuirono a Nardi varie opere, attualmente disperse: un S. Michele e un Angelo Custode ai due lati del retablo della cappella di S. Teresa nella chiesa di S. Ermenegildo dei carmelitani scalzi (realizzate intorno al 1646 per un cavaliere della famiglia Alarcón e la sua consorte, di casa Guzmán), un Angelo Custode e una Sacra Famiglia presso il pulpito della chiesa dei carmelitani calzados, una Natività per la sala del De Profundis del convento di S. Francisco (per Ponz e Ceán Bermúdez dispersa in occasione della riforma settecentesca della chiesa) una Visitazione nell’ospedale del Terz'Ordine francescano, un’Immacolata nella cappella de culpas del medesimo Terz’Ordine, un’Annunciazione nella sacrestia della chiesa di S. Justo, otto dipinti per l’altare maggiore della chiesa della Virgen de Atocha.
In tutti i dipinti realizzati tra gli anni Trenta e Quaranta Nardi si firmò come pittore del re («pictor regis» o «regis Philippi IIII pictor»), titolo che richiese il 30 maggio 1625, senza pretendere la retribuzione corrispondente ma solo in riconoscimento dei numerosi lavori già svolti per la corte, tra cui l’artista citava un quadro con lo scambio delle principesse per le doppie nozze reali spagnole e francesi del 1615, eseguito per «Sua Maestà» (Sánchez Cantón, 1915, p. 58). La datazione della tela, andata distrutta nell’incendio dell’Alcázar del 1734, diversamente da quanto espresso finora è da ricondurre ai primi anni di governo di Filippo IV, citato come committente dell’opera nel memoriale presentato da Nardi (ibid.). Il sovrano approvò la richiesta dell’artista, che nel 1627, per integrare il titolo onorifico con il rispettivo compenso, si unì al nutrito gruppo di candidati presentatisi per occupare il posto di pittore de cámara (o di corte: Sánchez Cantón, 1915; Martín González, 1958) detenuto da Bartolomé González, defunto in quello stesso anno. Una commissione formata da Velázquez, Caxés e Carducho stilò una lista di quattro preferenze fra i 12 richiedenti (e Nardi venne scelto), ma, a causa delle ristrettezze economiche della Real Hacienda, si decise di non assegnare il posto. Nel 1631 Nardi riuscì ad ottennere un salario equivalente a quello dei pittori di corte (che corrispondeva all’epoca a 72.000 maravedí annui) al fine di recuperare progressivamente i 670.202 maravedí che gli spettavano per i servizi prestati fino a quel momento al sovrano. L’anno successivo gli fu concessa anche un’abitazione, inclusa tra i benefici dei pittori del re, che per non essere adatta all’esercizio della pittura restituì parzialmente («cuartos segundo y tercero»: Agulló y Cobo, 1978, p. 108) ricevendo in cambio un compenso di 40 ducati annui, mentre ne affittò a terzi un’altra parte (Agulló y Cobo - Baratech Zalama, 1996).
La presenza nella documentazione su Nardi di attività commerciali condotte a termine contestualmente alla sua carriera artistica lo mostra personaggio scaltro e pronto a sfruttare ogni situazione a proprio vantaggio. Per esempio, a causa dei ritardi dei pagamenti da parte della corte (si conservano numerose suppliche che indirizzò alla Tesoreria reale: Sánchez Cantón, 1915; Azcárate, 1970) nel 1641 decise di utilizzare questa sorta di credito prestigioso per estinguere un debito contratto con Diego del Campo, dichiarando che i 131.835 maravedí di cui era debitore andavano scontati dalla somma – decisamente superiore – che gli doveva corrispondere la Tesoreria (Sánchez Cantón, 1915).
I primi lavori di Nardi come pittore di Filippo IV si iscrivono nella riforma generale dell’Alcázar di Madrid, commissionata dal sovrano a Juan Gómez de Mora. Nel 1627 prese parte al concorso narrato da Pacheco (1649) per l’esecuzione di un quadro di tema storico, rappresentante la Cacciata dei «moriscos» all’epoca di Filippo III, per il Salón Nuevo (o degli Specchi). La competizione, a cui parteciparono anche Carducho e Caxés, venne vinta di misura da Velázquez, che si affermò come l’artista più completo al servizio del re.
Tra le numerose decorazioni di ambienti del palazzo a cui si dedicò, sono documentati i pagamenti (Azcárate, 1970) per opere realizzate da lui o fatte eseguire sotto la sua supervisione, come la decorazione a trompe-l’oeil (con azulejos fingidos) di alcune stanze dell’appartemento della regina, la sistemazione in cornici dorate di alcuni quadri regalati da Rubens a Filippo IV (1628) destinati al salone degli Specchi, delle pitture a tempera nel soffitto della stanza per il nascituro infante Baltasar Carlos (1629) o la cura di macchine e scenografie per rappresentazioni teatrali. Inoltre diresse le decorazioni pittoriche di Giulio Cesare Semini e Félix Castelo per le esequie della regina Isabella di Borbone (1644) e di Baltasar Carlos (1646). Di tutti questi incarichi non è stata rintracciata alcuna testimonianza grafica, così come del resto non sembra si sia conservato alcun esemplare dei suoi disegni all’agua rosada che Ceán Bermúdez conservava nella sua collezione (1800, p. 222).
Dalla documentazione edita Nardi appare perfettamente inserito nella società di corte madrilena, in forte relazione di stima con Velázquez, che lo elogiò nella selezione di pittori di corte del 1627 e nel 1633 gli affidò l’incarico di incassare al posto suo un’importante somma di denaro in una transazione aliena alle mansioni di un pittore del re, relazionata alla vendita di una carica (Sánchez Cantón, 1915, p. 86).
Oltre a dipingere, svolse un ruolo di connoisseur, come annotò già Pellegrino Antonio Orlandi (1719) nel suo Abecedario pittorico, all’interno della voce dedicata a Vincenzio Carducci: «possedeva una singulare cognizione delle maniere dei Pittori e Sua Maestà frequentemente si serviva dell’opera sua nel dare giudizio sopra le pitture che faceva venire dall’Italia». L’affermazione fu raccolta da Ceán Bermúdez (1800), secondo il quale l’acume di Nardi era frutto dello studio e della copia delle opere dei maestri italiani. Il suo occhio, formatosi tra Firenze e Venezia, gli garantì dunque una lunga permanenza a corte, nel corso dell’intera traiettoria collezionistica di un amante della pittura italiana come Filippo IV. Nel 1644 valutò i dipinti elencati nel testamento della regina Isabella di Borbone e, tre anni dopo, i quadri del suo oratorio privato (Pérez Sánchez, 1965; alla decorazione dell'oratorio Nardi stesso aveva collaborato: Gérard, 1983 p. 282). Tra il 1653 e il 1654 scelse insieme a Velázquez i dipinti da destinare alle collezioni reali tra quelli acquistati per Luís de Haro dall’ambasciatore spagnolo in Inghilterra, Alonso de Cárdenas, nel corso della vendita delle collezioni di Carlo I Stuart (Harris, 1982). Com’è da immaginarsi, non sempre le sue expertises furono corrette, e contro le sue attribuzioni poco scrupolose si scagliò la critica ottocentesca di Pedro de Madrazo (1884). Fu richiesto anche per un numero considerevole di stime di raccolte pittoriche private (Burke - Cherry, 1997, II), in genere per collezionisti non aristocratici, relazionati con la corte e gli organi governo: segretari, consiglieri, giuristi, ufficiali di palazzo, ma anche colleghi pittori (tra gli altri, gli artisti Domingo Guerra Coronel, Juan van der Hamen e Juan Bautista Martínez del Mazo, il presidente del Consejo de Flandes e vescovo di Segovia, Ínigo de Brizuela y Arteaga, e il montero de cámara Pedro de Arce, uno dei più fini collezionisti della Spagna di Filippo IV, probabilmente consigliato da Nardi per i suoi diversi acquisti (ibid., I pp. 186-187). Nella contrattazione per il saldo di incarichi fu nominato spesso come perito (per esempio dal 1626 valutò i dipinti realizzati da Carducho per la certosa di El Paular), a volte scelto unanimamente da committente e artista, a prova della reputazione di affidabilità di cui godette.
La familiarità con il mercato artistico e il mondo del collezionismo influenzò la sua produzione pittorica, spesso chiaramente antologica e poco originale. Come notò Sánchez Cantón «Nardi da buon eclettico, pur non avendo un momento geniale, riesce sempre a piacere, perché c’è in lui un ricordo di tutti i maestri del Seicento» (1915, p. 61). Per questa ragione le sue opere furono particolarmente richieste, come dimostrano le stime elevate dei suoi dipinti e la presenza negli inventari di copie antiche dai suoi originali (Pérez Sánchez [1964], fig. 48, riprodusse una replica della Sacra Famiglia con s. Anna delle bernardine di Jaén nella collezione Díaz Cordobés di Madrid). Tanto per i collezionisti privati, quanto per le istituzioni religiose, dimostrò di saper assecondare i gusti dei suoi possibili clienti, inserendo citazioni dirette dalle opere dei maestri veneti del Cinquecento, le più ricercate nel mercato artistico spagnolo del tempo. Un chiaro esempio è l’Adorazione dei pastori (firmata e datata 1650) in collezione privata madrilena (ripr. in Pérez Sánchez, 1965) – l’ultima opera documentata dell’artista – che riprende così fedelmente alcuni stilemi di Bassano da far parlare di un inspiegabile arcaismo (ibid.).
In una lettera inviata nel febbraio 1651 a Giovanni Battista Gondi dall’ambasciatore toscano a Madrid, Ludovico Incontri, è riportato un lucido giudizio di Nardi (chiamato, come in altri documenti, «Angelo Maria») sui gusti spagnoli. L’artista sconsigliò all’ambasciatore di presentare un Ecce Homo di Cigoli come dono del granduca a Filippo IV perché «le pitture moderne in questo luogo non sono stimate niente, et che egli a molti cavalieri et in particolare al Nunzio Buoncompagni n'ha fatto riportar in Italia di Guido Reno, del Guercino da Cento, del Bassani, del Cigoli et altri simili, fra quali vien anche compreso il Rubens et havendoli io fatto vedere nel menarlo a spasso per mia casa l'Ecce Huomo, n'ha detto che qua assolutamente non sia stimato valere 100 scudi.» (Goldberg, 1992, pp. 109 s.).
La sua maniera di intendere la pittura, quale arte nobile, occupazione adatta a un esponente di un’antica casata signorile come lui, lo portò a scontrarsi con la fiscalità iberica, che vessava l’attività pittorica allo stesso modo delle altre produzioni artigianali, sottoponendola al pagamento dell’alcabala. Nel 1627 testimoniò a favore del fratello di Velázquez, Juan, che pretendeva l’esenzione dal pagamento di tale imposta (Matilla Tascón, 1984), in seguito (1633) sostenne la causa portata avanti da Carducho per cui il Consejo de Hacienda (organo supremo in tema di politica finanziaria) sancì l’esenzione dei pittori dall’alcabala per la vendita dei propri dipinti. Della sentenza si servì Nardi nel 1638 per far fronte a una nuova richiesta di pagamento a tutti i pittori di Madrid: inoltrò una petizione a nome di tutti i pittori della capitale, in cui l’avvocato Lucas de Aguilar espresse che «las pinturas que mis partes [h]azen para vender, por disposición del derecho [no] se tiene por mercadería sujeta a pagar alcavala, porque en ellas obra más el entendimiento que las manos» (Gallego 1976, p. 258). Il processo si risolse solo in fase di appello, in cui il Consejo de Hacienda tornò a ribadire l’esenzione concessa a Carducho nel 1633 (ibid.).
Un altro limite al libero esercizio della pittura erano le restrizioni corporative a cui erano sottomessi gli artisti madrileni. Nardi ottenne nel 1640 un decreto regio che lo dichiarò esente dalla necessaria iscrizione alla corporazione dei pittori e nel 1644 tornò a sollecitare un’altra real cédula per liberarsi dall’obbligo impostogli dai membri della corporazione di consegnare un’immagine della Vergine alla Confraternita dei Sette Dolori per la processione del venerdì santo, perché – argomentò Nardi nella sua richiesta – durante la settimana santa era occupato con la realizzazione dell’altare eucaristico nella Cappella Reale, essendo «el pintor más moderno» della corte (Azcárate, 1970, p. 54).
In linea con l’impegno per la nobilitazione della pittura in terra di Spagna si trova la sua testimonianza a favore di Velázquez, nella fase finale del processo di assegnazione al pittore del titolo di cavaliere dell’Ordine di Santiago, nel 1658. In questa sede dichiarò di risiedere in Spagna da 51 anni, di aver conosciuto il padre dell’artista in un viaggio a Siviglia in compagnia del primo ministro Luís Méndez de Haro e che Velázquez (come giurarono anche altri 16 artisti) non aveva mai ricevuto alcun compenso in denaro per le sue opere (Varia Velazqueña, 1960).
Nardi appare spesso citato come testimone nelle cause o negli atti ufficiali che interessarono gli altri membri della comunità di artisti di origini italiane. Nel 1646 fu proposto come esecutore testamentario e tutore dei suoi orfani dal pittore salernitano attivo a Madrid, Giovan Battista Santullo (Agulló y Cobo, 1978, pp. 155-157), mentre nel 1649 testimoniò a favore della concessione reale di una dote a Eufrasia Lotti, figlia dell’artista fiorentino Cosme Lotti che lavorò per la corte di Filippo IV (Id., 1981, p. 149).
Sebbene la sua carriera si sia svolta completamente in Spagna, non perse mai i contatti con il luogo natale e con alcuni membri della sua famiglia. Giovan Francesco Nardi, figlio di un cugino, registrò tra il 1645 e il 1664 nel libro di memorie della famiglia (Degli Azzi, 1939) la donazione di un ostensorio e due reliquiari alla Compagnia di S. Maria della Neve presso la pieve di S. Piero di Vaglia (di patronato dei Nardi) da parte di Angelo che inviò i due oggetti da Madrid; uno dei reliquiari, contenente una spina della Corona di Cristo, proveniva direttamente dal «portagioja» reale (Degli Azzi, 1939). Questi arredi sacri sono citati dalle guide antiche guide del Mugello (Brocchi, 1748), in cui si fa puntualmente riferimento al donatore.
Lo scrivano del Consejo de Aragón, Vicente de Valdecebro gestì i beni e i contenziosi di Nardi negli ultimi anni della sua vita. A lui lasciò l’autorizzazione a redigere il suo testamento (espressa in due documenti del 4 settembre 1661 e dell’8 gennaio 1665: Agulló y Cobo, 1978, p. 112; de Carlos Varona, 1999), dovendosi occupare anche del funerale e del seppellimento del suo corpo all’interno della chiesa dei carmelitani di Madrid (attuale chiesa parrocchiale di S. María del Carmen y S. Luís) nei pressi della casa dove aveva vissuto gran parte della sua vita, nella piazzetta della Red de San Luís.
Dichiarò sua erede universale María de Ocines (che riscosse solo nel 1670 gli ultimi pagamenti che gli spettavano come pittore del re) in riconoscimento delle attenzioni da lei ricevute e a beneficio dell’educazione del figlio, Diego José Moratón, che Nardi dichiarava di aver aiutato a crescere. Il marito di María, Isidro Moratón, risiedeva da diversi anni nel Regno di Napoli, dove il pittore gli aveva procurato un posto di carceriere della Vicaria di Napoli ma, non avendo mai rivestito tale incarico, Nardi cercò inutilmente di recuperare la somma stanziata all’antico detentore del posto.
Intorno al 1654 dovette soffrire una grave malattia perché nel testamento di Juan de Solís è dichiarato «ya empedido» (Lasso y de la Vega, 1953, p. 181). La sua straordinaria longevità non fu priva di problemi di salute e nel 1659 Francisco de Solís provò a sollecitare – inutilmente- il suo posto di pittore di corte, in vista di un suo imminente decesso. Lo sostituì invece, pochi mesi dopo la sua morte, il bolognese Dionisio Mantuano, pittore di prospettive e architetture, oltre che restauratore dei dipinti antichi delle residenze reali.
Morì a Madrid il 3 febbraio 1665 (Degli Azzi, 1939).
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