QUERINI, Angelo
QUERINI, Angelo. – Nacque a Venezia il 31 luglio 1721, ultimo dei sette figli maschi del patrizio Lauro Querini, quondam Vincenzo (del casato dei Querini di S. Severo), e di Camilla Nicolosi, figlia del segretario del Senato Bernardo Nicolosi. Il padre e i fratelli di Angelo rivestirono cariche tipiche di quella nobiltà giudiziaria che occupava una posizione intermedia fra l’aristocrazia senatoria e la nobiltà più povera.
L’educazione di Querini fu affidata a Ferdinando Porretti, pubblico precettore a Padova e buon latinista; ma in gioventù egli frequentò anche l’abate Carlo Lodoli. Negli anni Quaranta entrò a far parte di diritto del Maggior Consiglio, dove fu soprannominato Pantaloncino. Cominciò ben presto ad avere contrasti con la magistratura degli inquisitori di Stato, per un’istintiva esigenza di libertà e anticonformismo. Nel 1747-48, e poi di nuovo nel 1756, gli interventi degli inquisitori interferirono con le vicende sentimentali di Querini, innamoratosi prima di Lucia Bon, moglie del bergamasco conte Romilli, e poi della ballerina fiorentina Angiola Badi.
Nel 1758 fu eletto all’Avogaria di Comun, e a partire da quel momento i suoi contrasti con gli inquisitori assunsero rilevanza pubblica, specialmente quando questi ultimi lo obbligarono a ritirare il ricorso contro una decisione assunta dal Collegio dei venti. La tensione crebbe ulteriormente nel 1761, con Querini nuovamente avogadore, perché gli inquisitori gli ordinarono, nonostante il suo parere contrario, di riaprire il decennale processo contro il patrizio Bartolomeo Zen, accusato di malversazione.
Nella sua azione pubblica Querini poteva contare sull’amicizia di patrizi come Girolamo Ascanio Giustiniani, Marcantonio Zorzi, Pier Antonio Malipiero e Paolo Renier. Alcuni di questi provenivano dalle più autorevoli casate dell’aristocrazia veneta, ma altri, come Alvise Zen, erano invece espressione della nobiltà di minori fortune. Secondo il giudizio dello storico Franco Venturi, il pensiero e l’azione di Querini, almeno in questa prima fase, rimasero interamente all’interno della tradizione aristocratica veneziana: in lui riviveva cioè il secolare contrasto fra Consiglio dei dieci e giudici della Quarantia criminale. Si trattava, nella sostanza, di restituire alla Quarantia e al patriziato di medie o modeste fortune, che a essa faceva capo, la centralità di un ruolo politico e costituzionale che era stato progressivamente usurpato dal Consiglio dei dieci, dagli inquisitori di Stato e dal Collegio.
Ciò bastò agli avversari di Querini, e in particolare agli inquisitori di Stato, per accusarlo di aspirare a una sorta di podestà tribunizia. Fu perciò emanato un ordine di arresto, che fu eseguito nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1761 nel ‘casino’ di S. Moisè, che costituiva l’abituale abitazione di Querini; ed egli fu sollecitamente tradotto al castello di Verona.
La rigorosa vigilanza cui Querini fu sottoposto durante la detenzione gli impedì di partecipare all’aspra vertenza politica che si aprì a Venezia a seguito della clamorosa violazione dei diritti dell’Avogaria. L’attivismo dei parenti di Querini in favore del congiunto e il più generale malcontento di vasti settori della nobiltà veneziana si manifestarono nella seduta del Maggior Consiglio del 23 agosto 1761, in cui non si riuscì a eleggere nessun membro del Consiglio dei dieci. Questa protesta preludeva all’elezione di cinque correttori, che avrebbero dovuto proporre al Maggior Consiglio una riforma del Consiglio dei dieci. Fallì però il tentativo di Paolo Renier di ottenere che la nomina dei correttori, finalmente deliberata il 9 settembre, fosse preceduta dalla liberazione e dal richiamo di Querini. E nelle successive votazioni i ‘querinisti’ ebbero solo due eletti, mentre fallì per pochi voti il tentativo di nominare correttore lo stesso Querini, in modo da imporne la scarcerazione. La lotta tra ‘querinisti’ e ‘tribunalisti’ si concluse con la discussione e la votazione, tra il marzo e l’aprile del 1762, di una serie di proposte, volute principalmente dal patrizio Marco Foscarini, che riconfermarono nella sostanza l’autorità dei Dieci e degli inquisitori.
Se la sconfitta politica aveva impedito l’immediata liberazione di Querini, il clima relativamente tranquillo della vita pubblica veneziana dopo la fine della Correzione favorì, nell’ottobre del 1763, la sua liberazione da parte di nuovi inquisitori di Stato che consideravano oramai superati i timori dei loro predecessori.
Dopo il 1763 la partecipazione di Querini alla vita pubblica risultò molto limitata, ancorché dignitosa e coerente con le sue convinzioni. Nel marzo del 1769 egli si oppose alla proroga della deputazione ad pias causas, in nome delle leggi che vietavano la proroga delle magistrature straordinarie; prevalse però l’opposto parere di Andrea Tron e la deputazione fu confermata. Nel 1775 Querini propose vanamente che il numero di presenze necessario per la validità delle sedute del Maggior Consiglio fosse ridotto da 800 a 600. Fra il 1789 e il 1792 ebbe una disputa con Angelo Artico, funzionario del magistrato alle Acque, sui lavori del fiume Brenta, cui dedicò otto opuscoli, e nel 1795 ebbe la sua ultima carica pubblica, con l’elezione a censore. La maggior parte del suo tempo, però, Querini lo trascorreva nella sua villa di Altichiero, presso Padova.
Ciò ha indotto alcuni studiosi a individuare in lui «il più perfetto esempio dello studioso-gentiluomo di gusti colti e raffinati che vive serenamente nelle sue terre osservando con distaccata superiorità le cose del mondo» (Haskell, 1966, p. 559). La villa, non sontuosa, ma abbellita da un giardino attentamente curato secondo le istruzioni dello stesso Querini (che ebbe altresì modo di compiere ad Altichiero interessanti esperimenti agronomici), conteneva stampe, busti, rappresentazioni allegoriche, che esprimevano sia l’amore del patrizio per l’arte antica, sia una complessa simbologia illuministica e massonica.
Fu questo il periodo in cui Querini coltivò più intensamente i suoi interessi culturali. In Italia, il patrizio fu vicino a letterati, scienziati e pensatori, come Melchiorre Cesarotti, Gasparo Gozzi, Saverio Bettinelli, Giuseppe Toaldo, Clemente Sibiliato, Francesco Milizia e Carlantonio Pilati. Nel 1764 Querini dovette smentire di essere stato l’autore dell’opera Dei delitti e delle pene, pubblicata anonima a Livorno, ma espresse una calda adesione all’opuscolo di Cesare Beccaria.
Momento decisivo della partecipazione di Querini al clima culturale illuministico fu il viaggio in Svizzera compiuto nel 1777 assieme al medico vicentino Gerolamo Festari, culminato nell’incontro con Voltaire, cui i due viaggiatori veneti fecero dono di un medaglione, raffigurante da un lato lo stesso Voltaire, dall’altro la filosofia che atterra la superstizione. Nel corso del viaggio, Festari e Querini incontrarono anche numerosi intellettuali e scienziati, fra cui Horace-Bénédict de Saussure, Abraham Trembley, Joseph-Jérôme de Lalande, Jean Sénebier, Charles Bonnet, Simon-André Tissot, Élie Bertrand, Albrecht von Haller, Hans Caspar Hirzel, Johann Caspar Lavater, Gottlieb Konrad Pfeffel. Ammiratore di Voltaire e di Jean-Jacques Rousseau, nonché massone (iscritto alla loggia veneziana di Rio Marin), nei suoi ultimi anni Querini fu invece ostile alla Rivoluzione francese, dopo che questa ebbe assunto le forme della Repubblica giacobina: nel 1793 si oppose con vigore al ristabilimento e al mantenimento di regolari relazioni diplomatiche con Parigi.
Morì a Venezia il 30 dicembre 1796, a seguito di un malore che lo aveva colto all’uscita dal teatro di S. Moisè. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria Zobenigo.
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