SCARABELLO, Angelo
– Nacque a Este, presso Padova, il 13 dicembre 1712 da Marco Scarabello, muratore, e da Caterina Marini (Frasson, 2000).
Dando credito alle parole di Giovanni Battista Rossetti (1765), si formò a Padova, dove è documentato dal 1735 dapprima presso la bottega di Domenico Brunello «mediocre artista» (Gennari, 1982, p. 838), poi presso quella «d’orefice et armi» di Sebastiano Benetti (Stopper, 2007, p. 123). Tuttavia non è da escludere che abbia ricevuto i primi rudimenti dell’arte orafa nella nativa Este (Frasson, 2000). Soltanto nel 1742, dopo aver sostenuto una prova pratica – l’esecuzione di uno shaddai (amuleto portafortuna) – e teorica, venne immatricolato quale capomaestro. Negli anni successivi si distinse per una costante partecipazione all’attività della fraglia, ricoprendo numerosi incarichi, tra cui quello di primo gastaldo nel 1744 e nel 1759 e di secondo gastaldo nel 1746, 1761, 1765 e 1776.
Dopo l’ammissione, aprì una bottega all’insegna dell’Angelo – nel 1766 era sita in piazza delle Erbe –, che seppe avviare con abilità e consolidare sempre più, tanto da accogliere al suo interno, alla fine dell’ottavo decennio del secolo, venti lavoranti. Tra coloro che negli anni si formarono e parteciparono all’attività del negozio si ricordano Antonio Ferrari, Antonio Altavilla, il nipote Vincenzo Scarabello e Sante Benato (Frasson, 2000).
Argentiere rinomato tra i contemporanei, che ne osannarono le capacità quale indiscusso maestro (Rossetti, 1765), Scarabello ricevette commissioni di grande prestigio, come testimoniano le fonti e le numerose opere sopravvissute alle distruzioni e dispersioni. Distintivo della sua produzione è il bollo d’autore con il monogramma AS inframezzato da una stella, mentre quello di bottega raffigura un angelo inginocchiato di profilo, chiara allusione al suo nome.
Alla prima attività di Angelo Scarabello, fin da Giacomo Pietrogrande (1881), è stato ricondotto, pur in assenza di prove a sostegno, un cancelletto d’altare in bronzo, lavorato nel 1737 per la parrocchiale di Ponso d’Este (ora Padova, chiesa di S. Tomaso Becket).
Nel 1742 si registra la prima commissione, uno sportello di tabernacolo in rame (Cavalli, 2009), per i francescani della basilica di S. Antonio di Padova, il cui favore fu importante per la carriera dell’orefice: a lui i frati si affidarono, fino al 1753 e poi tra l’ottavo e il nono decennio, per nuove suppellettili o per rinnovare quelle esistenti. Nel 1744 Scarabello venne incaricato di portare a termine la lavorazione delle imposte in bronzo dorato e in argento degli armadi della cappella delle Reliquie, progettate e principiate dall’augustano Johann Adolf Gaap, che aveva ultimato solo quelle dell’armadio centrale, prima di morire nel 1724. Difficoltà s’incontrano nel definire con precisione il ruolo ricoperto da Scarabello, verosimilmente autore della cornice decorativa all’interno della quale s’inseriscono gli episodi di soggetto antoniano e le personificazioni allegoriche eseguite da Gaap e dagli altri orefici intervenuti, Ludovico Durer Bacchetti, Michele Venier, Andrea Barci (Cavalli, 2008, p. 44, con bibliografia).
Il percorso artistico di Scarabello prese le mosse da un esuberante gusto tardobarocco, per volgere nel corso del quinto decennio a un lessico decorativo più leggero e arioso memore delle invenzioni di Jean Bérain il Vecchio – esemplificato dalle cartegloria di S. Nicolò di Padova –, prima di raggiungere gli esiti rococò per cui è noto.
Tra il 1745 e il 1756 l’orefice fu chiamato a pulire, restaurare e lavorare nuove suppellettili liturgiche per l’abbazia di S. Maria di Praglia: attività documentata di cui non resta nulla, eccettuati due ostensori (Baldissin Molli, 2013).
Al 1752 risale il Crocifisso per S. Maria delle Grazie di Este, città con cui mantenne stretti contatti, eseguendo lungo tutta la vita arredi per il duomo e le altre chiese.
Gli anni Cinquanta furono segnati anche dalle commissioni di suppellettili per la cattedrale di Padova: un candeliere in argento massiccio nel 1752, altri due nel 1758 e un «lampadario grande d’argento con sette lumi» per l’altare del Ss. Sacramento (Gli inventari..., 2016, p. 792).
Tra il 1762 e il 1765 Scarabello eseguì le parti in metallo e in argento per l’altare del beato Gregorio Barbarigo, a eccezione dei busti in bronzo, attribuiti a Francesco Androsi (Mariani, 2008). Sempre nel 1762 realizzò per il tesoro della cattedrale, che conserva ancor oggi manufatti a lui attribuiti, il Reliquiario del beato Gregorio Barbarigo – poi donato nel 1800 a papa Pio VII (Roma, basilica di S. Giovanni in Laterano) – su modello dello scultore Pietro Danieletti (Cavalli, 2008), il quale dovette fornirgli in più occasioni disegni preparatori o prototipi (Neumayr, 1807; Stopper, 2011).
Al 1760 risale la cornice in argento, perduta, per il Ritratto di Clemente XIII, dipinto da Anton Raphael Mengs per il palazzo veneziano del suo casato Rezzonico. Si tratta verosimilmente dell’esordio nella Dominante, cui seguirono le commissioni dello sportello di tabernacolo raffigurante la Cena in Emmaus per l’altar maggiore della chiesa di S. Maria della Visitazione, di una spada dorata e di un’altra cornice in argento, anch’essa perduta, eseguita – stando ai Notatori di Pietro Gradenigo – per il ritratto del doge Marco Foscarini nel 1762.
Lo stesso anno l’orefice fu impegnato nell’esecuzione dei capitelli in metallo dorato per l’altare della chiesa del monastero delle Dimesse di Padova, con le quali instaurò un pluridecennale rapporto lavorativo.
Scarabello non si limitò ad apprestare suppellettili liturgiche, aspetto maggiormente affrontato dalla storiografia da Giuseppe Fiocco in avanti, ma realizzò anche oggetti per l’illuminazione, la tavola, la devozione privata, che periodicamente transitano sul mercato antiquario, e gioielli. Nel 1769 coniò, come informa Francesco Antonio Pigna (Mariacher, 1984), pure una medaglia d’oro in occasione dell’elezione del pontefice Clemente XIV.
Gli anni della maturità videro Scarabello largamente attivo per le chiese dell’entroterra: elaborò prototipi che seppe di volta in volta variare ricorrendo all’inesauribile repertorio ornamentale rococò, all’uso accorto delle modulazioni cromatiche e al diversificato trattamento delle superfici. Tra i numerosi manufatti si ricordano quelli a Quero, Due Carrare, Asiago, Roana, Ponte di Brenta, Monselice, Castelfranco. A questa produzione Scarabello affiancò creazioni connotate da sobrietà e politezza formale, di cui sono buoni esempi i secchielli lustrali di Noventa Padovana e di Conselve.
Al 1777 risale il paliotto d’altare in argento parzialmente dorato per l’altare del Ss. Sacramento nella collegiata di S. Eufemia a Rovigno (Croazia), raffigurante la Cena in Emmaus nel comparto centrale, eseguito a bassorilievo e fiancheggiato dalle figure a tutto tondo della Fede e della Carità, in cui l’artefice raggiunse il suo apice qualitativo nella lavorazione delle parti figurate come nell’ornato, del più squisito rococò. Databili a questi anni, per motivi stilistici e per la presenza del punzone del «toccador» all’argento Marc’Antonio Belloto, è anche la muta di cartegloria di palazzo Maruzzi-Ambasz a Venezia, messa in relazione – in via d’ipotesi – con il mecenatismo della famiglia Rezzonico, che presenta affinità con le carteglorie della parrocchiale di S. Martino di Lupari.
Tra l’ottavo e il nono decennio sono documentate – come s’è detto – nuove commissioni da parte dei frati del Santo a Padova: seppur gran parte delle suppellettili non si sia conservata, sono ascrivibili a questo periodo cinque reliquiari del più fiammeggiante rococò e una muta di cartegloria (Padova, Museo del Santo).
Al 1782 risale la Corona da Torah del Museo ebraico di Venezia.
Dal 1780 si registrano sempre più numerose le commissioni da parte delle Dimesse di Padova: un apparato d’argento per l’altare della chiesa (un ostensorio, un tronetto, una muta di cartegloria), cui seguirono negli anni due reliquiari, lampade a più bracci, e nel 1792 un paliotto d’altare del valore di 10.489 lire: opera che ricevette grande plauso nell’ambiente padovano, e in cui l’argentiere ritornò sul tema della Cena in Emmaus.
Al nono decennio si datano gli ostensori della parrocchiale di Lendinara e della chiesa di S. Giorgio a Due Carrare, che vanta anche una pisside del 1790, in cui l’argentiere seppe dinamizzare la superficie con notevole raffinatezza esecutiva.
Nel 1793 Scarabello testò a favore dei nipoti – non risulta fosse sposato o avesse figli –, tra cui si ricorda il teologo Nicolò Scarabello, ed espresse la volontà che l’attività della sua manifattura fosse portata avanti.
L’ultima opera nota fu un ostensorio donato nel maggio del 1795 dal conte Trento alla chiesa padovana di S. Tomaso Becket (Gennari, 1982). Pochi giorni dopo, il 5 giugno 1795, Scarabello morì a Padova nella parrocchia di S. Canziano (Mariacher, 1984, p. 552).
Fonti e Bibl.: G.B. Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture e architetture di Padova, Padova 1765, pp. 46 s.; A. Neumayr, Illustrazione del Prato della Valle ossia della Piazza delle Statue di Padova, II, Padova 1807, p. 386; G. Nuvolato, Storia di Este e del suo territorio, (1851-1853), Este 1956, pp. 561 s.; N. Pietrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, p. 249; G. Pietrogrande, Biografie estensi, Padova 1881, pp. 194-197; I. Blum, S., A., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, Leipzig 1935, p. 530; G. Fiocco, A. S. (1711-1795), in Il Santo, V (1965), pp. 287-289; G. Gennari, Notizie giornaliere di quanto avvenne specialmente in Padova dall’anno 1739 all’anno 1800, a cura di L. Olivato, II, Cittadella 1982, p. 838; G. Mariacher, A. S. orefice estense a Padova (1711-1795), in Studi di storia dell’arte in memoria di Mario Rotili, Napoli 1984, pp. 547-553; F. Gambarin, A. S. orefice estense a Este, in Terra d’Este, III (1993), pp. 195-200; Basilica del Santo. Le oreficerie, a cura di M. Collareta - M. Mariani Canova - A.M. Spiazzi, Padova 1995, pp. 15-25, 44 s., 214-217; G. Mariacher, Nuove aggiunte ad A. S., orafo estense (1712-1795), in Studi in onore di Elena Bassi, Venezia 1998, pp. 95-98; A. S., in Dizionario biografico degli orefici, argentieri, gioiellieri..., a cura di P. Pazzi, Treviso 1998, pp. 148 s.; P. Frasson, A. S. orafo a Padova nel Settecento, in Il Santo, XL (2000), pp. 378-380; F. Stopper, Per A. S. orefice veneto del Settecento, in AFAT, XXVI (2007), pp. 123-138; C. Cavalli, Tra tardo barocco e rococò: A. S. orefice al tempo di Carlo Rezzonico, in Clemente XIII Rezzonico. Un papa veneto nella Roma di metà Settecento (catal. Padova), a cura di A. Nante - C. Cavalli - S. Pasquali, Cinisello Balsamo 2008, pp. 44-49; I. Mariani, Scheda n. 107, ibid., pp. 163-165; C. Cavalli, Oreficeria barocca al Santo..., in Il Santo, XLIX (2009), pp. 517-529; F. Stopper, Novità su A. S., in Arte veneta, LXVIII (2011), pp. 182-197; C. Cavalli, in Palazzo Maruzzi Ambasz, 2012, pp. 178-180; G. Baldissin Molli, Le suppellettili sacre d’oro e d’argento..., in Santa Maria Assunta di Praglia, a cura di C. Ceschi et al., Teolo 2013, pp. 505 s.; F. Stopper, Opere veneziane di A. S., in AFAT, XXXIV (2015), pp. 122-128; Gli inventari della sacrestia della cattedrale di Padova (secoli XIV-XVIII), a cura di G. Baldissin Molli - E. Martellozzo Forin, II, Saonara 2016, pp. 792 s.