TORCHI, Angelo
– Nacque a Massa Lombarda (Ravenna) l’8 novembre 1856, secondo di quattro figli, nell’agiata famiglia di Gaetano, avvocato e proprietario terriero, e di Maria Laderchi, di nobile famiglia faentina (Dini - Tabanelli, 1990, p. 34).
Si formò a Firenze, dove, per assecondare le sue inclinazioni artistiche, la famiglia si trasferì nel 1874. Fu allievo di Lorenzo Gelati e Carlo Markò, non pittori d’avanguardia, ma pionieri della pittura en plein air nella Scuola di Staggia: Torchi trovò un equilibrio tra la loro linea e quella più sperimentale degli amici macchiaioli.
Gli anni d’oro della macchia erano passati: morti alcuni dei protagonisti (Raffaello Sernesi e Giuseppe Abbati), chiusa la stagione di Piagentina, con Silvestro Lega ritiratosi per un periodo nella natia Modigliana, Parigi era divenuta irresistibile polo attrattivo per alcuni giovani del caffè Michelangelo (Giovanni Boldini, Federico Zandomeneghi, Serafino De Tivoli); Giovanni Fattori e Telemaco Signorini procedevano su strade autonome, mentre si attendeva lo sviluppo di un linguaggio che coniugasse l’indagine sul vero con le novità scientifico-pittoriche in arrivo dalla Francia.
A questi anni risalgono alcuni studi di Torchi su affreschi quattrocenteschi (Profilo di donna, in Dini - Tabanelli, 1990, n. 1) e un’opera come Ingresso alle Cascine (ibid., n. 2, p. 147) che riflette l’influsso di Gelati. Tra il 1880 e il 1881 Torchi fu a Napoli con Attilio Pratella: studiò con Alceste Campriani, che lo spinse verso un fare colorito e disinibito (A Mergellina o Motivo di Capri, ibid., nn. 4, 11, pp. 148, 152) caro a collezionisti e mercanti internazionali come Adolphe Goupil, con cui Campriani aveva un contratto. A partire da questi anni la sua presenza fu costante alle mostre della Società di incoraggiamento di belle arti di Firenze, esponendo anche all’Accademia di Brera e alla Società promotrice di Torino.
Tra i primi contatti fiorentini di Torchi ci furono Egisto Ferroni, Niccolò Cannicci e Francesco e Luigi Gioli, che declinavano la lezione macchiaiola su un metro più narrativo, in sintonia con la cosiddetta pittura dei campi di Jules Breton e Jules Bastien-Lepage. Con questo fare più descrittivo e incline al dettaglio di costume, Torchi si dedicava a vedute urbane, risaie e pagliai di Massa Lombarda (In risaia dopo il raccolto, Firenze, Galleria d’arte moderna, o Pescatori in valle, del 1884, in Dini - Tabanelli, 1990, n. 22, p. 157); talvolta adottava invece il linguaggio sintetico acquisito a Napoli, assecondato dalle frequentazioni macchiaiole (Risaia e Pagliai, in Dini - Tabanelli, 1990, nn. 18, 23, pp. 155, 158).
Ritrasse anche l’entroterra livornese delle località del Gabbro e di Fauglia, dove si recava con Lega e i fratelli Tommasi e Gioli, che là, nelle ville di famiglia, offrivano ospitalità agli amici pittori. Fu proprio con Torchi che Lega, nel 1886, conobbe una delle ultime famiglie che lo ospitarono, i Bandini. In La vallata del Gabbro (1886, in Dini - Tabanelli, 1990, n. 58, p. 176) la combinazione di un largo impianto compositivo con l’attenzione per i dettagli vegetali richiama i paesaggi di Adolfo Tommasi, anticipando costruzioni di Ludovico Tommasi e Giorgio Kienerk degli anni Novanta. In Lettura in giardino (1882, ibid., n. 16, p. 154) il gentile connubio tra la figura della sorella Emma e i fiori rimanda per tema, pennellata composta e impostazione spaziale calibrata ai dipinti di Lega a Piagentina. La pennellata sintetica della fase matura del maestro influenzò Torchi in tavolette come Strada campestre a Massa Lombarda, Luigi Gioli che dipinge (ibid., nn. 24, 26, pp. 158 s.) o Campagna (Firenze, Galleria d’arte moderna).
Negli anni Ottanta opere di Torchi meritavano già un posto nella collezione di Diego Martelli, mentore dei macchiaioli: «Io ho in casa mia nella mia raccoltina, l’ultima cosa di Sernesi e contornata da dei Borrani, da dei Costa, da dei Ferroni, da dei Fattori, da dei Torchi, da dei Cannicci, ed altri, eppure essa sta là serena e prima bella di un’eterna giovinezza, fra tanto splendore d’arte che la circonda» (Dini, 1975, p. 205). Nino Costa includeva Torchi nel novero di artisti avviati dai macchiaioli sulla strada del vero ma alla ricerca di una via autonoma (Vitali, 1953, p. 263).
Alcuni dipinti dedicati in questi anni al sottobosco del fiorentino parco delle Cascine testimoniano la combinazione tra coscienzioso studio del vero e attenzione alle più minute manifestazioni naturali, con una pennellata ora rapida ora analitica e spiccata originalità d’impianto compositivo (Alle Cascine, Sole e ombre, Nel bosco delle Cascine, Il grande tronco, in Dini - Tabanelli, 1990, nn. 35, 38, 39, 40, pp. 164, 166 s.).
Nell’estate del 1885 Torchi fu ospite di Diego Martelli a Castiglioncello: la sintesi formale di Motivo di Castiglioncello (ibid., n. 48, p. 171) richiama l’essenzialità già praticata in quel contesto da Costa, Abbati e Sernesi. Nel 1886 alcuni studi di Castiglioncello furono presentati alla I Esposizione di belle arti a Livorno, mentre la produzione del Gabbro e di Fauglia fu esposta alla Promotrice fiorentina.
Nel 1889 morì il padre e Angelo si fece carico della gestione delle proprietà familiari. Fece con Luigi Gioli un viaggio a Parigi e partecipò, su suggerimento di Diego Martelli, all’Esposizione universale con L’Ortolana, Il Gabbro (in Dini - Tabanelli, 1990, n. 59, p. 177) e Sull’Arno (ibid., n. 63, p. 179). A Parigi frequentò Marcellin Desboutin, che aveva soggiornato a Firenze frequentando i macchiaioli; apprezzò la pittura di Édouard Manet, Claude Monet, Camille Pissarro e Jean-François Raffaelli, rammaricandosi di non riuscire a conoscere Edgar Degas. Con Gioli e il pittore Arturo Lemon si spostò a Londra, dove rimase colpito da John Constable, «veramente meraviglioso, e padre di tutta l’arte moderna» (Dini - Tabanelli, 1990, pp. 24 s.).
Illustrò con Angiolo Tommasi il racconto Perla in Le veglie di Neri di Renato Fucini (1890, pp. 35-42).
A Firenze, tra gli anni Ottanta e Novanta, fu tra i frequentatori dell’osteria Il Volturno, dove alcuni maestri (Fattori, Signorini, Lega) si ritrovavano con i giovani allievi, tra i quali maturava una nuova interpretazione del rapporto con il vero, nutrita da influssi impressionisti e divisionisti e da istanze simboliste applicate a temi letterari, politici o sociali. Tra i protagonisti di questa evoluzione, che incontrò l’interesse di Lega ma suscitò le ire di Fattori (Monti, 1985, pp. 150-156), Torchi fu insieme a Plinio Nomellini, Kienerk, i Tommasi, i Gioli. Nel 1890, tra l’estate in Mugello con Kienerk e un nuovo viaggio a Parigi, approdò a una pittura sfaldata che risentiva di Monet e Pissarro da un lato, e di Georges Seurat e Nomellini dall’altro (Impressione di mercato, in Dini - Tabanelli, 1990, n. 73, p. 184). Con Nomellini e Kienerk condivise sperimentazioni divisioniste nell’estate del 1891 a Genova: «Di quassù si gode il mare bellissimo e si può studiarlo nelle sue varie manifestazioni dal punto di vista delle nostre ricerche moderne, senza fare troppa strada tanto più che siamo costretti a farne abbastanza per recarci dalle nostre rispettive case allo studio la mattina e viceversa altrettanto la sera. Qualche volta la sera ci spingiamo fino in città, anzi nel cuore della medesima, attratti dal bisogno di acquistare quei colori di cui col nuovo sistema si fa maggior sciupio [...]. Nomellini ha fatto diverse cose già, alcune delle quali prima che io arrivassi qui, nelle quali vi è molto del buono come tentativo specialmente di pointillé e di vibrazione di luce» (Dini - Tabanelli, 1990, p. 27).
Si aprì per Torchi una breve ma fulgida stagione pittorica, all’altezza di pittori quali Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo. Tra il 1891 e il 1896 adottò infatti una pennellata minuta alla ricerca di quell’effetto di luce che era l’obiettivo del divisionismo, secondo ben note teorie scientifiche sulla frammentazione del colore, senza trascurare episodiche ma raffinate declinazioni simboliste alla Morbelli (Paesaggio in collina, Pergolato, Grano al sole, Il tram rosso, ibid., nn. 79, 80, 86, 90, pp. 187, 188, 191, 193). Queste opere furono esposte alla Società di belle arti di Firenze nel 1895 a fianco di opere di Nomellini e di Pellizza, il quale, in un breve ma significativo sodalizio tra toscani e non toscani sotto il segno della pittura divisa, frequentò il fiorentino Circolo degli artisti. Nel 1896 s’inaugurò a Firenze la Festa dell’arte e dei fiori, a cui Torchi non espose perché chiamato a scrivere sul settimanale che ne redigeva la cronaca, componendo un’accorata difesa dell’originalità della pittura toscana, per lui analoga a quella di Pellizza e di Morbelli. Respingendo inoltre ogni regionalismo, invocava il dovuto riconoscimento alla pittura di Signorini, mentre contestava il premio a La scaccia delle anitre di Angiolo Tommasi, secondo lui formale e vuoto omaggio alla scuola locale, così come «al quadrino del Quadrone» (ossia Giovanni Battista), dal virtuosismo ostentatamente commerciale (Torchi, 1897b, pp. 1 s.).
Questo scorcio di secolo fu però segnato per Torchi anche da lutti che lo colpirono negli affetti più cari: Lega morì nel 1895, Martelli nel 1896 e Signorini nel 1901. Torchi si rifugiò sempre più nel lavoro, pur continuando a esporre regolarmente, anche alla Biennale veneziana, e si consacrò a paesaggi campestri romagnoli e a vedute di Firenze, tra visioni poetiche di brevi accensioni cromatiche e velati accenti simbolisti, con una pennellata morbida a dissolvere i valori macchiaioli, non più attraverso la scomposizione del colore, ma attraverso un’estenuata sublimazione dei volumi.
Morì improvvisamente a Massa Lombarda il 6 dicembre 1915.
I fratelli si divisero l’eredità, donando tre dipinti alla Galleria d’arte moderna di Firenze, cui Angelo aveva già destinato un Autoritratto. La sorella Emma, che viveva con lui a Firenze, ne conservò opere e archivio, ma alla sua morte l’eredità di Angelo venne dispersa.
Fonti e Bibl.: R. Fucini, Le veglie di Neri: paesi e figure della campagna toscana, Milano 1890, pp. 35-42; A. Torchi, Intorno a certe critiche, in La Festa dell’Arte, n. 6, 24 gennaio 1897a, pp. 2 s.; Id., Sconfortante!, ibid., n. 11, 28 febbraio 1897b, pp. 1 s.; A. Franchi, Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi, Firenze 1902, pp. 161-164; L. Vitali, Lettere dei macchiaioli, Torino 1953, pp. 263 s.; P. Dini, Lettere inedite dei Macchiaioli, Firenze 1975, p. 205; R. Monti, Le mutazioni della macchia, Roma 1985, pp. 150-156; I Macchiaioli di Renato Fucini (catal.), a cura di E. Matucci - P. Barbadori Lande, Firenze 1985; P. Dini - A. Tabanelli, L’arte di A. T.: 1856-1915, Trento 1990; R. Monti, I Postmacchiaioli, Roma 1991, pp. 59-62, 209-212; S. Babini, Per il pittore A. T., in In Rumâgna, XVI-XVII (1992-1993), pp. 83-88.