TORINI (Turini), Agnolo
Nacque a Firenze nel secondo decennio del XIV secolo. In alcuni codici è attestato con l’aggiunta Bencivennis, che potrebbe essere il nome del padre. Il decennio di nascita è ipotizzabile dal fatto che in un testamento sottoscritto il 16 giugno 1359 Torini si dice sposato da più di vent’anni. Sulla base del fatto che nel testamento di Giovanni Boccaccio (1374) è indicato come tutore dei propri eredi minorenni, Humans-Tromps (1957, p. 6) ha proposto di fissare la nascita al 1315.
Risulta priva di fondamento la notizia che la famiglia dei Torini provenisse da Linari (Manni, 1742, p. 126), mentre è probabile che già il nonno di Agnolo fosse cittadino di Firenze e che ivi la famiglia risiedette nel Popolo di S. Lorenzo; il testamento del 1359 lo indica residente in via di Campo Corbolino.
Come i tre fratelli e (probabilmente) il padre, Torini fu celonaio (facitore di drappi), immatricolato all’arte di Por San Maria sin dal 1350, ed ebbe vita agiata, come risulta dai testamenti e dai prestiti effettuati al Comune di Firenze. Sposò Bindella di Cece Foraboschi, di nobile famiglia, alla quale nel testamento del 1359 si dice legato da più di vent’anni: è dunque ragionevole collocare il matrimonio tra il 1335 e il 1339. Partecipò attivamente alla vita pubblica del Comune fiorentino. In più occasioni lo troviamo impegnato sia nell’amministrazione cittadina (in un documento datato 28 aprile 1377 è indicato fra i membri del Consiglio del Popolo e da maggio a settembre del 1382 sedette nel Consiglio del Comune), sia in incarichi nei territori limitrofi soggetti al controllo fiorentino. Fu più volte nominato per castellanerie e podestarie tra il 1354 e il 1387, ma fu solo castellano e comandante nel 1354 presso rocca di Carmignano e podestà della Montagna fiorentina nel 1375.
All’impegno politico e amministrativo, associò l’attiva partecipazione alle attività delle confraternite fiorentine del tempo. Non sussistono documenti esterni per avvalorare l’ipotesi che appartenesse alla Compagnia della Purificazione della Vergine Maria, alla quale si dichiara legato nel sonetto con cui inviò la Brieve meditazione de’ beneficii di Dio ai frati olivetani di Firenze (Ben che nuda ti veggi essere absunta, vv. 5-9: «Vattene a Monte Bene, ove congiunta / troverrai insieme, in carità perfetta, / l’eccelsa compagnia quivi colletta, / dalla qual mia frequenza è or disgiunta / con mie pena»). È, invece, certo che, almeno a partire dal 1° marzo 1359, Torini fosse membro della Compagnia dei Disciplinati della Misericordia del Salvatore, sorta nel 1334 e legata al convento domenicano di S. Maria Novella. Essendo la morte di Torini annotata nei registri della Compagnia, se ne deduce che vi appartenne sino alla morte. In questa confraternita rivestì ruoli di primo piano (capitano negli anni 1363, 1368, 1376, 1388; più volte consigliere tra il 1362 e il 1377, provveditore tra il 1359 e il 1380, capodieci tra il 1360 e il 1381), ma il suo nome compare spesso anche nel registro delle punizioni tra il 1366 e il 1388, il più delle volte per negligenza nell’ufficio affidatogli.
L’ingresso nella Compagnia dei Disciplinati della Misericordia del Salvatore coincise con una svolta morale nella vita di Torini, cui conseguì una sorta di «ravvedimento spirituale» (Humans-Tromps, 1957, p. 37). La data d’ingresso nella Compagnia, infatti, è di pochi mesi posteriore a quella in cui Torini redasse un testamento (16 giugno 1359), steso per un rimorso di coscienza dovuto all’illecito godimento di beni della moglie. Il testamento venne rogato nello stesso convento di S. Maria Novella che ospitava la Compagnia da un notaio confratello e vi furono indicati cospicui lasciti in favore della Compagnia stessa e di alcuni suoi membri.
Tale ravvedimento e il coevo ingresso nel mondo confraternale fiorentino ebbero un ruolo decisivo nell’orientare la scrittura delle due operette in prosa e del cospicuo gruppo di rime che Torini compose e, a partire dal 1363 sino a una data imprecisata ma posteriore al 1385, trascrisse nell’attuale codice Gaddiano 75 (già Magliabechiano XXXV.71) della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. È, questo, il testimone principale della produzione letteraria di Torini, dal quale discendono pressoché tutti i testimoni successivi a eccezione del codice Riccardiano 1287, in cui Simone di Dino Brunaccini copia, adespota, la Brieve meditazione de’ benefici di Dio entro uno zibaldone di opere di carattere religioso e devozionale ultimato nel 1394.
Sebbene la maggior parte dei componimenti di Torini sia posteriore all’ingresso nella Compagnia dei Disciplinati della Misericordia del Salvatore, alcune rime risalgono al periodo precedente. Le prime opere a poter essere datate con sicurezza sono infatti una canzone (Dappoi ch’all’increata Etternitade) e un sonetto rinterzato (O spada di giustizia clementissima) indirizzati a Gualtieri VI di Brienne; essendo la prima un’allocuzione al duca d’Atene onde consigliarlo a fuggire il nefasto influsso dei sette vizi capitali nell’esercizio del proprio governo e il secondo una rampogna che tradisce un’insofferenza per il Signore, queste rime possono essere datate rispettivamente al 1342 e al 1343, riflettendo bene l’emergere di una progressiva diffidenza a fronte del grande entusiasmo inziale per la Signoria del Duca d’Atene da parte dei Fiorentini.
Torini fu autore anche di altri componimenti d’occasione legati a specifici eventi storici. Così, a esempio, il ritorno a Roma di Urbano V nel 1367 viene celebrato in due sonetti rinterzati scritti in persona, rispettivamente, di Roma (Ancor che disformata molto sia) e della Chiesa (Non può la lingua mia, quantunque pronta); oppure, il sonetto rinterzato Sommo monarca, Cesare dignissimo, nelle forme di un’invocazione affinché un imperatore giunga «a distirpar d’Italia la mala erba» (v. 13), allude alla venuta in Italia di Carlo IV nel 1354-55. Questo genere di testi riflette l’impegno politico di Torini, che dovette essere di matrice latamente guelfa, alla luce della celebrazione di Roberto e Carlo di Battifolle nel sonetto Non credo che que’ nobili gemelli. Tuttavia, la maggior parte delle sue opere si sintonizza, piuttosto, su di un registro religioso e devozionale congruo al suo impegno confraternale, sicché pare lecito concludere che Torini si sia dedicato all’esercizio letterario soprattutto in conseguenza della conversione del 1359. Si è ipotizzato che a ridosso di questa data Torini abbia composto una Brieve collazzione della miseria della umana condizione, che riprende in chiave penitenziale il tema della miseria dell’umana condizione inaugurato da Lotario di Segni rielaborando una grande vastità di fonti bibliche, patristiche e medievali, spesso recepite per il tramite di compilazioni enciclopediche. Analoga intonazione religiosa e analogo incedere compendioso hanno anche la Brieve meditazione de’ benefici di Dio, dedicata alla vita di Gesù Cristo, e la maggior parte del corpus di rime, spesso risolte in preghiere e ammonimenti morali.
Data quest’impostazione, le opere di Torini si caratterizzano per scarsa originalità, procedendo spesso per riscrittura di noti testi devozionali e rielaborazione di topiche vulgate. Il reale interesse di questo corpus risiede perciò, oltre che nella sua capacità di ben rappresentare una sorta di standard culturale trecentesco di matrice religiosa e di estrazione confraternale, nella significativa serie di destinatari cui Torini dedicò molte sue opere, la quale restituisce il quadro delle relazioni e dei rapporti che egli intrattenne con alcune personalità della Firenze dell’epoca. Tra costoro si annoverano alcuni membri della Compagnia di Disciplinati della Misericordia, come il vallombrosano Giovanni delle Celle e Niccolò di Sennuccio del Bene, al quale Torini indirizzò tre canzoni, che con le relative risposte costituiscono una sorta di tenzone su argomenti propri della tradizione mistica, come quello della scala della contemplazione al centro della canzone L’alma divota che col cuore affretta, che dà avvio allo scambio. Il primo è invece ricordato nella dedicatoria della Brieve collezione in qualità di revisore dell’opera, unico menzionato tra i diversi «esperti e valenti religiosi» cui Torini chiese di approvare l’opera perché, oltre a ciò, Giovanni suggerì di dedicare l’opera a Carlo di Battifolle (parr. 15-17). Il rapporto con quest’importante membro della famiglia dei Guidi è particolarmente importante perché testimonia, oltre dell’engagement politico di Torini (si pensi al già menzionato sonetto Non credo che que’ nobili gemelli), della sua prossimità al circolo del Paradiso di Antonio degli Alberti (Giovanni da Parto, 1867, pp. 88-100). Tale vicinanza è suggerita anche dal sonetto La scienza per virtù non è approvata, indirizzato all’agostiniano Luigi Marsili per ammonirlo di non ammettere donne e giovani inesperti all’insegnamento di una scienza che trascenda le loro limitate capacità cognitive.
Torini morì a Firenze nel 1398, come risulta dal Registro dei morti dell’Ufficio della Grascia che registra la sua morte in data 14 agosto.
D.M. Manni, Istoria del Decamerone, Firenze 1742, p. 126; G. Lazzeri, Il testamento di A. T., in A Vittorio Cian i suoi scolari dell’Università di Pisa, Pisa 1909, pp. 34-44; S. Debenedetti, Per la biografia di A. T., in Giornale dantesco, XX (1912), pp. 149-152; Giovanni da Prato, Il Paradiso degli Alberti. Ritrovi e ragionamenti del 1389. Romanzo di Giovanni da Prato dal codice autografo e anonimo della Riccardiana, a cura di A. Wesselofsky, Bologna 1867, pp. 88-100; Prosatori minori del Trecento, a cura di G. De Luca, Milano-Napoli 1954, pp. 1097-1106; I. Humans-Tromps, Vita e opere di A. T., Leiden 1957; Mistici del Duecento e del Trecento, a cura di A. Levasti, Milano 1960, p. 1014; G. Petrocchi, Scrittori religiosi del Trecento, Firenze 1974, cap. XIII.