DANIA, Angelo Vincenzo (al secolo Andrea Maria)
Nacque il 13 sett. 1744, forse ad Ovada (Alessandria), come risulta dall'epitaffio della sua tomba, ma più probabilmente a Voltri (Genova).
Il 16 febbraio del 1761, il D. avendo dato un "buon saggio dei suoi studi grammaticali nell'esame cui fu sottoposto", entrò come novizio nel convento di S. Domenico in Genova; compì in seguito gli studi a Bologna, sempre presso i domenicani, e fece la professione solenne il 23 ag. 1767. Nel 1775 lo ritroviamo a Genova, dottore del collegio teologico di S. Tommaso annesso all'università, ed indicato nel "libro dei consigli" di S. Domenico come professore di morale e "secretario del consiglio conventuale". Qui proseguì la sua docenza come "lettore primario" dal 1777, come "lettore biblico" dal 1781; e nel 1782 ottenne il supremo magistero in teologia. Il 17 gennaio di quell'anno il suo confratello G. S. Anselmi, nuovo inquisitore a Genova, lo chiamò presso di sé come vicario generale del S. Uffizio: carica che il D. ricoprì sino alla soppressione del tribunale nel 1797, tentando anche, nel 1792, di assicurarsi la successione dello stesso p. Anselmi. Nel 1798, soppresso dal governo democratico il convento di S. Domenico, i religiosi ivi residenti ripararono a S. Maria di Castello, dove il D. fu parroco per alcuni anni, fino al 1802.
Uomo di vasta dottrina, membro dal 1789 dell'Accademia degli Industriosi di Genova, il D. si guadagnò ben presto una solida fama come predicatore ed oratore (fama non immeritata, per quanto si può giudicare dai discorsi dati alle stampe), e in questa veste è documentata la sua presenza a Roma nel 1786, 1792, 1794 e 1795, a Torino nel 1791, a Parma nella primavera del 1797; poi ancora a Modena, a Napoli e naturalmente a Genova, dove a più riprese ebbe compiti di predicatore religioso o di oratore ufficiale in occasione di solennità civili.
Nel 1792, ad esempio, per la "coronazione del serenissimo Michelangelo Cambiaso doge", o nel 1793, per la "festa dell'Unione" in ricordo della riforma doriana del 1528: in tali circostanze si mostrò non solo elogiatore fedele del "pacifico governo di una saggia e temperata aristocrazia", ma anche fiero fustigatore del "secolo irreligioso" e - soprattutto - dello spirito della rivoluzione: nella stesura originale del suo discorso per la festa dell'Unione usò contro i principi dell'Ottantanove termini talmente duri da meritare la censura del Senato.
L'Ordine dei predicatori ed il serenissimo governo non furono i due soli poli entro i quali si venne formando la personalità del D.: un terzo bisogna considerarne, e cioè il vivace, minoritario gruppo dei giansenisti liguri che tanta attività spiegò a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo. Imparentato con E. Degola, legato d'amicizia con quasi tutti i principali "portorealisti" della Repubblica e messo a parte di molti loro segreti, il D. non può tuttavia considerarsi un membro di quel "piccolo gregge".
Come ha giustamente scritto il Codignola, "egli deve essere ritenuto piuttosto un regalista e gallicano, con velleità di opposizione al gesuitismo"; e ancor più un opportunista, ligio al potere e preoccupato per la propria carriera. Dai giansenisti ebbe frequenti attestazioni di stima. In particolare Benedetto Solari, suo confratello e vescovo di Noli, lo chiamava "il Demostene del mio ordine" e lo definiva "un ingegno nato per la luce"; ma riconosceva anche che o a un gran predicatore come egli è non può piacere un partito poco numeroso qual è il nostro", e non lesinava giudizi severi sul suo conto. "Non so molto conciliare colla stima che ho del di lui ingegno - scriveva il 3 giugno 1795 - i meschini ragionamenti che vedo nelle sue lettere"; se i molinisti avevano almeno dei principi, il D. "non ha fissato altro principio che quello di non voler opporsi alle bolle, ma non volendo neppur difenderle si trova imbarazzato".
In verità il D. avrebbe meritato critiche ben più aspre per la sua condotta ambigua ed infida: come quando, con una lettera del 7 nov. 1801, trasmise al cardinale Gerdil la copia d'un vecchio e introvabile scritto antigiansenistico dell'amico Solari, perché venisse usata come arma contro di lui. Eppure, nonostante le reciproche diffidenze e i gesti proditori, i legami tra D. e i giansenisti non vennero mai meno: non foss'altro perché egli - uomo di potere, ben visto dalle autorità politiche ed ecclesiastiche - costituiva pur sempre un potenziale alleato. Come vicario del S. Uffizio si era mostrato benevolo verso i degoliani; con il governo della Repubblica ligure intratteneva ottimi rapporti, certo migliori di quelli che erano riusciti ad allacciare i troppo rigorosi ed ingombranti giansenisti; a Roma era bene accetto, ascoltato, messo talvolta a parte dei misteri di Curia. Non a caso il D. fu scelto dall'esecutivo genovese, nel 1801, quale inviato straordinario alla corte pontificia per trattare la sistemazione delle diocesi liguri, e durante tale missione si trovò a sostenere cause non sgradite agli amici degoliani: opposizione al reazionario G. B. Lambruschini; difesa del vicario generale di Genova, De Camilli, sgradito a Roma "come aderente e fautore di giansenismo"; tutela degli interessi di un governo "risolutissimo di non diventar mai il gioco de' curialisti".
Nell'agosto del 1801 tornò a Genova senza aver conseguito successi diplomatici, ma l'esperienza gli fu utile: lo rese più disincantato, realisticamente critico circa le cose di Roma ("città che dispensando le cose spirituali vive delle temporali", dove tuttavia "le grandi lezioni dei grandissimi avvenimenti che hanno scossa e ammaestrata l'Europa pare che... non siano ancora penetrate"); e lo legò più strettamente agli ambienti di governo. Dal governo fu infatti proposto, di lì a poco, per la vacante sede episcopale di Albenga, e fu consacrato a Roma il 21 dic. 1802.
Il Degola, con un articolo scritto per le Nouvelles ecclésiastiques e rimasto inedito, celebrò l'avvenimento (cfr. Codignola, III, p. 324): "Dans la Ligurie l'évèque de Noli, prélat des plus sçavants et zélés d'Italie, aura d'ici à quelques jours un collègue qui peut honorer l'épiscopat par ses talents et son amour pour une saine doctrine. C'est le p. Ange Vincent Dania des Prédicateurs". Non altrettanto lieto si era invece mostrato Francesco Carrega, il quale scriveva allo stesso Degola che l'allontanamento da Genova del D., già entrato in confidenza col nuovo arcivescovo Giuseppe Spina, era un colpo duro: "Noi perderemo un amico debole sì, ma capace a' fianchi di Spina di ripararci da un colpo, e di diminuire di molto l'odiosità dei nostro partito" (ibid., III, p. 653).
Come vescovo il D. spiegò grande zelo pastorale, animando i sacerdoti della congregazione diocesana a visitare frequentemente anche le più piccole comunità, "dove le popolazioni li richiedevano e più ancora dove i parrochi li ricusavano", e percorrendo anche personalmente a più riprese la diocesi; estrema cura pose altresì nel controllo dei chierici in seminario e di un clero parrocchiale tradizionalmente ribelle alle direttive del governo. Annessa la Liguria alla Francia nel 1805, egli accentuò la propria condiscendenza verso il potere politico: fece stampare ed insegnare in seminario le quattro proposizioni gallicane; scrisse e recitò, il 30 giugno 1806, una pastorale ed un inno "in festo S. Napoleonis" pieni dei più smaccati elogi per l'imperatore; abolì nella diocesi l'uffizio di Gregorio VII. Nel 1809 visitò ed ossequiò Pio VII prigioniero a Savona, ma proseguì nell'incondizionata adesione alla politica ecclesiastica francese, giungendo ad approvare e lodare per iscritto la dichiarazione resa il 6 genn. 1811 dal Capitolo di Parigi in materia di nomine vescovili.
Partecipò al sinodo nazionale riunito a Parigi da Napoleone il 17 giugno 1811, ricoprendo l'ufficio di sottosegretario e di interprete per i prelati italiani, e vi sostenne invano una posizione conciliatoria: il 13 luglio, sciolto il sinodo, scriveva a Degola di aver sperato in un decreto "che riuscisse la più decisa soddisfazione all'imperatore, al papa, alla Chiesa, e desse al concilio un sicuro mezzo di far cessare la posizione dolorosa del papa"; ma di dover prendere atto dell'"esito infelice" di quella "radunanza".
Tornò ancora a Parigi, due anni dopo, convocato con altri vescovi per concertare l'esecuzione dell'inutile concordato del 1813. Poi, nel febbraio 1814, la sosta ad Albenga di Pio VII gli consentì di iniziare un ravvicinamento alla S. Sede, conclusosi con una lettera di completa ed umiliante ritrattazione "adhaesionis meae praesertim propositionibus gallicanis", stesa il 12 ottobre di quell'anno.
Il 25 genn. 1815, annunciando con una pastorale l'aggregazione della Liguria al Regno dì Sardegna, il D. riconobbe in quest'atto "l'opera di Dio" e fu prodigo di elogi per il commissario generale conte Thaon di Revel: lieve fatica per chi come lui, al pari di altri e più di altri, aveva lungamente e sicuramente navigato allo spirare di diversi venti.
Morì di "febbre intermittente" il 6 sett. 1818 ad Albenga (Savona).
Opere: Orazione panegirica in lode di s. Gregorio il Grande, Frascati 1796; Epistola pastoralis ad clerum et populum Albingaunensem, Romae 1802; Orazioni e discorsi del p. maestro Angelo Vincenzo Dania de' Predicatori...,Genova 1815; Indirizzo al Capitolo metropolitano di Parigi, e sua ritrattazione presentata a Pio VII, Roma 1816; Lezioni scritturali storico-critico-morali sul I e II libro dei Maccabei, Genova 1821.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 2408: Lettere ministri, Roma 1801-1805; Ibid., Repubblica Ligure, 46: Registro delle lettere della corrispondenza estera, 20 sett. 1800-16 luglio 1801, cc. 82, 86, 91, 96, 100, 103 ss., 107 s., 113, 115 s., 118 s., 125, 127, 132, 136, 140; Ibid., Rep. Ligure, 47: Registro del dipart. delle relaz. esteriori, 17 luglio 1801-10 apr. 1802, c. 2; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-1942, I, pp. CXIX-CXX, 617 s., 665-668; II, pp. 649, 676, 701, 721; III, pp. 49-72, 324, 326, 653; G. B. Semeria, Secoli crist. della Liguria, Torino 1843, II, pp. 425-434; G. Casalis, Dizionario... degli Stati di S. M. il re di Sardegna, XIII, Torino 1845, p. 737; G. Rossi, Storia della città e diocesi di Albenga, Albenga 1870. pp. 346-349; R.A. Vigna, I domenicani ill. del convento di S. Maria di Castello in Genova, Genova 1886, pp. 89 s., 315-324, 367, 404 s.; Id., I vescovi domenicani liguri ovvero in Liguria, Genova 1887, pp. 423-432; G. B. Cabella, Pagine voltresi, Genova 1908, pp. 244 s.; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 28; P. Savio, Devozione di monsignor A. Turchi alla S. Sede, Roma 1938, pp. 736-942 passim; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VII,Patavii 1968, p. 66; L. Grillo, Elogidi liguri illustri, App. II,Genova 1976, pp. 178-183.