VINCO, Angelo
VINCO, Angelo. – Secondo di cinque figli, nacque il 29 maggio 1819 a Cerro Veronese, dove trascorse la sua infanzia, da una famiglia di contadini priva di mezzi. I genitori furono Leonardo e Marica Stefanoni, e oltre ad Angelo ebbero anche: Lucia (1816), Giacomo (1820), Giacomo Leonardo (1822) e Pietro (1826).
Nel 1834 fu accolto da don Nicola Mazza nell’istituto per studenti poveri appena fondato a Verona. Ordinato sacerdote il 21 novembre 1844, si trasferì a Venezia per studiare arabo nel collegio Mechitarita, dove maturò la sua vocazione missionaria. Privo di risorse economiche, riuscì a esaudirla grazie all’appoggio di don Mazza che il 20 agosto 1845 inviò una lettera al prefetto della congregazione di Propaganda Fide, il cardinale Giacomo Filippo Fransoni, pregandolo di accoglierlo nella sua istituzione. Nello stesso anno Vinco partì per Roma per studiare l’inglese, il portoghese e il cingalese, che gli sarebbero serviti a Ceylon, sede di quello che avrebbe dovuto essere il suo primo incarico. La destinazione fu tuttavia cambiata e Vinco venne assegnato alla prima missione del Vicariato apostolico dell’Africa centrale, da poco costituito. Il 3 luglio 1846 partì per il Libano per imparare l’arabo, e il 18 settembre 1847, con altri cinque confratelli, da Alessandria d’Egitto si diresse al Cairo per risalire il Nilo. In circa tre settimane il gruppo raggiunse la prima cateratta del fiume e alla fine del 1847 Dongola, oltre la terza. Superarono il fiume il 19 gennaio 1848 e dopo avere attraversato il deserto della Nubia arrivarono a Khartum l’11 febbraio, dove avviarono una prima stazione missionaria e aprirono una scuola per bambini del luogo.
Attorno alla fine del 1848, a causa dei gravi problemi economici che i missionari si trovarono ad affrontare, Vinco decise di fare rientro in Italia in cerca di aiuti finanziari. Affrontando lo stesso terribile viaggio riattraversò il deserto della Nubia, risalì nuovamente il Nilo e arrivò a Verona il 19 gennaio 1849. La sua presenza suscitò un notevole interesse fra gli allievi dell’istituto fondato da don Mazza, soprattutto sul giovane liceale Daniele Comboni. Ripartito per l’Africa alla fine di marzo, l’8 novembre 1849 Vinco fece rientro a Khartum, dove lo attendeva padre Ignazio Knoblecher per preparare un viaggio esplorativo sull’Alto Nilo alla ricerca di un luogo adatto per fondare una nuova missione. Approfittando di una spedizione di mercanti di avorio, il 13 novembre Vinco, insieme a Knoblecher e al gesuita Emanuele Pedemonte, raggiunse il Nilo Bianco, individuando in Kondùkuru la nuova sede, poi chiamata Gondokoro, e fece poi ritorno a Khartum verso la metà di marzo del 1850.
Dopo avere instaurato dei rapporti amichevoli con uno dei capi tribù più ascoltati, Nighila, che risiedeva a Bellenia – a qualche ora di distanza a est di Gondokoro, alle falde del monte Belenian –, Vinco ripartì il 12 gennaio 1851 procedendo sul Nilo Bianco attraverso i territori degli Scilluk, dei Nuer, dei Dinka, dei Kic e degli Scir. Il 4 marzo raggiunse Margiù e si trasferì quindi a Bellenia per organizzare una nuova spedizione che si sarebbe protratta per più di un anno e lo avrebbe portato a cercare il percorso migliore per raggiungere le sorgenti del Nilo. Accompagnato da Nighila e dai suoi uomini, il 24 giugno, attraversando ambienti di savana con erbe alte intervallate dalla foresta tropicale, si diresse verso il fiume Ciol (da identificare forse con l’attuale Kineti), da lui indicato come un ramo del Sobàt, popolato dai Beir, confinanti con i Bari e appartenenti al gruppo linguistico dei Didinga, individuando il monte Liria e passando ai piedi del monte Icudo. Dalle guide che lo accompagnavano si fece indicare anche i nomi dei rilievi avvistati all’orizzonte, che facevano parte di due altissime catene di monti che correvano parallele da mezzogiorno a tramontana. Assalito continuamente dalle febbri, decise di tornare a Bellenia, da dove, recuperata la salute, si recò a visitare le montagne circostanti ricche di ferro, descrivendo nei dettagli i metodi di estrazione e di lavorazione del metallo.
Nel dicembre del 1851, alla fine della stagione delle piogge, realizzò una prima esplorazione verso sud seguendo un itinerario che passava a poca distanza dalla riva destra del Nilo Bianco, superando il Kyt, affluente del Nilo, pressoché all’altezza di Rejaf, toccando Shindirru e ritornando al fiume nei pressi della settima cateratta (Machedo). Lasciato di nuovo il Nilo, riprese il viaggio all’interno alla volta di Nimule, per arrivare in quattro giorni di marcia alla località di Lugufi, situata appena oltre il 4° di latitudine nord, a poca distanza dalle rapide di Mugi e di Laboré, assai vicino all’attuale confine ugandese. Sulla via del ritorno effettuò anche una breve puntata nei territori che si estendevano sulla riva sinistra del Nilo, abitati da popolazioni da lui chiamate Anguara (Jangwara). Nel febbraio del 1852 si inoltrò nei territori montuosi situati a sud-est di Margiù, giungendo in cinque giorni di marcia a Laudé, identificabile con l’area del monte Lueh, a metà strada tra le odierne località di Sirsiri e Torit, entrambe situate a 4° 24′ di latitudine nord. Il suo obiettivo era quello di raggiungere le popolazioni Ciocco e Quenda, dalle quali si aspettava un aiuto per potere avvicinarsi ulteriormente alle sorgenti del Nilo. Due indigeni da lui inviati a raccogliere informazioni presso questa popolazione gli avevano infatti riferito che il Nilo Bianco aveva le sue sorgenti sulle montagne di Combirat, da identificarsi con quelle del Ruwenzori, a ovest del lago Vittoria, che Henry Morton Stanley individuò molti anni dopo. In questo modo venne a sapere anche che i Quenda si recavano a vendere i denti di elefante in un mercato situato tra la tribù dei Mua, due giorni a sud del loro territorio, dove affluivano mercanti arabi con i quali scambiavano le merci e che provenivano «da un gran fiume, la cui acqua è salata, ed entravano poi in un altro gran fiume di acqua dolce arrivando fino a Mua, e che questo fiume ha una comunicazione col fiume dei Bari (additando il Fiume Bianco) tra i Madi e i Quenda» (Almagià, 1940, p. 319). Si trattava di una chiara allusione ai mercanti arabi provenienti dalla costa dell’Oceano Indiano, al Nilo Vittoria e alla sua comunicazione con il Nilo Bianco attraverso il lago Alberto, o direttamente dal Nilo Somerset al Nilo di Gondokoro: tutte informazioni la cui attendibilità fu confermata dalle esplorazioni successive.
Ritornato ancora a Margiù, Vinco ricevette notizie della missione che lo indussero a rientrare a Khartum, dove giunse l’11 giugno 1852, venendo però accolto con molta freddezza a causa di notizie che lo accusavano di essersi dedicato al commercio dell’avorio e miravano ad addossargli la responsabilità delle difficoltà alle quali erano andate incontro le missioni nell’Africa centrale: venne difeso solo da Antoine Brun-Rollet e cercò di giustificarsi con una lettera inviata il 9 agosto 1852 al prefetto della congregazione de Propaganda Fide. Dopo una breve sosta a Khartum, riparti da solo per il suo ultimo viaggio: raggiunta Belenia compì altre esplorazioni, ma venne bloccato nuovamente dalle febbri. Assistito dagli indigeni si rese conto che era ormai arrivata la fine e fu raggiunto da Knoblecher e altri tre confratelli.
Morì il 22 gennaio 1853 nel villaggio di Libo, a due chilometri da Gondokoro, compianto da tutte le tribù indigene che erano state da lui visitate, a cominciare dai Bari che lo chiamavano Giuoc, dal nome di una loro divinità. In suo ricordo venne inaugurata nel 1934, presso la chiesa parrocchiale di Cerro Veronese, una lastra marmorea con un’iscrizione commemorativa e un suo ritratto.
Vinco fu considerato tra i maggiori esperti europei dei territori dell’Alto Nilo. Alessandro Vaudey, dopo essersi insediato a Khartum nel 1852 come viceconsole del Regno di Sardegna, si rivolse a lui per la compilazione di un questionario sulle popolazioni e le regioni nilotiche meridionali sudanesi, che gli era stato commissionato dall’esploratore Antoine D’Abbadie e che venne pubblicato in quello stesso anno sul Bulletin de la Société de géographie de Paris (1852, n. 4, pp. 525-535); e l’esploratore francese Guillaume Léjean, ripercorrendo nel 1861 i luoghi nei quali il missionario aveva svolto la sua attività, riconobbe il contributo da lui fornito sulle questioni geografiche concernenti l’Alto Nilo nel suo resoconto di viaggio (1862). Infine, nel suo racconto Cinq semaines en ballon (1863) Jules Verne lo inserì in un elenco dei più importanti viaggiatori europei che operarono in Africa.
Fonti e Bibl.: Documenti relativi a Vinco si trovano nell’Archivio dei missionari comboniani, a Roma, Fondo A, cassetti 1-14 (1842-1882). V. anche I. Knoblecher, Das apostolische Vikariat von Central Afrika, Wien 1850, e A. Vinco, Relazione del viaggio del reverendo sacerdote don A. V. missionario apostolico fra le varie tribù equatoriali del Fiume Bianco dal principio dell’anno 1851 fino alla metà del 1852, in Annali della Società di Maria per le missioni cattoliche dell’Africa centrale, II (1853), pp. 3-48. La relazione, corredata da un’introduzione e da preziose note, è edita pure da R. Almagià, A. V. Relazione delle sue esplorazioni nell’Alto Nilo (1849-1853), in Annali Lateranensi, IV (1940), pp. 283-328 e riprodotta anche in E. Crestani, Don A. V., missionario-esploratore, Verona 1941, pp. 74-134 (biografia di taglio agiografico, ma ricca di documenti), oltre che in Africa o morte. Viaggi di missionari italiani verso le sorgenti del Nilo, 1851-1873, a cura di L. Gaffuri, Milano 1996, pp. 167-212, trad. ingl. in E. Toniolo - R. Hill, The opening of the Nile Bassin, London 1974, pp. 74-105. Inoltre: A. Brun-Rollet, Le Nil Blanc et le Soudan, Paris 1855, pp. 201-204; G. Lejéan, Le hauts Nil et le Soudan, souvenirs de voyage, in Revue des Deux Mondes, 1862, vol. 37, pp. 854-882; R. Almagià, Il viaggio poco noto d’un missionario veronese sull’Alto Nilo, in Bollettino della Società geografica italiana, 1931, vol. 68, pp. 404-407; Id, Sul presunto ritrovamento della tomba del missionario A. V., ibid., 1935, vol. 72, pp. 195-199; S. Santandrea, Bibliografia di studi africani della Missione dell’Africa centrale, Verona 1948, ad ind.; A. Gray, A history of South Southern Sudan, 1839-1889, London 1961, pp. 23-28; C. Zaghi, L’Europa davanti all’Africa. La via del Nilo, Napoli 1971, ad ind. (in partic. pp. 496-501); E. Schmid, Alle origini della missione dell’Africa centrale, Venezia 1987; F. Surdich, Il contributo all’esplorazione del bacino del Nilo da parte di missionari del vicariato apostolico dell’Africa centrale, in Miscellanea di storia delle esplorazioni, XXIII (1998), pp. 279-292; G. Romanato, L’Africa nera fra Cristianesimo e Islam. L’esperienza di Daniele Comboni (1831-1881), Milano 2003, ad ind.; E. Filippi, Le lettere di A. V., in Cimbri/Tzimbar, 2009, n. 21, pp. 25-59; Id., Tre viaggi sul Nilo verso la metà dell’Ottocento, in Atti dell’Accademia roveretana degli Agiati, s. 9, CCLXVI (2016), 6, A, pp. 167-190.